Israele e Giordania del sud on the road
Premessa e consigli pratici
Se volete veramente visitare Israele, se lo sognate da tanto tempo, ma mal sopportate i viaggio organizzati, NON FATEVI SPAVENTARE da tutti quelli che non si sognerebbero mai di andarci o che si muovono solo col pullman dell’agenzia viaggi ed il bollino colorato appiccicato alla maglietta. Quando direte che state pensando di andare in Israele, ciò che vi sentirete ripetere almeno 100 volte è “Ma è il momento giusto per andarci?” (declinato anche nella versione “Non mi pare il momento migliore per andarci…”).
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Vi sveliamo un segreto: NON ESISTE IL MOMENTO GIUSTO per andare in Israele!! La situazione politica è talmente magmatica che potrebbe cambiare da un giorno all’altro, magari anche durante il viaggio stesso… quindi tanto vale prenotare il volo e mettersi l’anima in pace, incrociando le dita.
Ciò detto, vale la pena di spendere due parole preliminari in tema di:
SICUREZZA: siamo stati in Israele in un periodo piuttosto calmo, nonostante la terribile guerra civile in Siria. Non ci siamo quindi mai sentiti, nemmeno per un istante, in pericolo o a disagio davanti ai militari mitra-dotati. Nessuno ci ha fatto particolari controlli o interrogatori. Ma sappiamo bene di essere stati fortunati poiché il livello dei controlli dipende dal momento storico/politico in corso e se il giorno prima i controlli sono blandi, il giorno dopo potrebbero diventare asfissianti. In ogni caso, è sempre bene recarsi all’aeroporto, sia all’andata che al ritorno, almeno 3 ore prima del volo e non discutere mai con gli addetti alla sicurezza, qualunque cosa accada e qualunque comportamento essi tengano, anche se magari invadente o incalzante. E’ bene sapere che all’aeroporto potrebbero confiscarvi il pc, il cellulare o l’iPad senza darvi alcuna spiegazione: in tal caso lo ritroverete direttamente a destinazione quando atterrerete in suolo israeliano… e anche qui, è del tutto inutile discutere! Anche le riviste potrebbero essere sequestrate o ispezionate… quindi meglio partire portandosi in volo un romanzetto americano piuttosto che un capolavoro della letteratura araba, tanto per capirci.
VISTI: i visti turistici per un viaggio in Israele si fanno direttamente all’aeroporto quando si atterra oppure ai posti di confine se si arriva da un Paese limitrofo. Per quello giordano vale lo stesso discorso. Ricordatevi di chiedere che NON vi facciano il timbro sul passaporto se avete in mente di visitare un paese arabo “nemico” di Israele (ossia Arabia Saudita, Siria, Libano, Iran, Iraq… salvo sconvolgimenti politici dell’ultimo momento che possano contribuire a far allungare la lista!) nei prossimi anni, altrimenti dovrete rifare il passaporto onde evitare di essere rispediti a casa. Specifichiamo che non sono tenuti ad ascoltarvi e che se accettano di omettere il timbro, lo fanno per pura cortesia… Inoltre, durante il viaggio, conviene avere sempre con sé il passaporto se si attraversano zone di confine (es: se si entra il Palestina per andare sul Mar Morto ecc..) nel caso ve lo controllassero ai vari check points.
CIRCOLAZIONE: Sia in Israele che in Giordania abbiamo affittato un’auto (prenotate su internet prima di partire) e abbiamo viaggiato in piena autonomia su strade decisamente percorribili. All’ultimo abbiamo deciso di fare la patente internazionale poiché non siamo davvero riusciti a capire se fosse o meno necessaria: su internet, anche su siti autorevoli tipo “Viaggiare sicuri”, non abbiamo trovato risposte univoche, quindi non ci siamo fidati a partire sprovvisti. La benzina in Israele costa più o meno come in Italia, mentre in Giordania costa pochissimo!! In Israele non ci sono problemi al benzinaio, funziona esattamente come qui, mentre in Giordania lo stesso car rental ci ha detto di stare attenti e di non perdere d’occhio la pompa della benzina durante il pieno, perché altrimenti ci avrebbero fregati (infatti, ci hanno provato, ma noi eravamo attenti…). La circolazione in entrambi i Paesi è semplice e tranquilla, ma bisogna sempre fare attenzione a qualche buca sull’asfalto e ai cartelli che avvertono dell’attraversamento di animali… perché i dromedari attraversano, eccome! In entrambi i Paesi pare non usarsi il “pianale” copri baule… il che però può essere un problema per un turista che lascia i bagagli in auto mentre visita un sito di interesse. Per cui insistete con il car rental perché ve ne procurino uno! Altra cosa: abbiamo notato che gli arabi adorano suonare il clacson e lo usano praticamente sempre… ma non siamo riusciti a capire che cosa vogliano comunicare! Ci pare comunque di aver inteso che quando vi si appiccicano dietro e suonano il clacson prima di sorpassare, significhi semplicemente “guarda che mo’ ti sorpasso…”.
VALUTA: La valuta Israeliana è lo Shekel (detto anche Nis) e il cambio attuale è circa 1sh = 0,20€, il che significa che basta dividere il prezzo in shekels per 5. In Giordania c’è in vece il Dinaro (chiamato comunemente “JD”) e il cambio è praticamente 1 a 1, quindi non ci sono calcoli da fare! In Israele, a differenza che in Giordania, abbiamo avuto un po’ di difficoltà con i bancomat, perché spesso non ci permettevano di ritirare i soldi. Consigliamo pertanto di portarsi anche degli euro da cambiare all’occorrenza. Con gli Israeliani non è necessario, ma con gli arabi è fondamentale contrattare su TUTTO, in particolare con i taxisti e nei suq turistici (vedi Gerusalemme). NB: il 10% di mancia per il servizio è di solito incluso in tutti i ristoranti e, se non lo è, è buona norma lasciarlo ugualmente, altrimenti si offendono. In Giordania, però, è bene ricordarsi che al conto viene anche aggiunto il 16% di tasse! Quindi, al costo di ogni pasto giordano, bisogna aggiungere un bel 25% (tasse + mancia) … che non è poco!
CLIMA: L’unica nota negativa del viaggio è stato il caldo terribile: il peggiore mai provato, soprattutto nelle località affacciate sul Mar Rosso… un caldo umido e soffocante che ci ha veramente fatti boccheggiare giorno e notte!! Per cui, se si può, è meglio NON andarci in estate… noi purtroppo non potevamo fare diversamente. Sembrerà incredibile, ma il posto in cui siamo stati meglio, a livello di temperature, è stato il deserto del Wadi Rum (dove alla sera serve una felpa…)!!
TRASPORTI: Israele è molto ben servita da una capillare rete di autobus chiamata EGGED. Hanno un sito internet piuttosto incasinato, ma se mandi un’e-mail per avere informazioni rispondo in fretta. Se si deve affrontare uno spostamento lungo alla vigilia dello Shabbat, è meglio prenotarsi un posto sull’autobus per evitare di restare a piedi. Abbiamo notato che i bus di città, proprio come gli sherut, possono essere semplicemente fermati per strada a richiesta, senza bisogno di cercare la fermata… il che rende tutto molto più facile!
CONFINE CON LA GIORDANIA: quando sei in Israele e pensi che Petra dista solo qualche ora, ovviamente ti viene voglia di passare il confine! Ci sono 3 punti di passaggio: il Ponte Allenby/Re Hussein, situato a 57 Km da Amman, a sud della valle del Giordano, aperto dalla domenica al giovedì dalle 8 alle 20 per gli arrivi e dalle 8 alle 14 per le partenze; venerdì e sabato dalle 8 alle 13, ma bisogna essere già muniti del visto per entrare in Giordania; il confine Sheikh Hussein a nord, a 90 Km da Amman, è situato nei pressi del Lago di Tiberiade (Mare di Galilea) ed è aperto 24 ore su 24, 7 giorni su sette, tutto l’anno; il confine sud del Wadi Araba, a 324 Km da Amman, collega le località di Eilat e Aqaba sul Mar Rosso. È aperto dalla domenica al giovedì, dalle 6.30 alle 20, venerdì e sabato dalle 8 alle 20. A questi ultimi due varchi è possibile ottenere i visti direttamente alla frontiera; non è quindi necessario procurarsi il visto in anticipo. Il confine del Wadi Araba è però chiuso nel giorno del capodanno islamico e in occasione dello Yom Kippur. Per uscire dalla Giordania bisogna pagare una tassa di 10JDs.
CUCINA: la cucina israeliana è, inevitabilmente, un interessantissimo mix di specialità arabe e dell’est Europa. Diciamo che tutte le etnie che sono passata di qua o che sono sfuggite alle persecuzioni in atto nel proprio Paese per approdare nella Terra Promessa, hanno dato il loro contributo a rendere la cucina locale un po’ meno autoctona e un più varia. Segnaliamo un articolo moooolto interessante che trovate a questo link http://www.gojerusalem.com/discover/article_1454/40-things-you-have-to-eat-in-Jerusalem, dove sono segnalate 40 cose buone da non perdere a Gerusalemme, tra cui i dolci arabi tipici (favolosi!), i bagles (ciambelle di pane che vengono tagliate a metà e riempite con vari ingredienti a scelta), lo shawarma (ossia la versione israeliana del kebab… saporito e indigeribile) classicone dello street-food locale. In Galilea e a Tel Aviv (nonché nella parte moderna di Gerusalemme) si trova però una cucina decisamente più internazionale, quindi ce n’è davvero per accontentare i gusti di tutti! Ovviamente nei locali arabi non si bevono alcolici, mentre se li ordinate in quelli ebraici, state attenti che non si tratti di “vino cotto” che è quello che bevono i super estremisti del Kosher…
VARIE, MA DA SAPERE: il venerdì è il giorno sacro per i musulmani, mentre il sabato è quello sacro per gli ebrei, durante il quale festeggiano lo Shabbat (che inizia al venerdì pomeriggio e finisce il sabato sera). Durante lo Shabbat tutto si ferma, dalla maggior parte dei trasporti pubblici, ai benzinai ai ristoranti ecc… Per cui è bene organizzare il viaggio sapendo che lo Shabbat potrà creare qualche problemino, tranne a Tel Aviv ed Eilat che sono città più liberali (o meno religiose…) dove i taxi circolano comunque, anche se ce ne sono meno in giro, e si trova qualche negozio o ristorante aperto lo stesso. A Gerusalemme lo Shabbat è un giorno ideale per organizzare una visita in qualche città palestinese o salire sul Monte degli Ulivi.
Per andare in Palestina ci si può muovere normalmente con gli autobus di linea, ricordandosi di portarsi dietro il passaporto, oppure prendendo parte ad un tour. Ci sono i classici tour proposti dalle varie agenzie turistiche, oppure ci sono alcune associazioni che organizzano dei tour davvero interessanti, con un punto di vista prettamente politico, tra cui consigliamo ATG- Alternative Tourism Group sito internet http://www.atg.ps/). Se poi avete la fortuna di essere a Gerusalemme nel giorno in cui “Breaking the silence” organizza il propio tour, beh, allora non mancatelo! (noi purtroppo non eravamo là nel momento giusto). “Breaking the silence” (http://www.breakingthesilence.org.il/) è un’associazione di ex militari israeliani che hanno deciso di “rompere il silenzio” e denunciare il modo aggressivo in cui Israele sta gestendo i rapporti con la Palestina, soprattutto lungo la linea di confine. Un giorno al mese, organizzano un tour e portano un gruppo di persone in alcune zone di confine, campi profughi ecc… per raccontare loro i retroscena della così detta “necessità israeliana di proteggersi dagli attentati arabi”.
Altra due cosette che abbiamo imparato: gli ebrei ortodossi non toccano le persone dell’altro sesso, per cui evitate di porgere loro una mano da stringere a meno che non siano del vostro stesso sesso. Invece i musulmani non possono fare brindisi, perché è vietato dalla loro religione. Meglio saperlo per evitarsi le figure che ci siamo fatti noi!
Infine 2 paroline basiche in israeliano e arabo: Buongiorno si dice “Shalom” in israeliano e “Salamaleikum” in arabo; grazie si dice “todà” in israeliano e “sciucran” in arabo…. consigliamo di fare largo uso di queste due parole, ma è meglio evitare di dire “shalom” ad un arabo e “salam” ad un israeliano perché la prendono abbastanza male. Nel dubbio è meglio usare il generico “Hi…”
LETTURE: prima di partire leggete quanto più potete su Israele e sulla sua storia antica e moderna perché c’è davvero tantissimo da sapere, e non basta mai! In particolare, per una lettura divertente, anche se ovviamente amara, ma soprattutto originale, vi STRAconsigliamo “Cronache di Gerusalemme” di Guy Delisle: è un fumetto di graphic journalism in cui l’autore racconta un anno di vita nella Gerusalemme del settore arabo ed è davvero bellissimo… vi aiuterà a capire e notare tante cose una volta sul posto! Altro fumetto, ormai un classico, è “Palestina” di Joe Sacco, molto toccante, molto amaro, molto filo palestinese. Un romanzo decisamente appassionante è invece “The rabbi’s daughter” di Reva Mann, la storia vera di una ragazza ebrea inglese che, alla ricerca della sua identità, trascorre sette anni della sua vita da ebrea ortodossa, nel maniacale rispetto delle regole religiose… quante cose incredibili ed inconcepibili si scoprono! (però è edito solo in inglese). Per chi ce la fa ad arrivare in fondo (è proprio pesante e decisamente filo-israeliano… ) c’è poi “Gerusalemme Gerusalemme” di Dominique La Pierre.
E adesso ecco la cronaca del nostro meraviglioso viaggio, che speriamo possa essere utile a chi, come noi, si è messo in testa di vedere Israele in autonomia
Era da un anno che non pensavamo ad altro se non alle nostre ferie estive in Israele. Grazie ai preziosi consigli datici da un’amica che c’era stata qualche anno prima, abbiamo cercato di organizzare la vacanza al meglio, includendo anche il sud della Giordania per visitare Petra. Nessuno dei nostri amici ha voluto partire con noi: ci guardavano come se fossimo mezzi suonati e ci sottolineavano che stavamo sognando di fare un viaggio pericoloso. “Pericolo” era la parola più ricorrente, insomma. Poi, verso Natale, quel paio di razzi da Gaza verso Tel Aviv ha dato a tutti la soddisfazione di farci notare, più o meno silenziosamente, che eravamo dei pazzi… Ma abbiamo tenuto duro… abbiamo letto tanto, ci siamo informati largamente, pensando “Alla TV ci fanno vedere solo Gaza, ma Israele non è Gaza! Vogliamo vedere con i nostri occhi.” Fortunatamente la situazione politica tra Israele e Palestina si era nuovamente “distesa” e siamo partiti il primo di agosto proprio mentre si svolgevano delle nuove trattative di “pace”.
Partenza, 1° agosto: arrivo a Gerusalemme
Eravamo pronti ad affrontare controlli estenuanti, interrogatori, code interminabili all’aeroporto sin da Malpensa (dove siamo arrivati 3 ore prima…. non si sa mai!), a vederci sequestrare gli iPhone, le riviste (tanto che, io che scrivo, ossia Francesca, mi sono fatta il problema di portare con me il fumetto di Sacco “Palestina” che tanto mi sarebbe piaciuto leggere in loco)…. E invece niente. Insomma, alla fine ti girano anche un po’ quando ti aspetti che accada qualcosa e quel qualcosa non accade neanche lontanamente! Solo poche domande tipo: “siete sposati? Dove vivete? Chi ha fatto le valigie? Le avete sempre tenute con voi? Qualcuno vi ha consegnato dei pacchi da portare in Israele?” E finita lì. Gentili, sorridenti, chiedendoci scusa per averci fatto domande personali motivate da ragioni di sicurezza. Ci è stato comunque spiegato poi che di solito i più tartassati sono i viaggiatori singoli mentre con le coppie sono un po’ più morbidi…
Partiamo pertanto con il nostro volo ELAL, la compagnia di bandiera che, con Meridiana, propone i voli al miglior rapporto qualità prezzo perché sono diretti, ed arriviamo a Tel Aviv di giovedì sera, giorno accuratamente scelto per non incappare subito nello Shabbat con relativa mancanza di mezzi pubblici per portarci a Gerusalemme, prima tappa del nostro sospirato viaggio. Anche a Tel Aviv i controlli sono praticamente assenti e in men che non si dica siamo fuori dall’aeroporto. Al controllo passaporti chiediamo con occhi supplichevoli di non metterci il timbro, visto che, tra i nostri mille sogni, c’è anche l’Iran, e l’addetto ci rilascia un cartoncino scannerizzato con sopra le nostre foto ed i nostri dati, sibilandoci che non lo mettono più. Beh, ottimo! Usciti dall’aeroporto, ci troviamo davanti un furgoncino bianco che ha tutta l’aria di essere uno dei famosi “sherut”, i taxi collettivi che ti lasciano dove vuoi, e infatti saliamo a bordo con una famigliola di ebrei ortodossi belli pasciuti. E via verso Gerusalemme… culla di tradizioni millenarie, di leggende così antiche da perdersi nella notte dei tempi, eppure ancora così vivide nella coscienza collettiva da sembrare vere. Siamo emozionatissimi, sebbene stanchi morti dopo un intero anno di lavoro… ancora non ci pare vero di essere qui e siamo super esaltati!
Arrivati a Gerusalemme ci facciamo lasciare alla Porta di Damasco, visto che il nostro alloggio, l’Austrian Hospice, si trova sulla Via Dolorosa poco oltre la porta. Se pensavamo che i severissimi controlli israeliani all’aeroporto sarebbero stati l’inizio delle nostre avventure, ci siamo presto resi conto che ci eravamo sbagliati di grosso: la vera avventura è stato il Ramadan. Ora, nella nostra ingenuità, immaginavomo il Ramadan un po’ come la vigilia di Natale…. a Torino. Tipo che si festeggia, la gente corre qua e là, ma in modo ordinato, alla ricerca delle ultime vettovaglie con cui imbandire la tavola per una cena che deve compensare del digiuno giornaliero. Insomma, avevamo già avuto a che fare con Ramadan a Doha e ci era parso una bella festa al calar del sole, ma niente di più. In effetti non avevamo considerato che Gerusalemme è la terza città sacra per i Musulmani dopo La Mecca e Medina… il che, in poche parole, significa IL DELIRIO.
Abbiamo faticosamente varcato la Porta di Damasco, sospinti da una fiumana di arabi diretti alla Spianata delle Moschee, trascinandoci dietro le valigie a fatica, frastornati dal caos, dalle grida, dagli odori dei kebab che sfrigolavano sulle griglie, dalla gente che spingeva e soprattutto dal non saper bene che direzione prendere, nonostante la cartina alla mano. In definitiva abbiamo percorso sì e no 200 metri, ma ci sono sembrati 15 minuti di pura follia. Alla fine abbiamo guadagnato un piccolo slargo e ci siamo trovati di fronte delle transenne dietro le quali una decina di poliziotti con il mitra a spalla osservava la folla con aria piuttosto annoiata. Poco distante da loro, alcuni gradini portavano ad un portone su cui una minuscola targa annunciava che eravamo a destinazione. Abbiamo suonato il campanello e si sono aperte le porte dell’Austrian Hospice, una vera e propria osasi di pace in pieno quartiere arabo. Sembra incredibile come basti chiudere un portone, salire due piani di scale per lasciarsi alle spalle il Ramadan! L’ospizio è grande, arioso, lindo e pinto e ci viene assegnata una stanza grandissima con i soffitti a volta alti almeno 4 metri. Non c’è l’aria condizionata, ma i muri antichi sono decisamente freschi e basta lasciare aperta la finestra per trovare refrigerio. Ce l’abbiamo fatta!!!! Ci riposiamo giusto il tempo di farci una doccia e sistemare i nostri vestiti nell’armadio, poi, verso le sette di sera, ci immergiamo nella città antica che sarà il nostro incasinatissimo nido per 4 giorni. Fuori la situazione è un pochino migliorata, c’è un po’ meno ressa, ma noi la seminiamo subito dirigendoci verso il quartiere armeno, dove ci troviamo presto a girare per i vicoletti completamente da soli, immersi nel silenzio della sera. Andiamo dritti dritti al ristorante Armenian Tavern, sapendo che i posti per cenare all’interno della città vecchia sono davvero pochi. Il ristorante si trova nei pressi della Porta di Jaffa (ossia la porta che introduce al quartiere ebraico) ed è molto caratteristico, arredato con una profusione di mobili, tappeti, lampadari armeni, uno più bello ed esotico dell’altro (che fanno venire voglia di partire per l’Armenia!), anche se carichi di una buona dose di polvere (ma io capirò ben presto che il mio concetto di pulizia non ha nulla a che vedere con quello locale… e mi ci dovrò abituare in fretta!). Ceniamo bene, rilassati e felici, serviti da una cameriera bella e sorridente: la nostra prima cena israeliana… Iniziamo a renderci davvero conto di essere in Terra Santa e già l’Italia inizia a diventare solo un vago ricordo cui pensare distrattamente di tanto in tanto. Alla sera a Gerusalemme si alza un piacevole venticello e ce lo godiamo pensando che sarà uno dei pochi luoghi relativamente freschi del nostro viaggio (purtroppo!). Tornando all’ospizio ci immergiamo nella ressa del Ramadan, ma stavolta serenamente, incuriositi dalle bancarelle che vendono qualunque cosa, dai ninnoli alle spremute di melograno, al kebab, alle caramelle gommose tipo “ciucci”che compravamo al mercato quando eravamo piccoli… poi pane, pile, cottonfioc, cinture, frutta e verdura, crepes, telecomandi, solette per le scarpe, accendini, pulcini, mitra ad acqua, occhi del diavolo ecc… Notiamo che gli acquisti si svolgono alla velocità della luce: giusto il tempo di arraffare un sacchetto di caramelle miste e consegnare i soldi al venditore e via, verso la Porta di Damasco senza nemmeno doversi fermare, basta rallentare leggermente il passo… Ma dove corrono tutti? Probabilmente a casa, probabilmente hanno un autobus in partenza per riportarli in Palestina. Adocchiamo una pasticceria araba proprio poco oltre l’ingresso dell’Austrian Hospice: sono le dieci di sera, ma tutti i pasticceri sono all’opera, sfornano teglie enormi di baklava, preparano vassoi di dolcetti, friggono palline di pasta che poi tuffano nel miele e ne riempiono dei sacchettini che vanno tantissimo tra i bambini. Ci ripromettiamo di fare visita alla pasticceria il giorno successivo e, felici come delle pasque per il nostro inizio di “vacanza” (chiamiamola con il suo vero nome: viaggio. La vacanza presuppone che ci si riposi, non che si giri come delle trottole sotto un sole cocente…) ce ne andiamo a nanna, pronti a farci una ronfata da semicollasso e svegliarci l’indomani freschi come rose. Peccato che non avevamo considerato due cose: 1) che grazie al Ramadan la gente ha continuato ad ammassarsi dentro e fuori la Porta di Damasco fino alle 2 di notte circa, con tanto di sparo di fuochi artificiali, urla, musica e casino vario; 2) che avevamo un minareto esattamente davanti all’ingresso dell’ospizio, per cui alle 4.30, preciso come un orologio svizzero, il muezzin ha iniziato a pregare, risvegliandoci da un sonno che era ancora agli inizi… ed è andato avanti in tre riprese fino alle 5.30 circa. Evvai! Benvenuti in Israele!
2 agosto: Gerusalemme e l’inizio dello Shabbat
Ci svegliamo in tempo per la colazione, con l’occhio un tantino crepato: non possiamo dire di aver dormito un gran che, ma in fondo chi se ne frega… ci riposeremo quando saremo morti!
E via verso il Santo Sepolcro, dove ci hanno consigliato di andare al mattino presto per evitare le code create dai gruppi di pellegrini e dai viaggi organizzati. Credevamo di doverci fare strada tra i cristiani ed invece ci ritroviamo dentro ad una chiesa piena di musulmani in gaia gita a Gerusalemme: di pellegrini cristiani, a parte qualcuno isolato che piange/prega/ si prostra/ unge con olio profumato la pietra su cui si dice che il corpo di Gesù venne preparato per la sepoltura, non se ne vedono. Una ragazza di Jenin (Palestina) attacca bottone e ci spiega che durante il Ramadan i palestinesi non necessitano di un permesso speciale per venire a Gerusalemme a pregare alla Spianata delle Moschee, ecco perché c’è il pienone (beh, almeno durante il Ramadan Israele non rompe troppo le scatole, a quanto pare…). Un prete ortodosso ci fa entrare giusto 30 secondi nella piccola cappella costruita sul punto in cui si dice che Gesù sia risorto. Lì per lì non capiamo nemmeno bene dove siamo o che cosa stiamo osservando… ma intuiamo che debba essere qualcosa di importante. Poi veniamo spinti fuori perché nuovi turisti/pellegrini devono entrare. La confusione che regna ci lascia un po’ disorientati… forse sarebbe sensato imporre il silenzio all’interno della chiesa, così da potersela gustare nel modo migliore, riflettendo, pregando e percependo un minimo di santità, che invece NON troviamo. Tempo un’oretta siamo fuori dalla chiesa che tanto avevamo atteso di vedere e che immaginavamo ci avrebbe toccati nel profondo. E invece non è successo. Bella, per carità, ma onestamente non abbiamo provato le sensazioni che ci attendevamo di provare nel luogo in cui dovrebbe essere stato sepolto il nostro Messia (non voglio essere blasfema: dico “il nostro” solo perché gli Ebrei stanno ancora attendendo il loro, per cui…). Capiamo subito che Gerusalemme ci regalerà mille emozioni, tranne quelle spirituali. In una città in cui tutti rivendicano il diritto di sfogare il proprio estremismo religioso, ci siamo improvvisamente ritrovati a farci mille domande sul senso della religione e su quella linea sottilissima, per non dire invisibile che separa il fedele dal fanatico. Comunque, secondo la leggenda, la regina Helena, madre dell’imperatore Costantino e fervente cristiana, si recò sul famigerato Golgota, fece fare degli scavi alla ricerca delle prove che si trattasse proprio del punto in cui circa 300 anni prima era stato crocifisso Gesù, e vi trovò tre croci: esattamente su quel punto fece erigere il nucleo primigenio della Chiesa del Santo sepolcro, affinchè tali reliquie venissero preservate per sempre. Infatti entrando nella chiesa e recandosi al piano superiore attraverso una stretta scala a chiocciola, si trova un altare riccamente decorato con un enorme crocifisso che, in teoria, dovrebbe essere eretto esattamente sul punto della crocefissione di Cristo. Eppure, viene spontaneo chiedersi come abbia fatto la regina Helena a trovare proprio tre croci laddove il Golgota, all’epoca, era una cava di pietre posta fuori dalle mura di Gerusalemme, che i Romani usavano per eseguire le crocifissioni: avrebbe dovuto trovarne ben più di tre…. Ma bando alle riflessioni storico-religiose-dogmatiche e proseguiamo il diario di viaggio, così che ognuno rimanga libero di credere ciò che vuole o che necessita. Ancora un po’ sconcertati dalla nostra visita al Santo sepolcro, ci dirigiamo alla Spianata delle Moschee che, con il celeberrimo Muro del pianto, è l’attrazione più bella della città. Purtroppo un paio di militari armati ci fermano all’ingresso del Suk del cotone: non possiamo entrare perché siamo in Ramadan….. chiediamo se domani ci sarà concesso di visitare la spianata, ma ci rispondono di no, finchè dura il Ramadan l’ingresso è permesso ai soli musulmani…. Uffa! Non ci scoraggiamo e riproviamo ad entrare da un altro ingresso dove veniamo nuovamente fermati e rispediti indietro per lo stesso motivo. Come una bambina,mi innervosisco con la sorveglianza israeliana che mi sta mettendo i bastoni tra le ruote e decido di mettere in atto uno strattagemma da vera faina torinese: obbligo mio marito a farsi crescere la barba per tre giorni e inizio a studiare un modo per abbigliarci da arabi quel tanto che basta da riuscire a confonderci nella folla diretta alla preghiera e riuscire a vedere la famosa moschea almeno l’ultimo giorno di permanenza a Gerusalemme (ahahah!!). Lo so che è ridicolo, ma coltivo questo progetto per ben tre giorni, nemmeno mi trovassi in un romanzo d’azione. Tanto per arrivare al sodo, NON abbiamo visitato la spianata, non ci siamo nemmeno arrivati vicino!!! Obbiettivamente con la nostra pelle chiara e l’abbigliamento all’italiana era del tutto impossibile infinocchiare anche solo un bambino di tre anni, figuriamoci la polizia israeliana… che poi, mettiamo anche che fossimo riusciti ad entrare sulla spianata: quanto ci avrebbero messo migliaia di musulmani a capire che non facevamo parte di loro, ma che eravamo dei semplici turisti curiosi??? Quindi direi che, tutto considerato, è andata bene così… J però che peccato non aver visto da vicino quella meravigliosa cupola dorata!!! Ci siamo rassegnati ad ammirarla dalla terrazza all’ultimo piano dell’ospizio da cui si gode di un panorama stupendo (peraltro a disposizione di TUTTI, basta suonare il campanello ed entrare!!).
Delusi dalla mancata visita della spianata, optiamo per un giretto nel quartiere ebraico, in cerca di un buon bagle con cui pranzare. Ci rendiamo conto di come, oltrepassata una linea invisibile che separa i quartieri e le fedi religiose, cambia tutto attorno a noi: dal caos e dal disordine del quartiere arabo, ci ritroviamo a gironzolare per vie tutt’altro che affollate, dove qua e là spuntano famiglie di norma composte da un padre piuttosto inquietante,con sguardo integerrimo, barba lunga, cappello nero e tzitzit (le frange rituali che pendono dalla vita degli ebrei osservanti), mamme – di solito incinte – vestite in modo più che modesto, con calze ultra-coprenti, magliette a maniche lunghe, gonne almeno sotto il ginocchio e parrucche in testa (quando un’ebrea osservante si sposa deve coprire i suoi capelli che possono essere visti solo dal marito, per cui o indossa una parrucca che deve essere brutta quel tanto che basta da fare in modo che tutti capiscano che ce l’ha in testa e che quindi sta nascondendo i suoi veri capelli (???!!) o un foulard in cui raccoglierli) e almeno 5-6-7 bambini serissimi che li seguono e che hanno tutta l’aria di essere tanto buoni e bravi quanto così poco “bambini”. I passeggini iniziano a spuntare come funghi, le famiglie a diventare sempre più numerose e noi iniziamo a sentirci a disagio con i nostri 35-39 anni e nemmeno l’ombra di un figlio a carico. Ci fermiamo a pranzare in una piazzetta nei pressi della sinagoga Hurva, osservando la gente. Accanto a noi si siede a pranzare un gruppo di giovani soldati con giubbotto antiproiettile, caschi antisommossa appesi al collo, manganelli e mitra a tracolla: ovviamente fa un certo effetto mangiare un bagle ad un metro da un mitra (trattandosi di un’esperienza assolutamente inusuale per noi…), ma non ci comunica un sensazione negativa, visto che i soldati ci sembrano più che altro un gruppo di scolari in gita: ridono, scherzano e mangiano i loro shawarma spensieratamente. Il fatto che stia per iniziare lo Shabbat e che sia in corso anche il Ramadan fa sì che la città vecchia sia particolarmente sorvegliata, ma eravamo preparati e non ci facciamo caso più di tanto. Ci rechiamo finalmente al Muro del pianto per vedere l’inizio dello Shabbat. Passiamo il punto di controllo, ci aprono lo zaino, ci fanno passare sotto il metal detector e poi siamo liberi di entrare nella grande piazza che porta al Kotel.
Il sole sta calando su Gerusalemme e gli ebrei ortodossi si stanno raccogliendo tutti qui per pregare. Ci sediamo per terra, dove restiamo a guardarci attorno per un paio d’ore, e li vediamo via via comparire, alcuni vestiti con abiti (che a noi paiono delle vestaglie) color crema, enormi colbacchi di pelo in testa, spesse calze bianche. Ne arrivano altri con palandrane nere fino al ginocchio, ma la maggior parte sono vestiti di nero, cappello compreso e indossano una camicia bianca.. Tutti vanno di fretta, lo sguardo basso, alcuni si tengono le mani sulle orecchie (non abbiamo capito cosa non vogliano sentire), ma, in generale, ci pare che cerchino di sfuggire ai curiosi che restano a guardare da dietro la barriera che divide lo spazio riservato alla preghiera dal resto della piazza. Visto che è iniziato lo Shabbat, non si possono fare foto del muro…. Quindi ci concentriamo su tutti i tipi curiosi che vediamo passare, scattando senza dare troppo nell’occhio. In fondo è solo gente che sta andando a pregare, è vero….. ma alcuni sono talmente assurdi che non possiamo fare a meno di portarceli a casa in una fotografia. A dirla tutta sono piuttosto inquietanti e non hanno l’aria particolarmente simpatica… Verso le otto di sera il muro è gremito di osservanti: nelle prime file c’è un dondolamento generale effetto onde del mare, mentre dietro i giovani pregano cantando in modo festoso. Ben presto i canti si espandono per tutta la piazza e ci dimentichiamo degli ortodossi, rapiti dal clima allegro della serata. Anche un gruppo di giovanissimi soldati prende parte ad un girotondo collettivo, mitra in spalla e facce sorridenti. E’ tutto così bello che potremmo stare qui per ore ed ore, rapiti ad osservare la gente che festeggia la venuta del Sabato…
3 agosto: Betlemme
Anche questa notte i nostri amici arabi hanno fatto casino fino a tardi e poi il nostro amico muezzin ci ha piacevolmente intrattenuti con le sue preghiere verso l’alba, per cui NO, non abbiamo dormito molto!! Ma iniziamo a rassegnarci: infatti sarà un viaggio meraviglioso in cui, in generale, dormiremo poco e male. Oggi è Shabbat e la parte ebraica di Gerusalemme si ferma. Ne approfittiamo per andare a visitare Betlemme che si trova a pochi chilometri da qui, al di là dell’orrendo muro di confine, costruito da Israele per mettersi al riparo dagli attentati palestinesi. Prendiamo l’autobus subito fuori dalla porta di Damasco e in circa venti minuti siamo a Betlemme. Appena scendiamo dall’autobus mille taxisti ci vogliono caricare, ma noi rifiutiamo, sapendo che la chiesa della natività dista solo 10 minuti a piedi, per cui ci incamminiamo in direzione del centro. Si vede subito che non siamo più in Israele: i marciapiedi sono tutti scassati, molti nemmeno asfaltati, al punto che è meno faticoso camminare direttamente sulla strada. Di turisti autonomi non se ne vedono, a parte un’altra coppia di europei che ci segue. Qualcuno si gira a guardarmi le gambe, coperte solo da pantaloncini, e qualche anziana signora osserva un po’ contrariata i miei capelli biondi al vento…. ma non mi sento a disagio, perché le ragazze giovani ci guardano incuriosite e ci sorridono. Molte indossano scarpe con i tacchi (le prime che vediamo da quando siamo partiti!!!) e sono molto belle e curate, seppur coperte da capo a piedi… indubbiamente le palestinesi hanno l’aria di amare la moda più delle israeliane… e manomale! Non abbiamo mai visto donne tanto mal vestite e sciatte come in Israele!
Attraversiamo l’animatissimo mercato ed arriviamo nella piazza principale dove scorgiamo la famosa chiesa, davanti alla quale un gruppo di militari palestinesi ci perquisisce le borse e mi chiede di coprirmi le gambe prima di entrare (capiamoci: NON sono mica in shorts!! E non riuscirò mai a capire perché i polpacci delle donne sono peccaminosi agli occhi dei vari dei che vengono venerati da queste parti… quelli degli uomini invece non offendono nessuno, a quanto pare, seppur decisamente più brutti ed anche pelosi. Comunque è così e me ne faccio una ragione, ma senza dimenticare che ai monasteri delle Meteore, in Tessaglia, per par condicio venivano fatte coprire anche le gambe degli uomini con dei mutandoni colorati davvero ridicoli… e così’ sì che è giusto!). L’interno della chiesa è spoglio, ma l’altare ortodosso è davvero bellissimo. Si possono intravedere alcune parti dell’antico pavimento mosaicato che doveva essere un vero splendore. Nella navata di destra una coda infinita di pellegrini attende il proprio turno per entrare nella famosa grotta, posta sotto l’altare, in cui si dice che Maria diede alla luce Gesù…. ci coglie un impeto di scoramento: ma quanti sono? Stiamo per rinunciare alla visita alla grotta quando notiamo che, nella navata di sinistra, c’è l’uscita della grotta. Ci avviciniamo, facciamo due chiacchiere con il custode che sovrintende alla direzione del traffico di pellegrini e in meno di 5 minuti siamo dentro… passando dall’uscita, ovviamente (cosa che consigliamo vivamente di fare a chi fa parte di un gruppo composto da non più di due persone ed ha sufficiente faccia tosta). Ed ecco la famigerata grotta… molto suggestiva, se non fosse per la marea di gente che si accalca a fare fotografie nel punto in cui sarebbe nato Gesù, indicato con una stella. Grazie a Dio che non abbiamo fatto due ore di coda per vedere una stella di ottone incastonata nel marmo! Per quanto credenti, per quanto innamorati della figura di un uomo chiamato Gesù che cambiò il corso della storia con le sue prediche sull’amore universale, non riusciamo davvero ad attribuire un valore a queste “prove” dell’esistenza del divino.. Anzi, durante questa vacanza l’ultima cosa che riusciamo a sentire è la spiritualità, circondati come siamo da persone invasate che venerano muri, pietre tombali e corrono in moschea giorno e notte. Abbiamo letto che qui a Gerusalemme si registrano molti casi di gente che impazzisce, di solito solo temporaneamente, presa dalla suggestione della religione, ed inizia a fare cose assurde tipo aggirarsi predicando la fine del mondo o cercando di dare fuoco a qualche chiesa/moschea con l’intento di purificarla: adesso capiamo l’utilità dei militari appostati ovunque!! Ma è anche comprensibile: l’esaltazione generale che aleggia nell’aria si potrebbe tagliare a fette…
Ci dirigiamo poi in un’altra piccola chiesa, chiamata “la Grotta del Latte”, dove, sempre secondo la leggenda, Maria perse una goccia di latte dal seno mentre allattava Gesù, rendendo così l’interno della grotta bianco candido. E’ un luogo visitato dalle coppie che cercano un figlio ed è effettivamente una chiesetta molto suggestiva…qui non c’è nessuno e finalmente riusciamo a pregare un attimo in silenzio. Lungo la via del ritorno ci fermiamo in un negozietto che vende presepi di legno d’ulivo, tipici di questa zona. Troviamo anche un negozio che, tra le altre cose, vende corone di spine… e vabeh. Ci fermiamo a pranzare sulla piazza principale, in attesa di recuperare le forze per tornare a Gerusalemme (il caldo si sta facendo sempre più impegnativo) e poi, dopo un veloce giro nel suq – un vero suq, niente carabattole da turisti, qui!! – torniamo alla fermata dell’autobus. Il bus si avvicina alla fermata a tal punto da salire direttamente sul marciapiede: alla guida c’è un ragazzino che avrà sì e no 14 anni. Ci scambiamo uno sguardo preoccupato, ma non possiamo fare altro che salire a bordo, se vogliamo tornare all’ospizio! Fortunatamente, appena l’autobus si riempie, si mette alla guida un autista dell’età giusta e tiriamo un sospiro di sollievo. Rifacciamo il percorso inverso, vista muro di confine (che ci turba non poco, con tutto quel filo spinato in punta che sporge minaccioso verso la Palestina), e quando arriviamo al check point, come previsto, scendiamo tutti dall’autobus (tranne gli anziani) mentre i militari controllano i passaporti: il tutto si svolge in pochi minuti e in tutta serenità da parte sia dei militari israeliani che dei palestinesi controllati e in un attimo siamo di nuovo a bordo. Tornati a Gerusalemme, ci concediamo una sosta all’ombra degli alberi nel giardino dell’ospizio. Passiamo dal “nostro” pasticcere arabo a comprare un vassoietto di dolci appena sfornati e lui ci permette di fare qualche foto e ci fa addirittura partecipare alla preparazione di alcuni dolci, tipo dei panzerotti ripieni di feta. Inutile dire che i dolci sono favolosi, ripieni di datteri, noci, di una crema di latte delicatissima e profumati di fiori d’arancio… ce li pappiamo in men che non si dica, bevendoci sopra un succo di melograno rinvigorente (non c’è niente di meglio contro questo caldo terribile!! E’ più tonificante di un ginseng… oltre che mooooolto più buono!). Torniamo in giro per le strade verso le sei di sera, dopo aver dormito un paio d’ore (le notti travagliate iniziano a pesare un po’) e decidiamo di dirigerci al Monte degli Ulivi. In realtà è semplicissimo arrivarci, basta tagliare la città vecchia in direzione della Spianata delle moschee, uscire dalla Porta dei Leoni, attraversare la strada e ci si ritrova al cimitero ebraico. Poi si inizia a salire su per la collina e si incontrano diverse chiese, tra cui la Cappella della Dormizione, dove si dice che la Madonna sia spirata e che pare essere davvero suggestiva. Noi purtroppo seguiamo il consiglio della Lonely Planet e, una volta fuori dalla Porta di Damasco, andiamo alla ricerca dell’autobus 75per il Monte degli Ulivi, così da fare la visita in discesa…. Trovare sto benedetto autobus è stato piuttosto difficile, dato il casino del Ramadan, però alla fine ce la facciamo, andando ad intuito. Saliamo al capolinea e ci rendiamo conto che il bus partirà solo dopo essersi riempito, per cui partiamo dopo circa 20 minuti di attesa. Il percorso per arrivare a destinazione è breve, ma il traffico è intenso, per cui quello che avremmo potuto fare in mezz’ora di piacevole camminata, ci ha portato via un’ora intera! Se siete dei camminatori, andateci serenamente a piedi!!!! Il Monte degli Ulivi non è, come ce le eravamo immaginati, una collina spoglia su cui sorgono chiese importanti per la tradizione religiosa cristiana: è una zona residenziale collinare dove i monumenti sono nascosti qua e là tra le abitazioni, per cui rimaniamo un attimo disorientati. Finalmente troviamo una scalinata che conduce giù dalla collina, tra gli uliveti, ed iniziamo a percorrerla, mentre il sole tramonta. Purtroppo ormai tutte le chiese sono chiuse, per cui non riusciamo a vederne nemmeno una. Arriviamo infine al cimitero ebraico, davvero toccante nella sua spoglia severità di tombe tutte uguali, senza fiori, senza fotografie, senza orpelli di nessun genere, tutte rivolte verso il Muro del Pianto. Non sembra nemmeno di trovarsi in un cimitero… nel senso che la completa assenza di ogni decorazione non fa percepire l’incombenza della morte, anzi, fa piuttosto pensare alla pace dello spirito. E poi, da qui, il panorama è meraviglioso! Non sarebbe male se anche i nostri cimiteri fossero così… Rientriamo nella città vecchia dalla Porta dei Leoni e andiamo a cena in un ristorantino semplice, chiamato Amigo Emil, dove mangiamo abbastanza bene. Dopo cena decidiamo di fare un altro giro al Muro del Pianto, ma alla Porta di Jaffa vediamo una coda di persone in attesa nei pressi dell’ingresso alla Cittadella di David, per cui andiamo a curiosare e scopriamo che da lì a 15 minuti inizierà uno spettacolo notturno di suoni e luci che racconta la storia di Gerusalemme. Visto che costa poco più di 10 € a testa, decidiamo di fermarci… e abbiamo fatto benissimo!!!!!!!!! Lo spettacolo consiste nella proiezione di immagini sui muri antichissimi della Cittadella, immagini animate alte quanto le alte mura delle sue torri e lunghe a perdita d’occhio. Insomma, è difficile da spiegare, ma è stato bellissimo e davvero emozionante!! Merita, lascia a bocca aperta grandi e piccini!
4 agosto: Gerusalemme moderna
Iniziamo la giornata salendo sul tram che passa proprio fuori dalla Porta di Damasco e attraversa buona parte della città nuova. Scendiamo al capolinea (dove si trova lo Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto) e da qui prendiamo l’autobus 27 che fa capolinea all’ospedale Hebrew Medical Center di Kiryat Hadassah che custodisce una sinagoga le cui vetrate sono opera di Shagall. L’autobus corre lungo le verdi colline di Gerusalemme, tutte ammantate di pini marittimi, cosa che, dalla città vecchia, non ci potevamo certo immaginare. Arrivare alla sinagoga è lunghetta (bisogna proprio andarsela a cercare all’interno dell’ospedale!), ma ne vale la pena perché le vetrate sono davvero bellissime! (e poi: come ve lo immaginate un ospedale pubblico israeliano? Beh, è molto meglio!!! Altro che i nostri che sembrano cadere a pezzi! Qui i tagli sulla salute non sanno cosa siano…) Dopo la visita in inglese, un tantino difficile per chi, come noi, non conosce le storie bibliche che Shagall ha riprodotto in modo simbolico nelle sue vetrate, torniamo al capolinea del tram per visitare lo Yad Vashem, pur sapendo che non saranno ore troppo liete, sebbene sia una visita irrinunciabile di un viaggio in Israele. L’ingresso al Memoriale è gratuito e l’edificio, modernissimo, è immerso nel verde di un parco botanico rigoglioso. Il museo è davvero splendido, architettonicamente interessantissimo. Le sale che ospitano i documenti relativi all’olocausto ne narrano la storia in modo progressivo, dall’ascesa di Hitler, alle prime leggi razziali, ai ghetti, fino ai campi di sterminio e alla “liberazione” dal nazismo. Quindi la visita si fa progressivamente più dolorosa fino ad arrivare ai documenti (filmati, fotografie) sui campi di sterminio che, onestamente, non abbiamo potuto che osservare alla veloce perché ci facevano davvero troppo male. Ogni tanto dovevamo interrompere la visita ed uscire dalle sale perché eravamo sopraffatti dalle emozioni, per quanto la narrazione degli eventi non voglia essere tragica, ma solo realistica… Ma la storia del tenativo di sterminare un’intera razza non può che essere terribile. Usciti da lì abbiamo ripreso fiato nel parco per una mezzora, in silenzio, riflettendo su cose che sai già, ma che ogni volta che ti ci confronti ti colpiscono dritte allo stomaco come un pugno che ti lascia senza fiato. Per quanto “forte”, la visita è da fare, magari non la consigliamo a chi ha dei bambini piccoli, ma sicuramente alle famiglie con adolescenti, perché è giusto che la memoria di quegli atti folli e disumani rimanga sempre attuale.
Dopo la visita, riprendiamo il tram e scendiamo al mercato di Mehane Yeuda dove ci aggiriamo per un’oretta tra le bancarelle, sotto i tendoni che fanno ombra (menomale!), tra le famigliole di ebrei osservanti, con i loro 7-8 figli a coppia. In un banco acquistiamo un “preparato” di cipolle disidratate, mandole, uvette e spezie varie per condire il riso e ce lo portiamo in giro per tre settimane avvolto in 5 sacchetti di plastica per frenare l’odore di cipolla (ogni volta che se lo ritrova in mano, mio marito mi dirige uno sguardo che parla da solo ed io gli sorrido assicurandolo che quando saremo di nuovo a Torino, cucinare un riso orientale con quel preparato ci farà sentire ancora in viaggio e saremo felici…. Ora che siamo tornati a casa possiamo dire che non è un gran che e avremo potuto anche farne a meno! In ogni caso, ci fa davvero ripensare a Gerusalemme…). Dal mercato torniamo alla città vecchia a piedi, rendendoci conto che nelle vetrine dei negozi ci sono solo orribili scarpe basse e che i capi di abbigliamento esposti sono inguardabili… nemmeno nei paesi più poveri da noi visitati abbiamo visto vetrine così brutte!! Solo il nuovo Mamila Mall vanta qualche negozio “normale”, ma guardandoci attorno capiamo perché, dal momento che siamo circondati da ebrei ed ebree ortodossi vestiti in modo talmente dimesso che non avrebbe senso offrir loro niente di bello, tanto il loro credo impedisce di acquistarlo.
Visto che abbiamo trascorso la giornata fuori dalle mura, decidiamo di cenare fuori dalla città vecchia e optiamo per un bel ristorante fighetto con menù europeo, il Noya, dove ceniamo molto bene.
5 agosto: bagno nel Mar Morto
Questa è la nostra ultima mezza giornata a Gerusalemme e ci dispiace davvero tantissimo doverla lasciare senza essere saliti sulla Spianata, ma tant’è. Facciamo un altro giretto al Santo Sepolcro, incappando in un gruppo di spagnoli che arranca per i vicoli del suq portando in spalla una croce (??!!), preceduti da un loro connazionale che li filma: ogni commento sarebbe superfluo. Visto che non abbiamo mai visitato una sinagoga, decidiamo di fare la visita guidata a quella principale, la sinagoga Hurva, nella piazza omonima. La visita avrebbe dovuto durare 50 minuti, ma dopo un’ora e un quarto siamo ancora lì, in ostaggio della guida che ci narra esaltato le gesta degli ebrei che, secolo dopo secolo, distruzione dopo distruzione, hanno sempre rimesso in piedi la loro sinagoga… non nascondiamo che dopo mezzora ne abbiamo abbastanza (anche perché la visita della sinagoga vera e propria è durata circa 5 minuti! Il resto è stata una lezione di storia della sinagoga!), ma non osiamo andarcene. Disperati, dopo un’ora e un quarto diciamo alla guida che siamo molto dispiaciuti, ma che dobbiamo andare e lui ci accomiata con un risentito “Se proprio dovete…”. La visita alla sinagoga ci fa ritardare sulla tabella di marcia, per cui arriviamo all’ospizio a ritirare i bagagli che è di nuovo ora di preghiera per i musulmani. Visto che abbiamo prenotato un’auto in un car rental che si trova poco fuori dalla città vecchia, tra la Porta di Damasco e quella di Jaffa, decidiamo coraggiosamente di uscire dalla Porta di Damasco, anche se intensamente trafficata, poiché molto vicina all’ospizio. Non l’avessimo mai fatto! Sono stati i 200 metri più lunghi di tutto il nostro viaggio, l’unico momento in cui ci siamo davvero sentiti in pericolo. All’improvviso, quando ormai mancavano davvero solo pochi metri alla porta, la folla si è improvvisamente fermata e si è creato una sorta di grumo umano che non andava più né su, né giù. Eravamo tutti bloccati sotto il sole del primo pomeriggio, la gente ha iniziato a spingere, ad urlare, i bambini a piangere perché venivano schiacciati. In tutto ciò gli animi si sono surriscaldati ed un tizio davanti a noi ha pensato bene, dopo uno scambio di insulti, di tirare una testata a uno che gli stava affianco, ed è scattata la rissa. Presi dal panico di venire travolti dalla folla, ci siamo rintanati nella botteguccia di un venditore di spremute che ci ha dato asilo per circa un’ora, mentre aspettavamo che il “grumo” si sciogliesse. Eravamo attoniti a guardare gli arabi che, nonostante tutto, continuavano a spingersi dentro e fuori dalla porta! Dopo esserci rinfrancati con un bel succo di melograno, non appena si poteva nuovamente camminare, abbiamo deciso di evitare il peggio, presi anche da un attacco di claustrofobia da eccesso di corpi agitati, e abbiam fatto dietrofront, percorrendo tutta la lunga strada a scalini che ci separava dalla Porta di Jaffa! Che momento… è stato davvero angosciante! Per fortuna il gestore del chiosco è stato di una gentilezza commovente e ci ha ospitati nel suo negozietto con ogni riguardo, mentre osservava la folla urlante scuotendo la testa.
Finalmente siamo arrivati alla Hertz di King David street dove abbiamo noleggiato la nostra auto israeliana, piuttosto zozza. Siamo così partiti alla volta del Mar Morto, immergendoci nel traffico di Gerusalemme all’ora di punta (che macello!). Abbiamo percorso la statale 1, attraversando la Cisgiordania (con la targa israeliana, quella gialla, si può percorrere questa strada, ma non si può deviare per visitare nessuna località palestinese), e siamo arrivati ben presto in vista del Mar Morto, che è immenso! Da lì siamo andati verso sud, costeggiandolo, in direzione della fortezza di Masada, dove avevamo prenotato una notte nell’ostello che sorge ai suoi piedi. Arrivati all’oasi di Ein Gedi riusciamo finalmente a trovare un po’ di relax facendoci un bel bagno nelle acque salatissime e quasi oleose del Mar Morto… una delle esperienze più belle e divertenti del viaggio! E’ doveroso dire che erano le 7 di sera ed il termometro segnava 40°C… e che l’acqua era decisamente calda, ma è stato forte lo stesso! Bisogna entrare in acqua pian piano, senza scivolare sui sassi incrostati di cristalli di sale, resi scivolosi dalla strana consistenza dell’acqua. Quando l’acqua arriva al bacino ci si può immergere, facendo attenzione a mantenere l’equilibrio perché si viene immediatamente spinti su dall’incredibile concentrazione di sale! Ci va qualche attimo per imparare a galleggiare, ma è una sensazione davvero incredibile, stile assenza di gravità… l’importante è NON farsi andare nemmeno uno schizzo negli occhi perché brucia da morire e, in tal caso, non agitarsi e cercare di mantenere la calma per non rischiare di dare una golata di quell’acqua… il che porterebbe dritti al pronto soccorso! Prese queste piccole precauzioni, ci si diverte un mondo!! Abbiamo anche trovato una sorgente naturale di fango nero, fine come farina, e ce lo siamo accuratamente spalmati ovunque, poi abbiamo fatto tante foto idiote e ci siamo “rotolati” in mare (proprio così, su quelle acque si rotola….) finchè ci è sembrata arrivata l’ora di cena. E menomale che ci siamo dati una mossa, perché all’ostello la cena era servita solo fino alle 20.30! L’ostello di Masada fa parte della catena di ostelli statali di Israele, che vanta strutture grandi e ben tenute, dotate sia di camerate che di camere doppie o quadruple e pertanto anche adatti a chi di solito non dorme in ostello (come noi, ad esempio!). Arriviamo appena in tempo per la cena ed andiamo a letto subito dopo, perché…
6 agosto: Masada e Rosh Pina
Ore 4.30, ora di alzarsi! Siamo un po’ in coma e, in fondo, entrambi ci stiamo chiedendo, ognuno nella propria testa “Ma chi me lo fa fare? Non potevo starmene sotto una palma su una spiaggia tropicale?”. Anche se fuori è buio, l’aria è comunque calda. Ci dirigiamo all’ingresso del Sentiero del Serpente che dista solo pochi metri dall’ostello (che, in definitiva, è il posto migliore in assoluto in cui dormire se si vuole intraprendere la scalata all’alba). Immaginiamo di essere gli unici scimuniti che entreranno a Masada appena apre il sentiero che porta alla fortezza, ma ci avvediamo subito di essere in ottima compagnia di tanti altri svitati!! Alle 5, muniti di una buona dose d’acqua e di crema solare, iniziamo la scalata del sentiero… e ci colpisce il fatto che dapprima ci sia un bel po’ di chiasso, soprattutto dovuto al fatto che ci sono diverse scolaresche, ma appena iniziano gli scalini, cala il silenzio: siamo tutti impegnatissimi nella scalata che, via via che sorge il sole, si fa sempre più faticosa. Chiariamo che il sentiero non è lunghissimo, ci si impiega circa un’ora a raggiungere la fortezza, ma bisogna avere ai piedi le scarpe da ginnastica, portare con sé la giusta scorta d’acqua (una volta in cima c’è poi un distributore di acqua fredda), e bisogna essere un minimo allenati. Sconsigliamo il sentiero agli anziani e alle famiglie con bambini non abituati a camminare in montagna! In ogni caso la funivia apre alle 8 del mattino e si può arrivare comodamente in cima con quella. Guadagnata la rocca, entriamo a Masada e ci sediamo sulle mura a riprendere fiato e attendere il sorgere del sole. Ne leggiamo la storia, bella da far venire i brividi: gli Ebrei, per non soccombere ai Romani che stavano pian piano sottomettendo questi territori, rendendosi conto di non poter più resistere all’assedio, decisero di morire eroicamente piuttosto che essere ridotti in schiavitù dal nemico; pertanto estrassero a sorte tra loro 10 guerrieri cui attribuirono il terribile compito di uccidere tutti gli altri uomini, donne e bambini compresi. I reduci estrassero nuovamente a sorte ed uno di loro uccise tutti gli altri ed infine sé stesso. Quando i romani entrarono finalmente a Masada capirono cos’era successo e celebrarono i nemici come eroi di guerra, rendo immortale la loro fama ed il loro gesto eroico.
Dopo il sorgere del sole, visitiamo il sito archeologico che conserva ancora le vestigia di due splendidi palazzi fatti costruire da re Erode il Grande (per intenderci, quello cui viene attribuita la “strage degli innocenti”). E’ incredibile pensare che il re, ovviamente, li pretese con piscina ed i suoi ingegneri non poterono che esaudire i suoi desideri e gliele realizzarono… su un’altissima rocca nel bel mezzo del deserto!! E poi pensiamo che i VIP di oggi siano viziati…
Poiché alle 8 di mattina il caldo è già devastante (a dir poco), decidiamo di ridiscendere all’ostello in tempo per la colazione e farci una doccia. Poi, accaldati, ma soddisfatti della nostra scalata mattutina, torniamo sul Mar Morto, questa volta a Mineral Beach (dove, a differenza di Ein Gedi, c’è una vera e propria spiaggia attrezzata, ma l’ingresso è a pagamento), per un ultimo bagno ed un pranzo leggero. Ripartiamo poi con direzione Galilea, costeggiamo il Lago di Tiberiade ed arriviamo a Rosh Pina, un paesino minuscolo e grazioso, incastonato tra verdi colline. Qui abbiamo prenotato due notti presso l’Auberge Shulamit, l’hotel col miglior rapporto qualità-prezzo della zona, in posizione panoramica, dove ci viene assegnata una bella stanza spaziosa e pulitissima, arredata con gusto. Finalmente ci facciamo delle sonore ronfate (qui niente muezzin!)… e, al risveglio, delle colazioni davvero stratosferiche! Per cena ci fermiamo in un ristorante bellissimo, con terrazza panoramica e vista sulle colline della Galilea che si chiama Shiri Bistro, sulla “via principale” della parte vecchia di Rosh Pina che consiste in un pugno di stradine acciottolate sulle quali si affacciano casette deliziose immerse tra i fiori. La cena è ottima, in stile europeo. Probabilmente è qui, durante questa rilassantissima serata, che abbassiamo un po’ la guardia dal punto di vista alimentare e non facciamo una piega quando ci portano l’acqua in caraffa… infatti dal giorno successivo “Fermenturto” diventerà il mio migliore amico contro il mal di pancia e mi terrà compagnia per circa metà viaggio, purtroppo… Per cui, un consiglio: bevete SOLO acqua da bottiglie sigillate, anche se sarete circondati da bicchieroni di limonata con la menta fresca vi faranno tanta gola!
7 agosto: vini del Golan e Tsfat
Oggi giornata “lenta” (a modo nostro, ovviamente…). Finalmente siamo in un posto dove c’è un po’ di brezza e dove alla sera non si fa fatica a dormire! Non immaginavamo che la Galilea fosse così verde e piena di coltivazioni di frutta e verdura. Visto che siamo appassionati di vino, decidiamo di affrontare il Golan per poter degustare i vini locali. Il Golan è una delle zone sconsigliate, data la vicinanza al confine siriano, ma decidiamo di non farci spaventare ed iniziamo ad andare alla ricerca di una piccola cantina, Bazelet Agolan, con un’altrettanto piccola produzione di bottiglie. Per strada vediamo tantissimi militari che aspettano i mezzi pubblici alle fermate, e anche qualche carro armato trasportato su camions… Ovviamente non troviamo le dolci colline vitate del Monferrato, né le cantine immerse in vigneti idilliaci, bensì dei minuscoli kibbutz che sembrano non essere troppo abituati ad accogliere i turisti del vino, ma ci piace ugualmente. Il ragazzo che ci accoglie, un ebreo osservante data la kippa in testa e i peot che gli dondolano ai lati del viso, ci spiega il motivo per cui in Israele non esistono più vitigni autoctoni, ma solo vitigni internazionali (cabernet, merlot, shiraz ecc…): quando gli arabi conquistarono questi territori nel medioevo, estirparono tutti gli antichi vigneti piantati dai romani,visto che la religione musulmana proibisce di consumare vino. Che peccato! Chissà queste terre desertiche che vini particolari avrebbero dato! Ovviamente i vini che degustiamo sono barricatissimi, tanto da lasciarci i denti sporchi di viola (non sono proprio il nostro genere favorito, ma riteniamo sia giusto provare tutto e fare i dovuti confronti… altrimenti a che serve viaggiare?). La seconda cantina che visitiamo, Golan Heights, è completamente diversa dalla prima, poiché è la più grande e conosciuta d’Israele. Ha un punto d’accoglienza grandissimo, con l’aria condizionata a palla, asettico, molto cool, dove i vini di punta possono essere degustati autonomamente da un apposito distributore (azotatrice) dopo aver pagato alla cassa. Nessuno ci spiega nulla, degustiamo da soli, ma ne approfittiamo per rilassarci e rinfrescarci un po’.
Torniamo a Rosh Pina per pranzare nello stesso locale della sera prima, schiacciamo un pisolino in hotel e verso sera ci prepariamo per andare a Tsfat (o Safed o Zafat o Tzfat… si dice talmente in tanti modi diversi che non lo trovavamo sul navigatore!) che dista circa 15 minuti da Rosh Pina e dove sapevamo essere in corso il “Festival di musica ebraica”. Sfat è poco più di un paese, abbarbicato sulle pendici di un paio di colline, ed immerso nel verde dei boschi della Galilea; è diviso in due zone (idealmente delimitate da una scalinata che attraversa il paese dall’alto in basso), il quartiere delle sinagoghe e quello degli artisti. Tsfat è una delle città sacre ebraiche, molto importante per gli studi della Cabala che fiorirono qui nei periodi in cui non era permesso agli Ebrei entrare a Gerusalemme. In effetti ci sono molte sinagoghe, alcune pare antichissime, che però troviamo chiuse, data l’ora tarda. Il paese è tutto in fermento per il Festival e sono stati allestiti circa 6 palchi su cui si esibiranno i musicisti. Ci aggiriamo un po’ per le gallerie d’arte, curiosando: ci sono alcuni dipinti davvero belli che ci piacerebbe poter acquistare, ma costano parecchio, per cui lasciamo perdere. Gira rigira, finiamo in vista di un cartello che indica l’Antica cantina di Tsfat… e mica possiamo perdercela! All’interno troviamo una ragazza con i capelli coperti da un foulard, in gonnellone e grembiule e capiamo che si tratta di un’ebrea osservante (o meglio una “religious”, come si definiscono loro). E’ un po’ sorpresa di vedere dei turisti, ma piano piano si scioglie e, dicendoci che le siamo simpatici, ci fa assaggiare tutti i vini prodotti dal marito… che, a parte un cabernet, erano ahimè imbevibili!! Cercando di trattenere le smorfie che ci veniva spontaneo fare ad ogni sorso, iniziamo a chiacchierare di tutto un po’ e scopriamo che ha 37 anni, otto figli (!!) e che proviene da una famiglia decisamente laica, di Tel Aviv. Ci racconta che ha vissuto in Europa e negli USA e che poi, finalmente, ha trovato la propria strada qui a Tsfat dove ha iniziato a dedicarsi alla religione. Insomma, una storia decisamente comune in Israele, per quanto possa sembrare assurda alle nostre orecchie italiane. Parliamo di figli e di educazione e direi che su alcune cose siamo d’accordo, ad esempio quella di evitare di rintronare i bambini piazzandoli davanti alla TV tutto il giorno, ma noi lo sosteniamo per motivi educativi, lei per far sì che non vengano corrotti dal mondo esterno e sviati dal loro cammino verso Dio. Alla fine, salutandola, commettiamo l’ingenuità di stringerle la mano, cosa che è concessa solo tra membri dello stesso sesso. Ci scusiamo perchè che non lo sapevamo. Posto che vai… Finiamo la serata ascoltando musica dal vivo nelle varie piazzette (la musica ebraica è troppo forte e mette proprio voglia di saltare!! Ci fa pensare ai film di Kusturika…) e ce ne andiamo a nanna contenti della nostra gita assolutamente profana nella religiosissima e, allo stesso tempo, fricchettona Tsfat.
8 agosto: vini del Dalton, Akko e cena ad Haifa
Anche oggi niente sveglia, visto che al nostro hotel servono la colazione – che poi è un vero e proprio brunch – fino alle 11 del mattino (graaaaazie!). Iniziamo la giornata con la Chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci di Taghba (lago di Tiberiade) ma scopriamo che i bellissimi mosaici sono quasi impossibili da vedere perché tutta la zona dell’altare è interdetta… peccato! In ogni caso anche questa semplice chiesa francescana è zeppa di pellegrini in viaggio di gruppo, per cui assaporare la santità del luogo diventa ancora una volta dura. Per lo stesso motivo, tralasciamo il Monte delle beatitudini, dove si dice che Gesù pronunciò lo splendido discorso detto appunto delle beatitudini che riassume in sé tutti i principi dello spirito cristiano ed insegnò il Padre Nostro ai suoi discepoli… infatti la zona del lago di Tiberiade è quella in cui egli visse gli anni più attivi della sua predicazione.
Visto che dobbiamo andare ad Akko, decidiamo di passare ad assaggiare anche i vini della zona del Dalton, che è più o meno di strada. Ci fermiamo da Dalton Winery e finalmente facciamo una degustazione degna di essere ricordata: innanzitutto gratuita, ma soprattutto ci propongono vini barricati il meno possibile e ci ritroviamo davanti sommeliers preparati e simpaticissimi con cui iniziamo parlando di vino e finiamo parlando di tutt’altro. Ci spiegano che cosa significa fare vino kosher (ossia vino che viene lavorato SOLO dalle mani di persone “religious”, con tanto di certificazione del rabbino) e la loro frustrazione di essere produttori di vino e di non poterlo nemmeno toccare… ma il business ha le sue regole e se si vuole vendere vino in Israele, non si può fare a meno di seguirle. Ci dicono anche che alcuni ultraortodossi, quando non sono certi al 100% del fatto che il vino sia kosher, oppure anche solo per ulteriore sicurezza…..lo fanno bollire! Oddio… ma non possono semplicemente evitare di berlo? È come comprare una splendida maglia di cachemire, buttarla in lavatrice a 60 gradi, infeltrirla fino a farla diventare carta vetrata e poi indossarla! A furia di chiacchierare, la nostra degustazione dura oltre due ore (!) e alla fine ci indirizzano verso il vicino paesino di Jish, dove il sommelier ci ha consigliato un piccolo ristorante libanese (a Jish c’è una nutrita comunità libanese) di cui purtroppo non ricordiamo il nome. Da qui proseguiamo per Akko, la città dei crociati, dove arriviamo verso metà pomeriggio, e veniamo subito accolti dal Ramadan. La città vecchia è un vero e proprio quartiere arabo, molto bella, decisamente decadente, tutta in fermento per via dei festeggiamenti che iniziamo a mal sopportare, visto che speravamo di poterci godere la magia dell’antica Akko in santa pace (anche perché, onestamente, dopo l’esperienza della Porta di Damasco, siamo diventati refrattari anche solo ai minimi accenni di affollamento!!). Vorremmo visitare la cittadella, ma purtroppo è già chiusa, per cui ci limitiamo al Tunnel dei templari che è comunque suggestivo. Visitiamo la moschea, girelliamo un po’ tra le viuzze antiche , ma poi, assaliti dal caldo umido della costa, desistiamo e ripartiamo per Haifa dove dovremo passare la notte in un convento, il St. Charle’s convent & guest house.
Arrivati ad Haifa, scopriamo purtroppo di aver sbagliato a prenotare la stanza: l’abbiam prenotata per la sera dopo! Le gentilissime suore, dispiaciute per noi, riescono a darci due stanze singole una attaccata all’altra per venirci incontro e, allo scopo, fanno addirittura spostare un’altra ospite! Che carine sono state… e le abbiamo pure pagate in euro perché non riuscivamo a trovare un bancomat da cui ritirare (in effetti in Israele abbiamo avuto un po’ di problemi in questo senso). Trattandosi di un convento, le stanze sono spartane, ma abbastanza pulite e per una notte vanno più che bene, soprattutto dato il costo contenuto (circa 32€ a testa) e la posizione che è eccezionale, proprio a due passi dalla via principale della German Colony, Ben Gurion Ave, che porta dritta ai piedi dei Giardini Bahai che sono l’attrazione principale di Haifa. Ceniamo in un ristorantino all’aperto e molto grazioso che si trova proprio su Ben Gurion Ave, Fattoush, che all’ingresso esibisce un cartello in cui è specificato che sono TUTTI benvenuti, senza distinzione di colore, religione o nazionalità, il che ci fa subito entrare nello spirito di Haifa che pare essere la città più aperta alle diversità di tutta Israele. Peccato essere stati qui una sola sera perché, per qual pochissimo che abbiam visto, Haifa ci ha molto colpiti e deve essere davvero una città interessante, con un’atmosfera rilassata e allegra… a saperlo ci saremmo fermati almeno un giorno intero!
9 agosto: da Haifa ad Aqaba attraversando il Negev. Giornata di trasferimento verso la Giordania… giornata duretta!
Alle ore 6 del mattino siamo già in auto, direzione Eilat dove passeremo la frontiera con la Giordania e, una volta ad Aqaba, ci godremo un paio di giorni di mare e snorkeling. Partiamo prestissimo per via di un piccolo dettaglio: dobbiamo restituire la macchina alla Hertz ad Eilat entro le 13, perché poi l’ufficio chiude per via dell’inizio dello Shabbat (che palle ‘sto Shabbat!!) e non vogliamo correre il rischio di restare imbottigliati nel traffico di Tel Aviv. Secondo il navigatore, dovremo guidare per 6 ore, la prima parte lungo una strada a più corsie, poi attraversare il deserto del Negev su una strada secondaria e quindi con un limite di velocità più basso… insomma, una giornata di trasferimento, ma l’avevamo messa in conto quando abbiamo pianificato il viaggio. Arriviamo ad Eilat in tempo perfetto per restituire l’auto, mangiamo un boccone e poi, sotto il sole infuocato delle 2 del pomeriggio, prendiamo un taxi che ci porta al confine con la Giordania. Finchè attraversiamo la parte israeliana del confine tutto va benissimo: c’è parecchia gente che attende di disbrigare le varie formalità, ma la coda si smaltisce velocemente. Il “divertimento” inizia appena entrati in Giordania… come si nota la differenza di stile!! Piombiamo così nel caos arabo, accentuato, al solito, dal Ramadan: davanti a noi ci sono tre sportelli letteralmente presi d’assalto, dappertutto bambini stremati dal caldo attendono che i genitori tornino vittoriosi col visto sul passaporto, tutti urlano, la tettoia è troppo stretta per permettere a tutti di stare all’ombra e fa un caldo veramente terribile… il peggiore provato finora!! Stanchi e snervati ci mettiamo in coda pure noi (coda… non immaginatevi una coda all’inglese: si tratta del solito grumo umano contro lo sportello!), rendendoci ben presto conto del fatto che, non si sa perché, nonostante la calca, nessuno va avanti. Dopo una mezzoretta, esasperata, io decido di fare all’italiana e, sfoderando la mia miglior faccina di bronzo, entro direttamente nell’ufficio passaporti, pronta anche a piangere in ginocchio pur di ottenere il visto e poter passare oltre. Dentro ci sono due poliziotti, o comunque due uomini in divisa, spaparanzati sulle loro poltrone, con l’aria condizionata a palla, che mi guardano dapprima incuriositi, poi mi domandano:“Where do you come from?”. Sto per rispondere “Israele”, visto che è da lì che arriviamo, ma all’ultimo momento cambio idea e pronuncio la parolina magica che di solito piace tanto all’estero (tranne in UK, Germania e altri Paesi europei ricchi ed ordinati):“I come from Italy! I’m just arrived in Jordan!”. Ne segue un immediato sorrisone dei due impiegati, un “Bella Italia, belle italiane! Arrivederci, grazie, prego, pizza!” e un invito a sedermi lì con loro. Chiamo subito mio marito e lo fa entrare in ufficio, dove in un battibaleno ci rilasciano il timbro sui passaporti, ci consegnano i visti e ci salutano con un “Welcome in Jordan! Enjoy!”. Ma il fatto più assurdo è che mentre questa scena si svolgeva, gli arabi erano sempre là schiacciati contro lo sportello, accaldati e urlanti, e i loro passaporti, ammassati sulla scrivania dell’impiegato, venivano vistati alla velocità di un bradipo artritico. Poveretti… Affrontiamo il secondo sportello, anche quello preso d’assalto, ma leggermente meno. Stiamo di nuovo per entrare direttamente nell’ufficio quando, come per magia, il funzionario allo sportello dice “Next!”, tutti si spostano e noi ci ritroviamo a porgergli i passaporti. Ci guardiamo sconcertati: ma perché tutta questa gente sta facendo la coda, allora? Non ci sappiamo dare una risposta, ma dopo 6 giorni in Giordania concludiamo che il popolo arabo ha una naturale tendenza all’assembramento, ovunque e per qualunque motivo!
Ce l’abbiamo fatta, siamo in Giordania… ma ce n’è ancora di strada da fare. All’uscita dalla frontiera vediamo alcuni taxi in attesa. Stupidamente, a causa della stanchezza, non trattiamo sul prezzo della corsa e quando ci chiedono 20 dollari diciamo “ok”. Ci facciamo portare alla Dollar di Aqaba dove ci attende la nostra seconda auto a noleggio, ma lungo la strada il taxi resta in panne. L’autista ne chiama un altro che ci carica e ci porta a destinazione. Qui scoppia la discussione: abbiamo pattuito 20 dollari, è vero, ma nel portafoglio abbiamo solo euro e shekel! Lui continua a dirci “twenty dollars!!” e noi a fargli vedere queste due valute. Visto che non capisce una parola di inglese, ci fa parlare al cellulare con quello che gestisce i taxi al confine (una specie di mafiosetto che regola questo business) con cui discutiamo animatamente per almeno dieci minuti cercando di fargli capire che NON siamo americani. Alla fine mettiamo in mano al taxista 10€ e 30 shekels. Lui dapprima li accetta, poi ci insegue dentro al car rental dicendo che vuole i dollari. La discussione pertanto coinvolge anche i dipendenti del car rental e ne nasce un putiferio che si risolve solo quando andiamo ad un bancomat, ritiriamo i nostri primi dollari giordani (detti comunemente JDs) e gliene diamo 14, che corrispondo a 20 $.
Finalmente siamo sull’auto a noleggio giordana (anche questa discretamente zozza), e, tirando un sospiro di sollievo, ce ne andiamo dritti a Tala Bay, la parte di Aquaba fatta di spiagge e villaggi, lontana dal caotico centro cittadino. Passiamo oltre il porto, gli ammassi di containers, le navi mercantili, e ci stupiamo di come, nel giro di pochissimi km coesistano la città, il porto con tutte le sue mille attività e le spiagge con la barriera corallina. Vediamo in lontananza 3 altissime ciminiere che fumano (un bel fumo nero…) e capiamo che si trovano in Arabia Saudita, il cui confine dista così poco da qui. Abituati alla Sardegna e a Marsa Alam, le nostre due mete di mare preferite, ci chiediamo come possano queste acque essere pulite, visto anche il continuo passaggio delle petroliere saudite! Passato il porto, iniziano le spiagge da un lato ed il deserto dall’altro. Noi abbiamo prenotato in un piccolo Diving, l’International Arab Divers, che si trova poco lontano dal mare e che rappresenta una soluzione economica, visto che a Tala non c’è una via di mezzo: o diving centres spartani o villaggi super lusso (per turisti sauditi) da 200€ a notte. Il posto è piccolo, ma accogliente e il personale davvero super gentile e disponibile… ma ci assegnano una stanza calda come un forno con l’aria condizionata che praticamente non funziona. E’ impossibile resistere! Già fuori fa un caldo torrido, se nemmeno dentro la stanza si respira, ci sarà da impazzire! Dopo un po’ si decidono a cambiarci stanza e ce ne assegnano una più piccola, ma almeno un po’ più fresca, anche se il condizionamento pare non essere uno dei loro punti di forza. Ci mettiamo il costume e andiamo a farci un bagno, per riprenderci dalla giornata stancante. Arrivati alla spiaggia pubblica, che sta proprio in fondo alla via, ci ricordiamo che oggi è venerdì e che quindi ci sono centinaia di arabi che fanno festa, che fanno il barbeque sulla spiaggia, famiglie intere che sforano, tra genitori, figli, nonni, zii e cugini, le trenta persone a nucleo… insomma, non è proprio rilassante come ce lo eravamo immaginati e la spiaggia è piuttosto sporca, ma si può fare. Io mi spoglio e mi butto nell’acqua fresca del mare… e ci metto un po’ a realizzare che TUTTI mi guardano… uno sguardo gentile, non certo ostile, ma insomma, uno sguardo moltiplicato per decine di persone di ogni età, diventa un tantinello pesante! Poi capisco: sono l’unica donna in costume, e per di più in bikini, su tutta la spiaggia!
Sapendo che la Giordania è un Paese liberale, non mi sono fatta il problema di come vestirmi in spiaggia… e infatti il problema NON c’è, però… che imbarazzo!! Se fossi stata nuda non avrei sofferto meno, ed è lì che ho capito perché si dice “sentirsi nudo come un verme”… perché puoi anche essere vestito, ma quando ti fanno sentire diverso, ti senti fuori posto, ti senti indifeso, ti senti appunto nudo e ti vergogni come un verme! Visto che in un attimo sono diventata un’attrazione, anche se ormai sono già sulla sabbia tutta avvolta nell’asciugamano (ma braccia, gambe e capelli biondi mica posso coprirli!), mi si avvicina una ragazzina tutta sorridente che mi chiede come mi chiamo. Ci scambia qualche parola e ne approfitto per chiederle se posso stare in bikini in spiaggia e lei le mi risponde “Of course!”. Menomale… iniziavo a preoccuparmi di aver infranto qualche regola comportamentale! Appena mio marito riemerge dal suo snorkeling, però, gli dico che non ce la faccio più ad avere tutti gli occhi addosso, che voglio tornare al diving e che domani verrò in spiaggia con i leggins e una maglietta! Sulla via del ritorno, spezzata dal caldo, dalla stanchezza e dalla frustrazione di non potermi rilassare sulla spiaggia, crollo e ho un momento di scoramento. Faccio un paio di lacrime dicendo che forse abbiamo sbagliato tutto, che avremmo dovuto sbatterci al sole su qualche spiaggia occidentale, come fanno quasi tutti! Poi però, dopo una notte di sonno intenso, mi pento di averlo anche solo pensato: il nostro viaggio è appena a metà a sta andando alla grande!!
10 e 11 agosto: W il Berenice Beach Club!
Racconto la mia esperienza al personale del diving che ci consiglia una spiaggia privata, poco lontano dal diving stesso, dove poterci rilassare davvero: il Berenice Beach Club, ingresso 15 JDs a testa (circa 30 € in due) dove peraltro la barriera corallina è molto bella. Ovviamente decidiamo di provare anche se si tratta di una spesa non messa a budget… ma dopo dieci minuti ci diciamo che sono proprio soldi ben spesi! Ci sono ben tre piscine, un bar-ristoro, le docce e la spiaggia è grande, pulita e con gli ombrelloni e i lettini. La barriera corallina non è particolarmente estesa, ma bellissima, piena di coralli e con tanti bei pesciolini, e c’è anche Nemo! Finalmente ci rilassiamo… unico neo la musica disco pompata tutto il santo giorno, ma dopo un po’ ci si abitua. Il Berenice è frequentato dagli occidentali (in bikini) e dagli arabi (in burkini) indistintamente e nessuno fa caso a nessuno. Notiamo alcune famiglie in cui le madri sono tutte coperte dalla testa ai piedi e così fanno il bagno, mentre le figlie adolescenti sono in bikini, quindi è un posto in cui la gente va al mare per sentirsi libera! Inoltre qui non ci dobbiamo preoccupare dello zaino mentre facciamo il bagno, mentre sulla spiaggia pubblica ci avevano avvertiti di fare il bagno separati per tenere d’occhio la borsa (che brutto!). Lo consigliamo vivamente… soprattutto se si capita da queste parti durante il Ramadan! Venire al mare a Tala ci ha fatto scoprire che gli arabi non sanno nuotare, ecco perché nelle piscine si tocca sempre. In effetti, era una cosa su cui non avevo mai riflettuto, abituati come siamo noi italiani al mare e/o alla piscina. Gli Arabi sono gente del deserto, quindi qui non nuota nessuno, ragion per cui tutti fanno il bagno nell’acqua alta un metro ed è particolarmente fiorente il commercio di salvagenti gialli con paperella che tengono a galla adulti e bambini!! Vedere certi araboni stile genio della lampada a mollo con la paperella gialla e il terrore di ribaltarsi in mezzo metro d’acqua è stato davvero super comico… peccato non aver avuto il coraggio di immortalarli! Ogni tanto ci facevamo due bracciate in piscina, ed era strano sentirsi osservati con grande ammirazione, nemmeno fossimo stati la Pellegrini e Magnin! In definitiva, Berenice beach Club promosso a pieni voti. Ci ha proprio aiutati a ricaricare le batterie prima di affrontare il deserto e Petra.
Non ci spingiamo a dire altrettanto del diving, invece. Nel senso che secondo noi ha delle grandi potenzialità, ma devono assolutamente curarlo di più! Era un po’ sciatto, ecco, e l’acqua della piccola piscina aveva un colore verde scuro alquanto sospetto… A vederli dal vivo, e non solo su internet, forse avremmo preferito soggiornare in quello esattamente davanti, il Red Sea Dive centre che pareva più curato. Inoltre il cibo, per quanto poco costoso, era proprio appena accettabile, sebbene preparato e servito da uno staff di ragazzi filippini davvero gentilissimi. Ecco perché l’ultima sera ci siamo buttati e siamo andati a cena al Movenpik, il villaggio più esclusivo di Tala Bay, con una clientela quasi esclusivamente saudita. Qui abbiamo optato per il gran buffet, decisamente molto molto buono, che costa 25JDs a testa. Peccato che con le bevande a parte e il fatto che in Giordania bisogna sempre aggiungere il 10% per il servizio e il 16% di tasse (quindi un bel 25% in più!!), alla fine abbiamo speso la bellezza di 40€ a testa… la cena più cara della vacanza! Ma vabeh, è stata una bella serata e ce la siamo goduta!
12 agosto: deserto del Wadi Rum
Ci riposiamo ancora mezza giornata al Berenice, pranziamo qui, ci docciamo e poi ripartiamo, direzione parco del Wadi Rum, dove ci aspetta il beduino Khaled, presso il cui campo tendato – il Khaled’s camp – passeremo la notte in una tenda doppia (un lusso da queste parti!). Con Khaled abbiamo prenotato, via e-mail, un pacchetto che comprende hiking nel deserto nel pomeriggio, cena, notte in tenda doppia, colazione, gita in Jeep e pranzo al sacco, al costo di 80JDs a testa. Quando chiamo Khaled per dirgli che saremo là per le tre del pomeriggio (da Aquaba ci si mette circa un’ora e mezza), lui mi avverte che quando arriveremo al Visitors centre del Wadi Rum saremo presi d’assalto da molti beduini in cerca di clienti che si spacceranno per suoi collaboratori se gli diremo dove abbiamo prenotato. Ci invita a non dar loro retta, ad entrare nel visitors centre, fare il biglietto di ingresso al parco, risalire in auto e guidare circa 7 km fino al villaggio Rum. Quando arriviamo al parco, tutto va esattamente come previsto e, onestamente, scrollarci i beduini di dosso è stata un po’ dura perché erano terribilmente insistenti e continuavano a chiederci se avevamo prenotato, chi era la nostra guida ecc… e visto che abbiamo sempre glissato, alla fine ci hanno apostrofati con un “rubbish people” e con questo insulto ce ne siamo andati da Khaled che ci attendeva, come concordato. Eravamo un po’ preoccupati per le temperature del deserto… pur sapendo che la notte fa fresco, ci chiedevamo quanto sarebbe stato caldo durante il giorno. Ci aspetta invece una splendida sorpresa: alle tre del pomeriggio nel deserto si respira!!!! Ovviamente fa caldo, ma all’ombra si sta benissimo, mille volte meglio che ad Aqaba!!!!!! (Col senno di poi possiamo addirittura dire che è stato il posto dove abbiamo patito MENO il caldo dell’intero viaggio…). Khaled si rivela essere un beduino molto fico, con l’occhio furbo (un paraculo, insomma!), vestito con una bella tunica grigio scuro e la kefia rossa in testa, occhiali da sole Armani e iPhone in mano. Ci affida alla nostra guida, Ali, un ragazzo simpatico, che carica noi e le nostre valigie sulla jeep, così che partiamo immediatamente per il nostro hiking, diretti ad un ponte di pietra nel deserto. Ora, io soffro di vertigini, e non poco…. ed il suddetto ponte di pietra si trovava praticamente in cima ad una montagna! Ingenuamente, vedendolo da lontano, immaginiamo che, un po’ come per raggiungere Masada, ci sarebbe stato un sentiero a gradini… e invece nulla di tutto ciò. Ali inizia a scalare le pietre con l’agilità di una capra mentre io, dopo soli 5 minuti di scalata tremavo dall’ansia chiedendomi “Ma come diavolo farò a tornare giù??”. Fortunatamente la roccia sembrava (o era… chissà?) sabbia pietrificata ed era bella porosa e facile da scalare perché non era affatto friabile e le suole delle scarpe da ginnastica facevano il giusto attrito… per cui, dopo un po’ inizio a rilassarmi e, in una certa misura, anche a divertirmi. La scalata dura circa un’ora e mezza ed è indubbiamente impegnativa. La guida è stata bravissima, ci ha sempre aiutati e ha portato pazienza quando scleravo per la paura. Alla fine raggiungiamo quel benedetto arco di roccia e ovviamente la mia scalata si è fermata lì, mentre mio marito ha proseguito ed è arrivato fin sopra l’arco, mentre io gli scattavo le foto da sotto, pregando che tornasse tutto intero. La discesa è stata un po’ più veloce, anche se io l’ho fatta quasi tutta sul sedere… In conclusione: se ce l’ha fatta chi scrive, significa che è fattibile; è un percorso molto impegnativo (tranne magari per chi scala abitualmente le montagne), bisogna essere allenati e soprattutto sapere che il livello di sicurezza è pari a ZERO. Mio marito mi ha detto che scendere dall’arco di pietra è stato parecchio difficile anche per lui che ha le gambe lunghe e che ho fatto bene a non salire perché farmi scendere da lì sarebbe stato un bel problema! Comunque è stato molto divertente e lo rifaremmo volentieri! C’è da dire che il Wadi Rum è probabilmente il più bel deserto che abbiamo mai visto, roccioso e sabbioso insieme, con rocce e sabbia che sfumano dal bianco al rosso fuoco, punteggiato di arbusti verdi sotto il cielo di un azzurro intenso: una vera gioia per gli occhi!!
Dopo l’hiking (che sarebbe meglio chiamare climbing) siamo arrivati al campo tendato dove abbiamo scoperto che, per fortuna, c’era solo un’altra coppia ospite, oltre noi… il modo migliore per godersi il silenzio della notte nel deserto. Ci siamo riposati osservando il tramonto e bevendo un favoloso tè beduino, aromatizzato con delle erbe spontanee che la guida aveva raccolto durante la nostra scalata. Eravamo affamatissimi e ci siamo letteralmente sbafati la cena, peraltro buonissima, servita nella tenda. Per noi avevano apparecchiato su dei tavolini bassi, mentre i beduini mangiavano per terra, con i piatti posati sui tappeti (ma come fanno a digerire, così insaccati??). Dopo cena abbiamo osservato le stelle con Khaled ed è stato meraviglioso scoprire che il cielo è letteralmente invaso di stelle… davvero, non immaginavamo nulla del genere! Avevamo la via lattea lì sopra le nostre teste, così vicina che sembrava quasi di poterla toccare allungando una mano. La notte era bella fresca, ventosa, nerissima e silenziosa. Al momento di andare a dormire, avere una torcia è stato fondamentale perché il buio del deserto è secondo solo a quello che si può vedere dentro ad una grotta sotterranea… e se non ci fossero state tante stelle nel cielo sarebbe stato un bel problema anche solo trovare il bagno! Ci siamo infilati nella nostra tenda e, ascoltando il rumore del vento, ci siamo addormentati quasi subito, rivivendo in sogno la nostra avventurosa scalata.
13 agosto: dal Wadi Rum a Petra
La sveglia è suonata prestissimo, visto che Khaled ci aveva detto che la colazione sarebbe stata alle 7. Invece troviamo tutti che se la dormono della grossa… per cui ci facciamo un giretto nel silenzio assoluto del deserto e poi torniamo in tenda. Verso le 8 la colazione è pronta e fa proprio piacere bersi un bel tè aromatico nel fresco del mattino. Ovviamente non possiamo spogliarci per lavarci perché i lavandini del bagno sono in comune, però usiamo delle salviette intime che avevamo portato apposta, rimandando la doccia a Petra. In realtà c’era una doccia, ma era all’aperto e poi non avevamo nemmeno gli asciugamani. Quindi se dormite nel deserto, le cose da portare sono: salviette umidificate per lavarsi, torcia per la notte (nella tenda non c’è la luce! Ovviamente..), acqua in bottiglia e un asciugamano.
Verso le nove eravamo di nuovo pronti a partire per la seconda parte del nostro percorso nel Wadi Rum, stavolta con una nuova guida, l’enorme Mahmet, così statuario e serioso, che metteva quasi un po’ soggezione, ma che poi pian piano si è sciolto e si è rivelato super gentile. Mahmet ci ha portati dritti dritti ad un nuovo ponte di pietra, stavolta moooooooolto più basso, diciamo ad una decina di metri da terra, sul quale sono salita pure io abbastanza agevolmente, nonostante le mie maledette vertigini. Poi ci ha portati ad un canyon che abbiamo attraversato a piedi da soli mentre lui è andato ad attenderci all’uscita… è stato strano, ma bello essere nel deserto per circa un’ora completamente da soli!! Abbiamo poi pranzato “al sacco”, nel senso che Mahmet ci ha cucinato una buonissima pietanza a base di verdure, direttamente sul fuoco acceso per terra. Dopo pranzo ci ha portati su un’alta duna di sabbia a fare sandboard, ma visto che nessuno dei due sapeva come fare, siamo scesi sedendoci sulla tavola!
Concluso il nostro soggiorno nel deserto, siamo ripartiti alla volta di Petra, che dista circa un paio d’ore da lì: circa metà strada la si fa sulla strada principale, poi si devia su una stradina tutta saliscendi che attraversa colline brulle su cui brucano capre e dromedari. Inaspettatamente, il paese di Wadi Musa è più grande di quanto immaginavamo. Raggiungiamo l’hotel Hamra Palace che abbiamo scelto per l’ottimo rapporto qualità prezzo (45€ a notte!), la terrazza panoramica e la piscina coperta che diventerà il nostro vizio per rinfrancarci dal caldo. Purtroppo io continuo a non stare molto bene di pancia (e diciamocelo: la cena dei beduini, anche se molto buona, non è stata proprio un toccasana!!) e quindi il primo giorno saltiamo il tramonto a Petra, decidendo di recuperare un po’ le forze riposandoci e cenando presto, visto che domani la colazione sarà alle 6 del mattino, l’unico modo per visitare Petra sfidando il caldo del mese di agosto!
14 agosto: Petra, anche by night
Facciamo colazione alle 6 del mattino e alle 7 siamo già al sito di Petra (decisamente caro l’ingresso: 60€ a testa, ma per due giorni…), sperando che non ci sia troppa gente. Fortunatamente siamo davvero in pochi e possiamo affrontare il nostro primo ingresso nel celeberrimo Siq quasi totalmente da soli. Inutile dire che arrivare al Tesoro, dopo averlo visto miolioni di volte raffigurato sui libri, nonché immortalato dal finale del film “Indiana Jones e l’ultima crociata” è stata un’emozione fortissima. All’ingresso ci sono parecchi calessi beduini che ti portano fino al Tesoro: dicono che siano compresi nel biglietto (e chissà che sia anche vero…), ma poi pretendono una mancia di 5jd per il trasporto e pare che la pretendano piuttosto insistentemente, almeno stando ai racconti di altri turisti. Noi non siamo saliti sui calessi, ma in ogni caso li consigliamo non tanto per entrare nel sito, quanto per uscirne…. Perché il Siq è davvero lungo e percorrerlo nel caldo di mezzogiorno può risultare pesantissimo!! Petra è tutta un intrico di sentieri, alcuni anhce molto lunghi e noi scegliamo subito uno dei più duri: gradino dopo gradino ci inerpichiamo su per la montagna fino ad arrivare alla “rupe del sacrificio” da cui si gode di un panorama magnifico sulle tombe sottostanti. Diciamo che fino verso le 10 del mattino si respira, poi il sito diventa un forno e visitarlo diventa molto dura. Non invidiavamo affatto i poveri turisti organizzati che venivano portati a visitare Petra a mezzogiorno! Ma come si fa? E’ un suicidio… almeno, in agosto lo è, eccome! Noi infatti alle 13.00 abbiamo deciso di tornarcene in hotel a riposare e a farci un bel bagno in piscina perché non ce la facevamo più. Ma chi ha la fortuna di venire qui in autunno o primavera sicuramente può sbizzarrirsi tra tantissimo sentieri che conducono a tombe anche remote, molte delle quali sono scavate in rocce multicolore che attraversano tutte le sfumature di rosso, arancione, giallo, fino ad arrivare al rosa e al bianco. Peccato però che ovunque si senta un forte odore di urina, sia degli animali che dei beduini e non possiamo non dire che rovini un po’ l’atmosfera! Comunque, è incredibile fermarsi a pensare a cosa doveva essere Petra al tempo del suo massimo splendore… i Nabatei erano geniali: intrattenevano rapporti con tutti i popoli limitrofi e da tutti hanno assorbito quanto di meglio potevano, soprattutto a livello architettonico, mescolando le idee degli altri al loro stile inconfondibile. Ecco perché Petra è unica, nonché splendida, perché è il frutto di questa commistione di stili differenti.
Dopo una cena veloce in hotel, abbiamo preso i biglietti per Petra by night, 12JDs a testa. Si entra nel sito, si viene raccolti tutti all’ingresso, poi si parte alla volta del Tesoro camminando per il Siq rischiarato solo dalla luce della luna e di migliaia di lanterne accese sparse a terra. Una volta arrivati al Tesoro ci si siede per terra, viene offerto del tè e si assiste ad un breve spettacolo di musica beduina (due sole canzoni!), poi si torna indietro. Di per sé non è nulla di che, ragion per cui tanti restano delusi, ma noi eravamo stati avvertiti da altri diari di viaggio di non aspettarci chissà cosa. Siamo stati comunque contenti di aver partecipato allo spettacolo (che potrebbe davvero essere migliorato…) e di aver percorso il Siq nella notte, a lume di candela… però abbiamo dovuto metterci in fondo alla fila per trovare un po’ di silenzio… pare incredibile, ma la gente non sa proprio godersi i momenti e mentre tanti parlavano addirittura sottovoce per non rompere l’incanto della notte in un luogo così magico e unico a mondo, altri facevano un casino nero, parlando a ripetizione… e purtroppo, dato che erano quasi tutti italiani o spagnoli, erano belli casinisti! In particolare ricordiamo due ragazze di Napoli che, arrivate davanti al Tesoro rischiarato solo dalla luce delle lanterne (struggente!), invece che rimanere senza parole, sono andate avanti circa dieci minuti a disquisire di come cucinare le polpette al sugo… (sob!). Però insomma, ricavandosi un posto silenzioso nella fila e astraendosi dal contesto chiassoso, Petra by night rimane sempre un’esperienza da fare, pur senza avere grandi aspettative.
15 agosto: da Petra ad Eilat
Ci alziamo di nuovo presto per trascorrere un’altra mattinata a Petra, visto che poi, nel pomeriggio, ci attende di nuovo il passaggio del confine con Israele. Godiamo nuovamente di alcune ore relativamente fresche (il cielo è coperto… evvai!), ma non al punto da avventurarci fino al Monastero che, purtroppo, non abbiamo visitato. Ci rendiamo ben presto conto che oggi Petra è strana: i beduini in giro sono pochissimi, nessun calesse che scorrazza per il Siq, i turisti si contano… beh, che fortuna, è tutto così tranquillo e silenzioso! Verso mezzogiorno usciamo dal sito e capiamo come mai: mentre percorriamo il Siq, verso l’uscita, vediamo un gruppo di bodyguards che scortano una bionda tracagnotta che capiamo essere un pezzo grosso (ma chi è? E di che Paese? Chiedo ripetutamente in giro, ma nessuno vuole dirmelo, anche se dalla loro espressione si capisce chiaramente che lo sanno… boh?!). Quando arriviamo all’uscita troviamo tantissima gente che bivacca incavolata attorno al cancello di Petra: hanno interdetto l’accesso per un tutta la mattinata, per non disturbare la visita della bionda! Menomale che noi siamo entrati prestissimo, altrimenti ci saremmo persi la nostra ultima gita a Petra…
Riprendiamo l’auto e facciamo il percorso al contrario, arriviamo ad Aqaba, restituiamo la macchina e ci facciamo accompagnare al confine con Israele da quelli del car rental. Al confine scopriamo con immenso piacere che non c’è nessuno (eravamo già preoccupati che andasse come all’andata!) e nel giro di un quarto d’ora siamo di nuovo in Israele. Saliamo sull’unico taxi presente lì al confine e ci facciamo portare all’ostello di Elat dove ci danno una bella stanza grande, luminosa e pulita. Visto che sono appena le quattro del pomeriggio, decidiamo di andare in spiaggia e ci facciamo portare in taxi (a questo punto del viaggio non abbiamo più la macchina in affitto!) a Coral Beach dove si può fare snorkeling sulla barriera corallina. In realtà Coral Beach offre davvero pochissimi servizi rispetto al costo dell’ingresso (circa 7 € a testa solo per entrare e 3 € per affittare la maschera. Se poi si vuole prendere un lettino, lo si paga a parte e nemmeno ti danno un telo mare! Ovvio che poi si dice “essere un rabbino…”), però la barriera corallina è bella. L’unico problema è che, per osservarla, c’è un percorso obbligato tra due linee di boe, al di fuori del quale non si può nuotare! Per capirci, è un po’ come osservare un bellissimo parco stando su un marciapiede, senza poter camminare sull’erba. Ovviamente noi, da buoni italiani, non l’abbiamo capito e appena dentro l’acqua ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo alla vista di un piccolo barracuda, di uno splendido pesce leone e di un pesce pappagallo gigante tutti concentrati nello stesso punto della barriera, e cioè al di là delle boe… quindi siamo bellamente usciti dal percorso obbligato, lanciandoci all’inseguimento dei pesci. In effetti abbiamo sentito uno speaker strillare in ebraico qualcosa di incomprensibile, ma non ci abbiamo fatto troppo caso… ingenuamente abbiamo immaginato che stesse dicendo a qualcuno che doveva spostare la macchina!! Abbiamo continuato ad ignorare lo speaker finchè un bagnante è venuto a dirci che stavamo facendo una cosa vietata. Ecco il motivo di tutti quei bei pescioni concentrati in un punto inaccessibile della barriera… là non c’era nessuno ad infastidirli!! Che rottura…. a malincuore siamo tornati a fare snorkeling in mezzo agli altri turisti, rimpiangendo la libertà che avevamo provato ad Aqaba. Alla sera ci siamo concessi un ristorante di pesce molto bello e buono: “The last refugee”, proprio attaccato a Coral Beach, dove abbiamo cenato benissimo, pagando un prezzo equo e che consigliamo vivamente anche perché Eilat, sebbene molto turistica, non brilla un gran che dal punto di vista della ristorazione…
16 agosto: Tel Aviv
Per arrivare a Tel Aviv avevamo due opzioni: autobus Egged con un percorso di circa 6 ore, oppure 45 minuti di volo… abbiamo pertanto scelto il volo, visto che costava solo 35€ a testa e che l’aeroporto di Eilat è proprio in centro alla cittadina (dall’ostello ci si può andare a piedi!). Siamo arrivati là due ore prima, preoccupati per gli eventuali controlli, ma nel giro di 15 minuti abbiamo fatto check-in e controlli. Siamo arrivati a Tel Aviv che era già iniziato lo Shabbat, per cui l’unica soluzione per arrivare in centro era prendere un taxi (costo fisso di 150 shekel, ossia 30€). In alternativa, se non è Shabbat, si può prendere un treno che porta abbastanza in centro e poi l’autobus, ma noi non avevamo scelta perché gli autobus erano già tutti fermi. Arriviamo al nostro hotel, il Galileo, piccolo e senza ascensore, ma in una bella posizione poco lontano dal mare e attaccato al mercato yemenita (che ormai di yemenita non ha più nulla, ma è carino lo stesso…), dove ci danno un vaucher per fare la colazione in un grazioso baretto poco lontano, dal momento che l’hotel non dispone di una sala colazione. Anche se sappiamo che tutti i negozi sono chiusi, usciamo subito in avanscoperta e dopo pochi passi siamo già d’accordo: Tel Aviv ci piace un sacco! Il centro città è piuttosto decadente, con bassi palazzi in stile Bauhaus che sarebbero quasi tutti da ristrutturare, ma è davvero affascinante. Qua e là spicca un bel palazzo rimesso a nuovo e immaginiamo come potrà essere la città tra 10 anni quando la ristrutturazione si sarà estesa… insomma, è un po’ il contrario dell’Italia dove i palazzi vecchi e fatiscenti li noti perché spiccano in mezzo ai palazzi storici ben tenuti… a Tel Aviv, invece, spiccano quei pochi che sono stati rimessi a nuovo! Al confine con questi quartierini così demodè sorgono, senza soluzione di continuità alcuna, i grattacieli tutti vetrate con vista mare (con appartamenti venduti a 25.000€ al mq!!)… il contrasto è netto, ma non stona affatto. E poi la spiaggia… che meraviglia!!!! Il lungomare è semplicemente infinito e pullula di gente che passeggia, che corre, che va in bici, mangia il gelato, spinge il passeggino, va sui pattini… passeggia in costume o che passeggia tutta coperta col capo velato, il che ti dà un gran senso di libertà. Ovviamente il caldo è sempre intenso, umido e faticoso, ma almeno vicino al mare tira un po’ d’arietta (calda). Seguiamo i consigli del receptionist dell’hotel e andiamo a cena in uno splendido ristorante che dà quasi sulla spiaggia, il “Mantaray”, dove ci trovano un tavolo proprio perché facciamo gli occhioni mesti quando ci dicono che è tutto pieno: iniziamo quindi a decantare mille lodi di Israele nella speranza che si muovano a compassione… e infatti ecco il tavolo!! Che dire, se non che abbiamo cenato meravigliosamente?? Infatti decidiamo di prenotare anche per la sera successiva. Di solito ci piace cambiare e provare sempre posti nuovi, ma il Mantaray era troppo bello e buono!
17 agosto: Tel Aviv
Penultimo giorno di vacanza… sob sob!! Gironzoliamo per la città immersa nello Shabbat, per cui è quasi tutto chiuso… che rottura! Attraversiamo quartieri molto graziosi dove i non religiosi sono radunati nei deors di piccoli caffè per il brunch. Visitiamo la zona dell’antico porto di Jaffa, bella e caratteristica, con le sue viuzze bianche e ordinate, le tante piccole gallerie d’arte, le bancarelle e una zona al coperto con vari ristorantini che ci ricorda un po’ il Chelsea market di NYc. Acquistiamo qualche souvenir, poi nelle ore più calde torniamo a riposarci in hotel perché ormai la stanchezza della vacanza inizia a pesare. Nel tardo pomeriggio ci facciamo un’altra bella passeggiata sul lungo mare e torniamo a cenare al Mantaray dove ordiniamo il piatto di punta: misto crostacei per due! Wow…
18 agosto: si torna a Torino…
Eccoci qui, alla fine del nostro viaggio. Oggi finalmente i negozi sono tutti aperti e c’è anche il mercato, per cui ci perdiamo tra le bancarelle in cerca di cosmetici fatti con i Sali e i fanghi del Mar Morto, visto che qui costano poco, mentre gli stessi identici prodotti in aeroporto costano 4 volte tanto! Beviamo l’ultimo succo di melograno, facciamo le ultime foto e poi, visto che a conti fatti fa troppo caldo e le valigie sono troppo pesanti per sbattersi a prendere l’autobus + il treno per arrivare in aeroporto, decidiamo di farci chiamare un taxi (crepi l’avarizia!!). Come consigliato dalla Lonely Planet, arriviamo all’aeroporto tre ore prima e qui i controlli sono in effetti più approfonditi (ci aprono anche le valigie), anche se per nulla invadenti.
E’ giunta così l’ora del bilancio, dopo 18 giorni di viaggio…
Come avrete certamente capito, il caldo è stato il problema più grande del viaggio, ma lo sapevamo e l’avevamo messo in conto. Chi può scelga un altro periodo per visitare israle o altrimenti si rassegni a patirlo! A parte la nostra piccola avventura alla Porta di Damasco, non ci siamo MAI sentiti in pericolo, anzi. La nostra vacanza è andata liscia come l’olio ed abbiamo avuto modo di vedere con i nostri occhi un Paese che tutti continuano a considerare pericoloso quando invece è l’esatto opposto: c’è così tanta polizia in giro che ti senti più che tutelato! Ovviamente ci sono zone di confine tra Israele e la Palestina dove le frizioni sono continue, soprattutto a causa di Israele che sta erodendo il territorio palestinese trasformandolo in terra propria…. Chiunque abbia un minimo di sensibilità si renderà conto che si tratta di un atteggiamento aggressivo di un Paese ricco e potente (spalleggiato dagli USA) ai danni di un Paese sempre più povero. Questo atteggiamento sicuramente non può favorire né la pace, né la collaborazione tra genti che, di fatto, abitano sullo stesso territorio. E’ stato comunque molto affascinante avere a che fare con due culture, quella araba e quella ebraica, così diverse eppure così uguali nei loro estremismi. Ovviamente ci siamo innamorati ancora di più del caos e del calore arabo, ma spesso avevamo bisogno del rigore e della precisione israeliani per compensare. Nello stesso tempo, davanti alla freddezza ed antipatia di alcuni israeliani, ci piaceva rifugiarsi nella nota cordialità araba. Abbiamo goduto di paesaggi davvero indimenticabili come Petra e il deserto del Wadi Rum o la splendida Gerusalemme, e ci siamo lasciati avvolgere da atmosfere da mille e una notte in entrambi i Paesi. E che dire del Ramadan? Beh, è stato davvero interessante viverlo a stretto contatto, sebbene in alcuni momenti abbiamo provato un senso di “claustrofobia” dovuto alla troppa folla e al troppo caos. Ma, ora che siamo tornati nella nostra Torino, così ordinata e schematica, così rigorosamente sabauda, dobbiamo ammettere che tutta quell’umanità vociante ci manca!
L’unica cosa che è mancata a questo viaggio è stata la percezione della sacralità che immaginavamo di provare, soprattutto a Gerusalemme: ancora una volta ci siamo resi conto che la religione divide molto più di quanto pretende di unire, anche se spesso predica l’amore universale, e abbiamo sentito il peso della sua dimensione UMANA, con tutti i suoi difetti. Nonostante ciò, è stato un viaggio meraviglioso e sicuramente prima o poi torneremo da queste parti, soprattutto per goderci Tel Aviv che, a causa dello shabbat, abbiamo avuto così poco modo di visitare, nonché per salire alla Spianata delle moschee che abbiamo potuto ammirare solo da distante per via del Ramadan. Indubbiamente si tratta di un viaggio un po’macchinoso da organizzare, ma chi ama perdersi tra le prenotazioni, le disdette, i visti, i tassi di cambio, le differenti tradizioni e religioni ecc… non deve assolutamente farselo scappare, senza lasciarsi spaventare da chi non sa nemmeno dove si trovi Israele su una carta geografica eppure sentenzierà che è più cauto non andarci!
Francesca & Alberto