Attraverso l’isola di Smeraldo
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Il mito irlandese
L’Irlanda, come tanti altri Paesi del mondo, ha i suoi miti, le sue leggende, che alimentano il fascino di questa nazione e dei suoi abitanti. È il sogno di molti italiani quello di intraprendere un lungo viaggio nella verde e mitica Irlanda, perché l’Irlanda lascia davvero un ricordo indelebile, per la sua natura così «eccessiva», per la sua gente così cordiale e ospitale, per il suo cielo così unico e particolare, che ha ispirato grandi scrittori del passato (vedi Yeats) e tanti musicanti del presente, che rendono così fiero e orgoglioso il suo popolo.
Ma sono tanti e tanti ancora i luoghi mitici che incantano milioni di turisti e che spingono migliaia di italiani (me compreso) a recarsi per un lungo periodo più o meno lungo in questo affascinante quanto discusso Paese. Basti pensare alle leggende celtiche «affollate» di gnomi, folletti, fate; i pub che emanano profumi (e fiumi di birra) e allietati da musica tradizionale folklorica a suon di arpe, benjo, liuti e fisarmoniche; i racconti dei vecchi irlandesi sugli elfi (Leprechaun in gaelico) in riva ai laghi incantati; i cottage bianchi con i tetti in paglia… E ancora, le impervie scogliere della costa occidentale modellate dalle onde dell’Atlantico e dal vento furioso; gli immensi prati verdi con i cavalli in libertà; Michael Collins, la Guinness, Oscar Wilde, James Joyce, Yeats, Beckett, gli U2 e i Cranberries, Sinead O’Connor, san Patrizio… A proposito di quest’ultimo, si sa che egli convertì le popolazioni irlandesi, rispettandone però le antiche tradizioni e assetti sociali, contrastando solo ciò che contraddiceva le leggi cristiane. Si pensa che abbia introdotto l’alfabeto latino in Irlanda, cosa che permise ai monaci amanuensi di preservare gran parte della letteratura orale celtica, e uno dei grandi centri di scrittura e diffusione culturale era proprio il monastero di Glendalough, situato in uno splendido scenario naturale a pochi km da Dublino. Il mito di San Patrizio, che avrebbe anche scacciato dall’Irlanda i serpenti, simbolo del male, è stato comunque ricostruito nei secoli successivi alla sua morte. Tutto questo contribuisce a creare il mito dell’Irlanda e a sprigionare il suo potente fascino.
Ma sarà tutto vero? Come ogni mito o luogo comune, anche in questi casi esiste un fondo di verità. Ciò che subito balza in primo piano del popolo irlandese è l’orgoglio che lo ha sempre contraddistinto: ha saputo convivere in perfetta armonia con una natura selvaggia e poco ospitale, costretto a subire gravi carestie, ad emigrare oltreoceano ed imporsi come una delle comunità più importanti all’interno della società americana. Ha soprattutto sopportato per secoli il prepotente dominio inglese, per secoli vessato, dileggiato e ignobilmente trattato come un popolo inferiore, senza diritti né dignità. Eppure è un popolo che mantiene sempre un alto senso di cordialità e ospitalità.
Dublino
Migliaia di studenti, non solo italiani, scelgono Dublino come meta per vacanze studio, una città a mio avviso un po’ cupa ma affascinante, allo stesso tempo godereccia e gioviale, dinamica ma non caotica e (per il momento) non pericolosa come diverse città inglesi. Il centro è piuttosto compatto e in assenza di dedali di vie e viuzze, bastano pochi giorni per una visita. Oltre al famoso Trinity College, custode tra l’altro del prezioso e raffinato Book of Kells, un antichissimo e raffinato Vangelo miniato risalente all’VIII-IX secolo, Dublino regala degli ampi spazi verdi da far invidia alle più grandi metropoli del mondo: il St. Stephen’s Green e il Phoenix Park sono dei capolavori dell’archittettura urbana. Non aspettatevi però la genuinità dei tipici pub irlandesi nella capitale, ma una passeggiata per le principali strade del centro cittadino può offrire un ottimo svago per chi cerca i comfort della vita (ultra)moderna (è d’obbligo una sosta al Bewleys, si possono gustare torte e bevande squisite in un’atmosfera decisamente accogliente). A mio avviso, però, è il General Post Office di Dublino ad O’Connell Street il simbolo più autentico del fiero popolo irlandese, sede dell’Easter Rising del 1916, durante la quale la capitale fu sconvolta da un’insurrezione armata, guidata da James Connelly, contro il predominio inglese, la prima vera grande azione che risvegliò le coscienze del popolo irlandese e che condusse all’indipendenza nel 1922.
Quante “Irlande”?
Ma l’Irlanda più autentica e genuina si trova nelle aree rurali non raggiunte dal progresso economico e tecnologico, offrendo un’esperienza che quasi «stordisce» chi la vive: verdi prati sconfinati, i profumi della natura, uno stile di vita ancorato a tradizioni rurali antichissime e per noi impensabili e improponibili. E l’indimenticabile Burren nel Clare, posto unico al mondo formato da un tavolato calcareo di notevoli dimensioni, che dà vita ad uno spettacolare paesaggio lunare. Sempre ad occidente, il paesaggio costiero è reso impervio anche a causa dei forti venti e dell’influenza dell’oceano, che ha modellato il profilo costiero con altissime e suggestive scogliere (le più spettacolari e famose sono le Cliffs of Moher, nel Clare) e con strette e profonde insenature.
Forse è il caso di dire che esistono due «Irlande», quella del passato che ancora sopravvive in remoti angoli del Paese e un’Irlanda moderna e affarista, realista, pragmatica, frenetica, forse cresciuta troppo in fretta, una realtà che spesso ho faticato a capire e ad accettare. Queste due «Irlande» convivono più o meno felicemente, non senza qualche contraddizione. Negli ultimi anni, infatti, con la rapidissima ripresa economica, hanno avuto successo alcune idee su come sfruttare meglio il territorio a favore del turismo, con strutture di intrattenimento che spesso mortificano quell’affascinante atmosfera che avvolge un luogo selvaggio e incontaminato: un esempio lampante è stata la vendita dell’intera scogliera chiamata Cliffs of Moher a privati, che l’hanno subito recintata e resa inaccessibile ai turisti se non da una postazione distante (e avvilente). Ma è stato il boom edilizio a cambiare totalmente il volto di molte periferie e zone rurali nei dintorni dei centri urbani, con la realizzazione di sterminati e anonimi complessi residenziali nelle periferie delle città. Sono complessi che comprendono centinaia di casette assolutamente indistinguibili e di solito molto distanti dalle zone commerciali e dai servizi di pubblica utilità, sebbene siano esteticamente molto più presentabili e meno “mortificanti” e alienanti delle periferie di molte città italiane.
Non solo Dublino…
Le zone rurali più interne non sono state mai interamente coinvolte nel grande sviluppo economico degli ultimi vent’anni, per cui hanno continuato a mantenere una certa connotazione tradizionale ed un’identità rurale e non hanno mai conosciuto un significativo sviluppo urbano, soprattutto delle aree periferiche. Infatti i centri urbani minori stanno ancora oggi attraversando una fase di lento ma graduale spopolamento, soprattutto della cittadinanza più giovane, per emigrare in città che offrono maggiori opportunità di lavoro e uno stile di vita moderno e più consono alle esigenze dei giovani. Ma è proprio in quelle zone più tradizionalmente legate a stili di vita arcaici che si ritrova il lato più autentico e genuino dell’Irlanda.
Cork è un porto marittimo di notevole importanza ed ha rappresentato, soprattutto per molti immigrati, la prima alternativa a Dublino, perché meno frenetica e economicamente più accessibile e più a misura d’uomo. Negli ultimi decenni Cork è stata protagonista di una notevole crescita edilizia, in certi casi piuttosto vistosa, e di un proliferare di strutture commerciali che ne hanno un po’ stravolto il volto tradizionale e “offuscata” la memoria storica di quella che è tra le più antiche città irlandesi, teatro soprattutto di sofferenze durante la guerra d’indipendenza (era una delle principali roccaforti dell’IRA). Oggi invece, dietro un vistoso “apparato” commerciale, simbolo di progresso, sembra che la “nuova” Cork delle attuali generazioni voglia quasi dimenticare in fretta le sofferenze patite nel passato, per proiettarsi tutta nel futuro. Comunque Cork resta un centro culturale assai vivace, ma definirla (l’ennesima) Venezia del Nord mi sembra un po’ ardito.
Spostandoci più a nord, incontriamo Galway, che ha saputo mantenere, rispetto a Cork, un’ “anima” irlandese più autentica. Posizionata in una zona della costa atlantica di notevole interesse turistico (è il principale scalo portuale per le suggestive isole Aran ed è situata al centro della Contea di Galway, caratterizzata da pittoreschi paesaggi naturali), Galway è anche comunemente riconosciuta come la capitale del Gaeltacht, cioè della lingua gaelica irlandese (nell’omonima contea si incontrano ancora gruppi di persone che parlano correntemente il gaelico).
Irlanda del Nord
Un cenno a parte merita invece Belfast, che ha una vita e un aspetto urbano molto particolari. Belfast è l’unica città irlandese ad aver attraversato la fase della Rivoluzione Industriale, per cui ancora oggi è il maggior centro industriale dell’isola. Accanto quindi alla Belfast moderna, rutilante, attiva economicamente, culturalmente viva e animata da un commercio moderno e fiorente, esiste ancora la Belfast del tragico conflitto tra protestanti e cattolici, tra unionisti e repubblicani, tra gente della stessa nazione e della stessa città. Esiste ancora la Belfast di Shankill Road e di Falls Road, ovvero dei quartieri protestanti e cattolici. Insomma, nel lato meno appariscente di Belfast si respira ancora un’aria tesa, visibile e “tangibile” per un semplice motivo: Belfast è l’unica città europea ad avere ancora in piedi dei muri, e sono muri che separano, che dividono. Il muro di Berlino tagliava in due la città e fu abbattuto per volere di tutti i cittadini, da entrambe le parti. I muri di Belfast sono ancora lì, al loro posto, anzi ne sorgono di nuovi o quelli già esistenti vengono allungati di qualche metro. Le barriere che separano i quartieri cattolici e protestanti vengono ancora visti come indispensabili da praticamente tutta la popolazione.
I muri di Belfast risalgono ai Troubles, nella fase più acuta dello scontro tra le due comunità, quando l’unica soluzione restava quella di dividersi fisicamente, di non vedersi. E il muro più famoso è quello di Cupar Street, che divide i più popolosi quartieri di Shankill Road e di Falls Road, attraversabile solo da un check point sorvegliato da una guardia armata.
Poi c’è la Belfast nascosta, quella delle working-classes, dei quartieri-ghetto, dove la disoccupazione è a livelli drammatici e la polizia non ha certo vita facile. E tra un ghetto e l’altro, i muri, in tutto ben 88, che qui vengono chiamati Peace lines, le “linee della pace”. Ma qui i muri non sono solo fisici, sono soprattutto psicologici, sono muri “sociali”, che alimentano tensioni ed insegnano sin dall’infanzia ad odiare chi sta dall’altra parte, a non comprendersi, sebbene le parti in conflitto in realtà abbiano in comune molto più di quanto pensino: abitazioni modestissime, disoccupazione dilagante, disagio giovanile.
Nonostante gli accordi di pace, i muri resistono ancora, sono al loro posto e anzi ne sorgono di nuovi o vengono innalzati di qualche metro, visti appunto come il male minore, per impedire magari di uccidersi a vicenda. E insieme ai muri, anche i murales sono la principale attrazione turistica della città. Gli abitanti di Belfast lo hanno capito da tempo, istituendo i cosiddetti Political Tours, ovvero dei tour cittadini che attraversano quei quartieri teatro di scontri durante gli anni dei Troubles, alla scoperta del significato sociale e politico che sta dietro ad ogni murales. La visita è però cupa e non è difficile imbattersi in strade sbarrate da muri e filo spinato, sorvegliati da militari armati sempre all’erta. E il tour delle città nordirlandesi si chiude con Derry, teatro del terribile Bloody Sunday del 1972, anch’essa “decorata” con numerosi murales commemorativi di quegli eventi tragici.
Sereotipi irlandesi?
In fondo la stereotipata immagine di un Paese di folletti, pecore e prati fioriti, sapientemente sfruttata a scopi turistici, non piace nemmeno ai suoi abitanti, che vogliono sentirsi ed esser considerati moderni cittadini europei, esattamente come noi italiani non sempre gradiamo i luoghi comuni, più o meno simpatici, che gli stranieri (irlandesi compresi) ci attribuiscono.
La cultura celtica ha saputo resistere attraverso i secoli, nonostante la diffusione del cristianesimo e l’invadente presenza inglese, integrandosi in maniera perfetta alla nuova fede e soprattutto costituendo, nei confronti dell’invasore straniero, un elemento fondamentale per la valorizzazione delle proprie radici ed identità nazionale.
Purtroppo però è anche vero che molti simboli della cultura tradizionale irlandese, come emblemi celtici, personaggi leggendari e figure mitiche, hanno subito un processo di “svuotamento”, di svilimento che oserei definire di “prostituzione” economica a scopo turistico, sotto forma di gadget e souvenir. Troppo spesso, in maniera quasi insopportabile e avvilente, questi simboli accompagnano qualsiasi prodotto destinato al consumo turistico di massa: croci celtiche su tazze e piatti, “Molly Malone” su qualsiasi scaffale, la leggendaria figura del Leprechaun (il tradizionale folletto dei boschi) stampata su qualsiasi T-shirt e spesso piegata ad un umorismo non sempre di buon gusto. L’Irlanda non è certo il primo e l’unico Paese del mondo a sfruttare a scopi commerciali simboli ed emblemi della propria cultura nazionale secolare, ma il turismo di massa, sicuramente una delle più importanti risorse economiche del Paese, ha di certo appiattito il significato misterioso e insieme affascinante di certe manifestazioni peculiari della antichissima cultura irlandese a meri luoghi comuni e stereotipi: le case dai tetti in paglia, la Guinness, le pecore dalla lana pregiata, il trifoglio, l’arpa di Borou, le scogliere mozzafiato…
La vera Irlanda, quella degli incantevoli prati verdi e delle coste frastagliate e modellate dal vento dell’oceano, degli ambienti gioviali dei pub, della musica folkloristica, della natura incontaminata, delle tradizioni rurali e dei mitici racconti degli storytellers, è diventata purtroppo prosaicamente ridotta a luogo comune per il turista occasionale. Ma ogni luogo comune in effetti nasconde sempre un fondo di verità, perché questa Irlanda ha ancora una pulsante vitalità ed è orgogliosamente difesa, al di là di qualsiasi interesse turistico. Ben venga quindi che tante aree dell’isola siano rimaste ancora intaccate dall’ondata di progresso e di cementificazione; che scogliere mozzafiato e incantevoli vallate conservino ancora il potente fascino di una natura incontaminata e selvaggia, che una parte della popolazione parli ancora l’antica lingua gaelica e che cerchi di tramandare antiche tradizioni rurali
Per me parlare dell’Irlanda significa evocare un ricordo “potente”, vivido, speciale. È un po’ come parlare del primo amore, perché nonostante le tante incongruenze e contraddizioni che questo Paese ancora presenta, l’Irlanda è davvero una “melodia”, una “poesia” che penetra nel cuore e che lascia un segno indelebile e inconfondibile.