Cina, zaino in spalla da nord a sud. E ritorno al nord…
Agosto 2012
La Cina è un Paese che da sempre anima i miei sogni, i miei pensieri, le mie fantasie. La preparazione al viaggio è stata lunga e tutt’altro che semplice. Ho curato nei minimi particolari ogni aspetto di questa avventura, come sempre succede prima di partire. E cosi, pian piano, si è messa in moto la macchina organizzativa del viaggio 2012: destinazione terra del dragone! Cristina mi ha donato la guida Lonely Planet, indispensabile, e da queste pagine ho tratto le prime informazioni di base. I luoghi da visitare, le città da non perdere, la natura selvaggia da scoprire, e poi l’aspetto più meramente burocratico con le varie pratiche e documenti necessari per l’ingresso nel Paese. Ed ancora, cosa evitare e cosa no, i comportamenti da tenere in determinate situazioni, il rispetto altrui e verso la loro religione, il loro mondo.
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Ma partiamo con ordine. Innanzitutto, il biglietto aereo. Ho passato giorni, settimane intere ad osservare l’ andamento dei prezzi delle svariate compagnie aeree, fin quando mi sono risolto per l’ acquisto della tratta Milano-Doha-Pechino con la Qatar Airways. Avrei potuto optare per un volo diretto, ma onestamente spendere centinaia di euro in più solo per risparmiare qualche ora, mi pareva cosa assai stupida. E poi, facendo scalo a Doha, avrei (ripeto: avrei..) potuto dare un occhiata a questa città nata e cresciuta nella sabbia del deserto. Biglietto in tasca, la seconda cosa da ottemperare è ottenere il visto per la Cina. Evito d’ affidarmi alle agenzie di viaggio che lucrano spaventosamente sui costi. Farò da me, organizzandomi personalmente. Documenti alla mano, parto con Cristina alla volta di Milano, dove sorge lo sportello visti per la Cina. E come sempre accade, dimentico qualcosa. Ovvero il foglio di conferma della prenotazione dell’ ostello. Il foglio che ho appresso riporta solamente il numero della prenotazione, ma è privo dei miei dati personali. Non posso però addossarmi tutte le colpe, l’ email a conferma dell’ avvenuta prenotazione riporta solamente il numero di riferimento della pratica. Parte cosi la ricerca ad un internet point, ma dopo aver solcato strade e stradine della città milanese, alziamo tristemente bandiera bianca. Ma la speranza è ultima a morire, e grazie all’ incredibile vista di Cristina, riusciamo a scorgere poco distante dall’ ufficio visti, una copisteria. Tentare non costa nulla in fondo. Ed infatti, grazie alla gentilezza dei titolari (potrebbero incorrere in una multa se sorpresi), riesco a scovare nella mia casella di posta una mail che riporta oltre alla conferma della prenotazione, anche le mie generalità. Felice e contento, raggiungiamo nuovamente lo sportello dove consegno alla ragazza tutta la documentazione necessaria. Non mi resta che incrociare le dita. E attendere.
…verso la terra del Dragone…
Il tempo passa, la data della partenza si avvicina, ma del visto, nessuna notizia. Mi torna alla mente l’ incredibile avventura (o meglio, disavventura…) dell’ anno addietro per avere il visto uzbeko… Ma poi, pochi giorni prima di partire, ecco finalmente giungere il pacco tanto atteso: passaporto con appresso il visto cinese a doppio ingresso! Nei giorni che precedono la partenza sono divorato dall’ansia, come sempre prima di un lungo viaggio. Finalmente, arriva il giorno della partenza.
Martedì 14 agosto
Dopo aver salutato ( Dio quanta tristezza…) Cristina, il bus della Sadem parte alla volta di Milano Malpensa, dove giungo dopo due ore di viaggio. L’ aeroporto è tristemente vuoto, solo qualche anima si aggira al suo interno ( sarà solo perchè è ferragosto? Dubito…). Raggiungo da subito il check in per avere le prime informazioni di base una volta atterrato a Doha. Secondo quanto riportato sul sito della compagnia Qatar, avrei diritto ad una notte di albergo, visto e trasporti a totale carico della compagnia. Quindi, non mi resta che assicurarmi con l’ aiuto del personale di terra, della veridicità di quanto riportato sul sito web. Un ragazzo gentilissimo m’ accoglie e m’ informa che si, avrei diritto a questi servizi totalmente free, ma era necessario prenotare l’ albergo prima della partenza.
Riepilogando: quando ho acquistato il biglietto presso l’ agenzia di viaggi, la ragazza avrebbe dovuto informarmi di questa possibilità ( non l’ ha fatto ) e sarebbe dovuta attivarsi per la prenotazione di una stanza d’ albergo a carico della Qatar ( non l’ ha fatto ). I 41 euro di commissione, altrimenti, sono pagati per cosa? Maledetta lei e la sua ignoranza… Pazienza, arrabbiarmi ora non serve a nulla. Libero la mente dai cattivi pensieri e m’ avvio al banco del check in dove mi sono consegnati i due biglietti aerei Milano-Doha e Doha-Pechino. Raggiungo il gate e dopo un leggero ritardo siamo pronti a decollare alla volta della capitale medio orientale. Il servizio reso durante il volo è ineccepibile.
Ho viaggiato con molte compagnie, e non solo low cost, ma mai il personale è stato cosi cortese ed il servizio cosi impeccabile. Bevande prima del decollo e poi, dopo un’ oretta di volo, la cena, con possibilità di scegliere il menù. E non mi faccio neanche mancare una bottiglia di vino bianco! ( si, si può scegliere tra una bottiglia di vino bianco o rosso! ) Con la copertina che m’ avvolge ( offrono pure questa ) mi diverto a giocare con lo schermo touch screen. Film, musica, intrattenimento… Le ore scorrono veloci ed in meno di sei ore siamo a Doha. Un caldo pazzesco accoglie la mia anima, immediatamente caricata sull’ autobus. Siamo sdoganati nell’ area ‘transfer’, una vastissima ‘sala d’ attesa’. Ed è a questo punto che iniziano a sorgere in me i primi dubbi sulla possibilità di uscire dall’ aeroporto.
Premessa: alla partenza, in base alla destinazione, che sia essa Doha o altra città, viene consegnata un’etichetta che può essere di colore blu ( Doha ) o gialla (altra destinazione). Ovviamente, essendo io diretto a Pechino, vengo in possesso di un’ etichetta di colore giallo. Non do particolare importanza a questo piccolo dettaglio, ma una volta giunto in aeroporto, capisco. All’ arrivo, le persone sono smistate in due costruzioni diverse: chi ha l’etichetta color giallo come la mia, all’area ‘transfer’ e chi l’ etichetta di colore blu, all’ area ‘ arrivi ‘. Mi accorgo di tutto questo solamente quando mi trovo a passeggiare nell’ area transfer. Oltrepassato il controllo di frontiera, sono sperso in una costruzione impossibilitato ad uscire alla luce del sole. Siamo come rinchiusi in una ‘ scatoletta ‘, in attesa della nuova ripartenza. Ora, siccome devo restare otto ore all’ interno di questo posto, sono preoccupato. Ma se penso al viaggio di ritorno… L’ aeroporto di Doha, area transfer, è di nuova costruzione. Al suo interno, a parte la solita miriade di negozi e negozietti extra lusso, poco altro. Una moschea, diverse aree vip, ed una saletta per chi vuole riposare al riparo dal rumore. Vago avanti e indietro senza apparente meta, e poi, vista l’assenza di qualcosa d’interessante da fare, mi chiudo nella sala ‘quiet room’ insonorizzata, a schiacciare un pisolino sulle comode poltrone. A parte il freddo, tutto bene. Ecco, c’ è una cosa che non concepisco di questi arabi. Alla luce del sole si muore di caldo, le temperature sfiorano i 40 gradi. Ma quando fai ingresso in un negozio, in un bar, o come nel mio caso, in aeroporto, la temperatura scende a 10 gradi. Un freddo boia. Ma dico, siamo matti? Capisco la necessità dell’ aria condizionata, ma questa escursione termica m’ ammazza… Verso le 21 raggiungo il gate, ed in poco ci imbarchiamo. L’ aereo parte in perfetto orario, e da lassù, in mezzo alle nuvole, la vista è superba…Ecco, Doha dall’ alto è impressionante. Grattacieli che s’ ergono dal nulla quasi ad accarezzare l’ azzurro cielo. A decine, e molti altri ancora in costruzione. Una città sorta dal nulla, in mezzo al deserto. E poi, ancora più impressionante, la vista sulle isole artificiali ‘The world’ e ‘ Palm Island ‘ di Dubai. L’ uomo è incredibilmente capace di costruire qualsiasi cosa, la fantasia a volte supera la realtà. Ma a quale scopo?
Navighiamo tranquilli nei cieli del mondo. Il Boeing della Qatar è impressionante quanto è grande, è la prima volta che appoggio il sedere su di un velivolo di queste dimensioni. Il servizio, come già detto, è ottimo. Viene servito non soltanto il pranzo ( è tardo pomeriggio ), ma anche la cena ( poche ore dopo il primo pasto ) e questa volta opto per due bicchieri di birra ad accompagnare il cibo, anzichè vino. E poi, a chiudere in bellezza, un buon the caldo… L’aeromobile della Qatar atterra a Pechino quando è quasi mezzanotte ( in Cina, ovviamente ). Il buio avvolge la capitale cinese da parecchio tempo ed ora posso finalmente esclamare…si, sono in Cina! Il Beijing Capital International Airport si trova a 26 chilometri dal centro città e conta attualmente di 3 Terminal e altrettante piste. E’ un qualcosa di mostruosamente immenso, si tratta di uno degli aeroporti più grandi del mondo. Appena varco le porte d’ ingresso, mi sento sperso in un mondo troppo grande Dove andare ora? Non ho ben chiaro come muovermi, da quale parte dirigermi, cosa fare. Seguo la massa di persone che come me sono arrivate da poco. Pochi passi e giungiamo al desk dove viene controllato passaporto e visto. Mi metto diligentemente in fila e quando vien il mio turno, un poco di preoccpazione m’ assale. E’ normale, mi succede sempre. Il giovane addetto controlla il documento, osserva la mia foto, mi guarda, osserva nuovamente la fotografia e poi, finalmente, appone il benedetto timbro sul visto. E Cina sia! Felice e contento, m’avvio lungo un corridoio che conduce poco più avanti ad una stazione metropolitana automatizzata. Una decina di minuti di ‘viaggio’ e siamo all’ aeroporto internazionale di Pechino.
Quindi, ricapitolando, la prima costruzione è solamente un’ immensa sala d’attesa/ingresso con bar e ristoranti, se cosi la vogliamo chiamare. Ed un servizio metro la collega all’ aeroporto vero e proprio. Cerco un punto informazioni dove avere le prime indicazioni, una mappa della capitale e soprattutto capire come raggiungere il centro città nel bel mezzo della notte. Al momento l’ aeroporto è semideserto e pochi negozi e uffici sono aperti al pubblico. Domando ad una ragazza ad un presunto sportello informazioni, una mappa. Non capisce praticamente nulla delle mie parole e dopo aver cercato inutilmente nella confusione dei mille cassetti della scrivania, mi dona una mappa degli hotel in città. In cinese, sia chiaro. Lasciamo perdere, forse è meglio. Poco distante scorgo con la coda dell’ occhio uno sportello bancomat, proprio quello di cui avevo bisogno. Incrocio le dita e m’ affido alla buona sorte. La mia speranza è di non aver problemi come nel passato, quando il bancomat non ne voleva sapere di erogare denaro contante ( brutta storia, cara Lisbona…). Ma questa volta, sia lodato il cielo, tutto fila liscio. Ora nelle mie tasche dispongo di un discreto gruzzolo di yuan cinesi. Fin ad ora tutto è andato abbastanza bene, ho superato il controllo al passaporto e con me ho valuta cinese, anche se continuo a non aver la più pallida idea di come raggiungere il mio ostello. Posso dire di aver superato egregiamente i primi passi in terra cinese. Sono a conoscenza del fatto che la metropolitana della capitale è ferma nella notte e che quindi raggiungere il centro non sarà di certo semplice. Esco dall’ aeroporto, al fresco di questa nottata. Le persone sono lentamente ‘inghiottite’ dai mille autobus in partenza, diretti chissà dove in questa immensa città, di questo immenso paese. Ed io? La biglietteria degli autobus è una piccola costruzione posta al di fuori dell’ aeroporto, ma inizialmente non capisco nulla di quanto riportato sui pannelli informativi al suo fianco. Domando informazioni, ma non riesco a comunicare con la ragazza allo sportello. Osservo attentamente, senza fortuna. Ecco sorgere le prime difficoltà con la lingua, con la scrittura cinese. Mi siedo su di una panchina li accanto ed inizio a sfogliare la mia LP in cerca di qualche informazione che possa essermi d’ aiuto. Pagina dopo pagina, senza fortuna. Ad un certo punto, al mio fianco, sento una giovane ragazza chiamarmi. Mi domanda in inglese ( oddio…) se ho bisogno d’ aiuto. Eccome signorina! Le spiego che devo raggiungere piazza Tiennamen, ma che non ho idea di come arrivarci. La vedo confabulare con l’ amico/fidanzato che poi, improvvisamente, s’ alza e si dirige verso la biglietteria. Osserva i pannelli informativi, domanda informazioni e poi torna a sedersi accanto a noi. Non parla inglese, ma riferisce il tutto alla giovane che, sorridendo, cerca di spiegarmi su quale autobus devo salire per giungere a destinazione. Facciamo non poca fatica a comunicare, il mio cattivo inglese si scontra con il suo cinese inglesizzato. M’ accompagnano alla biglietteria e dopo aver comunicato alla giovane allo sportello quale biglietto fare, mi fanno acquistare un ticket per chissà dove. Pongo in loro grande fiducia, paiono due ragazzi buoni e sinceri. Mi fanno capire a gesti di seguirli, di salire sull’ autobus insieme a loro e che m’indicheranno a quale fermata scendere. Sono sorpreso, piacevolmente sorpreso. E’ mezzanotte passata e deviano il loro percorso verso casa per accompagnare uno sconosciuto alla sua meta. Saliamo tutti insieme sull’autobus che subito s’ inoltra nelle strade deserte della capitale. Casette, palazzi, grattacieli, mille luci, colori, ombre, stelle. Pechino, a prima vista, è assai intrigante. Mi domandano più volte dove io sia diretto, ma quando accenno a piazza Tiennamen, paiono cadere dalle nuvole. Possibile? Tento invano di far vedere loro la mappa della città, senza fortuna. Fatemi capire: v’ indico il centro di Pechino e voi non sapete dove si trova? Ovvio: la mia mappa è in italiano, e piazza Tienanmen in cinese…non è piazza ‘Tienanmen’. L’unica soluzione è mostrar loro la fermata della metropolitana, in fronte all’immensa piazza. E, finalmente, li vedo sorridere: hanno capito. Bene. Con l’ iPhone dell’amico si tuffano su google map per diversi minuti, ma non capisco per quale motivo. Purtroppo per me l’ autobus non ferma a piazza Tienanmen, e di conseguenza cercano su internet un percorso alternativo per raggiungere la piazza ove riposa il grande timoniere. Pochi istanti e l’ autobus arresta la sua corsa: siamo arrivati. Ma dove sono, mi trovo in una strada spersa chissà dove.
Pechino conta solamente 18 milioni di abitanti, io non comprendo una parola di cinese… I due ragazzi provano a contattare un taxi li nei pressi, qualche risciò. Mi domando: ma per il centro città, quale direzione bisogna prendere? E’ distante? Si consultano, parlottano sottovoce. A parer loro, una ventina di minuti di cammino ed arrivo al cuore di Pechino. Qual felicità appare sul mio volto! Giovani miei, vado a piedi, con le mie gambine, amo passeggiare nella notte quando ancora la città dorme in un profondo sonno e tutt’ attorno è un mare di silenzio, di pace! Li vedo guardarmi sorpresi, sbigottiti dalla mia decisione. Li saluto calorosamente, sono stati di una cortesia fuori dal comune. La giovane ragazza mi lascia il suo numero di telefono in modo tale che, se mai dovessi perdermi in città, lei mi sarà in qualche modo d’ aiuto. Felice, m’ avvio a passo lento lungo la strada. Poche auto sfrecciano al mio fianco, la città sembra addormentata. Solo l’ immensa e bellissima stazione ferroviaria, dalla parte opposta della strada, pare esser viva come non mai, illuminata a giorno dalle mille luci. Passeggio tranquillo in questo lungo viale alberato, LP alla mano. A conferma della giusta strada, domando al portiere di un albergo. Si, sono sulla giusta via. Ad un certo punto, mentre passeggio sereno e tranquillo, sento il mio pesante zaino alleggerirsi di colpo. Pochi secondi, ma eterni. Non ho neanche il tempo di rendermene conto, di trovare una risposta a quanto mi stia succedendo che mi lascio andare ad un grido che squarcia il silenzio della capitale. Sembro un pazzo, è sicuro. Ed immediatamente, volgendomi, noto il mio bagaglio, i miei averi, sparpagliati a terra. Non riesco a ragionare, a capire cosa stia succedendo. Raccolgo velocissimamente i miei averi, in preda al panico, le mie piccole cose, i miei abiti. Sono colto, in quei brevi istanti, da un misto di paura, terrore. Credo di essere stato derubato da qualcuno che è sopraggiunto velocissimamente alle mie spalle per poi scomparire alla stessa velocità. Ma quando osservo il mio zaino… capisco. Nessuno ha tentato di derubarmi, è stato il caso. O forse, una mia dimenticanza. Qual sollievo. Anche se sono ancora un poco spaventato, senza motivo. Scacciare la paura in pochi secondi non è facile, purtroppo. Ma cosa è successo realmente? Nessuna forza divina, nessun ladro. Semplicemente quando il mio zaino è colmo e pesantissimo, se la cerniera non viene chiusa a fondo succede che pian piano, passeggiando, s’ apre. Già in passato m’ era successo un caso simile, e da quel giorno avevo posto maggior attenzione a che non si ripetesse un’ altra volta. Ma in quei momenti concitati, l’ essere nel buio della capitale cinese, passeggiare solo in questa immensa città con tutte le preoccupazioni del caso, mi ha portato a dimenticare di questo piccolo, ma incredibilmente importante, dettaglio. Raccolgo le mie cose, alcune bagnate dalle pozzanghere in cui sono finite. Seduta ad un muretto, ad osservare questa scenetta, un’ anziana signora ( probabilmente una senza tetto ). Raccolgo i panini che ancora ho con me e glieli offro. La vedo rifiutare animatamente, quasi fosse antrace e non un semplice panino al prosciutto. Pazienza, ho tento un buon gesto. Riprendo il cammino ancora scosso per quanto accaduto, per la mia disattenzione, per la paura provata stupidamente. Mentre passeggio, alzando lo sguardo, noto il cielo illuminarsi man mano che avanzo. Ecco, ci siamo quasi, penso tra me e me. Le mille luci di piazza Tienanmen squarciano il buio di questa nottata, della mia nottata. Ancora pochi istanti ed avrò davanti a me quella che viene considerata la piazza più grande del mondo. A questi pensieri un poco mi tremano le gambe, ma non più per la paura. Sono preso da mille sensazioni, il mio sangue scorre velocemente lasciandomi senza respiro. Non resisto dalla tentazione, non posso aspettare. Aumento il passo, devo arrivare il prima possibile. E poi, improvvisamente, s’ apre alla mia vista la splendida piazza Tienanmen. La sua immensità mi lascia senza punti di riferimento, mi sembra d’ essere sospeso in mezzo al cielo, un puntino in mezzo al nulla, privo di un punto d’ appoggio a cui aggrapparmi. Qualche secondo e riprendo fiato, un lungo sospiro: si, finalmente, Pechino. La piazza è deserta, ma lungo la strada operai sono al lavoro. Il mio ostello sorge poco lontano, si tratta solo di capire in quale direzione andare. Passeggio lungo il viale dove molte persone, tra cui diversi giovani, dormono all’ addiaccio. Come mai? Domande senza risposta. Qualche centinaio di metri più avanti noto una piccola folla. Guardo l’ ora: sono a malapena le due. Arrivato nei pressi, noto un folto gruppetto di bambini, uno dietro l’ altro in una lunga ed ordinata fila indiana. Davanti a loro, il maestro ( presuppongo ). Ma cosa fanno, e soprattutto, per quale motivo sono in coda nel bel mezzo della notte? E poi, in coda per cosa? M’ assale un dubbio: saranno in coda per entrare nella Città Proibita? E’ necessario arrivare ore e ore prima, nel cuore della notte, per riuscire ad entrare nella città degli imperatori? Mi siedo su un muretto poco distante, a riprendere un poco le forze dopo questa lunga passeggiata che m’ ha portato dalla fermata dell’ autobus fin qui. Domando ad signore, seduto accanto a me, il perchè di questa coda ‘immaginaria’, del perchè questi bambini non riposano nel loro lettino ma son qui, in mezzo ad un marciapiede ad attendere chissà cosa. Son sicuro che l’ uomo non ha capito una parola di quanto da me detto, ma ha compreso la mia domanda. Gesticolando tenta di spiegarmene il motivo, che però, purtroppo, non comprendo ( capirò qualche giorno più avanti… ). Osservo per bene la piazza sterminata, osservo la mia mappa, osservo nuovamente piazza Tienanmen. Bene, sono dalla parte opposta a dove sorge il mio ostello. Riprendo il cammino mentre altre persone giungono e silenziosamente prendono posto nella lunga fila. Venti minuti di passo e sono nei pressi di Meishi Jie. L’ ostello sorge lungo questa strada, non mi resta che aguzzar bene la vista e scorgerlo in mezzo alle mille botteghe, alle mille insegne luminose. Pechino, in questo quartiere, sembra sveglia già da molte ore. Persone che camminano velocemente dirette chissà dove, botteghe aprono l’ attività proprio in quei frangenti mentre altre sono già operative. Ed è ancora notte fonda. Cammina e cammina, ma del mio ostello neanche l’ ombra. Possibile? Domando informazioni ad un signore impegnato nel suo lavoro, che m’ indica con l’ indice un’ insegna luminosa color giallo canarino: Qianmen Hostel. Perbacco, è davanti a me! Lo ringrazio e felice mi dirigo all’ ingresso. La porta è chiusa, e dopo aver suonato un paio di volte, giunge ad aprirmi le porte una giovane ragazza. Le mostro il foglio della prenotazione, ma pare non capire. Mi tempesta di domande, mille domande. Non capisco lei e la sua lingua, ma a quanto pare se ne frega. Alza la voce, s’ arrabbia. Contengo il mio disappunto finchè posso, ma poi, m’ arrabbio. ‘ Ehi bella, voglio una camera. Anzi, voglio la mia camera ‘. I fogli che ho con me devono chiarirle le idee, se non è in grado di comprendere le mie parole. Ma nulla, pare indemoniata. Capisco averla svegliata alle due di notte, cosa che a me poco importa, ma io ho pagato e voglio la camera, il resto non m’ importa un cavolo. Qualche minuto ancora e, continuando a sbuffare, m’ accompagna al letto. Chiudo la porta, un bel ‘ vaff**** giovanotta’, ripongo lo zaino e posso finalmente andar a dormire.
Giovedì 16 agosto
L’idea era quella di alzarmi presto presto, intorno alle 7.30, in modo da arrivare tra i primi davanti al mausoleo di Maramao, conosciuto come Mao Zedong. Ma, ovviamente, rimane solamente un’ idea. M’ alzo dal lettino quando le dieci sono passate da un pezzo. Sono stanco morto perbacco! Mi cambio velocemente e raggiungo piazza Tienamen, affollata all’ inverosimile. Fatico a credere ai miei occhi, mi sembra di sognare. Migliaia di persone, una marea di uomini donne e bambini riversata nel cuore simbolico di Pechino. Possibile? Sarà un giorno di festa nazionale, penso, magari si celebra qualche ricorrenza particolare. Invece nulla di tutto ciò, questa è la normalità, la vita di tutti i giorni. Ma le sorprese non finiscono qui, almeno per il sottoscritto. Infatti non è possibile accedere a piazza Tienanmen da un qualsiasi punto di essa ( la piazza è larga 880 metri da nord a sud e 500 da est a ovest, il che la rende la più vasta piazza pubblica del mondo, con i suoi 440.000 metri quadrati ), ma è necessario servirsi di uno di quei pochi check point lungo il perimetro della piazza stessa. E per attraversare la strada che corre a fianco della piazza, si è obbligati a servirsi del sottopassaggio, poichè è fatto divieto d’attraversarla a piedi. Ma siccome il sottopasso non è altro che la fermata della stazione metropolitana di Qianmen, lascio immaginare la confusione che regna in questo piccolo corridoio. Migliaia di persone, colti dal mio stesso desiderio, che si riversano nella piazza dai pochi punti d’ accesso. Sono letteralmente schiacciato in mezzo alla folla che lentissimamente discende i gradini del sottopasso. Una decina di minuti per percorrere una decina di metri, fino a giungere al punto dove sono controllate borse e zaini. E come se non bastasse, nel bel mezzo di questa immane confusione, le grida di due giovani ragazze appartenenti al corpo di polizia locale. Con il loro piccolo megafono ( che amplifica di mille volte la loro voce ) spiegano il comportamento che ciascuno di noi deve tenere. Sono sconvolto, mi sembra d’ esser una sardina, oltretutto oggetto di mille sguardi curiosi e sospettosi. Perchè mi guardano tutti? Possibile che l’ unico modo per raggiungere la piazza sia quello di servirsi del sottopassaggio, ovvero della stazione della metropolitana? Impiego un quarto d’ ora per far si e no trenta metri, ma finalmente son alla luce del sole. Raggiungo un nuovo check point e dopo brevi istanti posso finalmente accedere a piazza Tienamen. Sono distrutto ancor prima che la giornata abbia inizio, pazzesco! Ma la stanchezza scompare quando…quando appoggio il mio piede sulla storica Piazza Tienanmen. Quasi non ci credo, dopo la Piazza Rossa, conquisto anche l’ immensa piazza di Pechino. Fuori dalla Cina, la piazza è famosa soprattutto per la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese da parte di Mao Tse-tung il 1 ottobre 1949 e per le proteste di piazza Tienanmen del 1989. Chi non ha ancora davanti agli occhi quelle immagini, quel giovane fermo, impassibile, davanti al carroarmato minaccioso? La piazza venne costruita a partire dal 1417 e prese le sue forme attuali solo nel 1949, sotto Mao. Come già detto, la piazza è gremita da migliaia di persone. Ma la cosa che più mi sorprende, è che sono tutte cinesi. Nessun turista, nessun occidentale. Forse è per questo motivo che attiro molti sguardi. Mi sento quasi un intruso. La mia preoccupazione è di scovare dove sia l’ accesso al mausoleo di Mao. Al mio fianco una lunga fila di persone che lentamente avanzano, sotto la stretta sorveglianza di decine di giovani e meno giovani, muniti dei loro megafoni. Ecco, una cosa fastidiosa ( col tempo vi farò abitudine ) sono questi omini con i loro megafoni che strillano ogni due secondi per futili motivi. Figurarsi se poi sono a decine. Ebbene, ma cosa staranno mai ad urlare? Le persone sono tutte diligentemente in coda, nessuno che cerca di approfittare della situazione saltando le rispettive posizioni. Allora per quale cavolo di motivo gridano? Bella domanda. Quando m’ accorgo la fila assottigliarsi, è ormai troppo tardi. Non posso più mettermi in coda, quelle davanti ai miei occhi sono le ultime persone della giornata che porteranno il saluto al grande Timoniere. Qualcuno cerca ancora di scendere a patti con le guardie ( o meglio, volontari ), ma questi, inflessibili, continuano a gridare con i loro apparecchietti da 2 centesimi. Alcune persone s’ agitano, urlano il loro disappunto, s’ arrabbiano. Ma niente da fare, le regole son regole. Pazienza, porterò il mio saluto ( … ) a Mao nei giorni a venire. Passeggio tra la folla oceanica, la piazza è davvero immensa, anche se a mio vedere, piuttosto spoglia. A parte il Mausoleo di Mao, troviamo i 38 metri d’altezza del Monumento agli eroi del popolo e poco altro. La piazza si trova tra 2 antiche ed imponenti porte: la porta Tien’anmen sul lato nord e la porta Qianmen ( porta anteriore) a sud. Lungo il lato ovest della piazza si trova la Grande Sala del Popolo, mentre lungo il lato est si trova il Museo nazionale di storia cinese. Viale Chang’an, usato per le parate, si trova tra la Tien’anmen e la piazza. Sui lati occidentale e orientale della piazza sono allineati degli alberi, ma la piazza in se è aperta, senza alberi né panchine. La piazza è illuminata da grandi lampioni alla cui base moltissime sono le persone sedute o semplicemente appoggiate per godere qualche istante d’ ombra. Volgendo lo sguardo al cielo, noto la moltitudine di telecamere montate sui lampioni. C’ è una stretta sorveglianza sia da parte di poliziotti in uniforme che quelli in borghese. Penso che piazza Tienanmen sia il posto più sorvegliato del pianeta. Anzi, ne sono sicuro. La libertà di espressione è una parola che non ha modo di esistere da queste parti. E’ brutto sentirsi osservati, ascoltati, sempre e comunque. Pian piano inizio a comprendere il mondo Cina, e questo non è nient’ altro che l’ inizio del mio viaggio. Per il timore di incorrere in grane, evito di osservare le telecamere. Già il solo fatto di essere un’ occidentale in mezzo a migliaia di occhi a mandorla attira l’ attenzione. Se poi il ‘grande fratello Cina’ mi nota osservare con particolare interesse il sistema di vigilanza…beh, meglio evitare. Passeggio senza meta alcuna, sotto questo sole caldo a tratti insopportabile, fino a giungere alla ‘balconata’ con vista sulla città Proibita.
…una città nella città…
Un leggero brivido scorre lungo la mia schiena…caspita, la Città Proibita. Quella raccontata da Bertolucci, premio Oscar. Avete idea? Nella vita -magari stupidamente possono pensare alcuni- vien meno il fiato quando si ha davanti ai propri occhi certi scenari. Chi di noi non conosce, anche solo per sentito dire, la Città Proibita? Le mille fotografie sui libri, la storia imparata a scuola, le immagini in televisione nei mille documentari. Ecco, davanti a me, ora, la Città Proibita. Anni, centinaia di anni di storia. La storia di un Paese intero, immenso, sconfinato, ha avuto corso in questa ‘città nella città’. I secoli son volati via velocemente, gli imperatori si sono susseguiti l’ uno dietro l’ altro, Mao ha proclamato la RPP, ma essa è rimasta sempre li, inacessibile al popolo fino al ’49, avvolta dal mistero, dal suo fascino. Accanto a me migliaia di persone in movimento, mentre io, fermo, immobile, freddo come una statua di Rodin, ammiro estasiato. Ritorno alla realtà della vita quando noto una ragazza, proprio davanti a me, agitare le braccia, come se fosse successo or ora qualcosa d’ importante. Vuole attirare l’ attenzione di qualcuno, è ovvio. Mi volto, ma dietro a me, nessuno a parte la mia ombra. Voglio evitare la solita figura da imbecille, anche perchè non è possibile il suo interesse sia rivolto a me. Attendo qualche istante prima di agire, prima di muovermi. Ma continua ad agitarsi, e questa volta puntando il dito verso la mia persona. – Ma chi, io? – cercando di farmi capire a gesti ( come potrei diversamente? ) La vedo muovere il capo dall’ alto verso il basso. Ma certo, io, come ho fatto a non capirlo prima! ( oh già! ) M’ avvicino, assai stupito, e la vedo mostrarmi la sua macchina fotografica. Che stupido sono, come ho fatto a non pensarci prima! Vuole soltanto che io scatti lei una fotografia con l’ amica davanti alla città Proibita! Sorridendo, acconsento alla richiesta. Senza esitare, allungo il braccio per farmi lasciare la macchina fotografica. Ma la giovane, senza neanche darmi il tempo di respirare, tirandomi la maglia mi trascina verso la balconata. – Ma che fai, occhi a mandorla? – Semplice, non vuole una fotografia con la sua amica davanti alla gigantografia di Mao. Ma vuole una fotografia con me ( davanti a Mao, lui non può ovviamente mancare…). Ora, partendo dal presupposto che non sono Brad Pitt e neanche George Clooney, che non assomiglio neppur vagamente a nessun attore o personaggio famoso…la mia domanda è: perchè mai? Acconsento, in fondo è soltanto una fotografia. Mi ringrazia mille milioni di volte, sorridendomi quasi le avessi fatto il regalo più bello dell’ anno. Beh, è sempre un piacere metter il sorriso sul volto delle persone! Le osservo allontanarsi velocementre e sparire tra la folla. Ripenso per qualche istante alla curiosa scenetta e capisco. Capisco che non mi ha scambiato per nessun personaggio famoso, anzi. Sono un occidentale, un turista, arrivo da un mondo lontano e totalmente diverso dal loro. Sono semplicemente ‘diverso’, desto curiosità e simpatia. Passeggiando in piazza Tienanmen ricordo di non aver incontrato uno, e dicasi uno, occidentale. Ero rimasto molto stupito, immaginavo d’ imbattermi in orde di turisti del ‘mio mondo’. Invece, mi sbagliavo. Dal vicino sottopasso raggiungo la soglia d’ ingresso della Città Proibita. L’ enorme gigantografia di Mao campeggia dall’ alto della Porta Celeste ad osservarmi, ad osservare migliaia di persone. Varco lentamente la grande porta e sono…si, sono all’ interno delle mura della Città Proibita. La città dell’ imperatore, quella di Bernardo Bertolucci, quella di Pu Yi. Il primo cortile, ampio e costellato da grandi piante, ha accesso gratuito. Sono moltissime le persone, soprattutto famiglie, che all’ ombra degli alberi consumano il loro pranzo. Passeggio avvolto in mille pensieri. Sono felice, sereno come poche altre volte…quali altri aggettivi potrei usare per descrivere il mio stato d’ animo? Alla sinistra, poco prima di accedere alla Porta meridiana da dove l’ imperatore assisteva alle parate militari, vi si trova la biglietteria. Accanto alla Porta Duan, un’ angusta scatoletta metallica simile ad un contrainer, dove poche sono le persone in coda. Il biglietto d’ ingresso ha un prezzo irrisorio, rispetto ad altre attrazioni della capitale. Vengo a contatto con quel modo di fare sgarbato ( per me, ovviamente ) dei cinesi. Quando si è in coda, si deve spingere. Tassativo: spingere. Ma per quale motivo? Non c’ è alcuna fretta, siamo poche persone in fila, la biglietteria non chiude fra pochi secondi. Ma è cosi, punto. E’ prassi comune. Spingere. Biglietto alla mano, sono pronto a far ingresso trionfale nel cuore della Città Proibita. Oltrepasso l’ imponente Porta di Mezzogiorno, un tempo riservata all’ imperatore, e sono immerso nella realtà della Città Proibita. Nei miei occhi scorrono le immagini del film di Bertolucci, Premio Oscar. Davanti a me le immagini dei secoli andati perduti, anni di gloria e ricchezza. M’ immagino l’ imperatore, seduto sul trono, e la sua corte, ed anche il suo esercito. La mia fantasia vola in mondi lontani, passati, non può essere altrimenti. La confusione del luogo mi riporta alla realtà, i discorsi delle migliaia di persone rompono questo equilibrio di silenzio, una volta sacro. Per godere di una visuale spettacolare, mi dirigo verso l’ edificio che sorge alla mia destra. Davanti a me scorre il Ruscello dalle Acque d’ Oro, a forma di arco tartaro e attraversato da cinque ponti di marmo. Alle sue spalle, la Porta dell’ Armonia. Con maggiore attenzione osservo l’ edificio alle mie spalle, attentamente restaurato. Ecco, forse l’ unica nota stonata è l’ eccessivo restauro di alcuni edifici della Città Proibita. Cosi ben restaurati che paion finti, irreali, poco realistici. Oltrepasso dal ponte centrale il Ruscello e varco l’ ingresso della Porta dell’Armonia dove nella grande stanza campeggia il trono imperiale, appartenuto a chissà quale imperatore ( le scritte, ahimè, sono tutte in caratteri cinesi ). La Città Proibita ospitò 24 imperatori delle dinastie Ming (1368–1644) e Qing (1644–1911), quindi spesso capire a quale imperatore era appartenuto il trono risulta difficile. Oltre la Porta, s’ apre l’ immenso e grandioso cortile che un tempo poteva accogliere un’udienza imperiale di 100mila persone, e dove s’ innalzano i Tre Palazzi ( San Dadian ) che costituiscono il cuore della Città Proibita. Su di una gigantesca piattaforma di marmo bianco con balaustra, il maestoso Palazzo dell’ Armonia Suprema ( chiamato anche Sala del Trono d’Oro ), la struttura più grande e prestigiosa dell’ intero complesso.
Spiegare a parole l’immensità degli spazi, la maestosità del Palazzo, l’ eleganza delle rifiniture, è impresa impossibile a parole. I colori sgargianti del palazzo illuminano le giornata, donando vivacità ai miei pensieri, ai miei sogni. Il Palazzo, costruito nel XV secolo e restaurato nel XVII, veniva usato per le cerimonie più importanti, come i compleanni e la proclamazione degli imperatori o la nomina dei generali. Il contrasto tra l’esterno, ridipinto di recente, e l’interno, che presenta tinte più naturali e meno luminose, è evidente, come è normale sia. Il Palazzo dell’ Armonia Suprema custodisce gelosamente il Trono del Drago, riccamente ornato, dal quale l’imperatore esercitava le sue funzioni di comando dinanzi ai sottoposti tremanti. La Sala viene sostenuta da 72 colonne di legno, di cui 6 centrali intorno al trono, e sono dipinte con disegni di draghi d’oro sullo sfondo rosso scuro. Ogni colonna è un tronco unico dell’albero di Nanmu. Nel centro della Sala, si trova il trono dell’imperatore posato su una terrazza di legno alta 2 m. Sia il trono che il paravento dietro il trono sono fatti di legno di sandalo dorato. Ai fianchi del Trono ci sono due elefanti in cloisonnè che rappresentano la pace e la tranquillità. Le mattonelle del pavimento provenivano da Suzhou, trasportate lungo il Grande Canale Imperiale. Queste mattonelle erano cotte in una fornace e poi immerse nell’olio, un trattamento particolare che durava due anni, per cui erano molto lisce e compatte e venivano chiamate mattoni d’oro. La mia attenzione viene attirata dalle balaustre in marmo, splendidamente scolpite, e da alcuni shuigang, o meglio tini, in bronzo. Un tempo erano sempre colmi d’ acqua per estinguere eventuali incendi, e riscaldati da fuochi in inverno per evitare che l’ acqua si ghiacciasse. La grandiosità sta in questi 308 shuigang, sparsi per tutta la residenza. L’ acqua per riempirli era attinta da ben 72 pozzi di cui ne restano solamente 30. Numeri strabilianti. La grandezza di questo mondo che mi circonda e m’ avvolge, mi fa sentire piccolo piccolo al cospetto dell’ immensità della Città Proibita. Alle spalle del Palazzo dell’ Armonia Suprema, si cela il più piccolo ma altrettanto delizioso, Palazzo dell’Armonia Perfetta. Aveva la funzione di luogo di sosta per l’ imperatore, dove poteva svolgere gli ultimi preparativi prima di accingersi alle sue incombenze. Ultimo edificio, privo di pilastri, il Plazzo dell’ Armonia Protetta, usato in un primo tempo per i banchetti e adibito in seguito a sede degli esami imperiali. Dalla facciata posteriore parte un maestoso piano inclinato, in mezzo alla scalinata centrale che scende dalla terrazza, dove si trova la più grande pietra scolpita della Città Proibita; è un blocco unico di marmo bianco di Pechino. Questo monolito è lungo di 16,57 m., largo 3,07 m. e spesso di 1,7 m. con un peso totale di 250 tonnellate. Per trasportare un masso di pietra così enorme, i maestri cinesi approfittarono del gelido inverno scavando poi numerosi pozzi e prepararono una via ghiacciata sulla quale fecero scivolare questo enorme blocco, proveniente dalla cava di Fangshan, a 50 Km Ad ogni passo una meraviglia mi coglie, milioni di particolari che rendono unico questo mondo ormai passato. Cammino lentamente, quasi a voler assoporare istante per istante tutto quello che mi circonda, senza tralasciare nulla, niente di niente. Un universo magico, avvolto da quell’ alone di mistero che per secoli ha animato le fantasie dei cinesi, e non solamente le loro. Migliaia di persone ( turisti? Un paio forse, oltre a me… ) che bramano dalla voglia di scoprire ogni angolo nascosto di questo mondo che per molti, troppi anni, della loro vita è rimasto nascosto, un mondo di cui hanno sempre sentito parlare ma non hanno mai potuto apprezzarne le bellezze. Le porte, fino al 1949, erano chiuse per chiunque, pena la fucilazione immediata. Un mondo magico, speciale, ed ora hanno la possibilità di scoprirne ogni angolo, ogni singolo dettaglio, ogni padiglione che per secoli sono stati gelosamente custoditi.
Passeggio senza meta, vagando da una parte all’ altra e lasciandomi guidare dalla curiosità dei miei occhi, bramosi di scoprire, ammirare, meravigliarsi. Giungo dopo innumerevoli cortili e padiglioni al muro dei nove dragoni, un muro alto 3,5 m., largo 29,4 m., rivestito dai 270 pezzi di maiolica con i 9 immagini di draghi in bassorilievo. Il drago era il simbolo del potere imperiale, o dell’imperatore stesso e il numero 9 era il numero massimo che portava fortuna. Si vedono 3 posizioni del drago: drago frontale, drago asceso e drago disceso con 4 colori diversi: giallo, azzurro, bianco e purpureo. E’ il più raffinato per la lavorazione ed è il più ricco per la brillantezza dei suoi colori, rispetto agli altri due presenti in Cina ( Datong e parco Behai ). Devo attendere diversi minuti prima di riuscire a farmi scattare una foto con essi, ma la fatica vien ben ripagata. La passeggiata mi porta ancora a scoprire mille altri cortili, mille stanze silenziose dove la rumorosa folla è lontano ricordo. Un labirinto di viette, di padiglioni, di vicoli nascosti alla vista dei molti. Ho ancora tempo per una veloce visita alla collezzione di gioielli, non cosi eccezionale come era riportato sulla guida, ad una collezione di stampe e quella di antiche scritture su grandi massi. Ovviamente a lungo andare perdo la bussola, nonostante la mappa in mio possesso. Ma è un dolce perdersi all’ interno di questo labirinto, rivivono nella mia mente le immagini de il film ‘L’ ultimo Imperatore’, immerso nel silenzio dei lunghi ‘corridoi’ a cielo aperto. La mia visita termina in un piccolo ma delizioso giardino, dove all’ ombra delle grandi piante riposo. Il caldo è a tratti insopportabile, l’ afa rende difficoltosa la passeggiata. E poi, come d’ improvviso, sono al di fuori della prima cinta muraria che delimita la Città Proibita. Poco distante, la Porta della Grandeza Divina oltre la quale si ritorna alla vita reale, quotidiana. Dopo oltre quattro ore nel perimetro di questo mondo antico, eccomi immerso nella confusione della vita di tutti i giorni. Davanti a me il parco Jingshan, l’ altura artificiale creata secondo i dettami del geng shui per proteggere la Città Probita dagli spiriti maligni. Venne realizzata utilizzando la terra che era stata asportata dal perimetro del palazzo per scavare il fossato. Dalla sommità si può godere di una visuale magnifica non solo sulla Città Proibita, ma su tutta Pechino. Come lasciarsi sfuggire questa possibilità? Nonostante il caldo e la stanchezza, sono pronto ad affrontare l’ innumerevole mole di scalini che portano alla vetta pur di ammirare la capitale dall’ alto. Ma prima devo attraversare la strada che si frappone tra il parco e la città imperiale. E scovare il sottopasso, non è cosi semplice… Dopo aver acquistato il biglietto inizio la ‘scalata’ della collinetta artificiale con grande entusiasmo. Il caldo insopportabile è mitigato dall’ ombra delle grandi piante che sorgono lungo il sentiero. Una decina di minuti di passo e giungo al padiglione dell’ eterna Primavera.
Il panorama che s’ apre dinanzi ai miei occhi è un qualcosa di speciale, di unico. Resterei ore ad osservare questo mondo, questa città ora ai miei piedi. Un fresco venticello s’ infrange sul mio viso, attenuando in parte il caldo della giornata. All’ interno del padiglione un grande Buddha è oggetto di venerazione, di preghiere. Uno dopo l’ altro, i cinesi rendono grazie alla divinità, avvolti dal profumo d’ incenso che brucia continuamente senza sosta. Osservo non solo la capitale dall’ alto, ma anche la vita che ha svolgimento davanti a me, la vita di tutti i giorni, di decine di persone. Persone semplici, giovani ed anziani, ad ammirare curiosi la capitale del loro paese, del grande impero cinese, a rendere grazie non solo al grande timoniere, ma anche a quel Dio che per molti anni è stato bandito dalla loro vita. Riprendo la passeggiata scendendo lungo le pendici della collina, dalla parte opposta alla Città Proibita. Ai suoi piedi un bellissimo giardino verde, ideale per qualche istante di tranquillità al riparo dalla confusione del mondo esterno. Sono molti i ‘dinosauri’ a grandezza reale che animano il parco, per la gioia dei bimbi qui accorsi. M’ aspetta ora una lunga camminata che mi porterà, due chilometri più avanti, alla torre del Tamburo. Abbandono la Pechino turistica, inoltrandomi nella Pechino reale, di tutti i giorni. Lungo la strada s’ aprono antiche botteghe, ristorantini tipici, negozi di cianfrusaglie. Automobili, biciclette, motorini, a destra, a sinistra, in un perenne caos che ora, si, davvero, mi porta a conoscere la vera anima della capitale. E’ questa la Cina! Dopo una lunga passeggiata, sotto questo sole bollente, arrivo finalmente alla torre del Tamburo, imponente, che sovrasta gli hutong che la circondano. La Torre del Tamburo fu costruita nel 1272 durante il regno di Kublai Khan e si trovava nel cuore dell’allora capitale della dinastia yuan Dadu. A quel tempo era conosciuta come la Torre dell’ Amministrazione Completa (Qizhenglou). Nel 1420, sotto l’imperatore Yongle, l’edifico fu ristrutturato a est rispetto al sito orginario e nel 1800 sotto l’imperatore Jiaqing della dinastia Qing, furono condotti lavori di restauro su vasta scala. Nel 1924, il nome dell’edificio fu modificato in Torre della comprensione della vergogna (Mingchilou) e furono esposti oggetti legati all’invasione di Pechino da parte dell’Alleanza delle otto nazioni e il successivo massacro del 30 Maggio 1925. Attualmente, il piano superiore di questo edificio ospita il Salone della Cultura del Popolo del distretto est della città. Nei tempi passati, la Torre del Tamburo era il centro per il calcolo del tempo per l’intera città e fu attrezzato con clessidre di bronzo (orologi ad acqua) e tamburi che venivano battuti per scandire le ore. Nei tempi passati il piano superiore dell’edificio ospitava 24 tamburi, dei quali ne è rimasto solamente uno. La sua testa è fatta con pelle di toro. Durante la dinastia Qing, le ore erano scandite alla sera a partire dalle 19:00, una pratica che era comunemente chiamata “impostazione dell’orologio”. A quest’ora i tamburi venivano suonati 13 volte. Dopo che l’orologio era stato “impostato” in questa modalità, ogni intervallo successivo di due ore era segnato da un singolo battito di tamburo. Gli ufficiali civili e militari orientavano le loro vite attorno a questi segnali. All’ epoca della sua costruzione segnava il centro geometrico dell’ antica capitale mongola. Nonostante sia parecchio stanco, vado da subito alla biglietteria. Pochi yuan, ed il biglietto è nelle mie mani. Ma quando sono di fronte alla ripidissima scalinata, mi sento venir meno. Si tratta di scalare un muro per giungere alla cima! Gli ultimi scalini mettono a dura prova la mia resistenza, ma quando davanti ai miei occhi ho la capitale, gli hutong ai miei piedi, la fatica viene ampiamente ricompensata. Una bellissima vista sulla città di tutti i giorni, sui famosi hutong che, fortunatamente, sono stati al momento risparmiati dalla cementificazione forzata. Un angolo caratteristico della capitale, di quel passato lontano che il grande timoniere ( e non solo lui ) ha cercato di distruggere, di eliminare. Si rivela assai interessante la mostra di antichi tamburi, di grandi dimensioni, alcuni dei quali molto antichi. Presto particolare attenzione a scendere la ripidissima scalinata, facendo attenzione a non cadere e ruzzolare di sotto. A poca distanza dalla torre del Tamburo s’ erge al cielo la torre della Campana. Sono poste una in fronte all’ altra, anche se a trovare la giusta vietta per giungervi non è stato facile ( un po di confusione non guasta mai ). Le due torri s’ affacciano su di una piazza alberata, dove sono parcheggiati molti risciò, in attesa di clienti distrutti dal caldo e dalla fatica. La Torre della Campana in origine conteneva un’enorme campana di ferro. Tuttavia, dato che il suo rintocco non era sufficientemente udibile, venne sostituita da un’enorme campana di bronzo spessa più di 25 cm che oggi è in perfette condizioni. La campana di ferro venne spostata dietro alla Torre del tamburo dove è rimasta per oltre 500 anni. Non più tardi del 1924, si poteva udire lo scampanio della campana in bronzo che batteva le 19:00 da una distanza di più di 20 chilometri. Una leggenda avvolge la storia di questa campana. E a me, le leggende, piacciono tantissimo! Si narra che un ufficiale di nome Deng per più di un anno tentò invano di realizzare la campana. Alla vigilia dell’ultimo tentativo, sua figlia, temendo ulteriori ritardi e temendo che questa perdita di tempo avrebbe causato rimproveri nei confronti del padre, decise di sacrificarsi in modo da commuovere gli dei ottenendo così una campana perfetta e si gettò nel bronzo fuso. Il padre terrorizzato potè recuperare dalle fiamme solamente una ciabatta ricamata. La campana fu un successo e l’imperatore, commosso dallo spirito di sacrificio della ragazza, diede alla ragazza il nome di “Dea della fornace dorata” e fece costruire un tempio in suo onore vicino alla fonderia. Dalla gente comune fu ricordata come “Dea che modellò la campana”. Dopo l’installazione della campana, i rintocchi, chiari e risonanti, potevano essere uditi chiaramente in tutta la città. Tuttavia nelle sere tempestose, la campana emetteva un desolato suono lamentoso simile alla parole xie, che in cinese significa “scarpa”. Rifacendosi all’antica leggenda, le madri tranquillizzavano i loro bambini con: “Vai a dormire! La Torre della Campana sta suonando. La Dea che modellò la campana rivuole la sua ciabatta.” Anche il biglietto per la torre della Campana costa pochi yuan. E’ possibile assistere ad una mostra ( con un secondo biglietto ) al piano terra ma io dirigo da subito il passo verso la scalinata d’ ingresso. E come succeso per la torre del Tamburo, devo scalare nuovamente un’ altra montagna. Gli ultimi metri che mi separano dalla vetta sono stati difficilissimi, ma la voglia di ammirare e di scoprire, vince ogni ostacolo che si frappone tra me e la voglia di deliziare i miei occhi, di meravigliarmi di fronte alla storia. Il panorama che s’ ammira dalla sommità non è dissimile da quello della torre del Tamburo, ugualmente bello. La torre della Campana è attorniata dagli hutong, gli stretti vicoli su cui s’ aprono le case a corte che a partire dal 1949 hanno visto ridursi drasticamente di numero.
Una volta tornato ( con i piedi ben saldi a terra ) sulla piazza, scorgo a poca distanza due ragazzini osservarmi quasi di nascosto. Approfitto del momento e domando loro di scattarmi qualche fotografia. Quando m’ allontano li vedo ancora impalati osservarmi quasi fossi un oggetto sconosciuto, una sorta di ET. Ma cos’ ho che non va, di diverso? Mistero. Il caldo rende sempre più difficoltosa la passeggiata, o meglio dire il tour de force intrapreso. Dopo aver percorso uno stretto hutong, sono nella più confusionaria Goulou Xidajie, dove s’ aprono molte locande frequentate esclusivamente dalla popolazione cinese. Un chilometro di passo e sono nell’ immensa Andingmen street dove poco più avanti sorge la stazione metro. Sono esausto, non tanto per la lunga camminata che m’ ha portato, sei chilometri più avanti, da piazza Tienanmen fino alla stazione della metropolitana (l’ unica che sorge lungo questa direttrice). Ma bensì dal caldo afoso, a tratti insopportabile. Sono diretto ora al Tempio del Cielo, ma siccome la distanza è siderale ( 8 km in linea d’ aria ) m’ avvalgo della metropolitana. E’ il primo appuntamento con questo sistema di trasporto della capitale, e non nascondo che sono un tantino preoccupato. Mi domando: se come a Mosca il nome delle stazioni non è riportato in lingua inglese, ma solamente con quei caratteri a me incomprensibili quale è il cinese? Certo, nella capitale russa avevo adottato un sistema semplice ed efficace per non perdere la bussola, ma il cirillico è meno indecifrabile rispetto al cinese. Preso da mille paure, scendo lentamente nelle viscere della capitale, un mostro di oltre 400 km di percorso e che ogni giorno è presa d’ assalto da oltre otto milioni di persone. Per prima cosa devo fare il biglietto, molto più semplice del previsto. Nella maggior parte delle stazioni vi sono biglietterie automatiche, e grazia vuole il menu interattivo sia in cinese ma anche in lingua inglese. Semplici ed intuitive. Vi è anche la possibilità di acquistare il ticket alla biglietteria ( presente in quasi tutte le stazioni ) al costo di 2 RMB, il costo di ogni singola corsa. Il mio animo è molto più leggero rispetto a qualche istante prima. Sono sereno, la metropolitana di Pechino è pulita, sicura, facile da usare. I pannelli informativi nonchè il nome di ogni stazione sono riportati in lingua inglese: evviva. Il biglietto della metropolita è una tessera semirigida che deve essere inserita nell’ apposita fessura al fianco del tornello. La tessera viene trattenuta cosicchè verrà riusata chissà quante altre milioni di volte. Una decina di minuti di metropolitana e sono alla fermata più vicina al parco del Tempio del Cielo. Faccio ingresso sul lato ovest del giardino, magicamente curato. Acquistato il biglietto d’ ingresso e la mappa del parco ( 10 RMB, davvero bella! ) entro trionfalmente nel giardino più famoso di Pechino. Dalla biglietteria al Tempio del Cielo si snoda un Corridoio Lungo, dove sono moltissimi i cinesi qui seduti. Amano sedersi a giocare a carte o a scacchi, ascoltare la radio, o semplicemente a esercitarsi a cantare brani dell’ Opera di Pechino e fare passi di danza o acrobazie con la footbag. Mi è tutto cosi famigliare, tutto cosi magicamente vicino. Molte di queste persone volgono a me lo sguardo mentre passo dinanzi loro, ma ormai sono abituato ad essere oggetto di osservazione. Pochi passi ancora, ed ecco svettare nel cielo azzurrissimo il Tempio del Cielo. Rimango letteralmente senza fiato, ho bisogno di sedere, ho bisogno di ammirare la magnificenza del tempio con tutta la calma che merita. Siedo poco distante, e davanti ai miei occhi quest’ immagine fantastica, sembra una tela curata dal miglior artista. Il Tempio del Cielo è visto come il più sacro dei templi imperiali di Pechino. E’ stato descritto come “un capolavoro di design architettonico e paesaggistico”. Il Tempio del Cielo era dove l’imperatore si recava ogni solstizio d’inverno per adorare il Cielo e a pregare solennemente per ottenere un buon raccolto. Da quando il suo dominio fu legittimato dal mandato ricevuto dal Cielo, un cattivo raccolto sarebbe potuto essere interpretato come la perdita del favore del Cielo e la minaccia della stabilità del suo regno. Quindi non era del tutto privo di interesse personale il fatto che l’imperatore pregasse fervidamente per un buon raccolto. La struttura è quella tipica dei parchi tradizionale cinesi: le imperfezioni, le asperità del terreno e gli aspetti più selvaggi della natura sono in gran parte camuffati dall’ intervento armonizzatore dell’ uomo, che si manifesta in una ricerca quasi ossessiva di linearità e simmetria. L’ effetto è amplificato dall’ applicazione dei principi del confucianesimo, che sancendo la superiorità dell’ intelletto umano sul mondo naturale, impone ordine e regolarità. Il risultato, all’ insegna dell’ equlibrio e dell’ armonia, esercita un fascino quasi ipnotico. Nel parco vi sono quasi 4000 cipressi, antichi e bitorzoluti ( alcuni arrivano ad avere quasi 800 anni.. ). La struttura principale dell’ intero complesso è il Tempio della Preghiera per un Buon Raccolto, un magnifico edificio restaurato di recente, posto su una terrazza circolare in marmo a tre piani e sormontato da una copertura a ombrello su tre livelli di colore azzurro, simbolo del cielo. Eretto nel 1420, il tempio fu incendiato da un fulmine nel 1889 sotto il regno di Guangxu, ma venne ricorstruito l’ anno seguente, nel totale rispetto dei canoni architettonici dei Ming cui era improntato l’ originale. All’ interno si può notare che questo soffitto imponente è retto senza l’ ausilio di chiodi o cemento da 28 colonne in legno di abete. Al centro i quattro enormi pilastri noti come ‘colonne del Pozzo del Drago’ rappresentano le stagioni, mentre gli altri 24 più piccoli simboleggiano i mesi dell’ anno più i periodi di due ore in ogni giorno. Seduto silenziosamente nell’ edificio posto al fianco del Tempio, leggo tutto questo, divorando letteralmente le pagine della mia guida. Voglio sapere, conoscere, anche la più minima informazione e curiosità è per me importante. Non sono moltissime, fortunatamente, le persone che affollano il parco. Il silenzio regna sovrano ed è interrotto solamente dalle rare grida di qualche bambino. Mi godo appieno questi istanti, volgendo ora lo sguardo al Tempio, bellissimo, che s’ erge al cielo, azzurro come non mai. Diversi minutu seduto immobile, davanti a questa splendida visione, questa cartolina da inviare alle persone che più tieni, più ami. E poi, lentamente, m’ avvicino quasi intimorito da tanta maestosità, all’ Altare. Osservando il soffitto a cassettoni ( decorato con un drago e una fenice dorata ) mi domando come abbiamo potuto realizzare tutto questo secoli addietro. Se l’ esterno è, per usare un terminre caro al mondo cinese, armonioso, l’ interno mi rapisce lo sguardo. Fantasticare è la mia professione, ad occhi aperti. La fantasia vola ad un mondo lontano di secoli, quando l’ imperatore solcava questa scalinata fino al Tempio, a chiedere favori al Cielo. Le immagini scorrono davanti a me, come se fossero reali e non immaginarie, come se l’ imperatore fosse un amico di vecchia data. Ma solo il tempo è reale, quello ahimè non s’ inganna. Passeggio felicemente attorno al Tempio, scattando fotografie ad ogni passo. Riprendo la passeggiata, altre emozioni m’ aspettano, altri magnifici edifici devo scoprire. Anche se, devo ammetterlo, abbandonare il luogo, nascondere alla mia vista questa visione, non è semplice. Mi volto, mentre continuo a camminare, a dare un ultimo saluto, un ultimo sguardo. E cosi, per molte volte, quasi a voler restare con la mente e con gli occhi rivolti al Tempio. Passeggio tra la folla lungo il ponte Danli, fino a giungere alla porta Chengzhen, oltre la quale, nel verde della natura, trovano spazio alcuni chioschi. Ma il tempo non m’ aseptta e velocemente guadagno l’ entrata della Volta Celeste Imperiale. Purtroppo sono giunto in ritardo, e la visita non è più permessa. Le due guardie, forse perchè occidentale, mi permettono di entrare solamente per scattare alcune fotografie. Peccato, perchè nel Tempio sono conservate le tavolette degli antenati dell’ imperatore, che venivano esposte durante la cerimonia del solstizio d’ inverno. Il Tempio è a forma ottagonale ed è stato costruito nello stesso periodo dell’ altare Circolare, ma riprende nella struttura le linee del più antico Tempio della Preghiera per un Buon Raccolto. Siccome l’ orario di chiusura s’ avvicina, m’ avvio velocemente all’ Altare Circolare, che presenta una struttura simile ai vari templi del parco, ovvero un edificio a forma circolare che poggia su una base quadrata, in consonanza alla teoria Tianyuan Difang, dove ‘ il cielo è rotondo, la terra è quadrata’. L’ altare Circolare è stato eretto nel 1530 e ricostruito nel 140, ed è costituito da una base quadrata di marmo bianco sulla quale poggiano, l’ una sull’ altra, tre piattaforme circolari. Elemento centrale nella progettazione dell’ altare è la ricorrenza del numero nove, associato al potere imperiale: nella numerologia cinese, infatti, i dispari sono legati alla sfera divina e il nove è il maggiore dei numeri dispari a una sola cifra. La terrazza superiore, simbolo del Cielo, si presenta come un gigantesco mosaico costituito da nove anelli concentrici che circondano una lastra centrale e sono formati ciascuno da un numero di lastre di pietra multiplo di nove, di modo che il primo anello è composto da nove lastre e il nono anello da 81. Anche la disposizione degli scalini e dei pilastri della balaustra rispetta in modo analogo la ricorrenza del numero nove. Il sole lentamente guadagna l’ orrizzonte lasciando intravedere gli ultimi bagliori di luce. Le persone velocemente scivolano all’ uscita, regalando un inatteso silenzio al luogo. La pace regna ormai sovrana, con me vi sono solamente altre tre donne ad affollare l’ Altare. Qualche fotografia e poi il guardiano, con il suo inseparabile megafono urla, neanche ve ne fosse il caso, di sbrigarci, è ora di andare. Ultima fotografia, e chiudo io stesso il parco. Sono stanchissimo, ho camminato per chilometri sotto un sole afoso e a tratti insopportabile. Raggiungo la stazione della metropolitana dopo aver attraversato l’ intero parco. Sono esausto, m’ assale la tentazione di sdraiarmi nell’ erba e restare ore a riposare. Ma devo continuare, il tempo scivola via velocemente ed ancora tanto, tantissimo ho da vedere ed ammirare. Avevo in mente di raggiungere il quartiere olimpico, ma siccome la macchina fotografica m’ ha abbandonato ( l’ ultima fotografia, per grazia ricevuta, è stata all’ Altare ) decido di cambiare i miei piani. Via metro raggiungo il quartiere a nord della Torre della Campana, dove nel pomeriggio avevo notato diversi ristorantini ( se cosi si posson chiamare… ) tipicamente locali. Passeggio lungo la strada osservando le varie bettole, nella speranza di trovare un posto dove cenare tranquillamente. La strada è molto trafficata, il buio ha fatto sua la capitale mentre ero in metropolitana. La scelta cade su di un piccolo self service, al momento affollato da poche persone. Un locale semplice, apparentemente pulito, ma questo poco importa. Ho fame, molta fame, è la mia più grande preoccupazione è al momento mangiare, tutto il resto non conta. Sono un poco allarmato: riuscirò anche questa volta a farmi capire? Non esiste un menù, la persone entrano e sanno già cosa ordinare. Ma io, ovviamente, sono all’ oscuro di cosa si nasconde nei grandi pentoloni. Passeggio accanto ai tavolini osservando le pietanze nei piatti dei clienti, alla ricerca di qualcosa che possa ispirare la mia fame ( neanche ve ne fosse il caso…). Raggiungo il bancone dove una signora attende il mio ordine. Con la mano indico il piatto appoggiato sul tavolo di una coppia di ragazzi, ecco, quello voglio. Ma lei a sua volta, con sguardo dubbioso, m’ indica un punto ben preciso del locale: la cassa. Ah ecco, che stupido, devo prima far lo scontrino e poi andare al banco con esso dove lei si incaricherà di annullare la mia fame. Facile a dirsi, un poco meno a farsi. Una volta alla cassa, cosa dire? Domando nuovamente se hanno un menu, ma la giovane ragazza non comprende le mie parole. E quando capisce, il menu è solo a caratteri cinesi e senza immagini. Sono quasi disperato, non mi resta che tentare l’ ultima mossa. Raggiungo il tavolo dei due giovani domandandoli se possono accompagnarmi alla cassa dove, gentilmente, dovranno spiegare cosa io voglio. Ovvero, le stesse cose che hanno ordinato loro. Tutto questo, ovviamente, a gesti e con un poco di inglese, lingua a loro totalmente sconosciuta. Ma senza sapere come, riesco a farmi capire ed il giovane m’ accompagna alla cassa dove in pochi istanti vengo in possesso non solo della mia ricevuta, ma anche di una bellissima birra ghiacciata ( da 66cl ). Torno al bancone dove la stessa donna m’ aspetta. Pochi istanti, e posso finalmente mangiare! Ma cosa ho ordinato? Dunque, un piatto di ravioli al vapore, piatto tipico cinese, e poi una zuppa che al vedersi pare molto gustosa. I ravioli sono ottimi, ma la zuppa è insapore, eppure pare che la maggior parte dei cinesi ne vada pazza. Con poco, neanche due euro, mangio e bevo divinamente, scacciando via quel diavolaccio di una fame. Il difficile, oltre a farmi capire, è stato mangiare con le bacchette… Organizzo la mia serata in questo modo: torno in camera a ricaricare le batterie mie e della macchina fotografica e poi esco nuovamente per la città. Con la metropolitana raggiungo piazza Tienanmen e da qui, lentamente, mi trascino fino all’ ostello. Sono semidistrutto, ma non vinto, dalla stanchezza. M’ appisolo un’ oretta, ma la sola idea d’ alzarmi dal letto vien messa da parte. Ma il tempo corre via, velocemente, senza aspettarmi. Raccolgo le ultime forze rimaste, poche a dire il vero, ed esco nuovamente nel buio della notte. La città è viva come non mai, ogni giorno sembra a festa lungo Meishi Jie. E tutto uno scintillare di luci, di bancarelle, di venditori ambulanti. L’ aria è impregnata dal profumo delle spezie, della carne cotta alla brace, dei dolci appena sfornati. Passeggio senza meta, lasciandomi guidare dalle sensazioni del momento. Sono inebriato da quest’ ambiente, ma torno alla realtà non appena una bicicletta passa con le sue ruote sul mio piede destro. Pochi centimetri più in la e saremmo capitolati entrambi a terra, chissà in quali condizioni. Meglio prestare molta più attenzione, queste biciclette sfrecciano ovunque e a folli velocità. Pazzi! Arrivo a Qianmen Dajie, la strada pedonale che si dilunga da piazza Tienanmen verso la Porta Anteriore per oltre settecento metri. Possiamo definirlo il salottino buono della città, frequentatissimo non appena la città viene avvolta dal buio. Arrivo fino alla Porta da dove s’ apre la vista su piazza Tienanmen, tristemente vuota. Per quale motivo blindare la piazza impendendo alle persone di passeggiare nella più totale tranquillità? Domande senza risposta. Lungo la strada che porta all’ ostello sono rapito dal profumo che s’ innalza dalle numerose bancarelle di cibo. Non posso resistere, è più forte di me. Ignorando di quale tipo di carne si tratta, faccio mio uno spiedino che vien cotto al momento sulla brace. Qual bontà! Una carne tenera, saporita, speziata. Un qualcosa di fantastico! La mia serata si conclude al McDonald a sorseggiare un buon te caldo, e quando s’ avvicina la mezzanotte, ritorno in camera a scrivere il mio inseparabile diario. Alla mezza, non appena mi distendo sul letto, cado in un profondo sonno. E la prima giornata in terra di Cina, può finalmente dirsi andata. Alla grande!
Venerdì 13 agosto
La sveglia suona molto presto, ma rimando ad alzarmi. Sono ancora stanchissimo; il fuso orario, la lunga camminata del giorno precedente, hanno ridotto al minimo le mie forze. Verso le nove e mezza sono pronto ad uscire per le vie della città. Raggiungo velocemente il Terminal degli autobus in fronte alla Porta Anteriore nella speranza di cogliere al volo un mezzo diretto alla Grande Muraglia. Raggiungerla con i mezzi pubblici non è cosa semplice, bisogna indovinare l’ autobus giusto per il primo tratto di strada e poi cambiare mezzo ( chissà dove ) per arrivare a Badaling o Mutinyau. Insomma, il rischio di sbagliare e finire spersi nella campagna cinese è molto elevato, ma non importa. Voglio fare da me, senza appoggiarmi ai soliti viaggi organizzati che ‘scippano’ soldi e tempo. La maggior parte degli ostelli organizza escursioni ( appoggiandosi ad agenzie locali), dalla Grande Muraglia cinese alle Tombe Ming, dal quartiere olimpico fino al Palazzo d’ Estate. E’ mia ferma intenzione visitare la Grande Muraglia e le Tombe Ming in una sola giornata, mentre la maggior parte delle gite fuoriporta comprende o una o l’ altra attrazione. E motivo secondo per cui non voglio affidarmi a queste escursioni, è data dal fatto che il tempo passato sulla Grande Muraglia è solitamente poco, molto poco. Un paio di ore e si torna, dopo aver perso tempo in qualche mega centro vendite a cui solitamente i turisti sono sottoposti. Io voglio passeggiare sulla Muraglia per ore, camminare laddove la folla non ha voglia e tempo per farlo, essere solo a scalare la mole di gradini per godere di quello spettacolo che viene offerto gratuitamente dalla natura.
Raggiungo quindi la fermata dei bus ma ad una prima ricerca, nessuno di questi mezzi è diretto a Badaling o Mutinyau. Provo a domandare, a spiegare dove io voglia andare, ma inutilmente. Nessuno comprende, nessuno capisce le mie reali intenzioni. La barriera linguistica è in alcuni casi una montagna insuperabile, ed io non posso far nulla, sono con le mani legate. Passeggio avanti e indietro lunga la banchina dove sostano gli autobus, fin quando scorgo una giovane ragazza ‘non occhi a mandorla’. M’ avvicino e la vedo osservare le insegne e pubblicità con aria confusa. E’ la biglietteria per i tour organizzati e gestiti dall’ ente statale cinese. S’ avvicina e mi domanda se anch’ io, come lei, sono diretto alla Grande Muraglia. Bene, siamo in due a non aver la più pallida idea di come raggiungere il sito. Abbandono pian piano l’ idea di organizzare per conto mio la gita alla Muraglia, e a malincuore, m’ affido all’ agenzia specializzata. Non vedo altre possibilità davanti a me, corro il serio rischio di cercare per ore un autobus diretto a Badaling, senza la sicurezza poi di trovarlo. E un giorno perso vuol dire un giorno in meno per visitare questa città immensa. Per una cifra tutt’ altro che esigua ho con me il biglietto per la visita combinata alla Grande Muraglia e le Tombe Ming, pranzo incluso. Siedo sulla panchina circondato da altre persone, in attesa che sopraggiunga l’autobus. Pochi minuti ed ecco arrivare il mezzo che trasporterà la mia anima alla Muraglia. La nostra guida, non appena scorge me e la giovane ragazza occidentale, senza farsi tanti problemi, permette noi di saltare la lunga fila ( evitando cosi di farci attendere l’auto bus seguente ). Seduto comodamente, aspetto la partenza che avviene pochi istanti dopo. Durante il viaggio rimango incollato al finestrino, ad osservare questo mondo che scorre magicamente dal mio finestrino. Dire quanto è grande Pechino è impresa difficile. Grattacieli, catapecchie, insegne luminose, biciclette, persone. Pechino è affascinante, moderna e avveniristica, confusionaria e senza regole. Dormicchio un poco non appena imbocchiamo l’ autostrada, la stanchezza è ancora molta. Neanche un’ ora di viaggio e l’ autobus arresta la sua corsa nel grande piazzale antistante la Tomba di epoca Ming Il cimitero imperiale copre un’area di 120 chilometri quadrati e vi sono le tombe di 13 imperatori della dinastia Ming (insieme a 23 imperatrici e ad alcune concubine, principi e principesse), quindi questo luogo viene anche chiamato I 13 mausolei. Purtroppo per noi la visita si concentra unicamente alla Tomba di Ding Ling, tralasciando la Via Sacra, su entrambi i lati della quale sono collocate un totale di 36 sculture in pietra. Delle 18 paia di sculture, 24 sono animali in pietra e 12 figure umane, la Tomba di Chang Ling, a mio avviso molto interessanti. La giornata non è delle migliori ( anche se a Pechino il tempo era bellissimo), il cielo cupo e grigio mette tristezza al mio animo.
Avanziamo dapprima in un grande spazio all’ aperto dove vi sono un paio di musei e i soliti negozietti di cianfrusaglie per turisti. Seguiamo la nostra guida in mezzo alla natura da dove s’ apre alla vista una grotta dalle non ben chiare finalità. Siccome il giovane parla unicamente in cinese, io e la ragazza non comprendiamo assolutamente nulla delle sue parole, restando all’ oscuro della storia di questo posto, anedotti, curiosità ( con me ho solo la mia inseparabile LP ). Finalmente arriviamo alla tomba dell’imperatore Wanli, l’unica ad essere stata scavata nei sotterranei di un palazzo dal tempo della fondazione della Repubblica Popolare di Cina. I lavori per riportarla alla luce iniziarono nel 1956 la terza per grandezza fra le tombe Ming, il cui restauro fu completato nel 1957. Due anni dopo vi fu insediato un museo. Lo scavo ha rivelato una tomba intatta, con migliaia di oggetti di seta, materiali tessili, di legno e di porcellana appartenuti all’imperatore Wanli, all’imperatrice Xiaoduan e alla concubina Xiaojing. La mancanza di tecnologia e di risorse per tutelare i reperti dello scavo si è rivelata di ostacolo al progetto di recupero tanto che la grande quantità di seta e di altri tessuti è stata a lungo accantonata in un ripostiglio esposto all’acqua e al vento. La maggior parte dei manufatti è rimasta tanto deteriorata da costringere il museo ad esporre delle copie. Scendiamo le diverse rampe di scale che portano alla sepoltura dell’Imperatore fino a giungere all’ ipogeo, e dopo aver attraversato una serie di gigantesche porte in marmo ( che sigillavano la camera sepolcrale ) siamo nel cuore della Tomba di Ding Ling. Una serie di volte sotterranee comunicanti conserva la tomba dell’Imperatore e la sua enorme bara rossa con altre due più piccole vicine. L’ aria è pesante, siamo a parecchi metri sotto il suolo. Osservo da vicino le tante casse di lacca rossa che contenevano stoviglie, suppellettili, preziosi e vestiti. Si può ammirare il grande trono in marmo dell’Imperatore e quelli delle due Imperatrici (che in questo caso sono morte prima dell’Imperatore) tutti con un grande vaso di ceramica blu di fronte, che conteneva grasso per alimentare una fiamma permanente. Migliaia di banconote e monete sommergono i troni, a dimostrazione di quanto il popolo cinese guarda con profondo rispetto al suo passato millenario ( a differenza del vecchio Timoniere, che lo detestava…). Ritorno in superfice, facendo attenzione a non restare indietro. Osservo sempre che vi sia qualcuno del mio gruppo nelle vicinanze, onde evitare di veder partire l’ autobus senza di me. Ritorno all’ area di sosta senza però intravedere il nostro mezzo. Sarà già partito? Nel grande e sconfinato piazzale solamente io e la mia povera ombra. Nessuno del mio gruppo ancora è arrivato (o forse son già tutti partiti…). Attendo immobile come un albero, con l’ ansia che lentamente mi divora. Ma fortuna vuole che dopo neanche una decina di minuti al freddo ( ebbene si, fa freddo… ) sopraggiunge oltre alla nostra guida, anche gli altri componenti del gruppo che pian piano va ricomponendosi. La visita è stata interessante, ma lo sarebbe stata ancor più se solo il tempo a nostra disposizione fosse stato maggiore. La Via Sacra, il parco, le altre Tombe Ming… invece dobbiamo ripartire, il tempo stringe. Ecco perchè avrei voluto organizzare il viaggio da me, senza vincoli, senza obblighi di vedere e fare. Ripartiamo e dopo una decina di minuti di viaggio arriviamo al ristorante dove pranzeremo, una grande costruzione nel bel mezzo del nulla. Nel parcheggio sono in sosta diversi autobus e tutt’ attorno a noi, silenzio. Iniziamo con la visita al negozio di giada, e siccome ho la massima libertà di movimento, pochi istanti e guadagno l’ uscita. Raggiungo il ristorante, al piano superiore dell’ edificio. E’ una grande stanza, capace di contenere centinaia di persone. Le tavole, rotonde, accolgono una decina di clienti ciascuna. M’ accomodo alla prima tavolata che mi capita a tiro, siedo e attendo. Alla tavolata siedono persone del mio gruppo di viaggio, cosa assai gradita. Le cameriere sono donnone rozze che, dotate del loro inseparabile megafono ( probabilmente è il regalo statale per ogni nascituro ), gridano a squarciagola. Ma cosa mai avranno da gridare dentro un ristorante? Di fare attenzione che la minestra scotta? Corrono senza mai fermarsi, cambiano le tovaglie, se cosi si posson chiamare, portano i piatti ai tavoli e poi via, sparire chissà dove. Poggiano sul tavolo diversi vassoi con cibo non ben identificato, ma pazienza, quando la fame chiama, non mi pongo problemi. Riso bianco, un pesce enorme (ammazza quante spine!), carne (carne?) simile al kit e kat per gatti e altre cose di cui ignoro nome, provenienza e ingredienti. Mangio, sono qui per questo, no? Noto la povera ragazza francese servirsi di solo riso in bianco… La mia presenza ( e quella della giovane d’ Oltrape) non passa di certo inosservata ed infatti sono molte le persone che senza farsi notare, alcune, mentre altre apertamente e senza troppi problemi, m’osservano e scrutano il mio viso, il mio comportamento. L’ uomo che mi è seduto accanto, notando la mia non poca difficoltà a mangiare servendomi delle bacchette, chiama a gran voce la cameriera che pochi istanti dopo giunge al tavolo con un bel cucchiaio ( di quelli che usano per mangiare i brodini ). Apprezzo moltissimo, un piccolo gesto ma di grande gentilezza, per di più senza che io domandassi nulla. Questa è solo una delle moltissime volte che la popolazione, incuriosite dalla mia persona, s’ offre liberamente d’ aiutarmi ancor prima che io ne vada alla ricerca. I cinei sono anime buone, buonissime, semplici e sempre pronte a dare un aiuto al prossimo, spontaneamente. Metto a tacere la fame ed insieme alle altre persone della tavolata, raggiungiamo l’autobus. Pochi minuti e ripartiamo con destinazione Grande Muraglia. Il tempo non è dei migliori, il cielo cupo fa presagire in me brutti pensieri. Il nostro mezzo, ad una velocità di crociera non superiore ai 30 all’ ora, procede in autostrada inerpicandosi sulle pendici della montagna. Io, vinto dalla stanchezza, mi lascio andare ad una breve pennichella. Il tempo va peggiorando, il cielo sempre più cupo mi fa capire che difficilmente potrò godere di una bella giornata alla Muraglia. Mezzoretta di strada ed arriviamo nel complesso di Badaling, tra superstrade, parcheggi vastissimi, piccoli negozietti ed una ferrovia ( ma dove porterà? ). Lungo la stradina che porta alla biglietteria, migliaia di persone. Il nostro autobus sosta nel piazzale ai piedi della montagna: da qui inizia la scoperta alla Grande Muraglia cinese ( anche se avevo avuto modo di scoprirne già alcuni tratti lungo il tragitto ). Una volta sceso dall’ autobus non ho ben chiaro cosa fare e dove andare. La guida mi fa cenno di proseguire in direzione della montagna, base di partenza. Non posso far altro che seguire il gruppone di occhi a mandorla! Pochi metri e davanti a noi una biglietteria. Biglietteria di che? Quando avevo comprato il biglietto per questa escursione, mi era stato detto che era tutto compreso, dal viaggio al pranzo all’ entrata delle varie attrazioni, Tombe Ming e la Grande Muraglia. Quindi, il biglietto, perchè si ha da fare? Mentre tra me e me penso a tutto questo, alzando gli occhi al cielo, capisco. Per giungere alla Grande Muraglia, le soluzioni possibili son due: la prima, farsi a piedi la miriade di gradini che separano il piazzale dall’ entrata vera e propria; la seconda, servirsi della comoda teleferica. Dubbi esistenziali: se fosse per me, scarterei la seconda opzione benchè comoda e veloce, optando per le migliaia di gradini e fatica. Ma il tempo non m’ aspetta e abbiamo libertà per sole due ore e mezza. A malincuore, devo acquistare il biglietto della teleferica e raggiungere, insieme ad altre decine di persone, l’ ingresso ad essa. M’ avvio lungo la salita e poi, quando intravedo la coda che si snoda a serpente, m’ arrabbio ( con me stesso, sia chiaro ). Uomini, donne e bambini, sono in attesa paziente. Duecento metri di persone davanti a me. Cosa fare? Tornare indietro, e conquistare la Muraglia scalando le ripide scale? E se non facessi in tempo per godermi questa meraviglia? Aspettare diligentemente in coda? Purtroppo non vedo altra soluzione che restare qui, nella speranza di essere inghiottito velocemente dalla teleferica. Utopia, vera utopia. Il serpente di persone avanza lentissimamente, non riesco neppure a scorgere l’ ingresso. Le lancette dell’ orologio scorrono via velocemente, il tempo è quello che è ( nuvoloso ) e quest’ attesa non aiutano di certo a migliorare il mio morale. Paziento per più di mezz’ ora e poi, per grazia ricevuta, posso prender posto nella cabina che in pochi minuti mi trasborda alla vetta della montagna dove s’ apre alla mia vista la costruzione più grande ed incredibile che io abbia mai visto: la Muraglia Cinese. Il tempo fa letteralmente pena, avverto il freddo, la nebbia impedisce la vista sulla Muraglia che si snoda lungo il crinale della collina, per chilometri. E poi, mio dio, quanta gente! Una fiumana di persone che spingono, urlano e gridano…un marasma allucinante. Le sensazioni che m’ avvolgono nell’ avere davanti ai miei occhi l’ opera più incredibile che l’ uomo sia stato in grado di costruire…sono rovinate dalla folla da stadio che qui bivacca. La voglia di camminare lungo la Grande Muraglia per chilometri, liberandomi del fardello di queste persone, è un puro sogno. Allontanarmi dalla folla, passeggiare lentamente avvolto dal silenzio, dai miei pensieri, dal quadro magico che essa è in grado d’ offrire, è impresa purtroppo non possibile. Delle due ore e mezza di libertà ‘vigilata’, mi rimane poco più di un’ ora e venti minuti. Ora, se per l’ ascesa la coda era quella che era, a scendere…presuppongo sia la stessa identica cosa. E perdere l’ autobus, restando disperso nelle montagne di Badaling, per di più con questo tempo, è un’ idea che non mi alletta poi cosi tanto. Per una volta nella mia vita evito l’ avventura, il rischio, restando nei margini della rigida organizzazione del viaggio. Una palla incredibile, insomma. Metto da parte rabbia, delusione, tristezza, cercando di godere al massimo di questi istanti. Badaling è il tratto più visitato della Grande muraglia cinese, e si trova a circa 80 chilometri a nordovest di Pechino. La porzione del muro che corre all’interno dell’area fu edificata durante la Dinastia Ming, assieme ad un avamposto militare, a dimostrazione dell’importanza strategica della zona. La porzione della muraglia di Badaling ha subito pesanti restauri e, nel 1957, è stato il primo tratto ad essere aperto ai visitatori. Ed è proprio per questo motivo anche la meno consigliata da visitare. Certo, è dal punto di vista architettonico, il tratto più bello e spettacolare, ma anche il più confusionario, e se non si dispone di molto tempo a disposizione ( come per il sottoscritto ), viverla appieno, immergersi nella quiete dei secoli, passeggiare avvolti dal silenzio…è impresa immaginaria. Per questo motivo avrei voluto visitare Mutinyau, usufruire dei mezzi pubblici e decidere da me quanto e come restarci. Ma pazienza, è andata cosi e già son ben felice di solcare con le mie grandi scarpe la nuda pietra della Grande Muraglia Cinese. Affrontiamo la ripidissima scalinata con non poche difficoltà, fino a giungere alla Torre da dove si gode ( o meglio, si potrebbe godere ) di una superba vista sulla natura sconfinata. La nebbia, ahimè, impedisce la vista di quella fantastica immagine della Muraglia che si snoda sul crinale della montagna come un lungo, interminabile serpente. Incontro la giovane francese appartenente al mio stesso gruppo che, chissà per quale motivo, s’ attacca come una sanguisuga. Guarda sempre l’ orologio, presa dalla paura di veder partire l’ autobus senza di lei. Che angoscia! Me ne frego della sua presenza e raggiungo l’altra torre ma noto con la coda dell’occhio la giovane seguirmi. Ma perchè? D’ accordo che sono l’ unico europeo da queste parti, però… La giornata è in parte rovinata da questo tempo uggioso, dalla nebbia che impedisce di ammirare uno dei panorami più belli che una persona possa contemplare. E per di più il tempo stringe, negandomi la possibilità di camminare, avvolto dal silenzio, in quel tratto di Muraglia dove i turisti non s’ avventurano. La prassi comune è arrivare a Badaling, solcare per qualche centinaio di metri la nuda pietra e poi tornare all’ autobus. Ma questo, a mio avviso, non è ‘vivere’ la Muraglia Cinese, questo è un semplice poter dire ‘io ci sono stato’. Tutto lì. Cosa che al sottoscritto poco importa. Io voglio godermela, voglio ‘viverla’, lasciarmi prendere dalla magia di questa costruzione incredibile, estasiare la mia vista da panorami fantastici. E invece, tutto questo, mi è impossibile. Quanta tristezza. La giovane ragazza continua a seguirmi, come un cagnolino, senza che io ne sia il suo padrone. Il tempo vola senza che io me ne accorga, e quando mancano tre quarti d’ ora all’ appuntamento con la nostra guida, decido ( anche su insistenza della giovane: che barba che noia… ) a tornare indietro a riprendere la teleferica. Altra coda, questa volta molto più snella e veloce rispetto all’ andata ( ma comunque sia, mezz’ ora ad aspettare non è poi cosi poco… ). Arriviamo all’ autobus per primi ( mannaggia a lei! ) anche se dopo pochi istanti sopraggiungono tutti gli altri componenti ‘occhi a mandorla’. In meno di venti minuti dal nostro sopraggiungere, ripartiamo in direzione della capitale. Lungo il tragitto mi lascio andare ad un dolce riposo, anche se di tanto in tanto i miei occhietti s’ aprono per gustare la capitale in tutti i suoi aspetti. Dal mio grande finestrino scorrono immagini cosi diverse e contrastanti tra di loro, tipico di questo paese che rilugge alla democrazia ma non disdegna, anzi tutt’ altro, il Dio denaro.
Non appena arriviamo a Pechino, dopo aver liquidato velocemente la francese, dirigo il mio passo alla fermata della metropolitana Qianmen. Dopo una ventina di minuti di viaggio e numerosi cambi di linea, arrivo finalmente al Parco Olimpico. Bello? Di più… Quando fuoriesco all’ aria aperta della città, il buio s’ è ormai impossessato della capitale. Una piacevole passeggiata si dilunga nel Parco Olimpico, dove hanno sede dieci delle sedici basi olimpiche previste. Vi sono moltissime persone che passeggiano tranquillamente, giovani coppie, famiglie con pargoli al seguito… ma essendo un luogo vastissimo, non s’ avverte quella confusione snervante come in altre parti della città. Pochi minuti di passo e la mia vista è ammaliata dalle due costruzioni di maggior spicco, di maggior importanza e bellezza dell’ intero sito: lo stadio Olimpico ed il Centro Acquatico Nazionale. Splendidamente illuminati, attirano gli sguardi incuriositi delle persone, dei bambini e soprattutto del sottoscritto. Fantastici. Alla mia sinistra, il Water Cube, che ha ospitato le gare di nuoto, tuffi e nuoto sincronizzato durante i Giochi Olimpici 2008 a Pechino. Ha una capienza di 17.000 posti a sedere (6.000 permanenti e 11.000 provvisori per le Olimpiadi) ed oggi è un centro sportivo multifunzionale, per il divertimento e il fitness. E’ qui che il nuotatore americano Michael Phelps vinse otto medaglie alle Olimpiadi di Pechino 2008. Come dire, la storia dello sport è passata da queste parti… Mi sbizzarrisco in mille fotografie, i miei occhi sembrano non voler distogliere lo sguardo da questa memorabilia del XX secolo, colorata, particolare, unica. Ma quando, voltandomi, scorgo lo Stadio Nazionale..bhè… Nel mondo occidentale si pensa, stupidamente, che i cinesi siano fermi al loro passato, a Mao e al comunismo, al riso e al fiume Giallo, quando invece sono proiettati come non mai al futuro, alla tecnologia. Più di quanto lo siamo noi europei. E’ un paese dai mille contrasti, dove una parte è ancorata al passato più remoto, mentre l’ altra proiettata sempre più velocemente ad un futuro avveniristico. Un passato intrigante, favoloso, ricco di gloria ed un futuro avvolgente. Un mix che può sconvolgere la mente, impreparata. Ricordo ancor oggi le Olimpiadi di Pechino del 2008. Le immagini corrono davanti ai miei occhi, quello stadio dalle forme strane, particolari. Il Nido d’ Uccello ( Bird’s Nest : chiamato cosi per le sue forme ) ospitò la cerimonia di apertura, gli eventi sportivi, la finale di calcio e la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Pechino, che si tennero dall’8 al 24 agosto 2008. Fu anche la sede delle Paralimpiadi di Pechino del 2008 e delle cerimonie dal 6 al 17 settembre 2008 Si tratta della più grande struttura in acciaio al mondo e lo stadio più complesso che sia mai stato costruito. Il suo design doveva essere sbalorditivo e in grado di resistere ad un terremoto. Quindi la “leggerezza” è stata combinata con la forza di 110 000 tonnellate di una nuova qualità di acciaio. Insomma, la Cina non si è tirata indietro di fronte a questa sfida impegnativa, ha messo in gioco se stessa, ed è stata in grado, seppur con grandi sforzi economici, di sbalordire il mondo. Ed io, come il mondo, sono sbalordito da queste immagini, da questa visione. Mentre l’ osservo, immobile come una mummia in mezzo alla passeggiata, si attiva l’illuminazione che dona quel tocco di magico a quest’ ambiente. Semplicemente, splendido. Passeggio lungo il viale olimpico osservando tutto e tutti. Bambini felici inseguire gli aquiloni che paiono perdersi nel cielo, innamorati mano nella mano camminare silenziosamente, anziani contemplare increduli queste costruzioni avveniristiche. Un freddo venticello raggela la mia pelle accaldata, mentre velocemente raggiungo la torcia olimpica. Sorge a poca distanza dallo stadio Nazionale, anche se in posizione decentrata rispetto alla passeggiata olimpica. Sembra un grande spillo in cemento e pare avvolto da una coperta d’ acciao grigia e rossa. Insolita, ma per nulla banale. Continuo a passeggiare fin a giungere ad un campetto da calcio adiacente il fiume, e poi tornare al viale pedonale. Dalla torcia olimpica s’ innalza un muro dove sono riportati i nomi di tutti gli sportivi che sono saliti sul podio durante l’ Olimpiade e la Paraolimpiade 2008. Un muro lungo una ventina di metri, dove sportivi illustri e meno illustri sono fianco a fianco. Vado alla ricerca dei miei connazionali, scovando tra le migliaia di nomi e cognomi quello dell’ odiosa Pellegrini a quello della simpatica Vezzali. Ritornato sulla via principale, mi dilungo fino alla Torre delle Olimpiadi, illuminata da scintillanti luci colorate. E’ possibile, immagino, salire in cima grazie agli ascensori panoramici. Ma non sono allettato da questa possibilità, a mio avviso il panorama dalla sommità della torre non è cosi bello come si possa pensare. Rimango impalato per minuti ad osservare l’ alternarsi delle luci colorate, molto da luna park. Poco distante dalla torre è stato allestito un grandissimo tendone. La mia curiosità sale ai massimi livelli quando vedo giovani entrarvi. Cosa sarà mai celato al suo interno? Sarà possibile entrare? L’ unico modo per scoprirlo, è tentare l’ ingresso. Non appena varco le porte…che sia benvoluto il cielo. Sono stati allestiti dei piccoli chioschi, posti uno fianco all’ altro, dove ciascuno è specializzato nella cucina di una regione in particolare della Cina. Siccome ancora non ho cenato, è per me una sorpresa assai gradita. Vago tra uno stand e l’ altro alla ricerca di qualche prelibatezza, qualche specialità particolare da assaporare. E’ presente ogni sorta di cibo e pietanza, anche se nella maggior parte dei casi non capisco di cosa si tratta. Prima di aver tra le mani il piatto di cibo, devo andare alla cassa a fare lo scontrino. In cambio di pochi euro mi viene consegnata una tessera magnetica che dovrò esibire ogniqualvolta desidero acquistare qualcosa ( in modo tale che il prezzo verrà scalato dal credito). Per le bevande si paga sul momento ed in contanti: pochi secondi e due birre ghiacciate sono nelle mie mani. Fatto mio il bere, non mi resta che andare con questa tessera al banco del cibo. Dapprima un bel piatto di polletti allo spiedo, che mangio o meglio divoro in pochi istanti. Che sia un polletto, un cane, un topo o un gatto, ha poca importanza: è davvero ottimo! Sono moltissimi i giovani che affollano il tendone, si respira aria di festa ed io sono l’ unico non asiatico. Attiro mille sguardi, ma ormai ci ho fatto l’ abitudine. Sarà anche perchè non mi contengo nel mangiare, dimentico le buone maniere destreggiandomi come un cacciatore sulla preda. Poichè la fame non è appagata, vado alla ricerca di qualcos’ altro da mangiare. Avanti e indietro, bancarella dopo bancarella, sono molto molto incerto. A parte lo stand dove vendono scorpioni, ragni grossi come la mia mano ( dio che schifo! ), vermi grandi piccoli e pelosi ed altre bontà…tutto il resto stimola il mio appetito. Mi decido soltanto quando noto le bancarelle, una dopo l’ altra, chiudere. Coro il serio rischio di non riuscire a mangiar più nulla se non mi sbrigo. Tergiverso a lungo sul cosa prendere, fin quando la mia scelta ricade su di un piatto di maccheroni. Oddio, non sono proprio macccheroni, ma mettiamola cosi.. E’ un qualcosa di gommoso, sembra di avere tra i denti plastica. Ma siccome la fame è molta ed in fondo non sono poi cosi schifosi… mangio quasi tutto. Il tendone va lentamente svuotandosi e dopo aver restituito la tessera magnetica in cambio del resto in denaro contante, m’ avvio all’ uscita. Il viale Olimpico è ormai semideserto, un’ aria gelida spira sul mio viso mentre a passi brevi raggiungo lo stadio Nazionale. Mi sbizzarrisco in mille fotografie, è una visione per me troppo bella. Magicamente, intorno alle ore dieci, le mille luci colorate vanno spegnendosi, e lo stadio nonchè il parco acquatico restano al buio. Un buio gelido, freddo. Siamo ormai poche anime a passeggiare lungo il viale olimpico. E’ ora di far ritorno, e m’ avvio alla metropolitana. Mille cambi di linea prima di giungere a piazza Tienanmen, vuota e triste come mille altre sere. Vado al McDonald per un buon te caldo ma, senza saperne il motivo, non ve n’è più. Finito. Patria del te, al McDonald è finito. Mah! Mi rifaccio una volta in ostello, sorseggiando il buon te caldo per completare degnamente la serata. Scrivo sul mio diario le sensazioni, i dettagli di questa lunga giornata e quando è mezzanotte posso finalmente appoggiare il mio viso sul cuscino. Sabato 18 agosto. Come ormai d’ abitudine la sveglia suona molto presto, e come sempre succede… rinvio ad alzarmi dal letto. I primi giorni in terra cinese sono stati molto intensi, ho camminato moltissimo e la sola notte non è sufficiente a riprendere le forze. Scendo per le vie della capitale quando le nove son passate da qualche minuto. Raggiungo piazza Tienanmen, o per lo meno questa è l’ intenzione. Ma sbaglio sottopasso e anzichè trovarmi a ridosso del Mausoleo di Mao, sono nella strada a fianco. La fortuna mi vien incontro poichè sorge, nei pressi, una biglietteria ferroviaria, un piccolissimo sgabuzzino superaffollato. Diligentemente in coda, mi domando se mai riuscirò a far capire le mie intenzioni. Ed infatti…l’ anziana signora, tutt’ altro che simpatica, con la mano mi fa cenno di sportarmi alla mia destra. Sono confuso, credo di dover attendere un’ altra persona ( magari un qualcuno che parla inglese ) allo sportello a fianco, al momento chiuso. Aspetto: uno, due, tre, cinque, dieci minuti. E poi, non vedendo sopraggiungere alcuno e mancandomi la voglia di intavolare una discussione dove nessuno-capisce-nessuno, me ne vado. Raggiungo piazza Tienanmen, ma l’ idea di visitare il mausoleo del grande timoniere svanisce in pochi istanti. La coda che si snoda dall’ entrata è senza fine, ed aspettare chissà quanto tempo sotto questo sole cocente è un’ idea che non m’ aggrada. Via metropolitana raggiungo la stazione ferroviaria di Pechino East, una bella costruzione a pochi chilometri dal cuore della città. Sul grande piazzale sono migliaia le persone che bivaccano, che aspettano, anche se cosa non è dato sapere. Aspettano, e basta. Sedute con il sedere a terra, mentre altre gridano a non si sa ben chi e perchè, altre hanno con se bagagli grandi come la mia automobile: tutti insieme appassionatamente, volemoce bene! In questo marasma generale cerco di capire dove sia celata l’ entrata, dove andare, cosa fare. E’ la prima volta che metto piede in questa terra, e nessuno può immaginare quanto sia difficile anche solo fare un biglietto ferroviario. A quanto pare non posso far ingresso all’ interno della stazione ferroviaria privo di biglietto. Poco distante vi è la biglietteria, affollatissima, ma in pochi secondi vien il mio turno. La signorina, non appena denota il mio essere turista, mi fa cenno ( anch’essa…) di rivolgermi in un punto non ben precisato alla mia destra. Alzo lo sguardo, ma davanti a me, il nulla. Delusione. Domando informazioni ad una giovane guardia che, molto gentilmente, m’ accompagna fin davanti alla biglietteria, quella principale, un grande sala con più di una trentina di sportelli. Osservo i pannelli luminosi, e scopro che solamente ad una di esse vi è personale che parla inglese. Felicità! Pochi istanti ed il biglietto per Pingyao è nelle mie mani! Quanto sono contento! Osservo questo piccolo pezzo di carta per diversi minuti, come quando si ha tra le mani un biglietto da 500 euro. Me lo coccolo tutto, anche se poi…anche se poi lo sguardo mi cade su di un particolare: no seat. Cosa vorrà dire, che non ho posto a sedere? Ma che importa, al momento non voglio preoccuparmi, il grosso del compito è stato portato a termine. Siccome la batteria della macchina fotografica è rimasta sul letto, mi vedo costretto a tornar in camera. Il che vuol dire, tra metropolitana e l’ andare e venire a piedi, una mezz’ ora di tempo buttato alle ortiche. Se non vivo costantemente con la testa tra le nuvole, non sarei quello che sono…. Giunto in ostello preparo i bagagli, il check out è fra poco ed io…ed io me ne ero dimenticato! Raggiungo ora il Palazzo d’ Estate, distante molti chilometri da piazza Tienanmen. Una ventina di minuti di metro e sono all’ aria aperta di questa giornata, non bellissima. Una leggera nebbiolina o foschia, o forse, una cappa di smog, s’ adagia sulla capitale Pechino. Un bel viale alberato conduce alla residenza estiva dell’ imperatore, lungo la quale sorgono diversi ristorantini e bettole. Siccome ancora non ho pranzato, una pausa è dovuta! Faccio mio un bel piatto di noodles ed un’ ottima birra gelata. Messa a tacere la fame, son pronto per andare alla scoperta di questo fantastico palazzo. L’ ingresso è posto sul lato est del parco. Come già detto, un tempo era la residenza estiva della corte imperiale, che si trasferiva per sfuggire all’ afa insopportabile della Città Proibita ( posso capirli…). Questo complesso è un insieme di templi, laghi, ponti, corridoi e porte turrite. Non sono il solo in questo immenso parco, ma pare la Cina intera sia qui. Migliaia di persone, migliaia di occhi a mandorla. Certo che se non fosse stata imposta la politica del figlio unico… Rimasto per molto tempo un semplice giardino imperiale, la tenuta fu ampliata e abbellita nel XVIII secolo dall’ imperatore Qianlong, che ingaggiò 100mila operai per rendere più esteso e profondo il lago Kunming. Si mormora che l’ imperatore controllasse i lavori da una piattaforma in cima alla collina… Durante la seconda guerra dell’ Oppio le truppe d’ occupazione anglo-francesi danneggiarono gli edifici, depredandone gli averi. Nel 1888 poi, l’imperatrice vedova Cixi, intraprese un’ opera di ricostruzione per la quale investì i fondi destinati alla marina militare. Ma la storia travagliata di questo palazzo non finisce certo qui e nel 1900, con l’ esplosione della rivolta dei Boxer, venne offerta la possibilità alle truppe occidentali l’ occasione per saccheggiare il Palazzo d’ Estate che venne semidistrutto. Venne restaurato, ma successivamente cadde in rovina con l’ avvento di Mao e della sua banda, nel 1949. Oltrepassate le porte d’ ingresso, la natura m’ avvolge. Passeggio in questo piccolo mondo armonioso fin a giungere al lago, dove milioni ( son sicuro che il 98% della popolazione cinese sia qui ) di persone passeggiano rumorosamente, rovinando la quiete del luogo. Non ho ben chiaro dove andare, passeggio senza meta all’ ombra delle grandi piante. Decido quindi di raggiungere il ponte a 17 archi, non molto distante. La giornata non è delle migliori, anzi. Sembra quasi sia calata sulla capitale la triste nebbia padana. Mentre cammino osservo le migliaia di piccole imbarcazioni che solcano le acque del lago. I pedalò sono affittati a pochi euro, e le giovani coppie nonchè, ovviamente, i bambini, ne vanno matti. I battelli salpano per l’ isola del Lago Meridionale, altri giungono. Arrivo fin al ponte a 17 archi, un’ elegante costruzione della lunghezza di 150 metri che collega la terra ferma all’ isola del Lago Meridionale. Immerso nei miei pensieri, vago nella vegetazione della piccola isola, un dedalo di sentieri al riparo dal sole. Qui, in tempo di siccità, l’ imperatrice Cixi si recava per visitare il Tempio del Re Drago a supplicare la statua di mandare la pioggia. La stanchezza mi suggerisce di usufruire del battello per raggiungere la sponda opposta e cosi, per pochi yuan, prendo posto sull’ imbarcazione che in pochi istanti salpa. Con il gentile permesso del capitano, siedo a prua, all’ aria aperta. Godo di un bellissimo panorama, anche se rovinato in parte dallo smog. Quali piacevoli sensazioni mentre, con il vento che s’ infrange sul mio viso, osservo le calme acque agitarsi all’ improvviso al passaggio del battello. Queste due giornate a Pechino m’ hanno visto andare di fretta, sempre di corsa. Ora, seduto ad osservare l’ infinito, mi godo la quiete, la pace, il silenzio. Pochi istanti, ma eterni.
…un sorriso. Vero, semplice, spontaneo. Ed è felicità…
Una bambina m’ osserva, curiosa. E’ simpatica, sorride, felice. Il suo sorriso mi contagia. L’imbarcazione attracca alla riva opposta proprio laddove sorge la famosa barca in marmo. Questa particolare ed incredibile opera misura 36 m, presenta una base marmorea e una struttura in legno. La Barca di Marmo venne edificata nel 1755 durante il periodo dell’imperatore Qianlong. La base della Barca, concepita come imbarcadero, era in marmo, mentre la sovrastruttura, che era un padiglione in legno di stile architettonico tradizionale cinese, venne incendiata dall’Alleanza Englo-francese nel 1860 e venne ricostruita nel 1893 con uno stile europeo dall’imperatrice Cixi, la quale fece aggiungere un altro piano in legno e fece sistemare delle grandi ruote in pietra sui due lati. Questa è stata l’ unica concessione dell’ imperatrice alla Marina Militare, i cui fondi vennero convogliati alla ricostruzione del Palazzo d’ Estate. L’ imbarcazione sorge a fianco di splendidi giardini, dove diversi ponti collegano le isolette l’ una all’ altra. Mentre mi diletto a scattare milioni di fotografie, inizia a piovere. Bene, solo la pioggia mancava! Trovo riparo nel corridoio lungo, il passaggio in legno che costeggia la riva settentrionale del lago per 728 metri. E’ splendidamente decorato da oltre 14mila dipinti. Qui, centinaia di cinesi riposano, giocano, ascoltano musica. Un luogo di ritrovo, al momento superaffollato per via della leggera pioggia che cade sulla città. Alle spalle del lungo corridoio, le pendici e la cima della Collina della Longevità, disseminata di Templi buddhisti tra i quali il Padiglione del Profumo Buddhista e il Tempio delle Nuvole Ordinate, collegati l’ un l’ altro da corridoi. La visita alla collina è a pagamento, è necessario acquistare un ulteriore biglietto per poter ammirare da più vicino questa incredibile serie di Templi. Per raggiungerne la vetta bisogna sorbirsi una serie infinita di ripidi scalini, che mettono a dura prova le mie residue forze. La pioggia smette di cadere con insistenza, solo qualche goccia rinfresca la mia pelle ormai sudata. In cima si erge lo splendido Tempio del Mare della Saggezza, rivestito da piastrelle smaltate verdi e gialle decorate con effigi del Buddha. Stanchissimo, per non dire esausto, siedo diversi istanti onde evitare il tracollo fisico. Il panorama che si gode dal Tempio spazia a 270° e se non fosse per questo maledetto smog, la vista su Pechino sarebbe splendida. Dedico una mezz’ oretta alla scoperta dei templi minori, tra cui l’ incredibile Padiglione di Bronzo del peso di 188 tonnellate, e poi la mia visita a Palazzo può dirsi conclusa. Torno al lungo corridoio, sempre affollatissimo, e m’ avvio all’ uscita. Mezz’ oretta di metropolitana e sono nuovamente in camera, nonostante il check out sia passato da più di cinque ore. Nessuno s’ accorgerà di certo se riposo un’ oretta… Intorno alle ore sei, preso possesso del mio pesante zaino, m’ avvio lungo Meishi Jie. Saluto Pechino, anche se, a dir la verità, è solo un arrivederci. Raggiungo la stazione ferroviaria di Pechino Ovest via metropolitana. Mi domando: perchè la stazione metro è a circa 500 metri dalla stazione stessa, per di più imboscata in una stradina in mezzo al traffico? La stazione ferroviaria di Pechino Ovest è un qualcosa di fantastico, per grandezza e maestosità. E’ immensa, un’ edificio di recente costruzione che domina il panorama della capitale a distanza di chilometri. Ammaliato da tale visione, rimango diversi minuti ad osservare, incredulo… La confusione che regna all’ ingresso, come da norma in questo paese, è pazzesca. Migliaia di persone che vanno e vengono, autobus, moto, biciclette, autovetture…sfrecciano senza prestare attenzione ai pedoni. Uomini e donne sdraiati a terra in attesa di chissà cosa, altri giocano e altri ancora si concedono un pic nic sull’ asfalto. La Cina è davvero un mondo incredibile, strano, e forse per questo motivo, affascinante. In questa confusione, scorgere l’ ingresso è come fare cinquina al lotto. Dieci minuti alla ricerca e poi, finalmente, eccomi nella sala principale della stazione, immensa. Una doppia scala mobile conduce alla banchina da dove i treni hanno partenza. Come fare a capire da quale binario avrà partenza il treno per Pingyao? Osservo attentamente il mio ticket, un minuscono fogliettino della grandezza di un biglietto da visita. A parte il nome della stazione di partenza e quella di arrivo ed un numero, il resto è a me incomprensibile. Io ed il mandarino non andiamo proprio d’ accrodo. Dunque, ragioniamo. All’ ingresso di ogni corridoio compare un tabellone luminoso con riportato sopra una serie infinita di numeri. Deduco che essi identificano il treno in partenza. Osservo nuovamente il mio biglietto ed il numero stampato su di esso. Ricerco questo numero sui vari pannelli luminosi e…bingo! Mai osservazione più giusta! Un gran sospiro di sollievo, il difficile è diventato ad un tratto semplice. Il mondo delle ferrovie cinesi è un mondo del tutto particolare, per non dire incredibile. In un primo momento sembra difficilissimo comprendere come funzioni l’ universo-ferrovia, invece è più semplice di quanto si possa immaginare. Il caos, le migliaia di persone, il mandarino…camuffano la semplicità su cui si basa questo sistema di trasporto, intuitivo e soprattutto preciso. Altro che ferrovie italiane. Inanzitutto, per poter accedere all’ interno della stazione bisogna essere in possesso di un biglietto ferroviario valido. Al pari del Marocco, Russia, Usbekistan…dappertutto tranne che nel nostro Paese. Acquistare il biglietto può risultare complicato visto le numerose opzioni cui una persona può optare. Posto a sedere, in piedi, sedile duro o morbido, cuccetta letto o semplicemente scompartimento notte. Insomma, prima di comprare un biglietto del treno, soprattuto se a lunga percorrenza, è necessario avere ben chiaro a cosa si va incontro. Una volta all’ interno della stazione ferroviaria, bisogna porre attenzione ai tabelloni luminosi posti all’ ingresso di ogni corridoio. Riportano una serie di numeri, ognuno dei quali identifica un convoglio. Il 345 va a Pingyao, il 641b a Shanghai, il 452d a Guilin. Se il numero stampato sul nostro piccolo biglietto coincide con quello sul tabellone, si può finalmente giungere alla sala d’ attesa. Ma la Cina è un mondo particolare, strano, unico. Vi è una sala d’ attesa ogni 4 treni in partenza. Quindi non una, ma bensì molte sale d’ attesa. Stanze grandissime, spoglie, dove centinaia e centiaia di persone bivaccano in attesa della partenza. Un quarto d’ ora prima che il treno abbia partenza, gli omini blu della stazione aprono la porta d’ accesso alla banchina dove è in attesa il convoglio. Che marasma, che confusione. Una ressa da paura, gente che spinge, che urla, persone con bagagli sulle spalle grandi quanto un’ automobile, giovani donne che allattano i loro pargoli e nel mentre spingono…se sopravvivo, sono un miracolato! Non appena giungo alla banchina, è ancor peggio. Le persone corrono disperatamente alla loro carrozza, chi a destra chi a sinistra. E spesso si scontrano, si urtano…la mia è fortunatamente vicina, e dopo che il mio biglietto viene controllato all’ addetto che gestisce e cura lo scompartimento, posso finalmente salire. Delirio. Si, un delirio. Perchè quando credi che il peggio sia passato…ti sbagli. Perchè è una guerra combattuta all’ utlimo sangue, pur di aver un posto a sedere. I bagagli dei cinesi sono maledettamente grandi, non meno di una Smart. Si portano da casa anche il frigorifero, senza dimenticare il televisore, ovviamente. A fatica avanzo in mezzo a questo campo minato, prestando attenzione a non uccidere nessuno e soprattuto a non vedermi cadere sulla testa un televisore, siccome i bagagli traballano sul portaoggetti. Lo scompartimento è al completo: se s’ intrufola una mosca, muore schiacciata per mancanza di spazio. Ma in questo marasma generale scorgo un posto a sedere, incredibilmente libero. Il biglietto in mio possesso riporta la dicitura ‘No seat’. Non riesco a capire se il primo che arriva prende il posto, che risulta non prenotato, oppure se il ‘no seat’ vuol veramente dire ‘in piedi’. Mostro il biglietto alle persone sedute che ovviamente non comprendono una parola di quello che sto domandando loro. E quindi, senza tanti proclami, mi prendo il posto. Mi osservano incuriositi, forse increduli nel vedere un occidentale viaggiare nella classe popolare, per di più con un biglietto da ‘povero’. La situazione è tragicomica, per non dire pazzesca. Sono obbligato a tenermi lo zaino sulle gambe, non essendoci più spazio nel portabagagli. Davanti a me un padre e la propria figlia, e al mio fianco, il figlio. Mi guardano, parlottano tra di loro, mi guardano nuovamente sorridendomi. D’ accordo, sono oggetto del loro riso, ma non me ne curo, a me basta arrivare a Pingyao sano e salvo, anche se in queste condizioni, nutro dubbi al proposito! Finalmente il treno si mette in moto, in perfetto orario ovviamente. Son più rilassato, ora finalmente potrò godere di un poco di quiete, chi ha il suo posto è felice, chi sta in piedi un poco meno. Invece sembra di essere nell’ area pedonale della mia città, dove la gente passeggia avanti e indietro senza apparente motivo. Le persone migrano da un convoglio all’ altro, chi per fumare, chi per fare sport, chi senza alcun motivo. Si tratta di una lotta disperata per giungere all’ altro capo della carrozza, scavalcando le persone sedute a terra, ‘volando’ sui portabagagli per superare più agilmente il mare di uomini e donne lungo il corridoio. Sono allibito, ma da una parte…ne rimango affascinato. Certo, affermo questo perchè la fortuna ha voluto che nessuno reclamasse il mio posto a sedere. Perchè se avessi dovuto passare la notte, dodici-ore-dodici, in piedi nel bel mezzo di questa ‘sporca guerra’, probabilmente sarei di diverso avviso. La fortuna, o molto più probabilmente, la paura d’ infastidire un turista seppur con ragione, fanno si che io trascorra il viaggio seduto, anche se… Lo spazio è quello che è, come detto nel sedile in fronte a me siedono un uomo con la figlia a cui spesso s’ aggiunge un’ altra persona. Sono più fortunato, oltre al ragazzo e al sottoscritto nessun altro reclama spazio. Già siamo strettini in due, figurasi in tre. Il mio pesante zaino è ora riposto a terra, tra le mie gambe. Il viaggio prosegue abbastanza bene, l’ uomo e la figlia mi osservano continuamente, ogni tanto scambiano qualche parola rivolgendo subito dopo lo sguardo verso di me. Un sorriso, e ripredono a spettegolare. Dopo una mezz’ oretta sopraggiunge un’ anziana signora, che a fatica avanza nel campo minato. Porta con sè una borsa, legata con dello spago. Ha la brillante idea di sedersi accanto a noi, siccome godiamo di ‘spazio da vendere’. Ma la cosa inconcepibile, è che siede tra le mie gambe e quelle dell’ uomo in fronte a me. Seduta, raggomitolata ai nostri piedi. Provo imbarazzo e grande pena a veder un’ anzian signora ( avrà avuto si e no un’ ottantina d’ anni ) in questa situazione, seduta a terra. Lei sembra non aver problemi, anzi, sembra addirittura felice d’ aver trovato posto. Mi sento ( ancor oggi ) un grandissimo str… a non averla fatta sedere, ma purtroppo la sola idea di restar 11 ore in piedi, mi porta a dimenticare del buon senso, di un briciolo di umanità e senso del dovere. Questa è una guerra all’ ultimo sangue, e non cederei il mio posto neanche per 1000euro. In poco tempo gli occupanti dello scompartimento diventano amici tra loro. Sconosciuti, ma amici. Tutti parlano con tutti, si scambiano i posti a sedere, il cibo, si prestano le coperte. Diventa tutto cosi famigliare, sembra una grande festa dove all’ inizio non si conosce nessuno, ma quando si esce si hanno mille amici. Bellissimo! Ovviamente, io sono l’ unico sfigato, il mio unico amico è lo zaino, non riesco a comunicare con nessuno, sono l’ unico che non conosce il mandarino. L’ anziana signora, raggomitolata ai miei piedi, inizia a discorrere con il padre di famiglia per poi volgersi a me domandandomi qualcosa. Mi avrà insultato siccome non le ho lasciato il posto a sedere? Non sembra, anche perchè sorride e poi, allegramente, mi da un colpettino alla gamba. Discorre nuovamente con l’ uomo e poi per la seconda volta si rivolge a me. Silenzio. Tutti mi guardano, sono sotto osservazione. Si aspettano una mia risposta. L’ anziana donna domanda qualcosa alla ragazza seduta accanto al padre, che sembra incoraggiarla a far qualcosa. Lei, timidissima, è riluttante. Sorride, mi guarda e abbassa il viso. La vedo prender una penna, un pezzo di carta e scrivere qualcosa, che poi mi porge. In un inglese semplice semplice, mi domanda di dove sono, da quale lontano mondo io provenga. Ora comprendo. Muiono tutti dalla curiosità di sapere qualcosa di me, hanno tra loro un forestiero che giunge chissà da quale mondo belle e fantastico ( magari… ), e vogliono sapere, conoscermi. Semplice curiosità. Iniziamo una breve conversazione scritta. Le porgo il foglio di carta con la risposta alla sua domanda, lei lo osserva e poi ad alta voce traduce in mandarino ai presenti la mia risposta. Non so se sono più sopresi loro od io. Mi piace come ambiente, tutto diventa incredibilmente famigliare, cosi vicino, sembriamo una grande famiglia. Altro che nutrire paura per la mia persona ed i miei bagagli. Non mi sono mai sentito cosi al sicuro, cosi protetto dagli sguardi di ignoti. Purtroppo l’ essere italiano non mi aiuta, nutriamo sospetti su chiunque e non passa istante che non pensiamo di essere derubati . Sono quasi le venti, il buio si è preso questo mondo, le persone mangiano cena: frutta, verdura, e soprattutto, noodles. Pranzo al sacco per alcuni, ma non per me. La mia cena sarà un panino, comprato velocemente in stazione. Non ho avuto tempo di pensare al cibo, preso com’ ero dalla paura di sbagliare treno, stazione. Dio che fame… Le ore passano velocemente, paiono minuti. Pian piano le persone accanto a me cadono in un profondo sonno, l’ uomo seduto in fronte, senza tanti complimenti, allunga i piedi scalzi sul mio sedile, tra le mie cosce. L’ anziana signora s’ appoggia alle mie gambe. Sono immobilizzato, trovare una posizione comoda è difficile in queste condizioni. Lentamente cala il silenzio nello scompartimento, osservo le persone in piedi appoggiarsi nella speranza di riposare un poco, vedo in un sedile 4 giovani ragazzi dormire, l’ uno appiccicato all’ altro ( sono per due persone ). Ogni due ore il ‘guardiano’ della carrozza passa a pulire lo scompartimento da cartacce varie, creando il caos. Il tempo scorre in questo modo, ed a brevi tratti riesco addirittura a prender sonno. Finalmente, alle sette in punto, arriviamo a Pingyao. Saluto le persone che m’ hanno accompagnato in questo lungo viaggio, che gentilmente mi hanno lasciato sedere accanto a loro, benchè non ne avessi il diritto.
Domenica 19 agosto
M’ avvio all’ uscita della stazione ferroviaria, già terribilmente affollata nonostante l’ ora. A prima vista, la città è messa davvero malino. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, nel lontano Medioevo. Rimango un poco impressionato, ma capisco che la Cina non è Pechino. Pingyao è una piccola città di campagna, se cosi possiam dire, dove il progresso s’ è fermato a secoli addietro. Raggiungo a piedi le mura della città, a poca distanza, ma quando si tratta di andare alla ricerca dell’ ostello…aiuto! Smarrisco la strada non ricordo quante volte, e ogni qualvolta penso d’ esser giunto a destinazione, vengo inesorabilmente smentito. La città entro le mura è un vero labirinto, un dedalo di viette e vicoletti dove smarrire la bussola è molto semplice, anche perchè il nome delle strade compare quasi mai. Si va alla cieca. Sono stanchissimo e consapevole che perdere altro tempo alla ricerca dell’ ostello con le mie sole forze è inutile. Arresto la corsa di un uomo in sella al suo carrettino a motore, che per la modica cifra di un euro s’ offre di portarmi a destinazione. Ovviamente accetto la proposta, ed entrambi felici e contenti ci avviamo a tutta velocità nei vicoletti più oscuri della cittadina. Ad un certo punto, senza apparente motivo, arresta questa carretta e dopo aver frugato nelle sue tasche, mostra sbiadite cartoline di ostelli ed hotel. Ringrazio, ma io ho già prenotato altrove e di tutta questa pubblicità gratuita non so che farmene. Ripartiamo e dopo aver imboccato una serie interminabile di vicoli, giungiamo al mio ostello. Che sia lodato il cielo! Purtroppo non posson consegnarmi le chiavi della camera, il check in è alle ore 14 ed ora son appena le otto del mattino. Ne approfitto per bivaccare comodamente sul divano nella sala comune, laddove faccio conoscenza di un ragazzo francese. E poi, m’ addormento. Dormicchio fin verso le ore undici, fino a quando la giovane ragazza dello staff m’ accompagna ( con tre ore d’ anticipo ) alla mia stanza ( le avrò fatto pena ). L’ ostello è bellissimo, un edificio dal sapore antico e millenario e, soprattutto, nel cuore della città. E’ una stanza spartana, semplice, ma soprattutto pulita. Ancora una mezz’ ora di riposo sul comodo letto e poi sono finalmente pronto ad andare alla scoperta di Pingyao! Inizio la passeggiata quando mezzogiorno è passato da poco. Lungo la stradina, a poca distanza dall’ ostello, sorgono alcune bettole e siccome la fame è molta, decido di soffermarmi in una di esse. Per pochi yuan, mi vien servito un piatto di polpette ( polpette? E di cosa? ) preparate sul momento dallo chef, anche se il suo abbigliamento lascia a pensare sia un meccanico ( forse lo è davvero…). Un’ ottima birra ad accompagnare il cibo e non appena terminato il pranzo, riparto per vicoli e vicoletti della città. Smarrisco la bussola, ma poco importa. Non me ne curo, non mi preoccupo. E’ cosi piacevole passeggiare in questa cittadina, in queste strade polverose, in questi vicoli silenziosi.. Pingyao è una città particolarissima, fantastica, ancorata gelosamente al suo passato millenario. E’ la città fortificata meglio conservata della Cina. Il sapore antico che si sprigiona dalla polvere delle stradine in terra battuta, m’ affascina sempre più. Questa è la Cina che animava i miei sogni, le mie fantasie. Lanterne rosse che non appena cala il buio illuminano le sagome del passato sulle imponenti mura, eleganti case a corte, antiche torri che s’ innalzano nel cielo del Nord ed una schiera di templi e vecchi edifici cadenti. La confusione dei mille calessi che si scontrano agli angoli delle vie, antiche botteghe, bambini sorridenti. E ancora, antichi mestieri, rappresentazioni storiche, tetti in tegole grigie simbolo di un rigido sistema gerarchico. Questa è Pingyao. Nell’antica città i complessi di edifici dei sei maggiori templi esistenti ed i negozi ai lati delle strade sono originali, le tegole di maiolica gialla e verde e gli edifici con tegole grigie sono simboli di classe sociale. Questi antichi edifici presentano l’aspetto originale delle zone urbane del periodo delle dinastie Ming e Qing. Cammino tra la folla, felice e spensierato. Fino a giungere, per caso, alla Torre cittadina, che s’ innalza nel cielo azzurrissimo. Pochi yuan ed è possibile salire in cima, alla terrazza panoramica. Ripidissimi gradini, affrontati con qualche difficoltà. La vista su Pingyao ed i suoi magnifici tetti è fantastica. Spettacolare. Tutte le case di abitazione sono cortili quadrati, realizzati con mattoni scuri e tegole grige. La caratteristica principale è che gli edifici mantengono la struttura delle case-grotte della Cina nord-occidentale, mentre dalle sculture su legno e mattone, dalle finestre intagliate e dalle carte ritagliate decorative traspira un’aria campagnola. La maggior parte delle oltre 4000 case di abitazione esistenti risale alle dinastie Ming e Qing, di cui oltre 400 perfettamente conservate, costituendo il complesso di abitazioni civili meglio conservato dell’area abitata dagli Han. All’ interno della torre è adagiata, nel piccolo santuario, la statua di un Guandi che sembra osservare le persone attraversare la strada. Cosi da anni, decenni, secoli. Ritorno alla confusione della strada, della vita reale, dei turisti. Vado alla ricerca del Museo Rishengchang, scovato solamente dopo un lungo peregrinare. Quando provo ad entrare, vengo fermato dal personale del museo. Il biglietto d’ ingresso lo si deve acquistare in altro posto in quanto la biglietteria non è qui presente. E dove devo andare? L’ uomo m’ indica con la mano un vicoletto poco distante. Sono sorpreso, molto sorpreso. Cammino per una decina di minuti, ma non intravedo nessuna biglietteria. Sto andando alla ricerca di un qualcosa che neanche io so bene cosa sia. Sto vagando nel nulla, e non amo perdere tempo. Mi risolvo a domandare informazioni alle persone del posto e finalmente una ragazza, con il suo ‘piccolo’ inglese, mi spiega che la biglietteria si trova al di fuori delle mura. Bene, raggiungo la Torre Sud, oltrepasso la cinta muraria. Osservo attentamente, ma oltre ad un parcheggio e qualche abitazione decrepita, null’ altro. Cammino avanti e indietro e poi, improvvisamente, ecco comparire alla mia vista la biglietteria. Si tratta di una stanzetta angusta, poco visibile e soprattutto mal segnalata. Per ammirare anche una sola delle attrazioni della città è necessario fare un biglietto cumulativo, il cui prezzo non è adeguato al costo della vita cinese, ma bensì a quello occidentale. Sono convinto vi siano due diversi tariffari, uno per cinesi, l’ altro per occidentali. Il sorriso compare sul mio volto e biglietto nelle mie mani, posso iniziare da subito la visita alle mura cittadine. Imponenti, maestose, ottimamente conservate. E’ possibile ( teoricamente ) percorrere tutti sei i chilometri delle mura che circondano la città. Le mura di Pingyao hanno una lunghezza di oltre 6000 metri e un’altezza di 12, a forma di tartaruga, con 6 porte: 2 sui lati sud e nord e 4 su quelli est e ovest. La porta sud è la testa della tartaruga, ed i due pozzi all’esterno della porta ne simboleggiano gli occhi. La porta nord è la coda della tartaruga, trovandosi nel punto più basso della città, in cui confluisce tutta l’acqua del suo interno. Nella cultura tradizionale cinese la tartaruga è un simbolo di longevità, e la forma delle mura dimostra il profondo significato della speranza degli antichi cinesi che la città di Pingyao, grazie alla forza magica della tartaruga, fosse stabile ed eterna come un monolito. La sola idea di passeggiare tranquillo e beato lungo le mura che avvolgono l’ antica Pingyao, mi entusiasma. Ma, amaramente, vengo a conoscere dell’ impossibilità di tale proposito dopo non appena una trentina di metri di passo. La camminata è interrota causa lavori in corso per la messa in sicurezza, sia in una direzione che nell’ altra. Osservo Pingyao dall’ alto delle mura per una mezz’ oretta. Da una parte la città antica, un passato glorioso, botteghe e tetti in tegole grige. Dall’ altra, oltre le mura, la città nuova, il verde della campagna che s’ alterna al grigiore dei palazzi operai d’ epoca comunista. Ritorno con i piedi a terra, facendo molta attenzione a non venir stirato dai calessi e dalla più moderne ( oddio, moderne…) moterette con carrozza. Vado ora alla scoperta delle stupende casa a corte, dapprima il Tempio Erlang, quindi la sede di una confraternita che praticava, in un lontano passato, le arti marziali, ed infine la già citata “Rishengchang”. Nel 1824 nacque a Pingyao la prima banca cinese, che cambiò in forma di rimessa il sistema tradizionale di pagamento. Di conseguenza le operazioni di Rishengchang si ampliarono in tutto il paese, espandendosi in Giappone, a Singapore e in Russia, il che le valse l’appellativo di “prima banca del mondo”. Con la sua promozione, le attività bancarie di Pingyao si svilupparono rapidamente, con circa 22 banche nel periodo più prospero, la metà del totale nazionale, facendo della città il centro finanziario della Cina. Oggi la strada più meramente ‘occidentale’ dell’antica città di Pingyao corrisponde alla strada finanziaria di un secolo fa, ricca ora di negozi che fanno ottimi affari. E’ qui la sede della “Rishengchang”, l’antesignana delle moderne banche cinesi. Dalla bassa e semplice facciata, questo cortile appartato fu invece un tempo il centro di un’enorme rete finanziaria con una copertura interna ed internazionale. Gli oggetti in mostra sono moltissimi, da antichi libretti bancari alla ricostruzione delle varie camere. Purtroppo la spiegazione al tutto è unicamente in mandarino, il che m’ impedisce di comprendere appieno cosa ho di fronte a me. La pace che mi avvolge in questi ambienti, in queste case a corte, è inspiegabile. La confusione, il rumore, il fracasso, qui perdono di valore, di significato. E’ un altro mondo, non appena si varca la porta d’ ingresso si viene catapultati in un oasi di piacere, di verde, di cortili bellissimi, di silenzio, di passaggi segreti. Un rifugio dal mondo esterno, che sembra lontano anni luce. Ma io, purtroppo, devo tornare alla realtà della vita, il tempo scorre via senza aspettarmi. Passeggio mischiandomi alla folla, osservo le cianfrusaglie esposte dalle botteghe, quando ad un tratto una dolce melodia conquista la scena. E’ in atto una rappresentazione teatrale preceduta da una sfilata di ragazze in abiti tradizionali. Dall’ alto della Torre, tre attori ricoprono le vesti di personalità del passato, tra le risate della folla sottostante. Osservo questa scenetta senza però capire un cavolo, nella speranza di un qualche colpo di scena, che però non arriva. Riprendo a camminare fino a giungere alle mura occidentali. Siccome il tratto delle antica mura precedentemente visitato era aperto solo in minima parte, voglio ora godermi la passeggiata lungo il tratto occidentale, a forma di testa di tartaruga. Il giovane controllore è inflessibile, e mi nega l’ ingresso. -Hai già visitato le mura, quindi il pass per questa attrazione è scaduto. Brevemente spiego la situazione, che il tratto di mura da me visitate erano solo in parte aperte al pubblico. Il giovane, nel suo buon inglese, mi spiega che anche questo tratto è in via di miglioramente e messa in sicurezza. Con pace all’ anima mia, costeggio le mura dall’ interno della città. Il silenzioso vicoletto, dopo neanche un centinaio di metri, è interrotto da una montagnola di terra. Tornare indietro? Non se ne parla neanche! M’ intrufolo nei cortiletti della abitazioni, nel verde dei piccoli orticelli, ma man mano che procedo l’ instabilità del terreno mi sconsiglia di proseguire. Sicuramente troverò posti migliori, meglio evitare sortite pericolose… Giunto nuovamente lungo la stradina, due donne in sella alla loro bicicletta ( due turiste…) mi domandano se vi è una strada alternativa a questa, interrotta. Rispondendo negativamente, una di loro m’ offre gentilmente un passaggio fino alla porta occidentale, che rifiuto cortesemente. M’ avvio alla strada principale per poi tuffarmi nel silenzio di una vietta seminascosta, poco trafficata e lontano dalla confusione. Una stradina dal sapore antico, reale, dove i turisti non s’ avventurano. Osservo lo svolgersi della vita di tutti i giorni delle persone che ivi risiedono, la vera Pingyao, lontana anni luce dai negozietti per turisti e dalle locande ‘CocaCola’. Come sempre accade, soprattutto in questo dedalo di vicoli dove è inutile munirsi di mappa, giungo per caso al Tempio di Confucio. Fortuna vuole che non sia preso d’ assalto da turisti chiaccheroni essendo ubicato in una posizione decentrata rispetto al centro città e soprattutto, non facilmente raggiungibile. All’ interno si trova l’ edificio più antico di Pingyao, il Tempio Dàchéng, risalente al 1163. Il Tempio di Confucio è un grande complesso in cui gli aspiranti burocrati venivano a sostenere gli esami imperiali. Poche persone oltre a me godono della pace all’ ombra delle grandi piante, immersi nel silenzio e nei fumi dell’ incenso. Incuriosito, osservo le migliaia di nastri rossi con inciso scritte ben auguranti appesi ai rami dei grandi alberi. La mia vista, ahimè, cade anche su di un ragno ( soffro di aracnofobia…) grande come la mia scarpa…Quando fuoriesco dalle mura dell’ antico Tempio cado nella confusione più totale. Solo per puro caso, grazie alla fortuna, m’ imbatto nel muro dei nove draghi, simile per aspetto a quello della Città Proibita di Pechino. Qualche fotografia e poi, dando libertà alle mie sensazioni, passeggio senza meta nei vicoli polverosi e nascosti, fino a giungere alla chiesa cattolica. Mai avrei immaginato una chiesetta nel bel mezzo di questo paesino. Ed invece compare davanti a me la statua candida della Vergine Maria. Faccio ingresso nel piccolo giardino ( piuttosto mal messo ) dove tre persone sono ai piedi di Nostra Signora. Due uomini e una donna, cinesi, spinti forse dalla curiosità di questa costruzione, assai diversa dai canoni tipicamente cinesi, e da questa religione che, ne sono convinto, conoscono poco o nulla. L’ interno della chiesetta è molto semplice, ma ora mi è tutto cosi famigliare…mi sembra d’ esser a casa, in un luogo sicuro anche se sperso a migliaia di chilometri dalla mia cittadina. E’ una piacevole scoperta, una casa per noi cristiani nel bel mezzo della Pingyao del passato. Felice di come procede la giornata, di queste scoperte, di questa cittadina bellissima che sa regalarmi mille emozioni gratuite, m’ avvio all’ ostello a sistemare i bagagli. Dopo una necessaria doccia scambio quattro chiacchere con il ragazzo francese conosciuto alla mattina e poi sono nuovamente per le stradine della città, felice di perdermi mille volte in questi vicoli apparentemente simili ma tutti tremendamente diversi. Il sole scende lentamente all’ orrizzonte, la luce della giornata tende a spegnersi lasciando spazio al buio della sera. Vado alla ricerca di un posto ove cenare e la mia scelta ricade su di una bettola poco distante dalla chiesa cattolica. La fame è moltissima, ma quando la donna mi serve un piatto di noodles freddi…tristezza. Mangio ugualmente, anche perchè son assai buoni. Avrei preferito un qualcosa di caldo, ma quando ho provato ad ordinare un piatto di ravioli bollenti…ahimè, la donna mi guardava dubbiosa quasi come se le avessi domandato del caviale e tartufo. Siccome la bettola è anche una bettola da asporto, ordino anche un paio di spiedini cotti alla brace sul momento. Devo essere onesto: sono fantastici, e forse è riduttivo. Mentre sorseggio la mia birretta, osservo i figli della donna litigare scherzosamente tra di loro per ottenere il cibo, una lotta a chi riesce ad avere più spiedini rispetto ai fratelli. E poi, felici, dileguarsi non appena consideravano soddisfacenti le porzioni. Seduto in mezzo ad un oasi di pace, il buio fa sua Pingyao. Magicamente, come in un libro di fiabe, le mille lanterne rosse s’ accendono ad illuminare questa notte stellata. La magia di questa cittadina consiste nel saper regalare all’ animo delle persone un’ incredibile serenità. Non appena cala il buio, la quiete ed il silenzio diventano padroni dei viottoli, questo profumo di antico, di un passato secolare, aleggiano nell’ aria donando all’ atmosfera quel sapore magico. Ammaliato da questo incredibile sogno, che non è altro che pura realtà, riprendo il cammino lasciando che la passeggiata si perda nel dedalo di viette sconosciute, intrise di storia. Giungo dopo un lungo peregrinare alle mura, dove risplende magicamente illuminata la bellissima Torre Nord. Dilungo la passeggiata fuori le mura, laddove una fioca luce illumina le torri d’ osservazione, 76 lungo tutto il perimetro! E’ uno spettacolo magico, fantastico, e non posso trattenermi dal passare oltre mezz’ ora a fotografe questo angolo di Pingyao cosi entusiasmante. Mi posiziono nel giardino che circonda le mura, anche se al momento è tutt’ un cantiere. Oltrepasso vari divieti d’ accesso, non posso certo rinunciare alla possibilità d’ immortalare nell’ infinito dei miei pensieri tale spettacolo. Scatto decine di fotografie, senza sosta. Il flash della macchina fotografica attira la curiosità di una famigliola di cinesi, padre madre e figlioli al seguito. Oltrepassano anch’ essi i vari divieti e s’ avvicinano increduli. Mi borbottano qualcosa di cui ignoro il significato ed osservano me e la mia compatta come se fossi Marty McFly appena sbarcato dal futuro. Se l’ antica città risplende di mille luci, mille lanterne rosse, fuori le mura il buio è più totale e l’ illuminazione pubblica quasi del tutto inesistente. Sembra di essere tornati indietro nei primi anni dell’ 900. Quando cala il buio, la vita della città, o meglio, paesello, s’ arresta in attesa del nuovo giorno. Rientro nelle mura e dopo essermi perso nuovamente altre mille volte, m’ avvio verso l’ ostello. Le botteghe lungo la strada sono moltissime, alcune bettole sono davvero impresentabili ( ma il cibo è migliore di molti altri locali riccamente arredati ), i negozietti di cianfrusaglie per turisti poco affollati. Prima di tornare in camera mi soffermo ancora una mezz’ oretta in un locale sul tipo McDonald dove sorseggio un buon te caldo e, penna alla mano, scrivo il mio inseparabile diario di viaggio. Giunto in ostello, scambio ancora due parole con il ragazzo francese e poi, siccome il sonno tarda a venire, siedo nella sala comune ad osservare la vita scorrere dalla grande finestra. Dopo varie peripezie con la batteria della mia compatta ( non vuole sapere di ricaricarsi! ) scatto ancora decine di fotografie alla Pingyao che lentamente si va svuotando della sua anima più confusionaria, più caotica. Senza che io domandi nulla, un giovane ragazzo si sofferma a spiegarmi come fare al meglio la fotografia notturna. E poi, cosi come è arrivato, velocemente svanisce nel buio della notte. Sono il solo a passeggiare in queste stradine ormai deserte, dove le lanterne rosse portano la mia fantasia a volare in paradisi lontani, a fantasticare un mondo migliore, semplice…proprio come questo. Alla mezza, posso finalmente andare a dormire dopo una giornata lunghissima. Stanco, ma felice come poche altre volte
Lunedì 20 agosto
Ho trascorso la notte in bianco. Colpa di un cinese che durante il sonno parlava come se fosse ad un comizio. Mi sveglio di soprassalto, in un primo momento non comprendo la situazione: qualcuno ha parlato, ma oltre al cinese che ronfa, nessun altro. Menomale, era solamente un sogno. Ed invece no, eccolo nuovamente discorrere, e poi smettere, e poi riprendere. Sono inquieto, l’ ansia mi divora: proprio un personaggio del genere doveva capitarmi in stanza? Rimando la sveglia più volte e solamente alle dieci e un quarto mi decido a scendere dal letto. Vado alla reception, dove m’ accoglie una giovane ragazza. Ho bisogno di un biglietto ferroviario che mi possa portare il giorno seguente alle pendici del Tai Shan. Sono fortunato, si occuperanno loro della pratica. Passerò nel tardo pomeriggio a ritirarli e a saldare il conto. Bene, sono molto più tranquillo ora. A fianco dell’ ostello sorge un piccolo Tempio e siccome il biglietto cumulativo ne permette la visita, faccio il mio ingresso. E’ in corso una rappresentazione di vita passata a cui assistono moltissime persone, ma siccome reputo il tutto poco interessante ( non capisco un becco di quello che dicono ) proseguo la visita fino a giungere, dopo varie stanze, passaggi angusti e piccoli templi, ad un bellissimo giardino verde dove numerose persone riposano all’ ombra delle grandi piante. Un piccolo laghetto rende il giardino unico ed eccezionale, molto romantico. Salgo ora in vetta alla piccola torre posta accanto all’ ingresso ( inglobata nel Tempio ) e poi, terminata la visita, raggiungo la Torre nord. Mi soffermo però prima per, alcuni istanti, al fast food cinese per fare colazione. Non appeno faccio ingresso vedo una giovane correre disperatamente al bancone per servirmi, presa dalla paura di farsi soffiare il posto dalle altre due aiutanti. Tutta felice di aver davanti a se un occidentale, vedo il suo sorriso scomparire dal volto non appena ordino il dolce. – Non l’ abbiamo -, mi risponde intristita. – Nessun problema, un buon te caldo allora – La vedo tutta contenta andare avanti e indietro, e servirmi la grande tazza con un sorriso che si vorrebbe vedere sul volto di tutte le persone di questo mondo. E’ mia ferma intenzione costeggiare le mura esterne per ammirarne appieno la loro bellezza, siccome la passeggiata è al momento in restauro. Questa lunga camminata inizia dal versante nord, dove è in fase di costruzione un bellissimo giardino verde, e poi, dopo aver svoltato all’ angolo nord est, lungo una stradina polverosa, stretta e mal ridotta dove biciclette, autovetture e motorini, tutti rigorosamente anteguerra, sfrecciano a tutta velocità. Non esiste alcun marciapiede e mi trovo a passeggiare fianco fianco alle auto in corsa. Non è di certo la parte delle mura più turistica, anzi tutt’ altro, ma forse la più affascinante. La vita fuori le mura è quella reale, di tutti i giorni. La confusione è la norma, il caos, il traffico sono all’ ordine del giorno. Descrivere la situazione a parole è difficile. Motorini in formato famiglia, con due, tre ed anche quattro persone, tutte rigorosamente senza casco ( a che serve? ), sorpassano a destra e sinistra. Il codice della strada sembra non esistere, ma bensì la legge del più forte: il primo che arriva, passa. Lungo la stradina di campagna, che ora ha ritrovato il marciapiede, sorgono alcune piccole ed anguste costruzioni dove all’ interno s’ aprono negozietti d’ epoca e di cianfrusaglie, tristemente vuoti. Sono l’ unica anima a passeggiare sul lunghissimo marciapiede, sotto questo sole caldissimo. E non passo di certo inosservato, ovviamente. Sono molte le persone che sui loro motorini voltano lo sguardo ad osservare questo strano essere ( io… ) per decine di metri…provare a guardare avanti no? Sono ora ora all’ angolo sud-ovest. Continuo a passeggiare fin quando mi è impossibile proseguire poichè la strada che affianca il tratto di mura non è altro che un sentiero boscoso. Mi sorgono dubbi al riguardo, ma sono altresi’ convinto che questa stradina da qualche dovrà pur portare, no? Oltrepasso la Torre Kuixing, padiglione dal disegno stravante e con base ottagonale, che s’ innalza sui bastioni e deve il suo nome a una stella delle 28 costelllazioni dello zodiaco cinese. Dopo un centinaio di metri a passeggiare solo in mezzo al boschetto, con la strada ridotta ad un pantano, decido di tornare sulla stradina asfaltata e proseguire in quella direzione. Preferisco evitar problemi, meglio andare sul ( quasi ) sicuro. La strada porta infatti ad una grande arteria, trafficatissima, dove le auto sfrecciano a pazza velocità, incuranti dei pedoni. Le strisce pedonali non hanno motivo di esistere, a che servono? Osservo l’ incrocio esser preso d’ assalto da ogni sorta di mezzo, dal calesse al motorino, dai grandi camion alle autovetture, nonchè da biciclette e pedoni. Brividi. Non esistono regole, se non una: chi arriva per primo, ha diritto di passare. Ma se due autovetture giungono nello stesso momento…Si, ora ne sono convinto. In questo paese, per poter guidare, non è necessaria una patente. Basta disporre di un mezzo a motore. Pronti e via, fino al primo incidente. Pazzi! Dopo un lungo camminare arrivo finalmente alla testa ‘ della tartaruga ‘. Davanti a me la grande area verde piuttosto desolata e poco oltre la Torre Sud. Sono stanchissimo, questo sole bollente ha decimanto le mie forze. La sera precedente, nella piccola piazzetta al di fuori le mura, si era svolto un festival musicale seguito da un centinaio di persone nonchè da una postazione televisiva. Al di sotto della Torre Sud si trovano ancora le antiche lastre in pietra che portano i segni lasciati nei secoli dalle ruote dei carri che ivi transitavano. E’ incredibile, chissà quanti anni, quanti secoli e quanti carri sono transitati sotto questa porta millenaria… All’ interno delle mura s’ apre alla vista una bella e curata piazza. Domando ad un uomo nei pressi di scattarmi una fotografia, ma inizialmente non capisce che lo schermo lcd riproduce quello che l’ obbiettivo ha davanti a se. Una volta compreso da che parte girare questa insolita ‘scatoletta’ in metallo, non capisce che per scattare la fotografia deve schiacciare un pulsante…perbacco, ne sono certo: è la prima volta che vede una macchina fotografica. Tento ancora una volta la scalata alle mura, ed anche in questa occasione l’ addetto ai controlli mi vieta l’ ingresso. Mi spiega che ho già usufruito di questa possibilità e che comunque anche questo tratto di mura è aperto solo in minima parte. Mi riposo per brevi istanti all’ ombra delle mura dell’ antica Torre e poi raggiungo il fast food, l’ unico tra l’ altro in città, per un veloce pranzo. Un panino e bibita e poi, velocemente, riprendo il cammino. La partenza s’ avvicina e ancora non ho con me le cartoline per le mie amate nipotine. Anche se il negozio è assai distante e camminare sotto questo sole cocente non è una buona idea, non posso rinunciare di scrivere loro. Portato a compimento la missione, posso finalmente riposare una mezz’ oretta sul mio lettino, non prima però di aver messo ordine all’ immenso zaino. Quindi, quando sono quasi le ore tre, vado alla reception dove ho appuntamento con il giovane francese. Ritiro il biglietto ferroviario, che non è uno ma bens’ tre ( e qui sorgono i primi dubbi…devo cambiare convoglio tre volte? Riuscirò nell’ impresa? ) ma quando si tratta di riavere il denaro versato in cauzione.. apriti cielo. La ragazza fa finta di non capire, sbuffa, sembra cadere dalle nuvole. Le mostro la ricevuta che attesta il versamento. Va a cercare in altra stanza e dopo una decina di minuti ad attendere, m’ innervosisco. Spiego che ho particolarmente fretta, che il mio treno è in partenza. A questo punto sopraggiunge un’ altra giovane che notando il mio disappunto ( sono convinto vogliano intascarsi la cauzione. Spiccioli, per carità, ma ciò che mi da fastidio è l’ essere raggirato ) mi consegna la banconota a saldare il dovuto. Spero davvero sia tutto organizzato, perchè sarei dispiaciuto se la giovane venisse redarguita per aver perso il danaro. Ad attenderci fuori dall’ ostello un triciclo a motore, chiamato su nostra richiesta dalla giovane. Questa motorino con seggiola posteriore procede a tutta velocità, circa 20km/h, per i vicoli e vicoletti polverosi della Pingyao magica. Un film bellissimo scorre davanti a me, scene di vita quotidiana, angoli nascosti, sorrisi. Sono dispiaciuto di lasciare la splendida cittadina dove il tempo sembra essersi fermato. Ma ancora molto, moltissimo ho da vedere, da ammirare, da amare. La città fuori le mura mostra tutta la povertà cui è intrisa questa Cina, paese dalle mille contraddizioni. La stazione ferroviaria di Pingyao è molto affollata e noi siamo al momento in netto anticipo rispetto l’ ora di partenza. Il francese deve aspettare addirittura quasi quattro ore, e mi domando per quale motivo sia voluto venir con me. Forse per non restare solo, forse per paura di perdersi o chissà per quale altro motivo.. Discorriamo una mezz’ oretta è quando il convoglio sta per giungere in stazione, lo saluto e m’ avvio alla banchina. Mi domando: come fanno gli addetti ai lavori conoscere in anticipo dove s’ arresta esattamente il convoglio? Io ho posto ( Seat, finalmente! ) a sedere sulla carrozza numero undici, e l’ uomo m’ indica un punto dieci metri più avanti. Questione di abitudine o tutto programmato fin nei minimi dettagli? Il treno sopraggiunge in perfetto orario ( alla faccia di Trenitalia… ) e arresta la sua corsa con davanti a me la carrozza numero undici. Il viaggio da Pingyao a Jinan è abbastanza tranquillo, e dopo un’ ora e quaranta siamo a destinazione. Siccome devo aspettare non poco prima che il convoglio riparta alla volta di Tayan, esco dalla stazione e vado alla ricerca di un posto ove mettere a tacere la mia fame. La città è un casino pazzesco. Migliaia di persone e automobli, cantieri ovunque, grattacieli svettare nel cielo inquinato. Un delirio. Scorgo in lontananza il KFC e dopo aver attraversato la strada ( un miracolo non essere stato stirato ) posso finalmente andare a mangiare qualcosetta. Jinan non ha nulla da regalare agli occhi del turista, è una città confusionaria e caotica dove i turisti non s’ avventurano. A parte il sottoscritto, ovviamente. Ma ne sono obbligato, è una tappa fondamentale per giungere al Tai Shan. Ritorno al piazzale della stazione dove migliaia di occhi a mandorla aspettano: già, ma cosa? Per rientrare in stazione devo sorbirmi la solita coda chilometrica. Raggiungo l’ immensa sala da dove si accede alla banchina, dove al momento sono stipate più di mille persone. Un casino allucinante, gente che mangia, gente sdraiata a terra, bambini che piangono o nel migliore dei casi, urlano…mammamia che confusione! Il tempo trascorre velocemente e dopo un paio di spintoni ( mi adeguo al modo di fare del posto ) posso finalmente prendere posto in carrozza, decisamente meno affollata rispetto ai precedenti viaggi, nonostante questa sia una ‘hard seat’. Il treno parte, come di norma, in perfetto orario. Dopo un paio di ore ha inizio il mio calvario. Un caldo insopportabile, sul sedile siamo in tre quando dovrebbe esserci spazio per non più d’ una persona, massimo due. Il ragazzo più giovane seduto accanto, m’ inquieta. La solita paura, stupidamente occidentale, nel voler vedere male anche laddove non ve n’è presenza. Sono stanchissimo, vorrei chiudere gli occhi, ma riposare è impossibile. Oltretutto, come capire quando il convoglio fermerà alla stazione di Taian? Mostro il biglietto ai presenti, nella speranza comprendano quello che cerco di far intendere loro. Ed infatti quando stiamo per giungere in città, il ragazzo che tanto m’ inquietava mi sveglia con due colpetti ad avvertirmi che sono quasi a destinazione. Mi sento stupido ad aver dubitato di lui, ma purtroppo… La stazione di Taian è al momento deserta, come è normale che sia: sono le 4 e 40 di notte, silenzio e il buio della notte avvolgono la città. Vado alla biglietteria ( aperta nonostante l’ ora ) per capire da quale binario avrà partenza il treno per il TaiShan. La giovane ragazza, assonnata, non parla inglese e di conseguenza capirsi risulta difficile. Mi sorge qualche dubbio, ma voglio scacciare la paura che lentamente mi prende. Devo, in qualsiasi modo, arrivare al TaiShan domattina. Qualche minuto di confusione, paura, e dopo aver domandato informazioni ad altre persone, capisco. Il treno per il TaiShan non parte da qui, da questa stazione. Terrore. Come fare perbacco? Esco dalla stazione ferroviaria e sul grande piazzale vedo sostare diversi taxi e minibus. Non ho molto tempo a disposizione, e affido la mia sorte al primo avvoltoio che mi viene incontro. Niente contrattazioni, sono disposto a pagare anche venti euro pur di giungere in tempo. Mostro il biglietto del treno all’ uomo per farli capire dove sono diretto. Salgo sul minibus al cui interno vi sono sei sette persone che mi osservano incuriosite. ‘Buonasera, sono ET ed ho smarrito la bicicletta, cosi vado alla stazione ferroviaria’. Partiamo a gran velocità nella città quasi deserta. Osservo dal finestrino lo skyline di Jinan, un susseguirsi di palazzi da 30-40 piani in costruzione. Uno, due, dieci, cinquanta. Sono incredulo, pare quasi la città si prepari ad accogliere milioni di nuovi abitanti. Il boom edilizio è impressionante in questa Cina, in ogni città, ogni paesello, costruiscono palazzi e grattacieli, a decine, uno accanto all’ altro. Il tempo vola via velocemente e la paura di perdere la coincidenza aumenta con il passare dei minuti. Come se non bastasse, la corrente elettrica salta improvvisamente e l’ intera città rimane al buio. Bel presagio… Fortunatamente i semafori funzionano, anche se inutili: il nostro autista sembra essere daltonico, rosse verde o arancione che sia, passa a tutta velocità senza minimamente rallentare. Giungo in stazione che ancora il treno ‘riposa’ sul binario, e appena siedo sui comodi sedili vengo a sapere che vi è un ritardo di almeno mezz’ ora. Bene, salta la corrente elettrica nell’ intera Jinan, il treno ritarda di mezz’ ora ( cosa incredibile in questo paese )…cosa mi devo ancora aspettare? Neanche 50 minuti di viaggio e sono finalmente nella cittadina dove s’ innalza al cielo il Tai Shan.
Martedì 21 agosto
Giungo in città intorno alle ore sei della mattina, quando i primi bagliori dell’ alba illuminano Tài’an. Nonostante l’ ora, la città sembra sveglia già da molte ore. Scorgo in lontananza il KFC dove faccio provvista di cibo e bevande utili per la giornata. Noto una ragazza, con evidente problema mentale, aggirarsi sospetta per il locale ed in un momento di mia disattenzione s’ impossessa della LP appoggiata sul tavolo. Ma non ha intenzioni cattive, è solo un po fuori di testa. Pochi secondi e la ripone sul tavolo, riprendendo a passeggiare nel locale gesticolando animatamente. Il tempo, purtroppo, non è dei migliori. Il cielo è cupo e grigio. Spero vivamente che la giornata vada migliorando con il passare delle ore, ma con la fortuna che mi ritrovo… dubito. Nei pressi della stazione ferroviaria vi è la fermata dell’ autobus numero 3 che termina la sua corsa proprio in fronte all’ inizio del percorso centrale ( del TaiShan ). Impiego una ventina di minuti prima di capire da dove parta questo dannato autobus. Alcune persone mi dicono un posto, altre un’ altro, altre non capiscono…insomma, perdo tempo prezioso quando la fermata non è distante, ma a capire quale sia, se da una parte o dall’ altra della strada… Quando prendo posto sull’ autobus diretto al Tai Shan, inizia a piovere. Qual sconforto m’ assale; cerco di non dare importanza a questo brutto tempo anche se devo ammetterlo, la tristezza è molta.
…verso le nuvole, verso il cielo, gradino dopo gradino…
Come posso procedere alla scalata della montagna se piove a dirotto? Arrivato nei pressi della Porta Celeste, cerco di ogranizzarmi al meglio. M’ appresto a conquistare la vetta in condizioni non facili: porto appresso il pesante zaino ( 9 kg di peso ), la borsa a tracolla ( 1 kg ) con la guida e macchina fotografica e per di più la pioggia cade insistente. Non posso in nessun caso permettere allo zaino di bagnarsi perchè sarebbe un disastro. Cerco di sistemarmi al meglio, provo a coprire con il kway sia la mia povera anima infreddolita ma anche il mio grande zaino. Sembro un grande Supertele cosi vestito e, preso coraggio, m’ avvio all’ ingresso del percorso centrale. Se pochi istanti prima il morale navigava in acque assai basse, ora lentamente compare il sorriso sul mio volto. Non è di certo la pioggia a fermare la mia voglia, la mia speranza, la mia vita. Sono alle pendici del Tai Shan, che per molti mesi ha animato la mia fantasia. Salire lassù nel cielo, circondato dalle nuvole, era una delle cose che più sognavo. Quindi, per quale motivo esser triste? Il primo tratto di sentiero è semplice, poche centinaia di metri e giungo alla biglietteria. L’ ascesa al monte è a pagamento, ed il prezzo abbastanza esoso. Inanzitutto il monte Tai è la più importante delle cinque montagne sacre taoiste ( Tai Shan, Hua Shan, Nan Heng Shan, Bei Heng Shan, Song Shan ) della Cina ed è stato dichiarato patrimonio dell’umanità nel 1987. Venerato fin dal XI secolo avanti Cristo, il Tai si erge come una sentinella del ‘Paese di Mezzo’ concendendo la sua approvazione divina ai governanti saggi e proteggendo il paese dalla catastrofe. Tutte le persoanlità celebri della Cina, da Confucio a Mao Zedong, ne hanno scalato la vetta e fu da qui che il Primo Imperatore, Qin Shi Huangdi, decise di proclamare per la prima volta l’ unità del paese intorno al 219 a.C. La conquista della vetta non è cosi semplice come possa sembrare, il Tai è un monte da non sottovalutare. Le cifre, in fondo, parlano chiaro ed incutono timore. Il Tai Shan è alto 1532 metri, il percorso centrale che dai piedi della montagna conduce alla cima è lungo 7.50km con un dislivello di ‘soli’ 1400 metri. Gli oltre 6000 gradini rendono la salita alla vetta estremamente difficoltosa e se penso che con me ho sulle spalle oltre 9 Kg e per di più piove…diciamo che le condizioni sono avverse e solo tanta, tantissima buona volontà potrà permettermi di portare a termine questo sogno chiamato ‘Tai’. I percorsi per giungere alla vetta sono tre ma quello centrale è stato il principale almeno dal III secolo a.C. Il sentiero è a tutti gli effetti un museo di arte callifrafica all’ aperto. Molto importanti sono infatti la Scrittura della Valle Rocciosa e la Roccia Settentironale della Preghiera. Lungo il percorso osservo le migliaia di preghiere benauguranti scritte sui nastri rossi che pendono dai rami dei pini e dei cipressi. La mole di persone che s’ apprestano a conquistare la vetta è impressionante. Viste le condizioni meteorologiche, immaginavo di trovarmi solo a passeggiare lungo il sentiero. Invece mai previsione fu cosi errata. Una folla incredibile, giovani, anziani ed anche bambini in tenera età, s’ avviano a conquistare la cima della montagna sacra. Cammino lentamente, la pioggia varia d’ intensità d’ improvviso. Si susseguono, uno dopo l’ altro, vari templi dedicati a Bixia. Sono molte le particolarità che incontro lungo il sentiero, da tronchi d’ albero caduti lungo il percorso a piccole cascate d’ acqua molto suggestive. A tratti arresto il passo, a prender fiato o semplicemente a cercare un riparo dalla pioggia e dal freddo. Il primo tratto del percorso non presenta particolare difficoltà, è impegnativo ma neanche troppo. Impiego un paio di orette prima di giungere all’ inizio della seconda parte di percorso. Una stradina asfaltata collega i due tratti ed è da questo punto che la maggior parte delle persone inizia la scalata alla vetta. La funivia che porta in cima parte proprio dal parcheggio degli autobus ma io non ho alcuna intenzione di usufruire del servizio. Le mie gambe, ne sono certo, mi porteranno lassù nel cielo senza aiuti o agevolazioni. Solo le mie forze, la mia volontà. La pioggia sembra aver mollato un poco di cadere, mi concedo qualche fotografia e poi, con una voglia incredibile inizio la passeggiata che mi porterà, qualche chilometro più avanti, alla vetta di questo Tai Shan. Questo secondo tratto è decisamente più tosto, o per meglio dire, difficile. La pioggia, che ora scende decisa, rende molto difficile il passo. Sosto una ventina di minuti al riparo, nei pressi di uno degli innumerevoli piccoli templi. Sta letteralmente diluviando, e se non molla un poco, giungere in cima sarà impresa difficile, difficilissima. Avverto il freddo, la temperatura man mano che salgo di altitudine, scende vertiginosamente. Rimetto in quadro lo zaino, il mio kway in modo da salvaguardare la mia persona ed i miei oggetti dall’ acqua. Mangio i due piccolissimi pani acquistati in mattinata al KFC e poi, siccome la pioggia continua a cadere, riprendo il cammino. Non posso attendere oltre, devo ripartire a costo di arrivare alla vetta completamente fradicio. Siamo rimasti in pochi ad affrontare la miriade di scalini, la maggior parte delle persone attende al riparo nella speranza che il tempo vada migliorando. Spiegare a parole le difficoltà a cui vado incontro, ombrello in una mano, macchina fotografica nell’ altra, appesantito all’ inverosimile, sotto il diluvio…è difficile. Ma la forza non m’ abbandona, anzi, aumenta con il passare del tempo. Sono entusiasta come non mai, procedo lentamente ma la mia corsa alle nuvole non s’ arresta. Il Tai Shan è la montagna del paradiso, è il punto di contatto tra la Terra e il Cielo, e i 6.293 gradini sono il nulla di fronte alla forza che esso sprigiona. Per evitare di forzare troppo il passo, rischiando di perdere totalmente le forze, intervallo l’ ascesa con brevi soste. Le mie scorte sono terminate, non ho più cibo ne acqua. Lungo il sentiero che porta alla vetta s’ aprono numerosi negozietti, se cosi si posson chiamare tendoni legati agli alberi. Offrono riparo dalla pioggia, dal cattivo tempo di questa giornata. Quando siedo al tavolo di uno di questi negozietti, vedo le giovani ragazze osservarmi e sorridere a buon cuore. Sono in condizioni pietose, la fatica, il freddo, la fame…eppure sono al centro dell’ attenzione. Acquisto una bevanda che sorseggio lentamente. Una ad una, vogliono una fotografia a ricordo accanto al sottoscritto e quando mi porgono il bebè di pochi mesi tra le braccia, viene da sorridere anche a me… Effettivamente, di turisti se ne vedono pochissimi da queste parti. Durante il percorso ho intravisto un solo occidentale a fronte di migliaia e migliaia di cinesi. Penso sia normale attirare l’ attenzione, gli sguardi. Sorrido, felice. Riprendo il cammino, fino ad arrivare alla porta Shengxianfang. Improvvisamente, il monte comincia ad avere una forte pendenza. Per circa 1 km, la strada tortuosa ha una pendenza di più di 45°. Questo è il famoso sentiero a 18 curve del TaiShan, un muro di roccia e scalini che s’ inerpica fino a toccare il cielo. Quest’ ultimo tratto è di una fatica pazzesca. Le gambe s’ irrigidiscono ad ogni scalino, le forze paiono mancare ad ogni passo. Ma qualcosa dentro me stesso mi spinge verso l’ alto, non pensavo di avere una forza di volontà tale da stupirmi. Procedo lentamente, con brevi pause per riprendere fiato. La pioggia scende con meno intensità proprio quando giungo alla Porta Celeste del Sud, poco prima della cima. Scatto moltissime fotografie, mi volgo ad osservare il serpente di scalini dietro a me: impressionante. Le persone tutt’ attorno procedono a piccoli passi, la fatica in questi frangenti è moltissima. Anziani, bambini…spinti fin quassù da chissà quale forza interiore. Dalla Porta sud fino alla vetta è un piccolo grande calvario. Ogni passo è una montagna quasi insormontabile, ma la forza di proseguire mi vien guardando l’ alto, verso la vetta che sembra cosi vicina ma, allo stesso tempo, cosi incredibilmente lontana. Affronto quest’ ultimo tratto, nonostante la pendenza e la fatica, abbastanza velocemente. Senza sapere come e perchè, trovo dentro me una forza incredibile che mi porta a conquistare la vetta dopo 6 ore e 4 minuti ( 8.04 AM-13.07 PM ). Mi volto ad osservare il sentiero ed è impressionante vedere come quest’ ultimo tratto sia ripido. Stento a credere ai miei occhi, e solo chi ha affrontato questa montagna può capirmi. Dove ho trovato le forze per giungere fin quassù, in queste condizioni? La pioggia, ironia della sorte ( o forse, per ringraziarmi dell’ impresa? ) smette di cadere proprio quando giungo alla vetta, dove s’ apre alla vista il tempio di Confucio. Si narra che quando era giovane, egli sali sul Taishan. Una volta arrivato in cima, sospirando disse che sul monte tutto il mondo sembrava piccolissimo. Sulla base di questa vicenda, i posteri hanno costruito il Tempio di Confucio sul cima della montagna, nella speranza che il suo pensiero possa echeggiare nei secoli. Mi appoggio ad un muretto poco distante, a riprendere un poco le forze, a rimettermi in quadro. Le persone m’ osservano stupite e curiose. Sono sicuro che si domandano perchè un occidentale, un turista, s’ avventura fin al cielo di questa montagna. Ma sono convinto, osservando la loro espressione, ch’ essi ne sono felici. Felici di sapere che una persona che giunge da un mondo lontano, a migliaia di chilometri di distanza con diversa cultura e religione, nutra grande rispetto alla montagna, alla ‘loro’ montagna. Mi riposo ancora seduto ai margini del tempio. Sembra incredibile, ma quasi non avverto la fatica, ma il freddo, quello si. Vado ai bagni pubblici a rimettermi in quadro per quanto posso, sono impresentabile. Ho i piedi fradici ormai da ore, e non solo quelli. Mi aggiusto come meglio posso e poi vado alla scoperta della vetta, affollata da moltissime persone. Se la pioggia ha smesso di scendere, cosi non è per la nebbia, che avvolge di tanto in tanto la cima. Passeggio lungo il crinale della montagna dove s’ aprono alcuni negozietti e vari templi. Avverto sempre più il freddo e soprattutto, la fame. I prezzi delle locande sono alti come la vetta del TaiShan, ma non vi sono altre soluzioni ed entro in una di esse. Siedo al grande tavolo rotondo di un piccolo ristorantino, accanto ad una giovane ragazza vestita elegantemente. Nell’ attesa di ordinare, sfoglio la mia Lonely Planet e ad un tratto, senza domandare nulla, essa m’ offre delle caramelle. Gentile! La mia fame aumenta col passare dei minuti e quando mi vien servito un gran piatto di noodles, mi pare di sognare. Peccato che non sian cosi buoni come m’ immaginavo, ma l’ importante è mettere qualcosa di caldo nel mio pancino dopo ore passate a congelare di freddo. Una mezz’ oretta di pausa e torno al vento gelido della vetta. La nebbia si prende la montagna rapidamente, sale e scende in pochi secondi. La ragione mi consiglia la discesa in funivia, ritornare all’ inizio del secondo tratto a piedi è impresa priva di senso. Pochi istanti e siedo comodamente nella cabina insieme ad una famigliola di cinesi che m’ osservano quasi avessero davanti a loro un extraterrestre. Iniziano a parlottare tra loro, guardandomi di tanto in tanto. Parlano di me, è chiaro, e m’ aspetto a momenti che mi pongano qualche domanda. Come immaginavo, la figlioletta su insistenza del padre cerca con poche parole di inglese d’ informarsi sulla mia persona, da quale mondo lontano io venga e perchè sia qui. Sono convinto che mi ricorderanno per la loro intera esistenza, anche grazie alla foto ricordo scattata tutti insieme… Mi sembra di essere Prezzemolino a Gardaland. Neanche cinque minuti di viaggio e sono nuovamente al punto di partenza del secondo tratto. La giornata è andata migliorando talmente tanto che nel cielo appare un tiepido sole. Che sfortuna! Stessa situazione di qualche anno prima alle Cliff of Moher in Irlanda: alla mattina pioggia e al pomeriggio..sole! Pazienza! Acquisto ancora uno di quei nastri rossi che sono appesi un poco ovunque lungo il percorso e poi intraprendo nuovamente il sentiero alla ricerca di un posto dove lasciare a ricordo perenne la mia ascesa alla vetta. Tornato al piazzale vado al centro informazioni ( era un centro informazioni? ) e poi alla biglietteria degli autobus. Breve attesa e poi posso, finalmente, sedere a fianco del finestrino. L’ autista è un pazzo, affrontiamo la strada in discesa come se fosse il Gran Premio di F1 di Shanghai. Ad ogni curva l’ autobus pare capottare ma l’ autista è incurante del pericolo, anzi, si diverte… Senza sapere come, arriviamo in città sani e salvi. Ed in pole position, davanti a Senna… Non ho la più pallida idea di dove sono e soprattutto di come raggiungere la stazione ferroviaria. M’ avvio velocemente lungo la strada, siccome pare nuovamente voler piovere. Spira un forte vento gelido, nubi nerissime ( nerissime per davvero! ) sono all’ orizzonte. Ad un tratto scorgo poco distante il bus numero 3, lo stesso della mattinata, ed inizio a correre disperatamente nella speranza che non riparta proprio quando sono li, ad un passo. Ma per una volta, la fortuna mi viene incontro in questa giornata e riesco a coglierlo al volo. Dopo la pole davanti a Senna, faccio il record sui centometri staccando Bolt di un paio di secondi… Dieci minuti di viaggio e poi l’ autista mi fa cenno di scendere, la stazione è qui vicino. Già, ma dove? Domando informazioni ai passanti e poi due giovani, notando i miei mille dubbi, s’ avvicinano facendomi cenno di seguirli. Già m’ immagino la scena ( del delitto ): mi trascinano in un vicolo cieco e dopo avermi preso a bastonate mi derubano, anche dei vestiti, di tutto. Ma la mia mente contorta ( guardo troppi telefilm polizieschi? Sono il tipico italiano che diffida anche delle mosche? ) e stronza sbaglia anche stavolta e dopo un centinaio di metri di cammino m’ indicano con la mano una costruzione gigantesca: la riconosco, è la stazione di Tai’an! Mentre raggiungo il piazzale della stazione, assisto incredulo ad una scena pazzesca: un donna in sella al suo motorino attraversa la strada rischiando di essere investita dalle auto che sopraggiungono. Fin qui, nulla di particolare, visto come guidano i cinesi. Ma la particolarità è che sul motorino…si, sono in cinque. Cinque persone, in ordine da poppa a prua: figlioletta di 5-6 anni seduta sul portapacchi, davanti a lei la nonna ottantenne con in braccio una bimba di non più di sei mesi, quindi la mamma al volante ed infine, seduto quasi sulla ruota della motocicletta, il figlio piccolino. Ovviamente, per non infrangere le regole del buon vivere civile, tutti rigorosamente senza casco. E per di più, contromano. Rimango impietrito da questa scena. Come è possibile per una madre mettere a repentaglio, cosi stupidamente, la vita della propria famiglia, nonchè di una bambina di pochi mesi? Di corsa raggiungo la biglietteria, una triste stanza dove vi sono un paio di code chilometriche. Poco distante trovano spazio le biglietterie automatiche. Vediamo se riesco a far mio un ticket per Qufu! Il menu in lingua inglese facilita il compito ma la mia carta di credito non viene accettata. Perchè? I biglietti disponibili per la città di Confucio sono unicamente ‘No Seat’, ma non me ne preoccupo più di tanto, sono solo un paio d’ ore di viaggio e dopo questa giornata sono pronto a tutto… Mi metto diligentemente in coda alla biglietteria ma poi ritorno a quella automatica. Incredibilmente il treno per Qufu è ora al completo, sold out. Non è possibile, mi sento venir meno. Torno alla biglietteria e giunto il mio turno spiego alla gentile cassiera cosa ho bisogno. Pochi secondi ed ho tra le mie mani il biglietto, bellissimo. Troppo facile, troppo semplice: possibile? Qualcosa non mi quadra, non mi torna. La giovane ragazza sembra volermi informare di qualcosa, continua a ripetere il numero ’18’, e non contenta, lo scrive anche su di un foglio indicandomi l’ esterno della stazione ferroviaria. Saluto ma quando m’ allontano un giovane mi chiama ad alta voce: perbacco, ho dimenticato il passaporto allo sportello. Che testa che sono… Non riesco a capire, la giovane sostanzialmente m’ informa dell’ autobus n.18, ma con me ho il biglietto ferroviario per Qufu…allora cosa c’ entra l’ autobus? Per di più allo sportello automatico il treno per la cittadina era sold out, invece ora ho con me un biglietto ‘Seat’. Come mai? Qualcosa non torna, quindi o non capisco io, o la signorina si è sbagliata, alla grande. Il treno partirà fra poco meno di due ore, ed io sono completamente in confusione. Esco dalla stazione, siedo sui gradini ai bordi della piazza. Sono sconsolato, devo essere sincero: la tristezza, un’ infinita tristezza, mi prende. Vorrei essere da Cristina, dalla mia famiglia, tranquillo, invece sono a migliaia di chilometri di distanza, sperso chissà dove. Osservo davanti a me giovani coppie mano nella mano sorridere, è mi piange il cuore. Non ho la più pallida idea di cosa devo fare, dove andare, sono sperso nel mezzo della Cina e chi lo sa se mai troverò la via di casa. Cerco di non farmi vincere dalla malinconia, non voglio arrendermi proprio ora. M’ incammino senza destinazione, vagando nell’ immensa piazza con il pesante zaino sulle spalle. Osservo mille volte il biglietto ferroviario…e poi… accidenti! La stazione di partenza non è Tai Shan, ma Tai’an. Santo Cielo, il mio treno non parte da questa stazione, ma da un’ altra. Ecco cosa voleva dirmi la ragazza, di prendere l’ autobus numero 18 per arrivare alla stazione di partenza del treno per Qufu! Come ho fatto a non pensarci prima? Porca miseria, come ho fatto a non accorgermene che il nome della stazione di partenza non è Tai Shan? Sono sicuro, pensando a quei frangenti, che la stanchezza mi aveva colto senza che io me ne accorgessi. Il morale va lentamente riprendendosi ed in lontananza, come un bagliore di luce in una notte di burrasca, ecco comparire magicamente l’ autobus numero 18. Corro disperatamente e quando mostro il biglietto ( quello che mi aveva dato la giovane alla biglietteria, scritto in cinese ) all’ autista, mi fa cenno d’ accomodarmi. Finalmente sono sereno, tranquillo, improvvisamente. Molto spesso vivo con la testa fra le nuvole, e nonostante organizzi sempre al meglio i miei viaggi, nonostante ponga sempre particolare attenzione a tutto, spesso succedono questi cali di attenzione, se cosi possiamo chiamarli. Come posso spiegarmi altrimenti l’ aver osservato mille volte il biglietto ferroviario e non essermi accorto che la stazione di partenza era Tai’an e non Tai Shan? Il viaggio in autobus dura una ventina di minuti, attraversiamo la città fin a giungere raccordo autostradale che collega la stazione ferroviaria di Taian al centro città di TaiShan. Una autostrada nel deserto, ecco cos’è. Tre corsie per senso di marcia, pochissime auto. Follie cinesi. La stazione di Tai’an è una moderna costruzione eretta nel nulla, in mezzo alla campagna cinese. E’ strutturata diversamente dalle altre stazioni ferroviarie viste fin ora, in tipico stile occidentale, con una grande sala d’ aspetto, pulitissima. La pace che regna in questo angolo di Cina, la tranquillità della sala d’ aspetto…ecco, perchè le stazioni non sono tutte come questa? Sono vinto da strane sensazioni, il pensare di dover affrontare mille altre volte viaggi immerso nella confusione, nel caos più totale di stazioni ferroviarie come Pechino o Pingyao, mi sconvolge. Vorrei restare qui, per ore, a godere della pace del momento. Quando sopraggiunge il treno, altra piacevole sorpresa: si tratta di uno dei nuovissimi mezzi delle ferrovie cinesi. Un treno superveloce che collega Tai’an a Qufu ( e prosegue a Shanghai ) in meno di due ore, raggiungendo la velocità di oltre 250km/h. Un’ altro mondo, questo: stazioni e treni super puliti, poco affollati ( tutti i posti a sedere ), proiettati nel futuro. Una parte di Cina che corre veloce verso nuove frontiere mentre l’ altra resta ancorata al passato. Arrivo alla stazione di Qufu quando il buio della sera sta lentamente facendo sua la città del grande pensatore. La stazione ferroviaria è più piccina rispetto a quella di Tai’an, ma anch’ essa moderna e avanti secoli rispetto alle tradizionali costruzioni del passato, affollate all’ inverosimile. Sospiro di sollievo, sono decisamente sollevato, ed ora il morale volge verso l’ alto. Onde evitare ulteriori perdite di tempo, m’ avvalgo del passaggio di un tassista per giungere in ostello. Anche a Qufu, la stazione ferroviaria è collegata al centro città tramite un raccordo autostradale a tre corsie per senso di marcia. 4-5 chilometri di strada, e a dir tanto 4 macchine intraviste. Ma perchè questo spreco di soldi? Il tassista riassume in se le tipiche qualità di ogni guidatore cinese ( anche se pare più africano ): non uno, e dico uno, semaforo rispettato. Rosso giallo verde…si passa, sempre. Attraversiamo lande desolate per poi far ingresso nella città vera e propria, a prima vista più vivibile dove il traffico, incredibile a dirsi, è meno caotico e confusionario. Boutique all’ occidentale sorgono lungo la via rendendo Qufu molto vicina agli standard europei. Entriamo nel cerchio di mura che cingono la città e pochi minuti di strada sono in fronte all’ ostello. M’ apre la porta un giovane ragazzo e dopo aver sbrigato velocemente la pratica, posso finalmente far mia la camera. L’ ostello di Qufu è bellissimo, posto nel cuore della cittadina millenaria. E’ immerso nel silenzio, che mai come ora ne ho bisogno. La stanza è molto semplice, e soprattutto pulita. Finalmente posso abbandonare il mio pesantissimo zaino in camera, e decisamente più alleggerito, raggiungo l’ area comune dove vi è anche un piccolo bar. Tsingtao alla mano scrivo il mio amico diario e poi, vinto dalla stanchezza, faccio ritorno in camera dove m’ addormento in pochi istanti.
Mercoledì 22 agosto
Il giorno seguente mi sveglio relativamente tardi. Ma è comprensibile, era già scritto nel programma della mia agenda. Dopo due giorni come quelli appena trascorsi, pensavo di svegliarmi tre giorni dopo essermi addormentato: invece scendo dal lettino fresco e leggero, senza neanche sentire le gambe indolenzite o stanche. Vado alla reception dove domando al giovane ragazzo se posso delegarlo dell’ acquisto del biglietto ferroviario per Shanghai. Risposta affermativa e… quale miglior modo per iniziare la giornata? Esco a passeggiare per le strade di Qufu sotto un cielo limpidissimo. Qufu è la città natale del grande Confucio, il grande saggio e dei suoi antenati, il lignaggio Kong. Confucio ebbe oltre tremila discepoli, 72 dei quali si distinsero per i loro risultati. Passeggio lungo l’ asse centrale della città entro le mura, un viale alberato tranquillo, lontano secoli dalla confusione che regna nel restante mondo Cina. Qufu pare un luogo tranquillo, dove la vita scorre lentamente. Un’ oasi di pace in questo paese dove tutti sono di corsa e di fretta. Dirigo il mio passo al primo sportello bancomat a ritirare Yuan e quindi all’ ufficio postale ad acquistare francobolli. Riprendo il cammino spingendomi fin alla porta d’ ingresso alla città vecchia per poi tornare indietro fin alla biglietteria del Tempio Confuciano. Incontro un giovane straniero in compagnia della madre che mi domanda informazioni, a cui però non so dare risposta. Anche a Qufu è necessario fare un biglietto cumulativo per poter visitare anche una sola attrazione. Il Tempio di Confucio, il complesso di edifici imperiali più grande del paese dopo la Città Proibita, sorse 2500 anni fa come semplice sala commemorativa, per poi svilupparsi gradualmente in una struttura tanto estesa da occupare un quinto del centro cittadino. M’ avvio all’ ingresso principale, sul lato sud, e dopo aver attraversato una serie di portali a tre porte, sono in un silenzioso cortile pieno di cipressi. Ma il culto di Confucio degli imperatori cinesi trova la sua espressione più diretta nel cortile dei 13 padiglioni delle steli. Sono tredici i padiglioni delle steli e furono eretti nell’arco dei 557 anni dal 1191 al 1748 d.C., e contengono 533 steli risalenti alle dinastie Tang, Song, Jin, Yuan, Ming e Qing e al periodo della Cina Nazionalista. I testi delle steli parlano sempre di rispetto o di cerimonie in onore di Confucio. Tutti i padiglioni sono in legno, di forma quadrata. Le steli di pietra sono poste su un basamento di pietra, che raffigura un animale mitico simile alla tartaruga, chiamato Bixi, che nella leggenda è figlio del drago ed in grado di reggere forti pesi. Solo le steli imperiali potevano essere poste sulla groppa dei Bixi. Proseguo la mia visita fin ad arrivare al Grande Padiglione della Costellazione dei Letterati, un’ imponente costruzione in legno a tetto triplo risalente alla dinastia Jin, dove all’ interno sono esposte stampe sbiadite che illustrano le vicende descritte da Confucio nei Dialoghi. Giungo al centro di questo mondo, di questo enorme tempio confuciano. Su una terrazza di due piani con balaustrata in pietra, si erge la grande sala dorata. Fra i due piani dei tetti si trovano delle tavole in legno con scolpiti dei draghi dorati, che circondano i tre caratteri “Dachengdian” (Sala Dacheng). Si tratta dell’edificio centrale delle cerimonie in onore di Confucio. La sala, costruita nell’11° secolo durante la dinastia Song, è alta 33 metri, lunga 54 metri da est ad ovest, e larga 34, e dimostra perfettamente la perfezione raggiunta dall’antica architettura cinese. Il forte contrasto cromatico le dà un aspetto splendido e maestoso. La parte più straordinaria della sala sono i dieci pilastri rotondi di pietra del corridoio anteriore, realizzati in vent’anni in epoca Ming da scalpellini di Huizhou, nell’Anhui. Ogni pilastro è alto quasi sei metri, e con le tecniche di alto e bassorilievo reca scolpita una coppia di draghi, uno che balza verso l’alto, e l’altro che si arrotola verso il basso, che giocano con una palla di fuoco tra le nuvole. I dieci pilastri sono scolpiti a coppie, tutti diversi fra loro, e presentano una plastica elegante e una miriade di cambiamenti. Al centro nella Sala Dacheng si trova una statua di Confucio, la cui immagine di insegnante della verità nel mondo umano, dopo essere entrata nel tempio, si è trasformata in un severo oggetto di culto di massa. A questo punto della visita posso dire che al pari di tutti gli altri templi dedicati a Confucio è caratterizzato da un’ atmosfera da museo, e non presenta traccia dei devoti o dei riti accompagnati da profumo d’ incenso che invece contraddistinguono i templi buddhisti e taoisti. Pare quasi finto, irreale. Passeggio un’ ora e mezza in questo dedalo di vicoli, passaggi angusti, grandi giardini verdi e templi di varie dimensioni e colori. La visita si è rivelata molto interessante, nonostante il caldo afoso della giornata. Ritorno lungo la strada principale, nei pressi della Torre Donghuà, e mi lascio avvolgere dalla confusione del mercato cittadino. Profumi, venditori ambulanti, chioschetti, mille persone, sapori, biciclette e motorini. Tutto insieme, in un unico mondo. Provare a descrivere quello che i miei occhi hanno davanti, in questa stradina di mercato, quello del cibo, è impresa ardua. Sono avvolto da mille profumi che spesso mi conquistano, a volte sono invece tortura per il mio olfatto. Un mondo particolare, semplice, dove si va per mangiare, senza dar peso alla pulizia del posto, quello che circonda la persona stessa. Insomma, si bada all’ essenziale, tutto il resto non ha importanza alcuna. Conta il cibo, ed io son qui per questo, non certo per andare alla ricerca di un ristorante Michelin. Il mercato notturno di Qufu è quello che di meglio può offrire la Cina. Bancarelle improvvisate su motorini, tavole appoggiate su bidoni, locali che al solo veder mettono i brividi. Eppure si mangia bene, si mangia benissimo. Si sceglie, questo, quello e quell’ altro, e viene cotto al momento. Mille spezie, oli particolari. Lumache, serpenti, pesci di ogni forma e dimensione, tartarughe, vermi grandi e piccoli, scorpioni…insomma, ogni cosa che si muove, da questi parti, può finire in padella. Non rimango impressionato da questa civilità, da questo mondo distante anni, secoli dal nostro, dove tutto è pulito e perfetto ( all’ apparenza ), dove sui tavoli non vi è polvere e la tovaglia sempre pulita ( ma poi nelle cucine…meglio non entrare ). Certo, rimango sorpreso, ma ripeto, bado all’ essenziale: ho fame. Vado avanti e indietro lungo la via, mille locali mille tavole all’ aria aperta, sotto questo sole azzurro. La mia scelta ricade su di un piccolo localino, ai margini della strada. Noodles ( con carne: di cosa? ) e birra, accoppiata vincente. Mangio ottimamente, anche se la birra mi rintrona un poco. Pago una cifra irrisoria, lascio la mancia e riprendo il cammino con il pancino colmo. Il passo è ora diretto alla foresta di Confucio, circa due chilometri a nord del mio ostello. La ragione consiglia di servirmi di uno dei numerosi risciò lungo la strada. E’ la mia prima esperienza su questo mezzo, e devo esserne sincero: mi vergogno di questo mondo. In sella alla bicicletta vi è un signore anziano, sulla sessantina d’ anni, ma a dire il vero ne dimostra molti più. Il suo volto è scavato, un sorriso spento compare sul suo viso. La bicicletta è piuttosto malandata, ma sembra funzionare ancora. Pedalando lentamente e con fatica raggiungiamo il piazzale da cui si snoda il sentiero verso la Foresta di Confucio. Durante il tragitto penso e ripenso a questo mondo infame…un mondo che obbliga una persona che dovrebbe godersi la meritata vecchiaia, a pedalare faticosamente per portare me, turista ‘ricco’ ( per questa parte di mondo ) a fare due fotografie. Ha senso tutto ciò? Mi vergogno di sfruttare la sua fatica. Ma sono altresi consapevole che per lui son soldi, e con questo vive. E’ vero, la morale serve a poco se poi s’ indossano magliette e scarpe fatte da bambini sfruttati nel terzo mondo, giusto per citare uno degli innumerevoli esempi, ma qui tocco con mano cosa vuol dire lo sfruttamento, anche se dolcemente velato. Mi vergogno d’ aver contrattato il prezzo alla partenza, e quando sono giunto a destinazione, lascio lui molto di più di quanto pattuito. Un dovere. Il grande piazzale che sorge all’ ingresso della Foresta è vuoto e spoglio. Solo qualche negozietto ai lati della piazza e, incredibile ma vero, in un luogo dove il silenzio dovrebbe esser d’ obbligo, rimbomba la musica techno tamarra cinese a tutto volume ( da un negozietto poco distante ). Si tratta del più grande parco piantumato, nonchè il cimitero meglio conservato di tutta la Cina. La foresta, costituita da oltre 100mila pini e cipressi, si estende su una superficie di 200 ettari ed è racchiusa entro una cinta muraria lunga 10 km. In 2000 anni di storia hanno trovato qui sepoltura Confucio e i suoi discendenti, e la tradizione continua ancora oggi. Passeggio ora immerso nella quite, avvolto da un silenzio quasi irreale. Il sentiero è fiancheggiato da coppie di pantere, grifoni e altre imponenti sculture di pietra poste a guardia del sepolcro. E’ un luogo di pace, e tale deve rimanere. Quando infatti venne proposto per la prima volta il progetto di portare la ferrovia a Qufu, i membri della famiglia Kong si opposero, chiedendo di modificarne il tracciato per evitare che i treni distrubassero la tomba di Confucio. E cosi la famiglia ottenne che la linea venisse deviata verso Yanzhou, 16 km a ovest di Qufu. Sono avvolto dalla natura verde smeraldo, dalla pace, dal silenzio millenario. Passeggio, tranquillo. Giungo al sepolcro del saggio, un semplice tumulo, cinto da un basso muricciolo e fronteggiato da una stele risalente all’ epoca della dinastia Ming. Qualche fiore, bottigliette d’ acqua, e anche una scatola di biscotti. Tutto molto semplice, cosi come dovrebbe essere per ognuno di noi. Vi sono diverse persone anche se non sempre viene rispettato il silenzio che il luogo merita. Scatto alcune fotografie, osservo uomini e donne inginocchiarsi e portare saluto al loro più grande e rispettato concittadino. Riprendo il sentiero, soffermandomi alcuni istanti a godere di questo silenzio, di questa meravigliosa giornata. Le grandi piante impediscono ai raggi del sole di penetrare nella fitta vegetazione. Il figlio e nipote di Confucio sono sepolti qui accanto a dove sono seduto. Ma l’ intera area è disseminata di templi e padiglioni. Decido di tornare all’ ostello percorrendo la strada a piedi, nonostante il caldo afoso. La passeggiata è assai piacevole, attiro gli sguardi ‘increduli’ di una scolaresca, persone mi salutano lungo la via… Arrivato in camera, dopo aver preparato lo zaino, mi concedo una pennichella. Sono stanco, inizio ad avvertire la fatica accumulata nei giorni precedenti. Riposo un paio di ore e poi riprendo la strada della città. Raggiungo l’ ufficio postale che ahimè ha già serrato le porte. Ritorno alle mura di cinta, nei pressi dell’ ostello. E’ mia intenzione passeggiare affiancandole dall’ esterno, cosa che però risulta non possibile. Mi ritrovo a camminare all’ interno della città vecchia, costeggiando queste mura millenarie. La città che s’ apre alla mia vista è totalmente diversa da quella che si snoda lungo l’ asse centrale di Qufu. E’ un mondo semplice, famigliare. Svolto al primo incrocio immettendomi in un viale alberato dove, a parte qualche ristorantino ‘locale’, non vi è praticamente nulla d’ interessante. Ritorno in Gulou Jie dopo aver passeggiato una mezz’ oretta nei viottoli poco frequentati e oscuri della città vecchia. Passeggio lungo Gulou Beijie e poi Gulou Nanjie fino oltre la maestosa porta d’ ingresso alla città del passato, spingendo il mio passo fin alla città nuova, moderna. Qufu oltre mura si veste d’ occidentale. Negozi di abbigliamento, di giocattoli, saloni di bellezza…insomma, sembra di passeggiare in una qualsiasi città italiana. A differenza di molte altre città di modeste dimensioni, l’ occidente è qui di casa mentre il traffico e la confusione sono messe alla porta. E’ una città gradevole, da vedere, da vivere. La fame inizia a farsi sentire e non posso far altro che andar alla ricerca di un luogo ove cenare. Il buio ha nel frattempo conquistato la città che s’ illumina di mille insegne colorate. I miei occhi godono di una scena bellissima. La bellissima Drum Tower illuminata a giorno e dietro a essa, risplendere nel cielo, una bellissima luna. I primi locali in cui m’ imbatto lungo la strada non paiono soddisfare le mie pretese, cosicchè mi spingo fino al mercato notturno. Mon dieu! Se già nel pomeriggio il quartiere ha dell’ interessante, la sera questo angolo di Qufu diventa un luogo assolutamente incredibile. Lungo la stradina del ‘cibo’ osservo scene che mi lasciano basito, incredulo. L’ odore di lumache mi disgusta, è insopportabile. E’ un ambiente di festa, di luci e colori. Serpenti, piccoli conigli ( conigli ? ), scorpioni a centinaia in bacinelle colme d’ acqua, e poi altri mille animaletti schifosi pronti ad essere cotti sulla piastra bollente… Dopo una giornata faticosa, il mio povero pancino non è pronto ad assorbire tali ‘prelibatezze’. Sono stanco e voglioso di qualcosa che possa digerire nell’ arco di un paio di giorni massimo. Anche se la voglia di assaporare la carne di serpente è molta… Sono frenato dal pensare di vedermi uccidere davanti agli occhi la bestiola. Stupida come cosa, per carità. Ma sono altresì convinto che chiunque vedesse ammazzare davanti a se un coniglio, cucinarlo e poi servirlo sul tavolo…addio fame. Ritorno lungo l’ asse centrale di Qufu, ma la ricerca del posto adatto non è semplice. In un locale servono solo gelati, in un altro si può gustare lo scorpione nella minestra, nei noodles…insomma, ve n’è per tutti i gusti e palati. Finalmente scorgo un self service all’ apparenza ‘normale’. Faccio ingresso e ordino una zuppa, che risulterà poi insapore, spiedini di carne ( di quale tipo non è dato sapere ), riso in bianco e verdura. Mangio ottimamente, la mia fame è messa a tacere finalmente. Ritorno nel quartiere del mercato, questa vita mi attrae, mi coinvolge, mi entusiasma. Rimango un’ oretta a passeggiare osservando le bancarelle, questi venditori ambulanti d’ inutilità, di vere opere d’ arte, di sogni. Dalla stradina del mercato s’ innalzano i fumi della brace, i profumi della carne bruciacchiata e le urla gioiose delle persone in festa. Ritorno in ostello dove scrivo ancora il mio diario, accompagnando questi momenti da una buonissima birra ghiacciata. Quando sono quasi le undici, vado a nanna per un meritatissimo riposo.
Giovedì 23 agosto
Scendo dal mio lettino molto prima che la sveglia suoni e quando sono circa le sette e dieci scendo alla reception. Insieme ad un giovane tedesco raggiungo la stazione ferroviaria di Qufu da dove il mio treno ‘salperà’ verso Shanghai. Il ragazzo è privo di biglietto mentre io, grazie al cielo, sono in possesso di un ticket con posto a sedere. Attendo un tre quarti d’ ora e quindi posso finalmente prendere posto nel treno ad alta velocità, ultra moderno, che in meno di 4.30 mi consegna alla città più spettacolare della Cina. La stazione ferroviaria di Shanghai Hongqiao è un qualcosa di incredibilmente grande. E’ immensa, è una città nella città. E’ di nuova costruzione, è tutto ben segnalato e fortunatamente scorgo da subito la stazione della metropolitana che mi porterà in poco al Bund. Ho qualche problema ad acquistare il biglietto per la metro siccome la donna allo sportello non capiva che ero diretto nel cuore della città, al Bund. Possibile non capire anche quando mostro la mappa della città? Mah! Undici fermate di metropolitana ed arrivo a East Nanjing Road, la strada che negli anni ’20 vide la nascita dei primi grandi magazzini in Cina. Sono in mezzo a migliaia di persone, osservando le vetrine della Apple, di Gap, di Salvatore Ferragamo… Passeggio lentamente, quasi fossi intimorito nell’ avvicinarmi ad ammirare lo skyline di Pudong. E poi d’ improvviso, come una stella cadente che illumina il cielo, ecco comparire nella sua incomparabile bellezza questo angolo di Shanghai famoso in tutto il mondo. Sono letteralmente pietrificato, immobile: l’ immagine davanti ai miei occhi è cosi di straordinaria bellezza che fatico a crederla reale, vera.
…Shanghai, Pudong…sogno, o son desto?
Pudong è davanti a me, alla mia vista, ed io ne sono rapito, conquistato, anche se impreparato a questa visione magica. I grattacieli svettano nell’ azzurro cielo quasi a toccare le nuvole e, a volte, restandone avvolti. Mi riapproprio del tempo e velocemente vado alla ricerca del mio alloggiamento che sorge poco distante. Cammino lungo E Zhongshan No 1 Rd con il naso costantemente rivolto verso l’ alto ad ammirare da una parte i grattacieli di Pudong e, al mio fianco, gli elegnati edifici d’ epoca vittoriana sedi delle maggiori banche del paese. Dopo un breve girovagare scorgo finalmente il mio ostello, ubicato in una strada laterale a pochi metri da Zhongshan road. Più che un ostello è un albergo, arredato finemente, pulito, personale cortese. E poi, sorge in pieno centro Shanghai: cosa potrei chiedere di più? Prendo possesso della mia camera, molto spaziosa, al quarto piano. Dopo essermi rimesso in sesto, sono pronto ad andare alla conquista di questa spettacolare città! Raggiungo Zhongshan road, la lunga strada che costeggia il fiume Huàngpù. La passeggiata, da cui si può godere di una vista meravigliosa su Pudong, è piacevole. Son moltissime le persone che passeggiano avanti e indietro, sorridenti, mano nella mano. Shanghai, in questo angolo di città, pare lontana anni luce dal mondo chiamato Cina. Due terre diametralmente opposte che nulla s’ assomigliano, ma che vivono a stretto contatto, siforandosi. Dopo un breve camminare mi lascio rapire dal verde del Jinwaitan Garden dove giovani ed anziani riposano all’ ombra delle grandi piante. Credo, in un primo momento, di esser arrivato al giardino del Mandarino Yu, sbagliandomi. Ritornato alla frenesia della città, passeggio in una stradina laterale dove s’ aprono diverse botteghe di cianfrusaglie, dove i cavi dell’ alta tensione sono ad altezza d’ uomo in un groviglio di fili….ecco, sono tornato in Cina.
Shanghai respira in queste due realtà cosi diverse e distanti tra loro, ma che vivono fianco a fianco. Auto di lusso sfrecciano accanto a millenarie biciclette, colletti bianchi passeggiare in queste stradine sporche e maleodoranti, alberghi 5stelle affiancati da vere e proprie bidonville. La Cina è tornata a vivere nei miei pensieri, nella mia realtà. Domando informazioni ma nessuno è in grado di dirmi quale direzione prendere per arrivare ai giardini del Mandarino. Solo grazie alla fortuna giungo all’ ingresso del bazar. Quanta gente! Davanti a me sorge la sala da tè Huxingting, un affascinante edificio costruito dai mercanti di cotone nel 1784 che diventò poi una sala da tè nel XIX secolo, oggi una delle più note in tutta la Cina. Sorge in mezzo al laghetto artificiale, collegato solamente dal ponte a zig-zag, quello famoso che mille volte ho visto su libri e giornali! Venne costruito in questo modo per proteggere l’ edificio dagli spiriti maligni, dato che essi non sanno girare gli angoli. Fantasiosi! Passeggiare su questo ponticello è impresa difficile: tutto il mondo è qui riunito! Sembra che gli abitanti di Shanghai siano qui, e ora, tutti insieme. Sguazzano nelle acque del laghetto migliaia di pesciolini, rossi, bianchi, piccoli ed alcuni grandi come un’ anguria. E’ un angolo suggestivo, particolare, tutt’ attorno sorgono edifici di vecchia epoca che rendono l’ amosfera particolare e piacevole. Raggiungo l’ ingresso del giardino del Mandarino Yu, che è ovviamente a pagamento. L’ atmosfera che si respira è ora decisamente meno pacchiana e caotica, fortunatamente. Con i suoi angolini ombreggiati, i laghetti scintillanti in cui nuotano centinaia di carpe, i padiglioni colorati, i pini che spuntano malinconici tra le rocce, questo è uno dei siti più suggestivi della città. E’ un mondo di fantasia, dove la realtà supera l’ immaginazione. Un piccolo paradiso terrestre, se non fosse per i turisti giapponesi che armati delle loro macchine fotografiche da 5mila euro rovinano il silenzio di questo paradiso. Rimango una mezz’ oretta a godere di quest’ ambiente magico, fantasticando. La fame mi riporta alla realtà, alla vita quotidiana. Uscito dal giardino vago senza meta nel bazar, molto esteso e sopratutto affollatissimo. Sono numerosi i negozietti di cibo, i piccoli ristorantini, le bettole da due soldi. Siccome inzia a scendere qualche goccia e vista anche la stanchezza che mi porto appresso, opto per un ristorantino che s’ affaccia alla casa da te. Siedo comodamente a fianco dell’ entrata e quando sopraggiunge la cameriera, una signora sulla cinquantina, inizia una conversazione dove nessuno capisce nessuno. Figo. Con la mano indico la grande insegna sopra la cassa, a mostrare i famosi ‘ravioli’ di Shanghai, chiamati Xiao Long Bao. Ecco, quelli voglio. Ma la donna sembra non capire, continua a parlare parlare parlare…la guardo con tenerezza, sembra simpatica. Solo dopo una decina di minuti capisce che delle sue parole non ho compreso nulla. -Donna, perchè tante parole? Voglio quei ravioli, tutto li. La vedo allontanarsi, curioso di sapere se la donna ha inteso oppure no. Inganno l’ attesa osservando la vita di tutti i giorni scorrermi davanti. Migliaia di persone, per lo più cinesi, andare avanti e indietro, allegri, con il sorriso sulle labbra. Mi sento solo. Pochi istanti e la donna, tutt’ altro che sorridente, appoggia al tavolo la ciotola con i benedetti ravioli insieme alla squisita salsa ottenuta mescolando aceto cinese e zenzero tritato. Sei, esattamente. Immagino siano bollenti, cosicchè attendo qualche istante prima di avventarmi su di loro. Noto la signora ad altre due cameriere osservarmi, facendo gruppetto poco distante. -Perchè mi guardate in quel modo, sogghignando? Mi sento in soggezione santo dio… Il perchè lo scopro non appena, con non poche difficoltà per via delle bacchette, metto in bocca questo raviolo grande come una pallina da tennis. M’ esplode letteralmente in viso. Il mio palato va a fuoco, cerco di trattenere le urla di dolore, vorrei un estintore a portata di mano. Le donne sorridono, anzi, mi prendono per il cu*o immagino…sapevano di quale morte sarei andato incontro e sono rimaste li ad osservare, felici. E posso capire…anche se io, da ‘uomo vero’, cerco di trattenermi facendo finta che nulla sia successo, anche se tradito da chissà quali smorfie e dal colore del mio viso, rosso fuoco immagino. A parte questo ‘piccolo’ incidente, i ravioli di Shanghai copiati in tutta la Cina, sono davvero deliziosi. Mangio fino a sfinimento e dopo aver pagato un modico prezzo, torno alla vita della città. Vago nel bazar senza meta alcuna, lasciandomi guidare dai profumi delle spezie, dai colori, dalle insegne luminose. Scorgere l’ uscita in questo dedalo di vicoli, tutti tremendamente uguali, non è stato facile, anzi. Raggiungo il TI che sorge proprio davanti a me, lungo la passeggiata sul fiume Huangpu. Non è molto fornito, anzi, la brochure scarseggia. A parte una mappa non molto utile della città, altro non hanno. Passeggio tranquillo e beato lungofiume, senza fretta. Migliaia di persone, tantissimi giovani, in questa giornata azzurrissima. Pudong è fantastica, un immagine avveniristica, quasi irreale. Sembra un immenso dipinto su tela, opera del miglior artista, della mente più fantasiosa di questo mondo. Invece è realtà, una piacevole realtà. Mille fotografie, mille giovani ragazze con in mano fiori regalati loro dai fidanzatini, mariti, spasimanti. Un’ esplosione di colori e allegria. Mi soffermo più volte ad osservare il futuro oltre fiume ed il presente, la realtà di questi sorrisi. Arrivo al fondo della passeggiata, al monumento agli Eroi della città di Shanghai, e sono a pezzi. I miei piedi chiedono pietà, le forze mi stanno lentamente venendo a mancare. Rimango ancora una ventina di minuti ad osservare questo angolo incredibile di Shanghai e poi decido di tornare all’ ostello per un breve riposo. Mi trascino fino in camera ed una volta appoggiata la testa sul cuscino cado in un profondo sonno: sono davvero stanco. Riposo per tre lunghe ore e quando apro i miei occhietti il buio s’ è fatto sua la città. Ritorno alla passeggiata sul fiume, affollata come nel pomeriggio. Pudong, illuminata, è fantastica. Spiegare a parole questo spettacolo è impresa difficile. Mille luci colorate squarciano la notte, questa notte. Cerco di non farmi imbambolare da questa immagine e lentamente raggiungo il fiume Wusong, l’ affluente del Huangpu.
Il ponte Waibaidu, conosciuto anche come il ponte del Giardino, risalente al 1907, è uno dei pochi ponti in acciaio della città ed è magicamente illuminato. Prima del 1856 il fiume si attraversava solo a bordo di un battello, e quando venne costruito il primo ponte in legno, veniva fatto pagare il pedaggio per attraversarlo. Continuo a passeggiare, spingendomi in Yuanmingyuan Rd. Sorge alla mia sinistra la bellissima Union Church, del 1885 e poco dopo l’ ex consolato britannico, del 1840, il primo edificio straniero di Shanghai. E’ una strada molto elegante, sono diverse le boutique e molti i ristoranti di classe. Attraverso strade e stradine, vicoli e vicoletti, dove Cina ed occidentale si sfiorano senza mai però mescolarsi, fondersi. Una decina di minuti di passo e sopraggiungo nella strada più famosa di Shanghai, East Nanjing Road. Un mare di persone, insegne al neon che si sovrastano una con l’ altra in un esplosione di colori. La mia prima preoccupazione è ora di trovare un luogo ove cenare, siccome la fame inizia a farsi sentire a gran voce. La mia scelta ricade su di un ristorantino davvero bello, piccolino, tranquillo. Senza spendere una follia, mangio abbastanza bene. Il solito piatto di Noodles, questa volta però meno saporiti rispetto a quelli assaggiati nei giorni precedenti. E’ inutile, nelle bettole più squallide il cibo è migliore di ogni altro posto a questo mondo. Riprendo a passeggiare ponendo attenzione ad ogni cosa che mi circonda, ogni dettaglio, ogni situazione davanti a me. Provetti ballerini, cantautori, insegnanti di karatè. Una festa, ogni giorno, tutte le sere. Quesa strada pedonale vide negli anni ’20 la nascita dei primi grandi magazzini in Cina e l’ ingresso nell’ era moderna ( anche se per pochi eletti ). Gap, Apple, Ralph Lauren…pare di essere a Parigi se non fosse per le migliaia di occhi a mandorla. Cammino fino a giungere a People Square, laddove East Nanjing Rd termina la sua corsa verso il consumismo più sfrenato. Torno indietro restando spesso ad osservare gruppi di ballerini improvvisati che attirano la folla con il loro danzare, cantanti osannati dai presenti…gente strana, per tutti i gusti. La stanchezza ritorna a farsi sentire cosicchè non posso far altro che tornare in camera. Quando è ormai mezzanotte, posso finalmente distendermi nel letto e lasciarmi andare ad una meritata dormita.
Venerdì 24 agosto
La sveglia suona relativamente presto. Ho dormito bene ed ora mi sento rilassato e pieno di energia. La fantomatica agenzia di viaggi a fianco dell’ ostello è ancora chiusa ( forse lo è sempre stata ). Mi decido a raggiungere direttamente la stazione ferroviaria: non ho altra scelta. L’ ostello non è in grado di farmi avere un biglietto ferroviario, agenzie viaggi per il momento non ne ho viste, e onde evitare problemi l’ unica soluzione che intravedo è quella di raggiungere direttamente la stazione. Dopo aver fatto colazione a suon di pan au chocolat, via metropolitana ( 11 fermate e 30 minuti di viaggio -piccola la cittadina di Shanghai… ) arrivo finalmente alla grandiosa stazione di Hongqiao. Alle macchinette self service non riesco a risolvere la mia situazione. Hong Kong o Shenzen sono due parole sconosciute…possibile? Cosi, diligentemente, mi apposto in coda ad una delle numerose biglietterie. Quando viene il mio turno…accidenti, a farmi capire è impresa titanica. Anche per via della moltitudine di biglietti messi in vendita: prima classe, seconda, cuccetta, sedili duri…insomma, un casino! In qualche modo, senza sapere come, riesco ad avere tra le mani il biglietto ferroviario che mi consegnerà alla città di Hong Kong. Felice e contento m’ avvio a riprendere la metro ma quando osservo con più attenzione questo piccolo foglietto di carta rosa…oh perbacco! L’ uomo alla biglietteria ha si compreso la destinazione, ma non la carrozza! Ho con me un biglietto per Hong Kong senza posto a sedere. Cioè, dovrei affrontare l’ intero viaggio -si parla di qualcosa come 18 o r e d i v i a g g i o, in piedi. E di notte. Quando gli altri riposano, io rimango in piedi. Memore dell’ esperienza di qualche giorno prima sulla linea Pechino-Pingyao, la sola idea di avventurarmi in questo viaggio, mi sciocca. Senza accorgermene, come un manichino, sono immobile da diversi minuti con lo sguardo fisso su questo biglietto mentre tutto attorno a me è frenesia, gente che corre, che spinge…ed io li, fermo come un bonsai. Cerco di mettere da parte questi pensieri, almeno fino a pochi minuti dalla partenza di questo terribile viaggio che m’ aspetta. Con la metro raggiungo People Square, un grande giardino verde nel cuore si Shanghai circondato da grattacieli. Un polmone verde nel bel mezzo di una giungla di cemento, vetro e acciaio. Mentre passeggio tranquillamente all’ ombra degli alberi, s’ avvicina un giovane domandandomi se posso scattare una fotografia a lui e alla sua ragazza. Nessun poblema, anzi. Ma poi inizia a discorrere, ad informarsi su di me. Da quattro chiacchere diventano otto e poi sedici. Non so come mandarli elegantemente a quel paese, iniziano ad essere noiosi. Continuano a dirmi che se voglio posso far loro compagnia mentre vanno a sorseggiare un te in un locale poco distante. No, no e ancora no. Mille volte. Ma non riesco più a staccarmeli. Metto da parte l’ educazione e m’ allontano con un sintentico ‘bye bye’. Pochi passi e noto un ragazzo avvicinarsi dietro a me. M’ appoggia la mano sulla spalla, parlandomi ad alta voce in inglese. Colto alla sprovvista, non riesco a capire nulla, succede tutto cosi velocemente. Cosa vuole da me? E’ molto elegante, dai lineamente europei, e dopo pochi istanti mi saluta allontanandosi alla stessa velocità con cui è sopraggiunto. Dopo l’ iniziale sbandamento, capisco. Non ho compreso appieno le sue parole, ma voleva semplicemente mettermi in guardia dai due giovani, null’ altro che due truffatori. La loro unica intenzione era quella di portarmi in un locale ( in accordo con il proprietario ) e spillarmi soldi in consumazioni. Una truffa. Che stupido, solo ora capisco…e non sono neanche riuscito a dire grazie a questo giovane. Poteva fregarsene invece ha voluto mettermi in guardia, prestandomi il suo aiuto. Continuo a passeggiare nel parco, al fresco della giornata. E’ un luogo piacevole dove fare un break dal lavoro, dove riposare qualche istante la mente ed il corpo. Laghetti, sentieri, una fitta vegetazione. Mi distendo su di una panchina a godere di questo sole, a riposare un poco. Chiudo gli occhi ma poi, improvvisamente, mi sento toccare con la mano. Spaventato, sobbalzo in piedi. Davanti a me un signore anziano, dalle cui labbra fuoriescono parole a me incomprensibili. Sembra scusarsi, pare voglia dirmi di non preoccuparmi, che si è sbagliato. -Ma cosa diavolo volete da me oggi? Tutti a rompere le scatole? Lo liquido velocemente, anche se imperterrito continua ad osservarmi. Mi distendo per la seconda volta, incurante della sua presenza. Ma nuovamente sento toccarmi la gamba. -Ma che c***o vuoi vecchio rimbombo?- Lo rimprovero ad altra voce, sono molto infastidito…è mai possibile restare tranquilli in questo angolo di mondo? Si allontana velocemente, borbottando. Lo stesso faccio io, imprecando e maledicendolo. Noto in quei frangenti la giovane coppia che poco prima m’ aveva teso l’ inganno. Li vedo atteggiarsi nei soliti modi, cercando di trarre in inganno questa volta un altro giovane. Senza tanti complimenti m’ avvicino e nel mio modesto inglese spiego la situazione al giovane. La coppia, non appena capisce, si dilegua velocemente. Il giovane mi ringrazia della gentilezza, ma era già a conoscenza dei metodi di People Square… Visto che questo luogo è alquanto strano e particolare, preferisco abbandonare la scena e raggiungere via metropolitana la sede del primo Partito Comunista. Nuovamente una giovane coppia s’ avvicina con la scusa di una fotografia…ma questa volta, un vaff ad alta voce non me lo leva nessuno… Le indicazioni della mia guida non coincidono con la mappa della metropolitana di Shanghai. La fermata riportata sulla mia LP non esiste: possibile? Guardo e riguardo per una decina di minuti. Non esiste per davvero, possibile? Messa da parte tale intenzione, opto per la visita al quartiere dell’ Expo. Stessa situazione: la fermata metro non esiste. Cavolacci, dopo A e B deve per forza esserci C. Invece no, si passa subito a D. Ma come è possibile? Avranno cambiato nome alla stazione? Pazienza, vorrà dire che mi fermerò alla stazione metro che precede quella più vicina. Ahi, che errore madornale. Quando sbuco dalle tenebre della terra alla luce del sole, m’ accorgo che nelle vicinanze non vi sia nulla che possa assomigliare al quartiere dell’ Expo. Domando informazioni a due o tre persone, anche se le risposte sono molto vaghe e confuse. Inizio a camminare…a camminare e poi ancora a camminare. Il sole caldissimo rende difficoltoso ogni passo. Una ventina di minuti e finalmente s’ apre alla mia vista il famoso quartiere che per sei mesi vide lo svolgersi dell’ esposizione universale più costosa mai organizzata. Mi sembra di camminare nel deserto, quello sahariano. Non un’ anima viva, non un’ auto, nulla di nulla. Solo silenzio e cemento. Solo queste costruzioni vuote e tristi, chiuse al pubblico. Possibile? Continuo a camminare, fiducioso, anche se inizio ad avvertire segni d’ insofferenza a causa del caldo. Quando osservo la strada davanti a me, centinaia e centinaia di metri…mi prende male. Ma tanto tornare indietro non avrebbe senso. Continuo il cammino, nella speranza di trovare presto qualcosa da vedere, da osservare, una parte dell’ esposizione ancora in vita. Invece… Passeggio nel nulla, nel vuoto più totale, un mondo quasi irreale. Mi pare di essere Will Smith in ‘Io sono Leggenda’. Con il passare dei minuti mi rendo conto che l’ Expo non è altro che un quartiere abbandonato, privo di ogni forma di vita. I vari padiglioni si susseguono uno dopo l’ altro e non sono neanche troppo ‘fotogenici’. Brutture all’ odierno stato delle cose. Certo che ora, osservando le fotografie dell’ epoca, mi domando perchè il comune della città abbia lasciato cadere in disgrazia queste costruzioni. Prima era uno svavillare di bandiere, colori, caffè e persone, luci. Ora, il nulla. Giunto al padiglione della China Shipbuilding, svolto con la ferma intenzione di raggiungere la sponda del fiume. Con molta amarezza, scopro che il padiglione più famoso, più celebre, il China Pavillon, si trova sulla riva opposta. Che sconforto…tanti chilometri per nulla. Le mie forze stanno venendo a mancare ed io non ho portato a compimento la spedizione, anzi. Ho vagato per un’ ora nel bel mezzo del nulla. E per di più, ora mi tocca andare alla ricerca della stazione della metropolitana, ubicata chissà dove. Mi distendo per alcuni minuti all’ ombra di un albero, in una situazione grottesca. Inizio ad avvertire la paura: sono affaticato, questo sole bollente m’ ha privato delle residue forze, per di più sono senz’ acqua, senza bevanda alcuna. Avrò ancora le batterie per raggiungere sano e salvo la metropolitana? Sono consapevole che restare sotto l’ albero non mi porta da nessuna parte. Preso dall’ ansia, riprendo il cammino. Altri padiglioni, svuotati della loro anima per cui erano stati concepiti. E poi, finalmente, una persona, reale, viva. A suo avviso, la metro è molto più avanti. Cammino, anche se i miei piedi fumano e corro il serio rischio di fondere l’ asfalto. L’ ansia svanisce quando faccio ritorno alla ‘vita’, al traffico della metropoli. Il grande viale alberato è per me come un paradiso dove mettere a riposo la mia pelle accaldata. Senza sapere come, riesco a raggiungere la stazione della metropolitana. Quattro chilometri nel nulla, sotto un sole bollente, forse ancor più dei ravioli di Shanghai… Alive. Distrutto da questa giornata, rattristato per aver perso due ore senza ottenere ciò che volevo, ritorno all’ ostello per una doccia. Due orette per riappropriarmi delle forze e quando sono le 16 faccio ritorno alla vita della città. Passeggio con molta tranquillità, ammirando Pudong e lasciandomi andare a milioni di fotografie. L’ aria del fiume dona freschezza al mio viso, allegria, voglia di vivere come non mai.Raggiungo l’ entrata del Bund Sightseeing Tunnel, il modo più insolito per raggiungere dal lato nord della piazza Chen Yi al Bund, l’Oriental Pearl Tower radio e la Television Tower a Pudong. Lungo i 647 metri del passaggio sotterraneo sono state applicate immagini alle pareti della galleria e sono state installate apparecchiature che diffondono musica di sottofondo. Entrato nel tunnel salgo su di un vagoncino giallo e poco dopo inizia il viaggio al ritmo di house music ( improponibile ), con proiezioni, colori e luci psichedeliche che m’ accompagnano fino all’ingresso della torre della televisione. Un’ esperienza per nulla interessante, a fronte delle sette euro del biglietto…
Eccomi, Pudong. Spettacolare. Unica. Fantastica. Futuristica. Per prima cosa raggiungo la sponda del fiume, dove si apre una bella e piacevole passeggiata. Ammiro in lontanaza il Bund, cosi diverso, incredibilmente diverso da Pudong. Siedo su di un muretto, con il mio buon gelatino McDonald. Quant’ è rilassante godere di attimi di pace, ammirare lo skyline della città. E’ una delle prime volte che obbligo il mio ‘tempo’ a fermarsi, ad arrestare le lancette dell’ orologio. Dopo giorni passati a camminare, ad essere sempre in movimento, ora voglio godere di qualche istante di tranquillità, senza la necessità di fare le cose di corsa, di impormi una tabella di marcia da rispettare. Rimango un’ ora oziando piacevolmente. L’ alta marea ha sommerso una parte della passeggiata, e quindi un solo tratto è percorribile. La vita pare scorrere lentamente, a misura d’ uomo. Riprendo il passo felice, sereno. Raggiungo il cuore di Pudong, e mi è difficile credere che fino a pochi anni addietro vi erano terreni paludosi, dove ora svettano nel cielo alcuni dei grattacieli più alti del globo. Una profusione di vetro e acciaio. Dal Lujiazui Loop Bridge, una passerella a circa dieci metri di altezza di forma circolare, si gode di una spettacolare vista sul cuore di Pudong. Mi sento cosi piccolo, cosi immensamente insignificante di fronte a questi grattacieli che svettano quasi a toccare le nuvole. Rimango letteralmente senza parole, sorpreso, incredulo. Alle mie spalle s’ innalza l’ Oriental Pearl Tower, la torre televisiva, un’ avveniristica costruzione in cemento che poggia su una base a tre colonne. E’ il simbolo della rinascita della città, il simbolo di Shanghai. Mi perdo in migliaia di fotografie, come a voler scolpire per sempre queste immagini che ho davanti agli occhi. Il sole sta lentamente calando e mi vedo costretto a raggiungere velocemente il Shanghai World Financial Center se voglio ammirare dall’ alto la città, al chiaro del giorno e illuminata di notte. Si tratta del più alto grattacielo di Shanghai e di tutta la Cina: la sua altezza è di 492 metri. È al quarto posto tra i grattacieli più alti del mondo e a mio avviso, il più bello. Impiego qualche istante a capire dove sia celato l’ ingresso. Il prezzo del biglietto è esorbitante, ma in fondo questa è un’ esperienza non da tutti i giorni. Restare sospesi in mezzo alle nuvole, osservare quanto è piccolo anche se incredibilmente grande il mondo ai miei piedi…sono senzazioni uniche e particolari, da vivere. Prima di giungere al velocissimo ascensore che in pochi secondi consegnerà la mia anima alle nuvole, siamo costretti a sorbirci una ventina di minuti di filmati et varie. Assai interessante è il modellino in scala della città di Shanghai e alcune proiezioni che mostrano l’ espansione della città nel corso dell’ ultimo decennio. In meno di un minuto, dal piano terra, raggiungiamo la vetta del WFC posta a quasi 500 metri d’ altezza. Si, sono ora appoggiato dolcemente sulle nuvole. La città è già avvolta dal buio della notte, e ai miei piedi il Bund, illuminato a giorno, Pudong, la torre della televisione…mille luci colorate, tantissime persone che come me osservano ammirati questa fantastica città dal cielo. Passeggio su questa passerella in vetro, che impressiona. E’ incredibile osservare quanti flash squarciano la notte dal Bund, ad immortalare questi grattacieli. Impiego non poco tempo a trovare un posticino alla vetrata per osservare al meglio la città ai miei piedi. E’ incredibile quanto è bello… Resteri ore ad osservare questo spettacolo, questo mondo che mi stupisce ogni giorno di più e che ogni secondo che passa sa offrirmi qualcosa di nuovo e magnifico. Ma dopo un’ ora a spasso nel cielo mi vedo costretto a tornare tra gli umani, con i piedi ben saldi a terra. Inizio ad avvertire la fame, questa giornata ha leso le mie già poche forze. Nei pressi della passerella Loop Bidge, si aprono diversi negozi e centri commerciali. Siccome Pudong è il cuore finanziario della città, immagino che i prezzi siano esorbitanti sia nella ristorazione che per il settore dell’ abbigliamento. Ed invece, mai previsione fu cosi errata. Scorgo un locale molto carino, un ristorante posto in fronte al WFC. Senza spendere una follia, posso finalmente far mio un piatto enorme di noodles ed un’ ottima birra ( quella che avevo scelto mi viene sconsigliata dalla cameriera…). Sazio e felice, raggiungo il lungo fiume per una passeggiata rinfrescante. La brezza serale accarezza il mio viso mentre osservo il Bund magicamente illuminato. Rimango seduto in silenzio ad osservare le persone camminare, sorridere, mano nella mano. Cerco di non farmi vincere dalla solitudine, dalla mancanza della mia Cristina, lontana migliaia di chilometri. Per tornare alla sponda opposta del fiume, vado alla ricerca della metropolitana. Impiego non meno di venti minuti a scovare la stazione grazie anche alle erronee informazioni di alcuni passanti! Tornato al Bund, passeggio ancora una mezz’ oretta tra la folla, con il volto costantemente rivolto ai grattacieli di Pudong che lentamente sono avvolti dalla foschia. Quando sono le undici, stanchissimo, torno in ostello. I tavolini alla reception sono tutti occupati, il bar con splendida vista sulla città è sovraffollato…non mi resta che scrivere il mio diario comodamente sdraiato sul letto. Dopo una decina di minuti sopraggiunge in camera un giovane ragazzo che non ha nulla di meglio da fare che attaccare bottone. Posso capire la sua curiosità, la voglia di parlare con qualcuno…ma perchè proprio con me? Parla un discreto francese e mi dice d’ esser a Shanghai per studiare la lingua cinese. La mia prima impresisone è che sia gay e che abbia secondi fini…ma poi capisco essere solamente un ragazzino curioso ed espansivo. E sicuramente gay. M’ addormento cercando di non pensare alla giornata che verrà. Meglio.
Sabato 26 agosto
Apro gli occhi quando l’ orologio segna le otto del mattino. Prolungo la permanenza sotto le coperte al calduccio mentre odo tuonare paurosamente. Lampi, pioggia, tuoni…che bella giornata! Scendo dal lettone un’ ora più tardi, verso le nove, anche perchè con questo tempo vi è ben poco da fare in città. Mi affaccio alla finestra e fortunatamente si, piove, ma meno intensamente di quanto i tuoni lasciassero pensare. Come dire, tanto rumore per nulla. Esco dall’ ostello e giunto quasi alla riva del fiume, mi soffermo a pensare: ma dove voglio andare? Pioviggina ancora, anche se a Pudong pare esserci il sole. A questo punto, siccome ho solamente un’ ora a mia disposizione, faccio ritorno in camera. Preparo i bagagli e mi riposo ancora una mezzoretta, dato che la giornata a cui vado incontro è molto impegnativa e faticosa. Con il morale sotto i piedi m’ avvio lungo Nanjing Road. Mi volto a salutare quell’ immagine da cartolina di nome Pudong, cercando di scolpirla indelebilmente nella mia mente. Forse annebbiato dalla paura di dovermi sorbire 18 ore di treno in piedi, sbaglio addirittura direzione della metropolitana. Incosapevolmente, sembra voglia scappare lontano dalla stazione ferroviaria… Il mio pensiero non riesce a staccarsi da questo terribile viaggio a cui vado incontro.
Ho ancora una speranza: andare in aeroporto e cercare un biglietto aereo a basso costo per Hong Kong. Siccome la fermata della metropolitana dell’ aeroporto è quella successiva alla stazione ferroviaria…perchè no? Informarsi non costa nulla, d’ altronde. Prego iddio che le mie preghiere vengano esaudite. La mia intenzione è questa: sono disposto a spendere non più di 120 euro per un biglietto aereo, altrimenti, 18 ore di treno. Non posso mandare a put***e il bilancio di questo viaggio, ho voluto fortemente la Cina e a tutto sono disposto. Giunto in aeroporto domando ad una giovane hostess informazioni, dato che non ho idea di dove andare. Siccome non parla inglese mi accompagna al desk dove spiego alla signora cosa voglio: Hong Kong, due semplici parole. Vedo la signora osservare il monitor del suo computer, battere velocemente le dita sulla tastiera, scuotere la testa…attimi di tristezza mescolata a panico, terrore. Poi, guardandomi negli occhi, dirmi: volo ore 14.30, prezzo 1550 yuan. Perbacco, un volo allora c’ è! Mi allontano qualche secondo, faccio due calcoli con la calcolatrice. E poi consulto il mio buon senso. Dunque: l’ aereo decolla fra meno di tre ore, quindi come orario direi che è perfetto. Al cambio, però, qualcosa come 180euro. Cavolo, una follia! Come un bambino, dopo essermi consultato non più di tre secondi con la mia anima, esclamo: madama, ci sto! Il mio bilancio va a farsi benedire, ma onestamente…non posso far altrimenti. Potrà sembrare stupido, ma il solo pensare di dover sopportare un viaggio di quasi un giorno in piedi, nelle condizioni che avevo avuto modo di osservare qualche giorno prima…no, non è fattibile. Carta di credito alla mano, faccio mio questo benedetto biglietto aereo. Lentamente scompare l’ ansia, la tristezza, ed il solo pensare d’ essere in meno di due ore ad Hong Kong, mi solleva l’ animo. Mi sento più leggero, tranquillo. Arrivato al gate osservo il grande pannello informativo. Sono molti i voli con partenza ritardata, ed uno, per Shenzen, annullato. Speriamo in bene va… Partiamo con un leggero ritardo, ma poco importa. Durante il viaggio viene servito qualcosa da bere e mangiare, poca cosa ma ben accetta siccome non ho ancora pranzato. Atterriamo a Shenzen intorno alle 16.30. Ancora una precisazione: il volo verso Hong Kong costava molto più rispetto a Shenzen. E siccome da Shenzen vi è la comoda metropolitana che in meno di un’ ora conduce alla frontiera, onde evitar di spendere altri soldi inutilmente, accetto di buon grado la destinazione. Messo piede a terra, raggiungo il desk delle partenze ad informarmi quanto possa costare un volo diretto a Guilin. Questa volta gioco d’ anticipo. Raggiungo la stazione metropolitana e dopo un ora di viaggio arriviamo a Luo Hu, posto di confine tra la Cina e Hong Kong. Non ho la più pallida idea di dove andare. Mi trovo insieme a centinaia di altre persone in un capannone grigio e triste con negozietti e quant’ altro. Seguo le indicazioni, a dir la verità molto astratte, che conducono alla frontiera vera e propria. Mi trovo a camminare, immagino, all’ interno di un deposito, una costruzione anteguerra. Salgo, scendo al piano terra e poi nuovamente al piano primo. Un labirinto. Mi perdo più di una volta, anche seguendo una coppia di cinesi ( sicuramente loro sanno dove andare…oh già! ) all’ interno di una scala che non conduce da nessuna parte. Solo dpo mille peripezie giungo finalmente al posto di frontiera. Mammamia che casino per arrivare fin qua! Davanti a me una decina di sportelli, e lunghe code. Osservo il viso delle persone sperando di scorgere lineamente occidentali, in modo tale da capire a quale sportello andare. Invece, nulla. Solo musi gialli, tutti diligentemente in coda. Compilo il questionario da consegnare al personale di frontiera, e poi resto in attesa in questo lungo serpente di persone. Quando viene il mio turno, consegno passaporto, questionario appena compilato, e osservo il giovane ragazzo scrutare più volte il mio viso e la fotografia del passaporto. Sarò io? Eccome che sono io quello della fotografia! Finalmente lo vedo prendere il timbro e…tac, pratica d’ espatrio approvata! Bene! Ma ancora non è finita: mi tocca ora fare coda alla frontiera di Hong Kong. Anche in questo caso devo compilare un questionario, riportante le solite ed inutili domande di rito. Pochi minuti d’ attesa e poi, finalmente, ottengo il visto d’ ingresso che m’ apre le porte alla città! In meno di un’ ora, anche se non cosi facilmente come potevo immaginare, ho sbrigato tutte e due le pratiche. Bene, molto bene. La mia preoccupazione è ora quella di aver valuta corrente. Di bancomat neanche l’ ombra e mi vedo quindi costretto a cambiare gli Euro al banco del cambio. Acquisto alle macchinette self service un biglietto della metro, al modico prezzo di 4 euro e sono pronto a partire, direzione Hong Kong! Tre quarti d’ ora di viaggio e finalmente giungo nel cuore della città. Cambiando linea metro vengo a scoprire un mondo sotterraneo non meno esteso di quello in superfice, vere e propire città al di sotto del manto stradale. Quando esco all’ aria della giornata…lungo sospiro: sono ad Hong Kong, non mi pare vero! Impiego diversi istanti prima di rendermi conto d’ essere per davvero in questa incredibile città… La giornata è bellissima, un caldo sole risplende alto nel cielo. Il morale è al massimo, dall’ estremità opposta di dove era in mattinata.. Ora, compito semplice a mio avviso, vado alla ricerca dell’ albergo dove soggiornerò in queste due giornate. Si, semplice. Eccome… Vago per una mezz’ ora nelle stradine affollatissime di Nathan Road. Mai visto cosi tante persone camminare velocemente, il traffico caotico ed i bus tipicamente inglesi. Il mio passo è più volte arrestato da tipi loschi, chi vuole vendermi le gozzaviglie più varie, chi vuole portarmi in night club…con questo zaino enorme non passo di certo inosservato, anzi, attiro gli sguardi come poche altre persone. Il tempo trascorre velocemente senza che io riesca a trovare questa benedetta strada. Ma è possibile? La mappa parla chiaro, ho domandato informazioni e tutti mi hanno indicato pressapoco la stesso punto. Sono sicuro di essere vicino a Chungking Mansions, eppure… Sono sudatissimo, le mie forze stanno venendo meno. Vedo due guardie della polizia, almeno loro, penso, saranno in grado di dirmi dove diavolo è questa strada. Gentilmente la guardia, notando le mie precarie condizioni, m’ accompagna a Chungking Mansions che…che è un sottopassaggio all’ interno di un palazzo. Sono sbalordito: non è una strada, un viale, una vietta, un vicolo. No, nulla di tutto questo. E’ semplicemente un passaggio al piano terra di un grattacielo. Ed il bello è che all’ ingresso, tra un negozio e l’ altro, vi è la scritta enorme ‘Chungking Mansion’. Ma come potevo immaginare tutto questo? Messe da parte imprecazioni varie, l’ unica cosa che ora mi sta a cuore è quella d’ avere una camera, un riparo per la notte, un letto. Faccio ingresso nel lungo corridoio e noto un discreto numero di persone in coda davanti alle porte di un ascensore. Non do troppa importanza e continuo a camminare. La mia guida parla di un albergo al numero 21, sicuramente più avanti. Passeggio tra i mille negozietti di verdura e hi tech, tutti insieme appassionatamente. Ma di Chungking Mansions n. 21, neanche l’ ombra. Non è possibile…sono daccapo. Senza allungare oltremodo il racconto ( più di quello che è già… ), la numerazione di Chungking Mansions non è sul piano orrizzontale, ma in verticale. E si accede tramite quel famoso ascensore visto poco prima. Ma tu pensa che mondo… Aspetto in coda, insieme ad altre persone. Vi è un uomo grande e grosso che regola l’ afflusso in entrata e uscita, un bodyguard per l’ ascensore: cose da matti. In otto su un ascensore la cui portata massima, a mio avviso, è di tre persone…ma questi son dettagli. Raggiungo il piano dell’ albergo, dove la reception è una saletta in discrete condizioni posta nel corridoio. Due giovani donne di colore sono davanti a me, ma quando la signora ( la padrona presuppongo.. ) dice loro che è al completo…mazzata! Tentare non mi costa nulla, ormai son qui ed infatti il buon Signore mi vien incontro. E’ ancora disponibile una stanza privata, al modico prezzo di 25 euro. Sono consapevole che se anche la signora m’ avesse sparato cento euro a notte, avrei accettato. Quando m’ apre la porta della camera, mi scappa un sorriso. Si tratta di uno sgabuzzino di due metri di lunghezza per uno, dove è stato riposto un letto e un piccolo comodino. Vi è addirittura un bagno privato, dietro la porta a specchio. Enorme, davvero. Giusto lo spazio per sedersi sulla tazza, ovviamente con la porta aperta se non voglio sbattere le ginocchia… Ma alla fine non ho pretese, a me basta un letto comodo e un posto sicuro per la notte, e che poi la camera sia grande quanto Versailles o di un metro quadro, poco importa. Quindi, mi distendo felice sul letto, a pensare a quanta tristezza ho provato alla mattina. Il tempo è volato, le ore sono corse via senza che io me ne sia accorto. Scendo per le strade della città, un giretto nel quartiere, e ritorno in camera. Intorno a mezzanotte, vado a dormire, stanchissimo.
Domenica 26 agosto
Mi sveglio presto, ansioso come sono di scoprire Hong Kong. Alla reception vengo a scoprire che…che la mia camera verrà occupata nel pomeriggio. Ma la fortuna anche questa volta non m’ abbandona, e fortunatamente vi è ancora un letto in una stanza da quattro persone. Oltretutto costa pure meno, quindi va anche meglio. Certo…quando apro la porta rimango un poco esterefatto, lo spazio a nostra disposizione è davvero pocino, ma in fondo, siamo ad Hong Kong, dove ogni metro quadro costa come un monolocale a Roma. A me capita il letto peggiore, al piano ‘primo’, quello vicino al soffitto: lo spazio è davvero ristretto. Non do troppa importanza a questi dettagli, abbandono lo zaino e parto immediatamente alla scoperta della città. Nathan Road è affollata e viva come non mai. Percorro la strada che mi separa dal molo, passando davanti al Peninsula Hotel, uno dei più lussuosi della città. E poi boutique, angoli verdi ben curati, auto di lusso. Insomma, la Cina pare distante secoli in questo angolo di mondo, ancor più di quanto lo era a Shanghai. Quando giungo al piazzale dove salpano le imbarcazioni per il Central scorgo davanti a me un mare di persone. Centinaia di giovani e meno giovani. Ma saranno tutti in coda alla biglietteria? Sono spaventato all’ idea di restare ore sotto il sole ad aspettare il mio turno, ed invece…invece tutte queste persone son qui ad ammirare una mostra all’ aria aperta. Una cinquantina di Doraemon sono esposti sul piazzale. Uno con il pallone ai piedi, l’ altro con la chitarra, l’ altro ancora vestito da Superman. Sono moltissime le famiglie con pargoli al seguito, ma anche tante ragazzine sorridenti. E’ una cosa simpatica, carina, che dona un tocco di allegria alla mia giornata. Ma ora devo sbrigarmi, voglio raggiungere il Central il prima possibile! Il molo dove salpano i famosi Star Ferry è a poche decine di metri dalla mostra en plein air. Si tratta di un servizio avviato nel 1888 e che comprende 12 traghetti passeggeri ( ciascuno prende il nome di una stella ) che fanno la spola nel Victoria Harbour tra Hong Kong e Kowloon. Sulla passeggiata sono esposte alcune fotografie che mostrano i crimini perpetrati dai cinesi nel passato…mon dieu! Non esiste una biglietteria, almeno io non l’ ho intravista, ma solo una macchinetta self service. Sono alquanto stupito, mi pare assai strano. Seguo con lo sguardo una signora inserire delle monete, e ritirare un gettone. Il costo della traversata è pari a un 1.30 euro: cado dalle nuvole, mi pare impossibile, siamo ad Honk Kong dove tutto costa carissimo, anche l’ aria, e non a Gambasca city. Eppure…proseguo a passeggiare sul molo coperto con il gettone in mano, fin ad arrivare al battello, in procinto di salpare. Consegno il mio gettone e…salgo! Che bello! Ma allora costa davvero cosi poco! La traversata dura una decina di minuti. Prestando attenzione a non cadere in mare, m’ appoggio alla balaustra osservando la città e i suoi grattacieli. Che sensazioni…che piacere, mentre il battello gongola, chiudere gli occhi lasciandomi accarezzare la pelle del viso dalle brezza del mare. Qual felicità… Sbarcato al Central non ho la più pallida idea di dove andare. In questo angolo di Hong Kong la haute couture incontra l’ alta finanza, dove negli svettanti grattacieli si firmano contratti multimilardari. Alcuni lavori in corso m’impediscono la vista, facendomi sbagliare inizialmente direzione. Salgo degli scalini e mi trovo a camminare su di una passerella che attraversa la strada e prosegue fin a giungere, una cinquantina di metri più avanti, a negozi e boutique. La città sembra essere inizialmente deserta, ma non do peso, in fondo è domenica anche qui. Ma poi, svoltando l’angolo, mi trovo a passeggiare in mezzo a centinaia di donne asiatiche, la maggior parte sedute a terra. Sembrano in attesa di qualcosa, saranno forse in coda a qualche ufficio? Di domenica? Non riesco a capire… Solo per capire come scendere dalla passerella sopraelevata impiego una ventina di minuti…pare un labirinto in mezzo ai grattacieli, a dieci metri da terra! Finalmente torno con i piedi a terra ed ecco svelarsi la vera anima di Hong Kong: non c’ è nessuno! Sembra una città fantasma, in tutto e per tutto. Nessun anima, nessun auto. Allarme bomba? Città evacuata? Niente di tutto questo… D’ improvviso, alle mie spalle, odo sopraggiungere un tram. Oh perbacco, ma allora qualcosa si muove da queste parti. Mi volto, ed ecco sopraggiungere il famoso tram di Hong Kong. Ormai questi mezzi hanno compiuto un secolo e vantano un modello unico al mondo: si tratta infatti di tram a due piani con fiancate in legno, che percorrono 6 linee lungo 16 km di binari in direzione est-ovest nella parte nord di Hong Kong Island. Sono, a mio avviso, spettacolari! Assomigliano moltissimo ai noti autobus inglesi, solo sono più stretti e meno…meno comodi. Sono curiosissimo, non vedo l’ ora di salirci sopra! Prendo posto ignaro di dove possa condurmi! Ma che importa infondo! Mi siedo al piano superiore, nella parte anteriore del tram. Davanti a me, mentre lentamente percorriamo Connaught Road, i mille grattacieli che s’ affiancano uno all’ altro. La città muta con il passare dei minuti. Dai grattacieli svavillanti del Central ai palazzi piuttosto malandati della ‘ periferia’, se cosi possiamo chiamarla. Le boutique alla moda soppiantate dai negozi di verdura, di cianfrusaglie. Due mondi a stretto contatto, anche se il Central tende a ‘divorare’ sempre più i quartieri residenziali ad est. Trascorro una decina di minuti ad osservare la città dal grande finestrino, con il naso rivolto costantemente al cielo, e poi giunto quasi al fondo della strada, scendo velocemente dal tram. Mi sento chiamare. Voltandomi, vedo l’ autista domandarmi qualcosa…ho capito: si paga. La cosa strana è che avevo domandato ad una giovane quanto veniva a costare il biglietto, e lei, boriosa nella sua sicurezza, mi aveva risposto che era totalmente gratuito il servizio. Avevo qualche dubbio in proposito, ma salendo sul mezzo nessuno mi aveva chiesto nulla, quindi, un poco ci credevo. Ma il biglietto si paga quando si scende… Consulto la cartina in mio possesso e a quanto sembra, ora, sono ben fuori dal Central. Mi avvio a piedi per qualche decina di metri ma poi, vedendo che nulla di interessante s’ apre alla vista, decido di usufruire nuovamente del servizio tram. Mi diverto un sacco ad osservare la città dai finestrini, a stupirmi quando i tram s’ incrociano passando vicinissimi uno all’ altro. Pochi centimetri li separano. Sembra un po tutto finto, irreale: una strada vuota, grattacieli perdersi nelle nuvole del cielo ed in mezzo alla carreggiata questi piccoli e strani mezzi muoversi come dei lenti millepiedi. Sembra la città dei playmobil. Ritorno al Central e vado alla ricerca del famoso ‘elevator’. La città sembra svuotata della sua anima, silenziosa com’è. Poche persone s’aggirano, sguardo basso e passo veloce. Le boutique alla moda si susseguono una fianco all’ altra, ognitanto sfreccia un’ auto a tutta velocità. Mi perdo nei vicoletti fin a giungere al Central-Midlevels Escalator, lungo 800 metri e suddiviso in 20 segmenti. Inizia in Queen’s Rd e si arrampica per 135 metri fino a Conduit Rd, è un opera ingegnosa che rende facile ogni giorno a oltre 60mila persone, la difficoltosa ‘salita’ che dal Central conduce alla collina. Una lunga scala mobile che s’ inerpica tra un grattacielo e l’ altro, a senso unico. Impiego un quarto d’ ora per compiere l’ intero tragitto. Provo ad immaginare durante la settimana lavorativa da quante persone sia preso d’ assalto…che confusione! L’ ultimo segmento dell’ Elevator conduce ad una stradina insignificante, priva di nota. Ridiscendo al Central imboccando stradine a caso, lasciandomi guidare dalle sensazioni. Per caso scorgo un piccolo ristorantino e siccome la fame inizia a farsi sentire…arresto il passo ed entro! Ordino un piatto di spaghetti alla bolognese, ma quando mi vengono serviti…qual amarezza. Funghi. Odio i funghi,io. Anche ad Hong Kong crescono queste schifezze? Un paio di forchettate, ma poi lascio perdere. Il sol odore m’ ha fatto passar la fame, anzi, ora mi vien pure voglia di vomitare! Bleah! Scendo al Central per vie secondarie, senza badare alla mappa in mio possesso. Mi lascio guidare dal caso. Dalla giungla dei grattacieli residenziali in Mid-Levels, i quartieri ‘viventi’ preferiti dagli espatriati, all’ Hard Rock Cafè del Central, attraversando il quartiere di Soho, ricco di ristoranti e bar. Pe caso scorgo il Central Police Station Compound, il più antico simbolo della legge e dell’ ordine di Hong Kong. Si tratta di un vasto complesso oggi in disuso, mentre nel passato ospitava il carcere e le sedi della magistratura. Una decina di minuti di passo e arrivo al Lippo Center, in fronte all’Hong Kong Park. Mi perdo in mille fotografie talmente scenografico è il luogo. La mia fotocamera inizia a fare le bizze, in questa giornata afosa d’ agosto. Forse anch’ essa non sopporta questo terribile caldo. Prima di attraversare la strada ed abbandonarmi al verde e al fresco del parco, dedico ancora una veloce visita alla St. John Cathedral, la più antica cattedrale anglicana della città, costruita nel 1849. Ne varco le porte, dedicando una ventina di minuti del mio tempo al silenzio e meditazione. Non credevo possibile in questo angolo di mondo, di grattacieli e miliardari, ci potesse essere spazio per la religione. Figuriamoci poi per il verde di un parco, dove ogni metro quadro di terra costa come una Ferrari. Forse di più. La natura, in termini economici, non rende nulla e da queste parti quello che conta è il profitto. Invece ecco aprirsi alla mia vista un angolo magnifico di Hong Kong. Cascate artificiali, laghetti, cigni, centinaia di pesci che nuotano indisturbati…da una parte il suggestivo panorama dei grattacieli e dall’ altra le montagne dell’ isola. Otto ettari suggestivi, fantastici. Passeggio felice e contento quando mi balza alla mente…perbacco, la custodia della macchina fotografica! Torno sui miei passi, spingendomi fino al Lippo Center, ma senza fortuna. Ricordo di averla appoggiata all’ inizio della scalinata del parco, ma purtroppo, nessuna traccia. Complimenti a chi l’ ha trovata…sai che fortuna! Il caldo sole viene mitigato dall’ ombra delle grandi piante, che donano freschezza alla mia pelle accaldata. Mille carpe colorate sguazzano tranquille nei laghetti mentre un cartello ricorda ai malintenzionati le multe a cui vanno incontro se arrecano disturbo, o se anche semplicemente gettano un mozzicone di sigaretta a terra. Praticamente se ne va la liquidazione se si viola la legge Passeggio beatamente lungo i mille sentieri, nelle grotte artificiali e dietro cascate d’ acqua. A cornice di questo luogo, lo skyline della città, con i suoi grattacieli svettare nel cielo limpido. Se il silenzio del Central mi aveva sorpreso, ora inizio a comprendere. La città durante la settimana è viva, frizzante, animata. Alla domenica, sembra dormire in un sonno perenne. I miliardari e banchieri che scorazzano per le vie del Central durante la settimana ora sono chissà dove, magari alle Maldive o in Thainlandia per il week end.
La città, alla domenica, è proprietà dei filippini. Uomini e soprattutto donne, che a basso bassissimo costo lavorano come matti tutta la settimana senza quasi mai vedere la luce del giorno. E poi, alla domenica, eccoli uscire da chissà dove, chissà da quali sgabuzzini o cantine, tutti insieme. Sono moltissimi, a migliaia. Al parco passeggio tra le loro risa, i loro sguardi, i loro sorrisi. Mangiano seduti a terra, felici di passare assieme quegli istanti di ‘libertà’. Il Parco è davvero bellissimo e per caso scorgo la grande serra. L’ ingresso è totalmente gratuito, si segue un percorso prestabilito che porta alla scoperta della vegetazione nei vari angoli di questo mondo. Alberi grandi e piccoli, fiori profumati dai mille colori, piante strane. A poca distanza sorge invece un mondo particolare, fiabesco: la riproduzione di un angolo di foresta dove volatili di ogni tipo e provenienza godono di ampia libertà. E’ stata posta al di sopra dei grandi arbusti, a circa una trentina di metri da terra, una rete di protezione, impedendo di fatto la fuga degli uccelli. Una passerella sopraelevata in legno, assai suggestiva, si snoda in un percorso irregolare. E’ un angolo bellissimo di Hong Kong, di natura, di verde, in mezzo al cemento e acciao, al grigiore e alla ricchezza. Un angolo molto ben curato, lontano dal rumore e dal caos della città. Si ha la possibilità di osservare da vicino i volatili più strani, di ogni dimensioni, volare da un ramo all’ altro proprio sopra le nostre teste. Passeggio nuovamente nel verde dell’ immenso parco fin a giungere alla torre da dove, dopo aver ‘scalato’ una miriade di gradini, si gode di una spettacolare vista sulla città. Trascorro più di un’ ora immerso nella natura e nel verde e poi, intorno alle cinque, m’ avvio alla stazione Garden Road del Peak Tram, che sorge poco distante. Quando arrivo nei pressi…mammamia che coda! Quanta gente! Sembra che tutti gli abitanti della città si siano radunati in questo angolo di Hong Kong. Rimango in coda una ventina di minuti sotto il sole bollente prima di giungere alla biglietteria. Devo fare in modo, una volta in possesso del biglietto, di essere tra i primi a cui viene dato accesso alla banchina da dove s’ accede al Peak Tramway (il vero nome). Con un poco di astuzia riesco nell’ intento e diligentemente aspetto l’ arrivo del tram in prima fila. Ma quando si aprono le porte del piccolo mezzo…e rissa. In vita mia non ho mai assistito in prima persona a scene cosi tristi e vergognose. Iniza uno spingi spingi generale per occupare le posizioni migliori, senza badare ad anziani o bambini. In un primo momento rimango sorpreso, ma poi, arrabbiato, redarguisco a voce alta chiunque provi anche solo a spingermi un poco. Ma siamo impazziti? Neanche nella seconda guerra mondiale quando distribuivano il pane le persone era cosi fuori di senno…pazzi! Riesco a far mio un posto a sedere accanto al finestrino, dalla parte cui si gode lo spettacolo migliore. La rotta della Peak Tram ha inizio dal quartiere centrale di Victoria Peak e copre una distanza di circa 1,4 km e un dislivello di poco meno di 400 metri, sfidando le leggi di gravità. Sembra poco a dire, ma in alcuni punti la pendenza è cosi accentuata che da seduti, pare di essere sdraiati (la pendenza massima è di…48% !). La linea ha due curve pronunciate, una a sinistra subito dopo aver lasciato la stazione a valle, e l’altro a destra nella metà superiore della salita. Si tratta di un percorso binario unico e un ciclo di passaggio, dove i due tram si danno cambio di rotta. La sua apertura avvenne nel 1888 dopo tre anni di lavoro. La corsa dura poco, non più di cinque minuti, ma è un’ esperienza unica, irrinunciabile.
La vista che s’ apre sul Victoria Harbour mentre il tram s’ arrampica sulla collina, è ineguagliabile. S’ arresta a metà del tragitto la corsa del tram, anche se non ho ben chiaro il perchè: se per darci la possibilità di scattare qualche fotografia o per altri motivi a noi sconosciuti. La stazione a monte, The Peak, si trova sotto la Peak Tower, un complesso commerciale e ricreativo a Victoria Gap, circa 150 metri sotto la cima del Victoria Peak. La stazione ha la stessa disposizione di salita e la discesa di piattaforme come la stazione a valle. Il centro commerciale non offre un gran che, le solite cianfrusaglie per turisti e qualche bar e ristorante. Da subito, senza pensarci due volte ( bravo asino ) dirigo il mio passo alla vetta della Peak Tower, al piano terzo dell’ edificio. Quando accedo alla terrazza panoramica…rimango senza fiato, immobile. Davanti a me, Hong Kong. I suoi grattacieli. Victoria Harbour. Kowloon. Un panorama mozzafiato, unico, fantastico. La città è ai miei piedi. Rimango un periodo di tempo imprecisato appoggiato alla balconata ad osservare, scrutare, ammirare. La terrazza è abbastanza grande, vi sono moltissime persone. Dopo una mezz’ ora con lo sguardo rivolto allo skyline della città, mi balza in mente che…che il buio farà sua la città non prima delle otto, esattamente fra due ore. Porca miseria, come passare tutto questo tempo? Scendere dalla terrazza non conviene perchè dovrei rifare un altro biglietto ( prezzo salato…). Se solo avessi dato spazio alla ragione di far due conti, anzichè dar via libera alla voglia di vedere e scoprire… Pazienza, può chiamarsi ‘problema’ restare a guardare un dipinto, perchè sembra di essere in fronte ad un magnifico dipinto, dal Peak? Ne sono felice, resterei ore ad osservare il panorama, che da una parte apre alla vista sul Victoria Harbour mentre dalla parte opposta alla baia dell’ isola Green Island. Molte persone mi domandano di scattare loro una fotografia, altri vogliono ricordare questo momento facendosi immortalare con Prezzemolino, cioè io. Il tempo vola via velocemente, lentamente il sole s’ adagia all’ orrizzionte. Di panorami spettacolari ne ho visti molti, dalle Cliff of Moher al promontorio di Cabo Finisterre…ma quello che ho davanti, per mano dell’ uomo, è uno dei migliori, sensazionale. Ecco, l’ uomo. La natura non ha limiti, ma le mani di un uomo cosa sono in grado di fare… E cosi, i minuti volano via. Lentamente s’ accendono le luci della città, i grattacieli s’ animano di nuova vita, nuovi colori, nuova linfa. Ammiro estasiato il tramonto sulla baia della Grenn Island. Mi prende un poco la malinconia, ‘vivere’ tutti questi splendidi momenti in solitudine, lontano dalla mia Cristina…ma non devo cedere, devo essere felice, comprendere di quale fortuna godo. Il sole scompare dietro le acque dell’ Oceano Indiano, lasciando spazio ad un cielo stellato. Se di giorno Hong Kong è magnifica, non riesco a trovare una parola per descriverla quando il buio fa sua la città, quando mille luci l’ illuminano donandole nuova linfa, nuova vita. Mi regalo ancora una mezz’ ora ad osservare la città dall’ alto, nel buio della notte, e poi, felice come un bambino davanti al gelato più grande del mondo, posso finalmente scendere a terra. Nei dintorni dell’ edificio non scorgo nulla d’ interessante, i soliti ristoranti da mille euro, qualche bar, molte persone. E siccome la coda per il tram è lunga una cinquantina di metri, opto di non perdere altro tempo e mettermi in coda. Una ventina di minuti e nuovamente, con un poco di furbizia, riesco ad essere in prima linea per godere dei posti migliori. Se all’ andata la ressa aveva ancora i connotati di ‘civiltà’, ora cosi non è. Sono travolto, spintonato. Le persone sono incuranti della presenza di bambini piccoli, anziani. Spingono, è l’ unica cosa che sono in grado di fare. Forse non hanno capito che saliamo tutti, visto che la coda viene spezzata per permettere a tutti di salire sul tram. Niente da fare, alcune persone godono di soli due neuroni, tra l’ altro mal funzionanti. Questa volta non riesco a trattenermi e inveisco contro chiunque, dietro a me, provi a mettermi una mano addosso e spingere. Riesco in parte nell’ intento, e mentre prendo posto, continuo a maledire tutti questi occhi a mandorla. Ma ‘ndo vivete tamarri che non siete altro? Raggiunto il Central, la città pare essere a nanna già da alcune ore. Passeggio ancora per qualche istante, godendo di attimi di silenzio. Certo che Hong Kong è davvero incredibile… Giungo alla stazione della metropolitana e ritorno a Nathan Rd. La fame inizia a farsi sentire a gran voce e non posso far finta di non ascoltare. Scorgo, dopo aver girato parecchio il quartiere, un bel localino dove mangio dignitosamente e scacciando l’ appetito che mi aveva colto. Kowloon è molto più viva rispetto al Central, qui la vita non conosce sosta, non conosce domenica. Tsim Sha Tsui è senz’ altro il quartiere più incantevolmente eclettico di Hong Kong. La popolazione mista di cinesi, indiani, filippini, nepalesi, africani, si mischia alla miriade di europei in cerca di affari. Un mondo senza confini, senza barriere. Raggiungo la vecchia torre dell’ orologio della Kowloon-Canton Railway, simbolo dell’ era a vapore. Splendidamente illuminata, la zona è frequentata da molti giovani che mano nella mano osservano lo skyline di Honk Kong. Cerco di non lasciarmi rapire da questo superbo panorama ed inizio a passeggiare lungo l’ Avenue of the Stars, omaggio di Hong Kong alle sue stelle del cinema. Aperta nel 2004, accoglie i visitatori per chi entra da Salisbury Garden, una replica di 4,5 metri di altezza della statuetta che viene data ai vincitori dell’ Hong Kong Film Awards. Lungo la passeggiata, ( 440 metri ), la storia di cento anni del cinema di HK si racconta attraverso le iscrizioni stampate su nove colonne rosse. Vi sono disseminate sulla passeggiata placche in onore delle celebrità, alcune riportano le impronte delle mani e autografi delle stelle. Un buon novanta per cento ( anche di più ) dei nomi sono a me sconosciuti. E’ un posto tranquillo dove passeggiare, al chiaro di luna, lontano dalla vita frenetica di Nathan Road. La vista che si apre sul Victoria Harbour è fantastica, il Central risplende di mille luci e colori. Sembra incredibile pensare che le mille luci colorate, inno ad una vita in costante movimento, nascondono un luogo vuoto ed irreale. Numerose e simpatiche statue sono disseminate lungo la passeggiata, tra cui quella dell’ amato Bruce Lee, alta ben 2 metri e mezzo e presa d’ assalto dai passanti, dai turisti. Giunto al termine della passeggiata attraverso la strada tramite una passerella. Mi perdo nel quartiere, nelle viette, nei vicoli. E quando ritrovo la giusta via, faccio ritorno alla Torre dell’ Orologio, dove osservo, seduto comodamente, la veduta da cartolina del Central. Riposo le mie gambe, le mie idee, i miei pensieri. Mente libera, solo questa immagine in me. Con animo tranquillo, ritorno in camera. Riesco a malapena a spogliarmi, siccome il mio letto è a meno di 60 cm dal soffitto ( letto a castello ). Preparo i bagagli e quando la mezzanotte viene, cado in un piacevole sonno.
Lunedì 27 agosto
Mi sveglio verso le otto e mezza e alle nove sono già per le vie della città. Gironzolo lungo Nathan Road, dove la vita è già frenetica alle nove del mattino. Mille negozietti, mille auto, mille persone. Non ho molto da fare in questa mattinata, la partenza dalla città è fra qualche ora e decido di prendermela con comodo.
Ritorno alla Torre dell’ Orologio, per le ultime fotografie al Central. Fa un caldo pazzesco, ogni passo è difficoltoso. Quasi nessuno si aggira sotto questo sole, che m’ impedisce di restare a godere del panorama. Rifuggo all’ ombra del Centro Culturale onde evitare di stramazzare al suolo. Dopo mille fotografie, posso far ritorno a Nathan Rd dove inizio a passeggiare a caso lungo le stradine laterali del quartiere di Tsim Sha Tsui. Dopo un’ ora a gironzolo, riesco finalmente a scovare una banca dove prelevare denaro contante. La mia avventura ad Honk Kong può dirsi terminata. Ritorno in camera a prelevare il mio zaino, lasciato in custodia alla custode dell’ albergo ( se cosi si può chiamare… ). Via metropolitana, dopo aver inizialmente sbagliato linea ( ad Hong Kong vi sono due città: quella alla luce del sole, e quella sottoterra, non meno estesa…), giungo alla stazione Lo Wu. Attraverso il ponte sul fiume, che delimita il confine tra Hong Kong e la Cina. La pratica di espatrio è molto veloce, grazie anche alla gentilezza e all’ efficenza delle persone incontrate. Non si può certo dire la stessa cosa in territorio cinese, ma la burocrazia in questa parte di mondo è qualcosa per noi immaginabile. Riprendo la metropolitana da Shenzen e dopo quasi un’ ora di viaggio arrivo all’ aeroporto internazionale della città. Vado immediatamente al desk delle varie compagnie nella speranza di trovare ancora un biglietto per il volo Shenzen-Guilin. Volando sull’ euforia di quei momenti, bado poco al portafoglio, putroppo. L’ idea di passare altre ore, circa dieci, in piedi sui treni cinesi, mi uccide. (S)fortunatamente raggiungo il mio intento, ed in pochi istanti ho tra le mie mani il biglietto aereo per la città di Guilin, nel Guangxi. Devo però prima andare al Check in per la convalida, ma nel mentre…una giovane ragazza, una hostess immagino, mi parla in una lingua a me sconosciuta: la sua, il cinese. Sfortunatamente non comprende una parola di inglese, ed io una di cinese. Ma riusciamo comunque a capirci. Posso, velocemente, attivare il mio biglietto senza dover passare dal check in, semplicemente seguendo le istruzioni di una macchinetta self service. Si incarica ella stessa di effettuare la procedura ( posso addirittura scegliere il posto che preferisco: accanto al finestrino! ) ed in pochi secondi, dopo averla ringraziata con tutti gli onori possibili, posso raggiungere il gate. Magio qualcosa al KFC e poi attendo l’ imbarco per un paio d’ ore. Vi è un po di confusione, soprattutto perchè allo stesso gate si sovrappongono due voli a pochi minuti uno dall’ altro. Partiamo in orario, e dopo un’ ora di volo, atterriamo nella città di Guilin. La città è avvolta dal buio. Velocemente guadagno l’ uscita ma, dove andare ora? Ci sarà qualche autobus che trasborderà la mia povera anima nel centro cittadino? E più che altro…riuscirò a farmi capire? Ringraziando il cielo, passano pochi istanti e mi ritrovo con il sedere appoggiato sul sedile di un bus che, a quanto pare, porta in città. Dal grande finestrino osservo le mille insegne al neon che illuminano questa notte ricca di dubbi. La ragazza che mi siede accanto, timidamente e quasi impaurita, mi domanda se può avere una fotografia con me: certo, son Prezzemolino! Dopo una ventina di minuti di viaggio, l’ autobus arresta la sua corsa. Siamo nel bel mezzo di un crocevia di strade, piuttosto trafficate. Bene, dove diavolo sono? Non ne ho la più pallida idea, non so neanche da quale parte sia il centro città. Ad attendere l’ autobus vi sono come sempre gli alligatori, tassisti pronti dietro un compenso astronomico ( per noi turisti ) ad accompagnarci ovunque, anche sulla luna. Sono infastidito quando li vedo venirmi incontro, voglio essere io a decidere, e non lasciarmi in pasto a loro. Rifiuto cortesemente le prime offerte, muovendo il passo verso un ragazzino appoggiato alla portiera della sua auto. Messo in disparte, attira la mia simpatia, pur non conoscendolo. Contrattiamo, e per un prezzo ragionevole è disposto a portarmi nel cuore della città del Guangxi ( devo dire che scelto uno o l’ altro non cambia nulla, siccome operano in sintonia, in gruppo, ma questo lo capisco dopo ). La guida del giovane, che a mio avviso non ha più di 18 anni, lascia alquanto a desiderare. Ha 12 anni guidavo meglio, questo è certo. Arriviamo fortunatamente sani e salvi in fronte all’ ostello, situato in una zona piuttosto tranquilla. La mia speranza, siccome non ho alcuna prenotazione, è di trovare posto per la notte. Mi accoglie una giovane ragazza e dopo una breve consultazione, mi sorride: sono a posto! Camera comune insieme ad altre sei persone, ambiente tranquillo e buona pulizia. Insomma, di più non potevo chiedere. Felice. Abbandono i miei bagagli e parto subito alla scoperta della città. A poca distanza corre il celebre fiume Li mentre dalla parte opposta al mio ostello si snoda il centro città. Nel viale alberato si tiene un piccolo mercato, bancarelle di prodotti locali. E poi s’ apre una strada pedonale, dove sorgono numerosi locali, pub e ristoranti. Sono le undici passate ma quasi tutti i locali sono ancora aperti, anche se poco affollati. Ho una fame pazzesca, ma non voglio lasciarmi cogliere dalla fretta e farmi uccidere dal conto. Voglio mangiare locale, non le classiche portate cucinate a misura di turista. Cammino parecchio, perdendo a tratti la bussola, fin quando per caso scorgo un locale o meglio, una stanza, dove viene servito cibo. Sembra un self service. Sembra. Ci sono alcuni tavolini al di fuori del locale, dove un gruppo di giovani siedono allegramente. Ecco, penso tra me e me, ecco il posto che fa al caso mio. Il locale non è altro che una tavola calda, una stanza spoglia dove tre-quattro donne cucinano e servono le pietanze, luogo tutt’ altro che presentabile. Per riuscire a farmi capire impiego non poco, ma alla fine riesco a far mio un piatto enorme di noodles ad un prezzo irrisorio. Mi vengon serviti dentro una ciotola di alluminio, mentre osservo la donna ridere di buon gusto. Sono sicuro che nonostante a Guilin vi siano molti turisti, io sia uno dei primi che intravedono nel loro locale. E posso anche capire… Ma alla fine quello che importa è il mangiare, tutto il resto conta relativamente. Essere in un bel locale o in una bettola, avere le posate d’ argento o bastoncini in legno, un bel piatto od una ciotola…non diminuiscono la mia fame. Devo essere onesto: mangio uno dei piatti migliori di noodless in tutta la mia permanenza in Cina. Squisiti, anche se piccanti è dir poco. La mia bocca va letteralmente in fiamme… Felice e contento, e soprattutto stanchissimo, posso finalmente far ritorno in stanza per un meritatissimo riposo.
Martedì 28 agosto
La sveglia suona relativamente tardi, intorno alle nove. Mezz’ oretta e sono già per le vie della città. La giornata è bellissima, il sole risplende alto nel cielo azzurrissimo. Passeggio lungo il viale alberato che costeggia il fiume Li. Sulla riva opposta son molte le persone che riposano sulla bella spiaggia, tra un bagno e l’ altro. Che invidia. Pochi minuti di cammino e arrivo al lago Shan, dove s’ innalzano al cielo le due pagode Gemelle del Sole e della Luna. Bellissime. Bellissime. Rimango piacevolmente sorpreso dalla vista di questo piccolo angolo di Guilin, un paradiso di verde ed eleganza incastonato tra palazzi dove le colate di cemento ingrigiscono il mio l’ umore. Scatto moltissime fotografie, talmente suggestivo è il luogo. Passeggio al fresco delle grandi piante fino a giungere alla biglietteria, dove acquisto un biglietto per la visita della pagoda della Luna, a sette piani e a base ottagonale. Salgo l’ angusta scala fino a giungere alla vetta da dove si gode di una vista spettacolare sul lago Chan. Davanti a me, bellissima, la pagona del Sole, che con i suoi 41 metri di altezza è la più alta pagoda del mondo in rame e una delle poche dotate di ascensore. Rimango diversi istanti ad osservare la magnificenza e la sua bellezza, vedendola innalzarsi al cielo dalle acque. E’ collegata alla pagoda della Luna da un tunnel sotterraneo, e al suo interno vi è anche una sala da te. Una ventina di minuti a godere del panorama e poi ritorno con i piedi ben saldi a terra. Riprendo la passeggiata costeggiando la riva del lago, lungo un sentiero molto carino e ben curato. Pochi istanti di pace e silenzio e poi improvvisamente s’ apre alla mia vista la reale città di Guilin: traffico, smog e caos. Cammino lungo Zhongshan Zhonglu, la grande arteria cittadina che taglia in due Guilin, da est ad ovest. Auto, motorini, biciclette, autobus…un traffico incredibile, senza regola alcuna. Chi arriva per primo, passa. Il quartiere non offre nulla agli occhi del visitatore, ed anche Central sq., la più grande piazza della città, è tristemente deserta. Riesco a malapena a camminare, il caldo afoso rende difficile ogni mio passo. La guida LP viene usata come ‘ombrello’ per ripararmi dai raggi solari. Mi convinco, dopo una ventina di minuti a passeggiare in mezzo al traffico e alla moltitudine di negozietti, a ‘tagliare’ verso il fiume. Lungo il bel viale alberato passeggio ora più tranquillamente, all’ ombra grazie a dio. Una decina di minuti di cammino e giungo al Giardino Fubo, ai piedi del Monte omonimo, ai cui piedi s’ innalza la statua in bronzo del Generale di epoca Han, MaYuan, in sella al suo cavallo nell’ atto di scagliare una freccia con l’ arco. A poca distanza vi è la biglietteria, dove acquisto il biglietto cumulativo per cinque attrazioni della città. Ottimo! Anche se però, devo essere onesto, ancor ora non ho capito quali siano queste cinque attrazioni… La Collina Fubo con la sua cima nel cielo e i piedi nell’acqua, è conosciuta come Terra delle Meraviglie tra le Onde. Leggenda vuole che Ma Yuan, un generale della dinastia Han chiamato Fubo, sia passato da Guilin per una spedizione meridionale, e abbia gettato nel fiume tutte le perle che portava con sè, e la collina prese il suo nome. Alla base della Collina si trova la Caverna della Perla Restituita: la leggenda narra che la grotta, abitata da un drago, era illuminata da una perla. Un pescatore la rubò ma, pentito, la restitui divenendo poi molto fortunato nella pesca. Nella grotta ammiro le sculture di epoca Song e Tang incise nelle pareti. A questo punto viene la parte più difficile: scalare la moltitudine di gradini per giungere alla vetta della Collina. Sottovaluto ampiamente l’ impresa, come spesso succede. O per lo meno, sottovaluto il caldo afoso di queste ore. A metà del cammino che porta alla cima, c’ è una pentola in cui si dice si possa cucinare abbastanza cibo per mille persone, ed una campana in ferro costruita dalla figlia del Principe Ding Nan della dinastia Qing, chiamata Kong Youde in sua memoria. Quando giungo alla vetta sono letteralmente a pezzi, ogni gradino dell’ ultima rampa di scale pareva una montagna insormontabile. La fatica viene però ripagata dallo splendido panorama che s’ apre davanti ai miei occhi, una vista a 360° sulla città, sui picchi carsici che spuntano dal terreno ed ergersi a centinaia di metri d’ altezza, quasi a voler accarezzare le nuvole. Godo per pochi istanti di questa splendida visione, e poi, vinto dall’ afa, mi vedo costretto a tornare a terra. Questo caldo complica maledettamente i miei programmi, ahimè. A poco meno di un chilometro s’ innalza al cielo la Collina dove si Accumulano i Colori ( Diécai Shan ). Deve il suo nome alle venature calcaree colorate che si irradiano sui suoi fianchi. E’ composta da due piccole colline di cui la più alta arriva a 223 metri. Questa volta affronto la salita con maggior attenzione, più lentamente in modo da razionare le forze. 223 metri di scalini, irregolari nell’ altezza, non sono di certo una passeggiata. Fatico inizialmente a scorgere la giusta via, i sentieri che s’ aprono nella rigogliosa vegetazione son molti e all’ apparenza tutti portano alla vetta. La Caverna del Vento ( Feng Dong) mostra sulle pareti sculture buddiste a rilievo, tra cui un grande Buddha dorato. Nonostante io affronti i mille gradini con attenzione, arrivo alla vetta esausto, in un mare di sudore. Sono letteralmente fradicio, le mie forze sono prossime allo zero assoluto. Sono, in una parola sola, esausto. Mi siedo onde evitare di stramazzare al suolo, acquisto una bottiglietta d’ acqua e riposo per una decina di minuti, al riparo dal sole sotto un misero ombrellone. Che fatica! Lo spettacolo che però si gode dalla vetta, è unico, impareggiabile, fantastico. Ai miei piedi scorre lentamente il fiume Li, e lo vedo nascondersi all’ orizzonte fra le mille colline carsiche. Le zattere di bambù, piccolissime da quassù, adagiarsi sulle acque e scivolare via dolcemente. Questo straordinario paesaggio carsico ha del fiabesco. E’ uno spettacolo unico a questo mondo, quasi irreale, impossibile da immaginare anche dalla mente più fantasiosa. Cerco di non darmi per vinto e resistere a questo caldo. Accanto al fiume, il lago Mulong, che fa da cornice allo splendido giardino dove s’ erge la bellissima pagoda del Sole di Mezzanotte ed il maestoso tempio in legno. La mia macchina fotografica non conosce pausa, mille fotografie ad immortalare questo paesaggio da favola! Purtroppo non riesco a resistere oltre, e dopo una ventina di minuti, sono costretto ad abbandonare la vetta. Il sentiero che si snoda ai piedi della collina è un labirinto in mezzo alla natura, al verde. Arrivato in prossimità di un piccolo tempio, dove sventolano centinaia di fiocchi rossi, mi fermo per una breve pausa e qualche fotografia. Una famigliola, un giovane ragazzo con la sua sposa, senza tanti complimenti mi piazza tra le braccia il loro pargoletto. Ah già vero, son Prezzemolino! Sorrido, immagino la loro felicità quando mostreranno al bimbo ormai grande la fotografia che lo ritrae insieme a quel giovane proveniente da un mondo lontano. Dopo questo piccolo siparietto posso finalmente guadagnar l’ uscita e raggiungere la strada principale. La mia guida riporta l’ esistenza di un bus, il n. 2, che fa la spola tra il centro città e la stazione ferroviaria, esattamente dove devo andare in questo momento. Aspetto sul marciapiede, all’ ombra. Cinque minuti. Dieci minuti. Mi siedo sul bordo del marciapiede. Passano altri 5 minuti. A questo punto, mi concedo un ultimatum. Se l’ autobus non sopraggiunge entro 3 minuti, arresto la corsa del primo motorino che passa ( e sono a milioni…) e mi faccio dare un passaggio alla stazione. Tempo scaduto: inizio a fare autostop, a cercare invano di fermare la corsa di questi provetti Valentino Rossi alla guida di motorini elettrici ( già, perchè a motore, da queste parti, credo non esistano ). E poi, all’ improvviso, ecco spuntare finalmente il bus numero 2! Non mi preoccupo della direzione, sono consapevole che da una parte o dall’ altra, l’ autobus si fermerà alla stazione ferroviaria. Per 1 yuan mi siedo comodamente nella prima fila di sedili, attirando gli sguardi dei presenti. Non ho gli occhi a mandorla, ed in più sono poco presentabile. Sudato, sporco, con i capelli che paiono quelli di Hamsik. Guilin è una città grandissima, e soprattutto, molto trafficata. Ma questa non è una novità in terra di Cina dove ci sono più autovetture che persone. I motorini sbucano ovunque, sorpassano a destra, a sinistra, passano con il rosso, gli stop non esistono…davvero, chi prima arriva, prima passa. E qualcuno viene anche investito… Sorrido: l’ autobus s’ arresta ad un incrocio, migliaia di biciclette e motorini guadagnano la prima fila, la pole position, nell’ attesa che sopraggiunga il verde. Sembra di essere alla partenza di un gran premio di motociclismo. Son tutti tesi, concentrati, e non solo chi ha tra le mani il manubrio, ma anche il secondo e, spesso, il terzo passeggero. Pronti, partenza, via! Tutti pazzi questi cinesi. Mezz’ ora di strada e finalmente giungo alla stazione ferroviaria di Guilin, un grande e fatiscente fabbricato. Non appena varco l’ ingresso assisto ad una scena che ha dell’ incredibile, almeno qui in Cina. Due persone sulla quarantina vengono quasi alle mani, li sento urlare, e son sicuro non sono complimenti. Alcune persone/amici cercano di calmare gli animi, trattenendoli. Possibile? Ho sempre immaginato i cinesi un popolo incapace di litigare, figurarsi di prendersi a botte. E’ inconcepibile, sicuramente saranno due cinesi di origine europea, o giù di li… Quando vado alla biglietteria, due sono gli sportelli. Due giovani ragazze che non appena mi vedono, sorridono, timide. Cerco di far capire cosa voglio in poche ma semplici parole: Fenghuang. Come non detto. Impiego una decina di minuti per far capire che io, sottoscritto Osvaldo, voglio andare in questa cittadina spersa chissà dove nell’ Hunàn. Vedo la giovane ragazza scuotere la testa, e scrivere qualcosa in mandarino su di un foglio. Me lo porge gentilmente, sorridendo. ‘Sei tanto gentile e simpatica, ma di questo foglio cosa me ne posso fare? Non comprendo cosa vi sia scritto…’ Da quanto capisco, e da come riporta anche la mia guida LP, treni per Fenghuang non ve ne sono. Esco dalla stazione ferroviaria con il morale sotto i piedi, come farò a raggiungere questa città? Provo a far leggere il biglietto datomi dalla giovane ad alcuni passanti, nella speranza che qualcuno sia in grado di spiegarmi cosa vi sia scritto. Inutilmente, però. Nessuno che parla un minimo di inglese, poche parole di questa lingua sconosciuta. Sono circondato da quattro persone, due delle quali mi fanno cenno di seguirle. E dove? Mi mostrano la loro motocicletta…e che, volete portarmi a Fenghuang, centinaia di chilometri più a nord, in motocicletta? No grazie. Un tassista s’ offre di accompagnarmi ma quando salgo sull’ auto mi spara una cifra spropositata, qualcosa come 200 yuan. Lo mando a stendere, ed assai infastidito, mi allontano. Ritorno alla biglietteria, nella speranza questa volta di riuscire a farmi capire. Parlotto una decina di minuti con la giovane e, da quel poco che capisco, pare dirmi che vi sono alcuni autobus diretti nell’ Hunàn. Uno di questi, parte dalla stazione degli autobus ogni giorno alle quattordici. Sorrido, felice Vado alla ricerca dell’ autobus numero 2, che ferma proprio davanti al mio ostello. Ma senza capire come e perchè, ne perdo le tracce. Mi tocca quindi andare a piedi, ripercorrere strade e stradine affollatissime, di persone e motociclette, di autovetture e biciclette, fino a giungere, due chilometri più ad ovest, al mio ostello. Sono stanchissimo, e per di più ho un malditesta fortissimo. Riposo tre ore, necessito di recuperare le forze. Scendo nella sala comune, riposato e soprattuto pulito. Mi distendo sui grandi cuscini e poi, quando è ancora chiaro, esco per la città alla ricerca di cibo. Ho fame, molta fame. Percorro il viale che costeggia il fiume Li, fino a Nanhuan Lu. Lungo questa stradina alberata che s’ affaccia sulle acque sorgono diversi ristoranti. Attratto dalle mille luci colorate al neon, attraverso la strada fiducioso di trovare un posto ove cenare. Come non detto. Lungo la strada vi sono numerosi ristoranti, se cosi si posson chiamare, dove son cucinate le tipiche prelibatezze cinesi. Pesce, di ogni forma e tipo, tartarughe, serpenti, piccoli animali ( alcuni mai visti prima di allora ), galline, scorpioni, vermi…La cosa triste è che questi poveri animaletti son in bella mostra davanti all’ entrata. Vivi. In piccole vasche o semplici bacinelle navigano centinaia di pesciolini. Altri, quelli più grandi, neanche riescono a muoversi. Le galline sono in quattro o cinque in una gabbia lunga neanche 30 centimetri, i serpenti legati. Insomma, la protezione animali da queste parti non esiste, e forse, neanche il buon senso. Passeggio, triste, osservando questo ingiusto spettacolo. Mi vengono quasi le lacrime agli occhi ad osservare un animale, simile ad un cane di piccola taglia ( ripeto: non ho idea di quale animale sia ), cercare con le zampine e con i denti di vincere quella prigione in cui è recluso. Cercare la libertà, a tutti i costi. Certo, qualunquismo, in occidente la carne da macello non viene di certo trattata meglio, anzi. Ma fino a quando non si vede con i propri occhi, non si può capire. Non voglio fare moralismi su quello che è giusto o su cosa è sbagliato. Ha semplicemente molta tristezza dentro me. Il pensare di arrivare, sedermi comodamente, scegliere quale animale uccidere e vedermelo pochi minuti dopo nel mio piatto pronto ad essere gustato, mi sconvolge. Onestamente, provo orrore. Sono a decine questi ristoranti, uno dietro l’ altro. Ad un certo punto, sgomentato, attraverso la strada e costeggio il fiume. Preferisco non vedere, non partecipare con i miei occhi a questa mattanza. Continuo a passeggiare in direzione del centro cittadino, verso la grande piazza Central sq. Il buio sta lentamente calando su Guilin, mentre i mille neon della città vanno a prender nuova vita. L’ enorme spazio vuoto pare più animato rispetto al pomeriggio. Bambini festanti giocano tra loro sotto l’ attento sguardo dei genitori. Trovo per caso un locale molto carino ed elegante ( rispetto alla media ), un self service al momento molto affollato. La mia scelta cade su un paio di spiedini ( in Cina sono ottimi! anche se non ho idea di cosa siano… ) una zuppa di riso ( sembra ), un brodino caldo e verdura. Oltre, ovviamente, una birra ghiacciata. Mangio per primo gli spiedini, poi passo alla zuppa, priva di odore e gusto. Infine, quando apro la bella zuppiera con all’ interno il brodo…mio dio. Con il piccolo cucchiaio mescolo un poco, ed immerso nel brodo vi scovo…un cervello? Onestamente, non ho idea di cosa fosse. Ma il tutto mi porta a pensare ad un cervello di un animale dalle medie dimensioni, tipo gatto o cane. Rimetto il coperchio alla zuppiera, e mi concentro sulla birra… Quando esco dal locale il buio ha fatto sua la città. La temperatura è scesa di parecchio, il caldo afoso del primo pomeriggio è lontano ricordo. Per le strade moltissime persone, moltissimi giovani. Mi concendo un gelatino al McDonald, ma anche in questo caso, a farmi capire…Raggiungo l’ isola pedonale che si snoda a fianco del mio ostello e proseguo in direzione del lago Chan. Lo spettacolo che ho davani ai miei occhi, è magico. Le due pagoda, della Luna e del Giorno, sono splendidamente illuminate. Un paesaggio da cartolina, sublime. Sembra di esser tornati indietro nel tempo, quel lontano passato dove la Cina era cultura, arte, libertà. La loro immagine riflette sulle acque del lago, mentre tutt’ attorno è silenzio. Passeggio finalmente in pace, tranquillo, felice. La mia macchina fotografica rischia più volte il lancio del piattello, a causa dei problemi che m’ arreca. Alcuni angoli del parco sono davvero suggestivi, anche se a volte la scelta dell’ illuminazione sembra eccessiva e fuori luogo ( il viola…ragazzi…il viola.. ). Rimango una mezz’ oretta a godere della pace di questo angolo di Guilin e poi, nel fresco della sera, raggiungo l’ isola pedonale Zhengyang Lu. Affollattissima. Si aprono lungo la strada molti locali, alcuni frequentati esclusivamente da occidentali, boutique e poco altro. Stanchissimo, faccio il mio ritorno in ostello verso le dieci e mezza e dopo aver scritto il mio diario nella grande e bella sala comune, posso finalmente andare a nanna.
Mercoledì 29 agosto
Alle nove suona la sveglia e mezz’ ora dopo sono, in perfetta forma fisica, nella sala comune. Alle dieci avrà inizio il tour organizzato programmato dall’ ostello ( mi ero iscritto il giorno prima ). Il mio desiderio era quello di andare all’ imbarcadero, noleggiare una zattera fino a Xingping ( dove avrei passato la notte ) raggiungere Yangshuo il giorno seguente lungo la sponda del fiume. Ma siccome tutti, dalla ragazza dell’ ostello a quella della biglietteria della stazione ferroviaria, sostengono che non vi sono mezzi pubblici che raggiungono tale area, sono costretto a malincuore ad abbandonare l’ intenzione. E ad affidarmi alle sorti di un tour organizzato. Pazienza. Alle dieci, io e altre tre persone, una coppia sulla quarantina ‘de Roma’ , saliamo sull’ autobus che trasborda le nostre anime all’ imbarcadero. Lungo la strada scambio qualche chiacchera con i due italiani, e devo dire che ne sono felice. Dopo una ventina di giorni in silenzio, esprimermi nella mia lingua è una piacevole sensazione. Il viaggio dura circa mezz’ ora, anche se a me sono sembrati secoli. La strada che da Guilin conduce a Yangshuo versa in uno stato a dir poco pietoso. O meglio, la si può definire una strada? L’ autobus anteguerra è privo d’ ammortizzatori ed ogni buca, vale a dire ogni 30 centimetri di strada, è un calvario. Come se non bastasse, la guida dei cinesi non ha nulla da invidiare a quella dei turchi. Si può sorpassare a destra, a sinistra ed anche quando stanno sopraggiungendo altre auto o mezzi pesanti. Se tutto va bene, si passa in tre. Altrimenti, uno ci lascia le penne. Dalla statale che porta a Yangshuo svoltiamo nel verde dell’ Hunàn, una decina di chilometri circondati da picchi carsici, in mezzo alla natura, alla vera Cina rurale. Un mondo bellissimo ( per me che sono straniero, ovviamente ), semplice, onesto. Il fiume Li è uno dei maggiori sistemi fluviali nel Guangxi nord-orientale. Origina dal Maoer Shan (Montagna del Gatto) nella conte dello Xingan, a nord di Guilin. Il fiume scorre verso sud per circa 437 km, attraversa Guilin, Yangshou, Pingle e Zhaoping, per incontrare infine il fiume Xi (Ovest) a Wuzhou. La sezione di 83 km tra Guilin e Yangshuo è il cuore, nonché la parte più bella. Senza sapere come e perchè, arriviamo sani e salvi al punto di raccolta sulle sponde del fiume Li. Il piccolo paesino, una decina di casette lungo la strada, che s’ affaccia al fiume è frequentato da piccoli venditori ambulanti, negozi di souvenir, e molti, tanti turisti. Il paesaggio davanti ai nostri occhi è fiabesco, fantastico. Il fiume Li che scorre lentamente ai nostri piedi e tutt’ attorno queste colline che prepotentemente s’ innalazano al cielo dal nulla. La nostra guida, un giovane ragazzo di Guilin, ci divide a gruppi. Per ciascuna bamboo boat il numero degli occupanti non può essere superiore a cinque persone, compreso l’ uomo al timone. Sulla nostra piccola imbarcazione siamo io, la coppia romana, una cinesina ed il timoniere. Partiamo per ultimi in quest’ avventura, in questo mondo dove il tempo pare essersi fermato, dove la vita scorre lenta e le cose veramente importanti prendono forma. Io mi sistemo a prua della bamboo boat, godendo di uno spettacolo unico, speciale. La giornata è fantastica, il cielo azzurrissimo risalta ancor più il verde vivo della fitta vegetazione. Gli schizzi d’ acqua sfiorano il mio viso, e mai come ora vorrei fermare le lancette del tempo, restare per ore, giorni, mesi a godere di questo mondo, di questa vita semplice, ma la migliore che si possa desiderare. Appare cosi facile la vita, senza problemi, senza grattacapi. Un’ essere dove si dismettono i panni del nostro mondo per indossare quelli della vita reale, fatta di emozioni vere, sentimenti puri, candidi. Vorrei godere a vita di questi istanti… Il fiume Li scivola lentamente verso Yangshuo mentre la nostra piccola ed instabile imbarcazione procede senza troppa fretta. Il mondo attorno a noi sembra disegnato dalle mani di un pittore capace di riprodurre su tela il mondo fantastico. Come uscite dal pennello di un illustratore di favole, cime di pietra calcarea, erose nel corso di milioni di anni dal vento e dagli agenti atmosferici, si stagliano nel cielo cinese, afoso e latteo. Dopo circa un’ oretta di navigazione in direzione Yangshuo, siamo costretti a tornare all’ imbarcadero. Di tanto in tanto osserviamo le imbarcazioni di bambù sulle quali i vecchi pescatori, che nella zona utilizzano per questa pratica -come voleva la vecchia tradizione, i cormorani- svolgono placidamente la loro attività. Ad un certo punto riusciamo ( grazie alla cortese traduzione della cinesina ) a convincere il timoniere ad arrestare la sua corsa verso il molo e a lasciarci squazzare nelle acque del fiume per alcuni minuti. Prestando molta attenzione, scendiamo dalla bamboo boat e passeggiamo nelle calde e basse acque del fiume. La povera giovane, timidissima e paurosa, viene convinta ( a forza ) a scendere dall’ imbarcazione e godere di questi bellissimi momenti. Una decina di minuti a spasso nelle acque e siamo pronti a ripartire, felicissimi. Facciamo ‘conoscenza’ con due bufali indiani che si crogiolano nell’ acqua, incuranti della moltitudine di imbarcazioni che passano al loro fianco. E’ un’ esperienza unica, magica. Lo ripeto per l’ ennesima volta, ma nessuno può capire quanto sia fantastico questo angolo di Cina se non ha avuto la fortuna di ammirarlo con i propri occhi. E cosi, felice, facciamo ritorno per ultimi al molo. Scatto ancora qualche fotografia, mentre alcune donne anziane cercano di guadagnare qualche yuan vendendo frutta e verdura. Ripartiamo poco dopo per la città di Yangshuo. La strada è un continuo peggiorare, l’ asfalto è sostituito dal più economico cemento e ovunque vi sono lavori in corso. Il nostro autista corre ad alta velocità zigzagando tra un cantiere e l’ altro. Un’ altra mezz’ oretta di viaggio a siamo in città. L’ automezzo arresta la sua corsa alla stazione degli autobus ed insieme ai due romani vado alla ricerca di un qualcosa che solo dopo capisco essere una banca. Avanti e indietro lungo la statale, ma purtroppo per loro sono rimbalzati ovunque. Avere tre carte di credito e non ricordare i codici…beh, sei messo male… A questo punto ci dividiamo: loro tornano a Guilin, mentre io voglio scoprire un poco Yangshuo. Vado al tourist information per avere una piccola mappa della città e poi raggiungo il cuore pulsante del paese. Un dedalo di viette acciottolate ai piedi dei picchi carsici. S’ aprono in queste viuzze mille milioni di negozi di souvenir, ristoranti, caffè. Nulla più. In pratica tutto ruota attorno a Xi Jie (Via Occidentale). Passeggiando avanti e indietro m’ imbatto in moltissimi turisti, mentre da lontano osservo svettare sui tetti delle basse costruzioni, una pagoda. Ma cammina di qua, cammina di la, non riesco a scovarla. Eppure s’ erge li, a pochi metri da me…mah! A differenza della mia LP. non rimango particolarmente attratto da Yangshuo. Troppi turisti, una città creata a loro misura e stupidità. La reale Cina è altra cosa… Passeggio ancora una mezz’ oretta nei vicoletti, raggiungo la sponda del fiume da dove si gode di una bella vista sulla natura circostante e poi, quando sono quasi le cinque del pomeriggio, decido di far ritorno a Guilin. Vado alla stazione degli autobus e la fortuna, almeno per una volta, sembra venirmi incontro. Un autobus per Guilin è in partenza proprio ora, e grazie ai pronti riflessi di un addetto ai lavori che ne interrompe la corsa, riesco a salire sul mezzo al volo. Il viaggio di ritorno dura un’ oretta, trascorsa ad osservare la vita di tutti i giorni dal mio grande finestrino. L’ autista, questo autista, è davvero un cretino. Va a forte velocità, sorpassa a destra, a sinistra, in curva…ma dove ha preso le patenti, a Topolinia? M’ addormento, sono stanco e ho un leggero mal di testa. Quando apro i miei occhietti, m’ accorgo di essere alla stazione ferroviaria di Guilin! Perbacco! Aspetto che sopraggiunga il bus numero 2, quello che collega da una parte all’ altra la città. Aspetto una decina di minuti, ma nulla. 6,32,54…ma il n. 2 sembra non esistere. Pazienza, m’ avvio a piedi, il centro cittadino non è cosi distante. Lungo la strada mi soffermo ancora diversi momenti a godere della pace del lago Shan, ad osservare questo splendido luogo dove troneggiano le due bellissime pagoda. Torno alla mia camera per una doccia veloce e, dopo una breve pausa, riesco nuovamente per le vie della città. Passeggio tranquillo, il buio è calato su Guilin ed un venticello fresco spira accarezzando la mia pelle accaldata. La fame è molta, e non mi resta altro da fare che raggiungere il solito self service dove rimpinzare il mio stomaco. Prima di andare a dormire passeggio ancora un oretta nell’ affollatissima isola pedonale nelle immediate vicinanze dell’ ostello. Moltissimi giovani, sorridenti, camminano avanti e indietro. Mano nella mano. E’ giorno di festa, pare. Ma ogni sera, a Guilin, si respira aria di festa. Mi piace la Cina, questa vita semplice, allegra, spensierata. Osservo tutto e tutti. Sorrisi. Attimi. Respiri. Sono sereno. Certo, solo, ma sereno. Si dice che quando si ama, non si è mai distanti, e suppur lontani, si è vicini. Ecco, allora non voglio esser triste, non voglio sentirmi uno in mezzo a centinaia di persone, voglio essere parte di loro, con loro. Sorrido, consapevole che questi istanti mai più torneranno. Il tempo vola senza che io possa arrestare la sua corsa. Intorno alle ore dieci e mezza, esausto ma felice, torno in ostello. Scendo nella sala comune a scrivere il mio inseparabile diario e poco dopo sono piacevolmente sotto le coperte.
Giovedì 30 agosto
Mi sveglio relativamente tardi, la mattina è ‘libera’. Non ho grosse cose da fare, cosicchè me la prendo con estrema calma. Scendo dal lettino intorno alle ore 9 e mezz’ ora dopo son operativo. Vado nel centro città alla ricerca di un bancomat: ho necessità di denaro contante. Al primo sportello, nulla. Al secondo, neanche. Inizio a preoccuparmi, memore dell’ esperienza lusitana di anni addietro. Mai fidarsi di una maledettissima carta, ancor più quando essa è una Visa. A questo punto, preoccupatissimo, decido di entrare all’ interno di una banca lungo la strada. Alla mia richiesta, la giovane addetta scuote la testa: devo recarmi alla Bank of China se voglio avere denaro presentando la carta di credito ed il passaporto. Ma la Bank of China…’ndo sta? Provo e riprovo ad ogni sportello bancomat, fin quando, senza sapere come e perchè, uno di essi mi ‘dona’ 1000 yuan. Bene, ma…perchè solo mille? Io ne volevo 2000… Sono sempre più preoccupato, essere in Cina senza soldi non è bello… Al seguente sportello, invece, nessun problema. Duemila yuan in contanti. Tiro un grandissimo sospiro di sollievo, la paura svanisce in pochi istanti. Solo inizio a chiedermi perchè, perchè una banca non vuole saperne di darmi denaro, un’ altra solo 1000 e l’ ultima la cifra da me richiesta. Perchè? Per le strade della cittadina poche persone passeggiano sotto questo sole caldo. Decisamente più tranquillo, posso finalmente tornare in camera a preparare la valigia: oggi, è giorno di partenza. Fenghuang mi attende. Verso le undici, zaino sulle spalle, raggiungo la fermata dell’ autobus. Mi siedo sul marciapiede, all’ ombra delle grandi piante. Saluto il fiume Li, queste splendide vette carsiche uscite da un libro di fiabe. Dieci minuti d’ attesa, e sopraggiunge il bus. Ovviamente lo prendo nella direzione sbagliata…e fortuna vuole che non ho fretta, altrimenti… 40 minuti per Guilin, ogni vicolo della città non vien dimenticato dal nostro solerte autista. Arrivo alla stazione dei bus della città e di corsa raggiungo la biglietteria nella speranza di trovare ancora qualche biglietto disponibile per Fenghuang. La fortuna mi vien incontro un’ altra volta e, tutto felice, guardo e riguardo il mio bel biglietto per la città della prefettura dello Xiangxi. Poi guardo l’ orologio e…perbacco, mancano quasi due ore alla partenza! Vado alla banchina dove partono gli autobus ma un signore, assai gentile, mi fa capire che l’ autobus ancora non è arrivato e che non appena sopraggiungerà, me lo verrà a dire. Non mi resta far altro che attendere in questo stanzone vuoto. Distendermi sulle seggiole non è impresa facile, riposare è praticamente impossibile. La sala d’ attesa è semivuota, pochi autobus partono e arrivano in questa stazione. Il tempo passa abbastanza velocemente e come da promessa, questo signore viene ad avvertirmi dell’ arrivo del mezzo. Consegno il biglietto al controllore, e quando salgo…no, non ci credo. Non ci sono i sedili, no. Ma letti. A castello pure. Tre file di letti a castello, dentro un autobus. Questa, davvero, mi mancava. La fantasia dei cinesi spesso non ha davvero limiti. Avanzo quasi impaurito, mentre l’ autista, un tipo grosso e rozzo, mi mostra il posto, o meglio, il mio letto. Ma non appena m’ avvicino, sento toccarmi sulla spalla. Cosa c’ è, cosa avrò mai dimenticato? Mi volto e…il controllore mi fa capire che devo levarmi le scarpe. ‘Le scarpe? Ma se le tolgo, qua morite tutti, lo sapete? I miei piedini, stanchi e sudati, non profumano di certo di rosa, e neanche di giglio…’ Nulla da fare, sono costretto a slegarmi i lacci e pian piano, osservando i volti e le possibili smorfie dei presenti. Invece nulla, come se i miei docili piedini profumassero di spezie… Sull’ autobus sono attrezzatissimi: mi viene consegnata una borsa di plastica dove riporre le mie scarpe, ed eventualmente, chiuderla ermeticamente… Il mio posto è al piano superiore, come sempre in questi casi. Faccio inizialmente fatica a salire, ma una volta disteso…e beh, mica male eh! Dieci ore disteso e tranquillo, son di certo meglio che restare ore seduto scomodamente. L’ autobus parte in perfetto orario, anche se non tutti i posti a sedere…ops, ad allungarsi, sono occupati. I primi trenta chilometri di strada sono un infermo che sommati all’ incapacità dell’ autista a guidare… La strada versa in condizioni disastrose, molto spesso ci troviamo ad affrontare dei passi collinari dove la ghiaia ha sostituito il cemento o, nel migliore dei casi, l’ asfalto. L’ uomo alla guida è un pazzo, ma questa non è una novità. In questo paese trovare una persona che sia in grado di guidare in modo decoroso, è come trovare una pallina da golf in mezzo all’ oceano. Quando affrontiamo le curve, il pazzo al volante non diminuisce la velocità, no. Anzi, accellera…vrummm a tutta velocità. Incurante se sopraggiungono altre autovetture, sorpassa, come se avesse sempre la polizia alle calcagna…insomma, pregare è l’ unica cosa che posso fare. Osservo dal mio finestrino questo mondo che scivola via, immagine dopo immagine..questa Cina che muta radicalmente dalla città alla campagna e con esso il volto delle persone, la loro vita, il loro modo di essere e vivere. Non mi stancherei mai di osservare questo splendido mondo. Le ore passano, mentre comodamente disteso, consumo la mia misera cena: un paio di dolci acquistati nel pomeriggio in un’ elegante pasticceria di Guilin. Pochino… Restiamo fermi in coda una mezz’ oretta, forse a causa di un incidente. Per come guidano questi matti, posso comprendere…Ripartiamo a folle velocità, attraversando paesini, piccoli centri, e poi natura, tantissimo verde. Luoghi remoti, lontani ore e centinaia di chilometri dai centri abitati, dalla civilità. Il mondo pare essersi fermato in alcuni villaggi, dove la vita è pressapoco quella dei nostri vecchi anni ’30. E’ forse, anzi senz’ altro, migliore. Il buio lentamente scende su questa sterminata distesa di natura. Un cielo stellato, immensamente bello, m’ accompagna e mi coccola durante la notte. Quando meno me lo aspetto, l’ autobus arresta la sua corsa, improvvisamente. Siamo lungo una stradina di montagna, non vi è nulla tranne una baracca dove s’ intravede qualche bagliore di luce. Sarà la solita sosta per permettere ai presenti di sgranchirsi le gambe e di correre in bagno ( la natura…). Invece dal mezzo scendono tutti, e non mi resta far altro che seguire la comitiva. Li vedo entrare nella baracca, assai malridotta, e sparire all’ interno di essa. Curioso, faccio ingresso anch’ io e scopro che…che è un ristobettola! Fantastico! Mi dirigo in cucina ( no comment ) dove alcune donne fanno cuocere in enormi pentoloni pietanze a me sconosciute. Poco importa. Indico con la mia manina quello che maggiormente m’ aggrada ed in pochi secondi la donna mi porge un cartoncino con il cibo. Pochi yuan, e posso mangiare. Mi siedo alla tavola nella stanza d’ ingresso, finemente arredata con sedie e divano trovati chissà dove. Oggetti d’ epoca. Vi è anche un televisore, funzionante, sia chiaro. Mangio ottimamente, sono contento! Mi piace questa vita, semplice e spartana, dove si bada al sodo, non all’ apparenza. Altre persone siedono con me alla tavola, ed immagino la loro curiosità nel vedermi seduto li accanto. Sono sicuro di essere il primo non occhi a mandorla ad essere ospitato in questa ristobettola! Mi offrono anche da bere, anime gentili e buone, ecco cosa sono i cinesi. Sono sicuro che faccio in loro tenerezza, se cosi si può dire. Mezz’ oretta di pausa e poi riprendiamo il viaggio. Vorrei prender sonno, riposare qualche ora, siccome il viaggio è ancora lungo. Ma come fare? La paura mi prende, e non m’ abbandona. Costeggiamo per decine e decine di chilometri le sponde di un lago vastissimo. L’ autobus corre a neanche un metro dalle acque, senza che vi sia guardrail alcuno. La minima manovra sbagliata, e siamo dentro. Il buon senso consiglia di prestare attenzione, di non viaggiare a forte velocità. Ma il nostro autista è di tutt’ altro parere, il mezzo procede a velocità sostenuta, anche in curva, infischiandosene della sabbiolina a bordo strada che potrebbe far perdere aderenza all’ autobus. Ho trascorso un paio d’ ore con l’ ansia addosso, con la paura nel sangue, nella speranza che questo maledetto lago potesse trasformarsi di colpo in una distesa da canne di bambù. Invano. Pian piano il verde della campagna viene spazzato via da immense colate di cemento, grigio e triste. Ci addentriamo in una città a me sconosciuta, molto grande da quanto ho potuto capire. Sono quasi le undici e venti, poche botteghe sono ancora aperte, pochissime anime s’ aggirano lungo i marciapiedi. Sostiamo un paio di volte a far scendere alcune persone, la cui corsa termina in questa città. Ecco, mi domando: se la stazione di arrivo dell’ autobus è questa città di cui non conosco neanche il nome, dove vado e cosa fare? Dove dormire? Osservo dal finestrino se intravedo qualche albergo, ma nulla. Mi prende ( per la seconda volta ) la paura di restare solo in un posto sperduto nel mondo di cui ignoro l’ esistenza, il nome, tutto. Venti minuti a spasso nelle strade della città e poi d’ improvviso l’ autobus si ferma. Il motore s’ arresta: ecco, siamo arrivati. Già, ma dove? Gli occupanti scendono lentamente, ed io con loro. Il mio animo è in subbuglio… Mi guardo intorno, siamo circondati da palazzoni grigi e fatiscenti. Non proprio un bel vedere. Non appena metto piede a terra, diverse persone mi s’ avvicinano: eccoli, gli alligatori. Ma mai, come stasera, son i benvenuti. Avanti, prego! Ho bisgogno di voi… Senza se e senza ma, mi affido alle sorti di un uomo sulla cinquantina, basso ( come tutti i cinesi… ), grassottello. Con la sua mano mi fa cenno di seguirlo e dopo pochi passi ci addentriamo all’ interno del palazzone grigio che sorge proprio dove l’ autobus ha terminato la corsa. Cerco di fermare il suo passo, prima voglio sapere quanto mi costerà la camera. Si volta, e con aria sbigottita allunga tre dita dalla sua mano. Tre. Caspita, trecento yuan! A questo prezzo posso passare la notte qui: ma sarà un albergo o davvero casa sua? E più che altro…30 euro per una notte sfora incredibilmente il mio budget…. Le scale del palazzo son in condizioni pietose, ma non è ora il momento di fare osservazioni, questi son dettagli. L’ abitazione è al piano secondo, e quando m’ apre la porta…ecco, passerò la notte a casa sua. Da fidarsi? Mi mostra due stanze, che affitta per arrotondare lo stipendio. Una con letto matrimoniale e l’ altra no. Opto per la camera più piccolina, almeno spenderò meno. Devo obbligatoriamente contrattare il prezzo: 30 euro per questo buco è totalmente fuori mercato! ( sono consapevole che se rimarrà fermo sul prezzo, mi vedrò costretto ad accettare: dove andare a bussare a mezzanotte in una città che ho mai visto prima d’ ora? ). Poso il mio bagaglio, e m’ avvicino a lui: ‘Senti Bruce Lee, 30 euro sono un furto bello e buono’. Mi guarda con aria stralunata, stropicciando gli occhi. Non ha capito una parola, ovviamente. Allora mostro gli Yuan, spiegando nuovamente il concetto, questa volta a gesti. Continua a guardarmi stupito, ma poi velocemente mi prende di mano le banconote. ‘Ehi, ma che fai Bruce! Sono miei, dobbiamo contrattare il prezzo!’ Sorridente, mi mostra le quattro banconote che m’ ha ‘scippato’ dalle mani: sono 30 yuan. Neanche 4 euro. Ecco, con le tre dita intendeva 30 yuan, non 300. Ma pensa te… Dopo aver preso il resto e averlo salutato, mi chiudo in camera. Certo, non sono all’ Hilton, ma per una notte posso accontentarmi. Setaccio ogni centimetro della stanza per assicurarmi della non presenza di quegl’ esseri schifosi chiamati ragni e poi, più tranquillo, m’ addormento.
Venerdì 31 agosto
Mi sveglio intorno alle ore otto e dopo essermi lavato, sono pronto a ripartire. Il bagno è messo malino, qualche scarafaggio s’ avventura sulle mie scarpe ma…vabbè, almeno l’ acqua pare pulita! Il titolare ronfa sul divano e svegliarlo non mi sembra il caso, poverino. In punta di piedi esco dall’ abitazione, ma quando scendo le scale sbatto una craniata allucinante contro il soffitto. Porca miseria, ma è mai possibile? Posso capire che in questo paese siano tutti alti come un bonsai, però un poco di buon senso ci vorrebbe: nelle scale il soffitto è a un metro e settanta, mentre la mia camera era alta tre metri! Ma che senso ha tutto questo? Dolorante ( molto dolorante… ) raggiungo la sottostante stazione degli autobus, che non è altro che un cortile sabbioso dove son parcheggiati cinque o sei automezzi anteguerra mondiale. La prima, s’ intende. Raggiungo la biglietteria dove le poche persone m’ osservano, sorridendo di nascosto. Recito alla giovane ragazza della biglietteria il mio desiderio, ovvero raggiungere Fenghuang. Vedo la giovane scrivere qualcosa su di un biglietto, che poi mi porge. ‘Fenghuang, 8.40, 37 yuan’. Felicità. Ed è subito mio. Col biglietto tra le mani, mi guardo intorno. Un giovanissimo ragazzo, indaffarato nelle pulizie, s’ offre di accompagnarmi all’ autobus. Che gentilezza da questa parti…Eccomi, ora, seduto comodamente. Possiamo partire! Ma prima che l’ autobus inizi la sua corsa, una signora sale sul mezzo a controllare che tutti gli occupanti siano in possesso del biglietto. Già…il biglietto, e dove l’ avrò mai messo? Inizio a sudare freddo…non lo trovo, eppure l’ avevo pochi minuti fa. Cerco nelle mille tasche, nello zaino…ma nulla. La donna m’ osserva…mentre tutti gli occupanti volgono il loro viso a me. Qual imbarazzo! Scendo di corsa, spiego all’ autista ( ch enon avrà sicuramente capito ) d’ attendere qualche istante e non partire portandosi via i miei bagagli… Corro alla biglietteria, tra lo stupore della giovane ragazza allo sportello. -‘Di nuovo tu?’ Compro un altro biglietto ( si sarà domandata se sono rincoglionito se acquisto due biglietti di sola andata per Fenghuang…). Torno nel piazzale e fortunatamente l’ autobus è ancora li ad attendermi. Mostro il biglietto alla donna e, sudatissimo, posso finalmente andar ad appoggiare il sedere sul sedile. Ma come ho fatto a perdere il biglietto? Ancora oggi me lo domando….e per di più ricordo che nel momento in cui son salito sul mezzo ho mostrato il ticket all’ autista…ma pazienza, l’ importante è partire per Fenghuang. Il cuore m’ è ancora in gola quando abbandoniamo il centro di questa città sconosciuta. L’ autobus si avventura in stradine di montagna, strette, sterrate e piene di curve e buche. L’ avventura si rivela quello che è già dalle prime battute: Camel Trophy. L’ autista non è diverso da quelli precedenti, anzi, questo è davvero un coglione ( permettetemi ): siamo in una stradina di montagna, ma a quanto pare il giovane non se n’ è accorto. Va a folle velocità, in alcune curve rischiamo seriamente di ribaltarci. Sorpassa ovunque, senza preoccuparsi che ha con se una cinquantina di persone. Davanti a me ( io sono nell’ ultima fila di sedili ) osservo l’ evolversi della situazione, che peggiora con il passare dei minuti. Due giovani coppie di fidanzatini, iniziano ad avvertire i primi sintomi di nausea. Alla mia sinistra, la giovane ragazza vomita in un sacchetto di plastica. Il fidanzatino le accarezza la testa, le stringe forte la mano…sono teneri. Alla mia destra, identica situazione. La giovane ragazza si distende sulle gambe del fidandazato. Altre persone si sentono male, molti abbandonano i sedili posteriori per cercare posto più avanti. Fin quando un signore anziano capotta di brutto e finalmente l’ autista arresta il mezzo. Lo vedo scendere e scomparire dietro una pianta…povero anziano, un po di rispetto in più non mancherebbe. Ma quando ripartiamo…niente da fare: continua a correre come un matto. Il viaggio assomiglia alla spedizione di Overland, missione velocità&paura: strada sterrata, in alcuni punti strettissima, ponti in legno che al passare scricchiolano…fortuna vuole che non ho fatto colazione, altrimenti ci avrei lasciato l’ anima. Tre ore di Camel Trophy a folle velocità e finalmente arriviamo a Fenghuang. E, cosa importante, sani e salvi. Come sempre, ovviamente, non ho la più pallida idea di dove sia ubicata la stazione degli autobus rispetto al centro cittadino. M’ incammino seguendo le persone che con me erano sul bus. A poco a poco mi sembra d’ avvicinarmi sempre più alla meta, sempre più a quel fiume che avevo ammirato in televisione e che m’ aveva fatto esclamare: ‘un giorno, prima o poi, io sarò li’. La città pare molto animata lungo Hongqiao Lu. Poi, d’ improvviso, il ponte coperto Hong, magnifico. Ecco, sto attraversando il Tuo River… Proseguo a passeggiare, lungo Dongzheng Jie, alla ricerca del mio ostello. Questa stradina acciottolata è molto bella, pur aprendosi sulla via diversi ristoranti e caffe, ha saputo mantenere inalterato il suo fascino e quel sapore d’ antico, di reale, cui mancava a Yangshuo. Cammina e cammina, ma del mio ostello neanche l’ ombra. Arrivo al fondo della via e mi risolvo a domandare informazioni. Mi dicono che è poco distante…riprendo il passo, ma nulla. Non riesco proprio a scovarlo. Domando nuovamente ad una ragazza che sopraggiunge in quel momento, e m’ indica con la mano un piccolo edificio. Ecco, ora lo vedo, ecco il mio ostello. S’ affaccia sulla via, come ho fatto a non scorgerlo prima? Mistero! La prima impressione è molto buona, è accogliente e la camera spaziosa e soprattutto pulita. Al momento la condivido con altre 5 persone. Mi distendo sul letto e dopo una ventina di minuti sono pronto a ripartire. Lungo la stradina pedonale su cui sorge l’ ostello s’ aprono, come detto, diversi ristoranti e ‘trattorie’. Siccome la fame ha superato la soglia di guardia, sono obbligato a pranzare se non voglio cadere a terra privo di forze. Faccio ingresso in un localino al momento vuoto e senza capire un becco del menu, ordino un piatto a caso. La scelta si rivela azzeccata, cosi come l’ ottima birra. Riprendo il passo, ma con un mattone sullo stomaco: forse ho mangiato troppo…per di più, gli odori che si sprigionano lungo il ponte coperto non m’ aiutano, anzi, mi fanno venir voglia di vomitare… Quando m’ affaccio al muretto di cinta ad osservare la città…ecco, proprio come l’ avevo vista nel documentario in tv: fantastica. Fenghuang è una città unica nel suo genere, ancorata al passato. La città è viva, piena di gente. Passeggio accanto al tratto restaurato delle mura color rosa salmone, che difende la città lungo la riva meridionale del fiume Tuò. Gli stretti vicoli, i tetti con intagli raffiguranti pesci e altre creature, il sapore vivo del passato…hanno del fantastico. Giungo alla Torre della Porta Settenrtionale, una struttura imponente malgrado lo stato di abbandono in cui versa, di epoca Qing. Oltrepassata la porta, s’ apre davanti a me il fiume Tuò. Rimango affascinato da questo mondo, da tutto quello che mi circonda. Siedo diversi istanti su di un muretto, ad osservare ogni piccolo dettaglio, a godere di questo splendido panorama. Tantissime sono le persone sulla sponda del fiume, molti i giovani. Sull’ ampio fiume, ai piedi della Porta Settentrionale della città, c’è quel ponte che aveva scatenato la mia fantasia, i miei sogni. Cubi di pietra appoggiati sul letto del fiume, così stretti che per passare due persone che arrivano da direzioni opposte devono mettersi di lato. Un tempo era l’unico passaggio per uscire dalla città, oggi invece è una delle numerosissime attrazioni che fanno di Fenghuang una città, al pari di Guilin, fiabesca. Non resisto alla tentazione, ed attraverso il fiume su questi blocchi di pietra. La prima volta spaventa un poco, l’ acqua non è cosi bassa come sembra, anzi, in alcuni punti è profonda più di un metro. Passo dopo passo, prestando molta attenzione ad appoggiare ben bene il piede sulla pietra, onde evitare di capitolare nel fiume. Arrivo sano e salvo alla sponda opposta, felice. Riattraverso il fiume, ma questa volta lungo il ponte in legno poco più avanti. Costeggio il lungo fiume fino a giungere alla bella pagoda Wanming, costruita durante la dinastia Ming. E’ una struttura in mattoni esagonale con sette piani e si trova proprio sulla riva del fiume, specchiandosi nelle sue acque. La passeggiata che dalla Porta Settentrionale si snoda fino alla pagoda è assai piacevole. Lontano dalla folla, si gode appieno la bellezza delle case su palafitta, chiamate Diaojiaolou. Abitazioni traballanti, che paiono dover cedere sotto il loro peso da un momento all’ altro. Fenghuang è forse la città più bella incontrata da me fino ad’ ora, una città rimasta ancorata ad un lontano e regale passato. Mi soffermo diversi istanti nei pressi della Pagoda ad osservare questo mondo, questo fiume scorrere lentamente. La mia macchina fotografica non conosce sosta, ogni angolo nasconde qualcosa di magico, di speciale. L’ unica nota stonata, se cosi si può dire, è il caldo afoso che rende eterno ogni passo. Da Guilin in poi questo sole non m’ ha dato tregua. Sono sudatissimo, questo caldo è insopportabile. Decido di tornare in ostello, a riposare e a docciarmi. Un’ oretta e scendo nella stanza comune, a controllare mail e notizie del mio mondo. Esco per le stradine della cittadina quando il sole sta lentamente calando all’ orizzonte, lasciando spazio ad un cielo stellato. Passeggio senza meta alcuna, lasciandomi guidare dall’ istinto, dalla curiosità. Fenghuang è una città incredibile, pazzesca. Vicoli strettissimi, passaggi angusti e, ovunque, qualcosa di magico, di sorprendente. Sono immerso nel passato, nei profumi delle spezie e nel rumore del fiume che corre senza mai fermarsi, come la vita. Stradine acciottolate affollatissime, dove fatico ad avanzare. Vicoli silenziosi, vuoti, dove s’ affacciano case decrepite. Il buio della notte conquista la città, mentre lentamente s’ illumina di nuova vita. Il magnifico ponte Dong è illuminato splendidamente, la pagoda Wanming riflette della sua luce nelle acque del fiume Tuò. Fiaba? Sogno? O splendida realtà? La Fenghuang notturna è un qualcosa che non si può spiegare a parole, un’ immagine che anche la mente più fantasiosa non riuscirebbe a coglierne la magnificenza, l’ unicità. La città è viva, sono moltissime le persone che passeggiano in questo dedalo di vicoletti. Numerose sono le botteghe che s’ aprono alla mia vista, cosi come i ristoranti ed i negozietti di souvenir. La città attira moltissimi giovani da ogni dove, da Pechino, da Xi’an, da Guilin. Laoying Shao è piena di bar molto chiassosi con vista sul fiume, musica dal vivo e frotte di cinesi che si godono le vacanze. Mentre passeggio lungo questa stradina mi domando come un luogo cosi magico si possa trasformare, non appena cala il buio, in un bordello di musica tamarra e luci colorate. ..perchè? Attraverso immediatamente il fiume, lasciandomi alle spalle tutto questa fracasso insopportabile. Costeggio il fiume, oltrepasso la pagoda Wanming, spiengendomi fin quasi all’ estremità nord della città. La vita scorre molto più silenziosamente ora, incontro poche anime lungo la passeggiata lungo fiume, al buio. Ammiro da lontano le mille luci della città, questo spettacolo che mai più scorderò. Il buio ed il silenzio riconquistano pian piano Fenghuang, le mille luci colorate della città vecchia sono solo un lontano ricordo. Siccome ancora non ho cenato, decido di far ritorno nel trambusto dei vicoletti, dove è più facle scorgere qualche localino. Oltre il ponte Hong, come tutte le sere non appena cala il sole, si svolge il mercato notturno. E’, a mio avviso, il posto migliore dove mangiare in tutta la città. Le bancarelle cuociono sulla griglia ogni genere di carne, pesce e verdura. Tutto è esposto alla vista, tutto è preparato e cotto al momento, davanti agli occhi curiosi delle persone. Decine e decine di bancarelle, una accanto all’ altra, in una interminabile fila. Ognuna dispone di quattro o cinque tavolini dove consumare il cibo appena acquistato. Passeggio rapito dai mille profumi, dalle spezie, da questo mondo particolare che s’ anima al calar del sole. Giunto a fondo della via, faccio marcia indietro. Devo scegliere a quale bancarella dedicare il mio tempo, anche se il cibo offerto non varia molto una dall’ altra. Dopo aver acquistato una birra ghiacciata nel locale a fronte, timoroso, m’ avvicino ad una di esse. A darmi il benvenuto, una donna simpatica, che si mette a mio totale servizio. 4 spiedini, di carne differente, e riso, questa sarà la mia cena. Mi siedo comodamente nell’ attesa che lo ‘chef’ scaldi il cibo. Passano pochi minuti e la donna mi porge i due piatti sul tavolo. Si mangia! Non ho idea di quale carne si tratta, se di gatto, serpente o cos’ altro, ma spiedini speziati cosi buoni…perbacco, sono eccezzionali! Al mio tavolo si siede anche una coppia di fidanzatini che, beati loro, mangiando sorseggiano vino rosso. La ragazza s’ incuriosisce della mia presenza ed inizia a pormi mille domande. Di dove sei? Come ti chiami? Come si dice in italiano questo? E quello? Solo che poi m’ indica la carta igienica ( usata come tovaglioli per pulirsi le mani,,, ) ed io…le dico carta igienica? Rispondo ‘fazzolettini’…e, abbassando lo sguardo, continuo a mangiare…( se mi avesse chiesto a cosa serve? Lasciamo perdere va…) Mangio come di meglio non si può, e tutto felice, mi lascio ancora cullare dai vicoletti acciottolati della città per una mezz’ oretta, e poi stanco, tornare in ostello. Scrivo il mio piccolo diario nella sala comune, e poi intorno a mezzanotte, raggiungo il mio lettino per un meritatissimo riposo.
Sabato 1 settembre
E’ settembre! E per una volta rimando la sveglia di un’ ora, voglio godermi la pigrizia! Alle dieci e mezza son pronto ad uscire, per prima cosa devo andare alla stazione e informarmi a che ora partirà l’ autobus per Changsha. A metà strada m’ accorgo d’ aver dimenticato la mia Lp…e torno indietro a recuperarla. Sotto questo sole già caldissimo alle prime ore del mattino, dovrei ottimizzare le forze…invece.. Giunto finalmente in stazione m’ accorgo che essa non è altro che un piazzale sterrato dove partono e arrivano gli autobus. In un piccolo contrainer siede un ometto, dall’ aria incerta. Saprà darmi le indicazioni di cui ho bisogno? Proviamo! M’ avvicino domandoli a qual ora partirà il giorno seguente l’ autobus per Changsha. Mi osserva dal basso verso l’ alto, come se fossi un extraterrestre. Bene, non ha capito nulla. ‘Changsha’, ripeto. S’ agita improvvisamente, come se le forze fossero tornate in lui proprio in quel momento. ‘No Changhsa, no no no’. Ma come, nessun autobus per questa metropoli, ma ne siamo sicuri? E come glielo spiego? Sfoglio la mia LP, la guida linguistica, e mostro lui la parola ‘domani’. Si accende come una lampadina, come se fosse stato illuminato all’ improvviso da chissà quale energia. Prende carta e penna e mi scrive su di un foglietto di fortuna, 7.30. Sorrido, contraccambiato. Tiro un grande sospiro di sollievo, di meglio non potevo sperare. Torno alla città vecchia, dedicando maggior attenzione al ponte Hong. La struttura, imponente, è in mattoni e tipica dell’ epoca Qing. Al suo interno s’ aprono diverse botteghe e negozietti di souvenir, al piano rialzato è in corso una mostra anche se, dopo diversi gradini ed essermi inoltrato nella prima sala ‘furtivamente’, non capisco di cosa si tratti. Certo, se il ponte Vecchio di Firenze è cosi lodato, mi domando cosa si debba dire del ponte Hong… L’ unico neo consiste nel fatto che ogniqualvolta che l’ attraverso, sono avvolto da un odore nauseante, insopportabile da resistere. Non ho mai capito se fossero le lumache o cos’ altro, ma tutte le volte devo tapparmi il naso onde evitare di rimetterci l’ anima. Raggiungo la piccola piazzola a bordo fiume, a poca distanza dalla pagoda Wanming. Siedo per diverso tempo, a riposare i miei piedi indolenziti e a scattare migliaia di fotografie. Il tempo pare davvero essersi fermato a secoli addietro, questa città è un meraviglioso esempio di ciò che villaggi erano prima dell’inizio della modernizzazione. Qui decine di vicoli pavimentati con lastre di pietra corrono tra le case, mostrando ogni usura causata dai piedi di generazioni di popolazioni locali che li hanno solcati. Mi auguro vivamente che la modernizzazione che ha travolto la Cina in questo ultimo decennio, infischiandosene del suo passato glorioso, risparmi piccola città. Ma, per ciò che avviene oggi agli hutong di Pechino, nutro poche speranze. La Cina è in continua evoluzione, un boom economico che pare non aver fine. Le città si popolano sempre più a danno delle campagne, ed il comunismo del comandante Mao ora è soltanto uno specchio per poche persone. Il solco tra i pochi eletti, milionari, e la massa di poveri, è sempre più profondo. E’ un paese bellissimo, ma solamente una parte ristrettissima della popolazione rincorre il futuro. Osservo le donne fare il bucato lungo il fiume, uomini pescare come da tradizione, come nei secoli lontani con i cormorani, attenti, vigili. Tutto scorre lentamente come in un film in bianco e nero…Riprendo a passeggiare vagando nei vicoletti, ed ogni volta ne scopro di nuovi, di misteriosi, particolari, silenziosi. Un labirinto, ecco dove sono. Mi ritrovo ora per la città ‘nuova’, quella di cemento, grigio, smog e confusione. A stretto contatto con il passato. Se questo vuol dire progresso, futuro, allora molte persone dovrebbero capire che il passato è senz’ altro meglio. Fenghuang city non è per nulla diversa dalle altre migliaia di città cinesi, tutte terribilmente e tristemente uguali, identiche. Vago alla ricerca di uno sportello postale, invano. La strada si congiunge poco avanti con Dongzheng Jie, l’ area pedonale dove sorge il mio ostello. Torno sui miei passi, oltrepassando la porta Nord della città. Davanti a me s’ apre una piazza piuttosto anonima, al momento tristemente vuota. Il caldo è insopportabile, proseguo con difficoltà. Costeggio un tratto delle mura, mi perdo nei vicoletti silenziosi dove poche anime, pochi turisti, s’ addentrano. Sbuco nei pressi della porta Settentrionale dove attraverso sui blocchi di pietra il fiume Tuò. E’ emozionante, anche se può sembrar stupido, ma l’ attraversare il fiume cosi, in questo modo, con questo metodo, mi entusiasma. Domando quanto viene a costare una gita ( 300 metri ) in zattera sul fiume Tuò, e mi sparano una cifra spropositata: sono pazzi? Avanti e indietro, a vagare senza sosta. Nei pressi della porta Settentrionale intravedo un piccolo locale. La fame è molta e proseguire non è scelta saggia. Entro in questa piccola stanza, dove gusto un ottimo piatto di ravioli. I titolari, moglie e marito, hanno trasformato una camera della loro abitazione in ristorante. Due tavoli, quattro sedie, la bombola a gas per scaldare il cibo… Passeggiare nelle ore pomeridiane è un’ idea poco intelligente, ed io lavato di sudore e stanchissimo, mi adeguo. Ritorno in camera dove mi distendo sul letto per un’ oretta a riprendere le forze. Intorno alle 17 esco nuovamente e fortunatamente l’ afa del pomeriggio è lontano ricordo. Vado alla ricerca nella città nuova di uno sportello bancomat, ma anche questa volta non riesco a prelevare. Sono arrabbiatto come non mai, odio Mastercard! Ritorno alla città del passato ed inizio a girovagare, passeggiando lungo il vicoletto dei locali ( sono davvero moltissimi… ) e poi, vinto dalla fame, raggiungo il mercato notturno. Sulla città sta pian piano calando il buio, nonostante siano da poco passate le ore 19. L’ aria è ora più fresca, a tratti avverto la sensazione del freddo. Solita passerella per scegliere a quale bancarella affidare il mio pancino e dopo aver fatto mia una bottiglietta di birra ( sono tutte da 0.5L…altro che piccole! ) mi siedo comodamente in attesa del cibo. Ordino riso, verdura e gli immancabili e buonissimi spiedini. Durante l’ attesa siede accanto a me una giovane ragazzina. Timidissimamente s’ avvicina mostrandomi lo schermo della sua macchina fotografica. Stupito, osservo la foto dell’ ostello in cui soggiorno. Ecco, m’ ha riconosciuto e per farsi capire m’ ha mostrato la foto del Border Town Hostel. Mi domanda gentilmente se può restare seduta al mio tavolo, e ovviamente acconsento. E’ timida, immagino che già solo il fatto di aver scambiato due parole con un ‘occidentale’ la renda felice e contenta. La vedo mangiare lentamente e poi con una smorfia farmi capire che il riso non è di suo gradimento. Mi saluta, e cosi come è arrivata, se ne v’ à. La mia permanenza a Fenghuang sta per terminare, mentre seduto al tavolo ripenso a questi giorni, a questa lunga vacanza. Raggiungo la riva del fiume, laddove la gente comune lava i panni, fa il bucato, dove scorre la vita di tutti i giorni. Uno degli angoli più suggestivi della città, da dove si gode forse la miglior vista sul ponte Hong. E’ un luogo non facile da scorgere, da trovare. Siedo ed osservo il fiume scorrere, silenzioso. Le mille luci della città pian piano danno inizio ad una nuova serata, ad una nuova nottata. Malinconia. Un’ ora ad osservare questo mondo da una prospettiva diversa e poi, assai stanco, raggiungo il mio letto. Domani sarà un’ altra giornata molto lunga, una giornata intera di trasferimenti.
Domenica 2 settembre
Mi sveglio prestissimo. Alle sei sono già in piedi, preparo la mia valigia e son pronto a partire. Scendo nella sala comune dove il ragazzo dorme beatamente. Mi vedo costretto a svegliarlo se voglio indietro la mia cauzione. M’ avvio quindi alla stazione degli autobus e nonostante non siano ancora le ore sette, la vita è già iniziata da molto in questo angolo del mondo. Molte sono le persone che raggiungono i loro posti di lavoro, alcuni addirittura mangiano appassionatamente piatti enormi di noodless. E sono le sette di mattina… Alla stazione arrivo con largo anticipo, circa mezzora prima la partenza. Al momento, a parte io ed il mio zaino, nessun’altra anima. Passano i minuti e sopraggiunge una ragazzina. Per avere conferma ( e tranquillizzarmi ) dell’esistenza di un autobus diretto a Changsha, attacco bottone. Non l’ avessi mai fatto. Risponde di si, l’ autobus parte proprio da questo piazzale. ‘Bene, ed il biglietto posso tranquillamente farlo sul mezzo, vero?’ La vedo scuotere la testa. ‘No, no’… Ed inizia a spararmi quelle quattro parole di inglese del suo piccolo vocabolario. ‘Come no? E dove lo devo fare il biglietto?’ M’ indica con la mano un posto imprecisato poco distante. Cado nello sconforto, senza biglietto, sono perso. ‘Dove? Dove?’ Continua a parlare ma non comprendo neanche una delle sue parole. Non mi sono ancora specializzato nel mandarino… Nel frattempo sopraggiunge un uomo che, presuppongo, sia il guardiano/addetto della stazione degli autobus. La ragazza s’ attacca a lui, discorrono, mi osservano. Vedo la giovane prendere in prestito il telefonino dell’ uomo e chiamare qualcuno di cui ignoro le generalità. Poi effettua un’ altra chiamata dal suo telefono. Mi vedo ancorato a vita in questa città, altro che ritornare in Italia! Prendo la mia LP, mostro quelle parole trascritte in mandarino necessarie per capire la situazione. ‘Oggi’ ‘biglietto’ ‘autobus’ Venti minuti di panico e poi l’ uomo mi sorride. Aspetta, fatemi capire, il biglietto posso farlo tranquillamente qui, vero? Allora santa miseria, capisco tu, povera anima giovane, abbia cercato in tutti i modi d’ aiutarmi… ma cosi m’ hai complicato terribilmente la vita! Pazienza, è stata buona infondo, mossa da buoni propositi. E la ringrazio. Aspetto fiducioso, fin quando sopraggiunge una signora sulla mezza età: la bigliettaia. S’ avvicina, avvertita dal guardiano della mia presenza, e mi consegna il biglietto. Prendo da subito posto nella prima fila dell’ autobus e poco dopo siam pronti a partire. Il primo tratto di strada è un disastro, ma dopo una mezz’ oretta facciamo ingresso in autostrada. Il viaggio procede bene, sostiamo un paio di volte per sgranchirci le gambe e per un piccolo ristoro. Il tempo va a corrente alternata, a volte diluvia prepotentemente e poi, pochi istanti dopo, compare in cielo un bellissimo sole. E poco dopo, nuovamente pioggia. Dopo circa 5 ore di viaggio facciamo ingresso in Changsha. Non si discosta dalle altre megalopoli cinesi, sono in costruzione decine e decine di palazzi di oltre venti piani. Una serie interminabile, cemento grigio in queste città grigie. Man mano che ci avviciniamo verso il centro città, lo scenario muta. La città pare più vivibile, anche se il traffico è continuo ed irregolare. L’ autobus arresta la sua corsa in un piccolo piazzale. Dove sarò e, soprattutto, dove sarà la stazione ferroviaria? Domando informazioni ad una ragazza che molto gentilmente s’ offre d’ accompagnarmi. Una decina di minuti di cammino ed eccomi arrivato sulla vastissima piazza della stazione centrale di Changsha. Vado subito alla biglietteria ma per mia sfortuna il primo treno per Pechino è al completo, mentre il secondo in partenza ha posti disponibili in hardsleeper. Direi ottimo, sono felice! Passeggio tranquillo nella grande piazza e poi, siccome ho fame, mi concedo un ottimo pranzo in un bel localino a fianco la stazione. Cerco di ingannare il tempo con la lettura, ma sei ore son lunghe da far passare.. Per la prima volta in questo lungo viaggio un treno è in ritardo: il mio. Poca cosa, mezz’ oretta ancora d’ attesa, ma ormai ci siamo. Essendo un treno notturno, non vi sono posti a sedere ma unicamente letti, a castello. Avevo già vissuto un’ esperienza simile quando ero in Russia, sul treno che da San Pietroburgo mi avrebbe consegnato a Mosca. Lo scompartimento è molto pulito, cosa assai gradita. Le persone accanto a me donano tranquillità, sono famiglie, giovani, anziani. Mi distendo sul lettino, al secondo piano, e consumo la mia modestissima cena. M’ addormento quando la notte ha ormai fatto suo il Paese…
Lunedì 3 agosto
Mi sveglio prestissimo, intorno alle ore sei. Per la prima volta da quando son partito, ho dormito più di dieci ore. Rimango disteso, tranquillo. Che pace, che piacere osservare le immagini del mondo scorrere dal finestrino, osservare le persone che hanno trascorso la nottata insieme a me svegliarsi, far colazione, rivestire i figlioletti, rifare il letto. Vita semplice, comune, di tutti i giorni. Non scendo dal letto fin quando il treno non sopraggiunge alla stazione della capitale, intorno all’ 1.40. Ormai conosco abbastanza bene la città ed in poco, via metro, raggiungo il cuore pulsante della capitale. Dopo settimane lontano da Pechino, mi fa strano passeggiare nuovamente lungo quelle strade che ho solcato per giorni. Sensazioni strane, ma positive. Una volta giunto all’ ostello, ecco la brutta notizia: non ci sono camere disponibili. Mi sento svenire, e ora come fare? Dieci minuti di sbandamento e poi cerco di radunare l’ energie e trovare una soluzione. Consulto la mappa: a quanto pare nella zona sorgono diversi altri ostelli e hotel. Tiro un sospiro di sollievo, anche se non sono ancora ‘salvo’. Domando ai primi due alberghi lungo la stradina, ma mi sento sparare cifre pazzesche per una camera. Fortunatamente, poco distante, sorge l’ ostello Leo. Incrocio le dita, preghierina, e faccio ingresso. Fortuna vuole che per le prossime tre notti abbiano posto per la mia povera anima pellegrina. L’ ostello è molto bello, forse ancor più di quello in cui avevo soggiornato circa un mese prima. La stanza si trova al piano primo, è pulita ed accogliente. Si, ora posso dirlo, sono salvo. La giornata è splendida, il cielo limpidissimo. Raggiungo l’ area pedonale di Qianmen alla ricerca della Bank of China dove incredibilmente riesco a prelevare senza alcun problema. Passeggio tranquillo e beato sotto questo sole caldo fino a giungere in piazza Tienanmen. Sono sorpreso, la piazza è tristemente deserta. Pochissime sono le persone che, quasi impaurite, camminano velocemente dileguandosi. Saran finite le ferie per questi cinesi? Sarà perchè il mausoleo di Mao è chiuso? Domande senza risposta. Quando son quasi giunto al fondo della piazza, alzo lo sguardo verso le imponenti mura della città proibita. Compare sul mio volto un sorriso, lieve. Le mura sono attualmente in ristrutturazione ed un impalcatura le copre, impedendone la vista. Fortuna vuole che avevo scattato numerosissime fotografie alcune settimane prima…. La vita entro le mura è assai più tranquilla, la confusione dei giorni precedenti è lontano ricordo. Tutto scorre lentamente, senza fretta. Dopo aver acquistato il biglietto, posso finalmente salire in cima alla Porta Celeste da dove si gode di un incredibile panorama sul centro simbolico dell’ univero cinese, piazza Tienanmen. Immensa, unica, la piazza più grande del mondo. Rimango una mezz’ oretta sul terrazzo della Porta Celeste, e mai come ora mi sento osservato. Ma non da occhi curiosi, no. Da occhi diffidenti, che scrutano ogni mio movimento, ogni mio gesto. Ridiscendo velocemente le scale guadagnando uscita del Palazzo. Costeggio le mura della Città Proibita, dilungando il passo in Nanchaing Jie. Mi sembra quasi d’ essere in una città diversa da quella ammirata poche settimane or sono. Decisamente più vivibile, più tranquilla, quasi a misura d’ uomo. Sono alle porte del parco Beshai, ma ho sbagliato destinazione. Seguo l’ itinerario proposto dalla mia Lonely Planet, anche se poi vinto dalla fame, sono costretto ad interrompere la passeggiata. Lungo la strada alberata sorge un piccolo locale. Si tratta di una piccola camera, molto spartana. Assomiglia ad una stanza di una qualsiasi casa cinese, piuttosto che ad un ristorante. Ma poco importa. Ordino un piatto di noodless ed una birra. A fianco del mio tavolo è posta una piccola brandina dove, pochi minuti dopo il mio ingresso, viene messa a dormire una piccola bimba. Il nonno seduto poco distante è contrariato, si agita ed urla contro la figlia ( presuppongo ). Sembra abbia qualcosa da ridire sui vestiti della bambina, a quanto pare. Sono parte integrante della vita di una famigliola cinese, avvolto dalle loro vicende quotidiane. Un luogo insolito dove pranzare, ma assai affascinante e coivolgente. Riprendo il cammino, molto lentamente. Sopraggiunto a Dongchéng Nord, abbandono la via principale per immergermi negli hutong, le strette stradine e vicoli formati da file di siheyuan, le tradizionali case a corte. Uno siheyuan standard di solito è costituito da un complesso rettangolare con case ad un piano disposte sui quattro lati secondo i punti cardinali e un cortile interno. Un mondo unico, particolare, reale. Mi ritornano in mente le immagini del cartone Holly e Benji, quei vicoli dove giocavano a pallone, uguali in tutto e per tutto a questa stradina. Le viuzze offrono uno scorcio sul mondo della Pechino di un tempo, di un passato lontano. Cammino silenzioso fantasticando con la mente a cosa si possa celare oltre queste basse mura che delimitano le abitazioni. Arrivo a Nanluogu Xiang, uno degli hutong più famosi di Pechino a quanto riporta la LP. A mio avviso è solamente una stradina uguale a mille altre a questo mondo. Negozietti, ristoranti, bar, nulla a che vedere con la vera anima cinese. Abbandono velocemente l’ hutong in questione e dopo una lunga camminata giungo finalmente alla stazione metropolitana. Una decina di minuti sottoterra ed eccomi al grattacielo CTV, la sede della China Central Television. L’edificio principale non è una torre tradizionale, ma un anello continuo formato da sei sezioni orizzontali e verticali, con un centro aperto. La parte superiore è formata da due grandi L rovesciate, unite a creare un angolo retto, a sbalzo rispetto alle strutture verticali. La superficie esterna della facciata è coperta da una griglia diagonale irregolare. Il tutto molto bello a vedersi, un immagine che desta ammirazione per quanto l’ uomo è stato in grado di fare, di costruire. Peccato che non si possa entrare all’ interno dell’ edificio, che non vi sia una postazione panoramica. Scatto moltissime fotografie, anche perchè il quartiere è costellato di grattacieli che nulla hanno da invidiare alla Hong Kong ribelle. Riprendo la metropolitana, anche se in direzione opposta a dove devo andare. Prima di giungere in camera impiego un’ ora, a causa della confusione che regna su alcune linee, trafficatissime. Ecco perchè la città all’ aria aperta è svuotata, deserta: son tutti qui, nella Pechino sottorranea! Arrivo in camera assai stanco, il peso di queste lunghe giornate inizia a farsi sentire. Riposo una mezz’ oretta, bivacco nell’ area comune e poi intorno alle 7.20 esco nuovamente per la città. L’ aria fresca della serata mi fa avvertire i primi brividi, mentre passeggiando sorrido inconsciamente, senza motivo. Avevo lasciato la capitale nel pieno dell’ estate ed ora, a distanza di alcune settimane, lentamente s’ avvicina l’ autunno. La città è viva, come mai prima d’ allora. La città vive della sua linfa, con i suoi cittadini, della sua reale verità. Camminando lungo la stradina che porta all’ ostello, in direzione opposta a Qianmen st., m’ allontano dal mondo occidentale, da quel mondo dove tutto è apparire, ma non essere. Lentamente le botteghe d’ antichi mestieri soppiantano le boutique, i ristoranti lasciano spazio alle tavole calde dall’ aspetto trasandato, le belle abitazioni da antiche mura. Avverto strane sensazioni, mi sembra quasi d’ esser partito in un lungo viaggio che dall’ Europa ( il primo tratto della stradina ) m’ ha condotto in un paese lontano, diverso sotto ogni aspetto ( secondo tratto ). Un viaggio lungo un chilometro dove m’ imbatto in diverse culture, lasciandomi alle spalle l’ inutilità e la mercificazione della nostra vita per raggiungere un luogo povero ma reale, vero, sincero. Dove i rapporti umani sono l’ essenza del vivere, alla base di ogni rapporto tra esseri. Abbandono lo sfarzo inutile e falso per raggiungere quella vita dove ogni aspetto diviene importante, dove le persone son persone e non semplici oggetti, un paese dove si vive con poco, ma quel poco è molto più di quello che ho io, dentro di me e con me. E’ un viaggio strano e particolare, più m’ allontano dal centro e più trovo me stesso, perdendomi nelle stradine. Mi sembra tutto cosi famigliare ora, mi sembra d’ essere non tra queste persone, ma essere insieme a loro. E lentamente, il sole abbandona questo cielo per lasciar spazio al buio della sera. Ripercorro la piccola stradina, fino a giungere nuovamente in Meishi Jie, dove scovo un piccolo localino. Visto i continui dolori al pancino, voglio a tutti i costi mangiare riso in bianco! E la signora che me li serve vuol anche insegnami ad usare le bacchette…ma come, proprio ora che ho imparato? Terminata la modesta cena ( di più non riesco a mangiare…) mi concedo ancora un buon ( si fa per dire…) te caldo al McDonald. E quindi, quando ormai la città è silenziosa e per le strade risuona unicamente il rumore dei miei passi, ritorno in ostello. L’ estate sta finendo, come diceva una vecchia canzone, e mai come allora questo titolo s’ appropria della serata. Le strade vuote, il fresco della sera, il silenzio di questa immensa capitale, riportano tutto allo stato normale delle cose. Nella grande sala si ride e si scherza, si guardano film, si beve in allegria. Ma per questa sera, vinto forse dai mille pensieri, torno in camera a dormire.
Martedì 4 settembre
Alle sei i miei occhietti s’ aprono, per affrontare questa nuova giornata pechinese. M’ alzo qualche ora più tardi, senza fretta. Oggi è giornata di shopping, di acquisti. A Pechino sorge il Silk Market, un edificio enorme dove si vende di tutto, dalla tecnologia al cibo, dai tappeti agli abiti su misura. Via metropolitana raggiungo il grande magazzino che si trova praticamente dal grattacielo CTV. Da fuori sembra grandissimo, ma una volta entrato rimango piuttosto deluso. Mi aspettavo un bazar, un casino di roba in ordine sparso, venditori urlanti e quant’ altro. Nulla di tutto questo, negozi ben disposti, merce in ordine, personale cortese. Tutto qui? Avanti e indietro, su e giù per i cinque piani dell’ edificio. Vago senza meta, osservando e ognitanto lanciandomi in qualche acquisto a colpi di offerte e controfferte. Un poco deluso, raggiungo il piano ultimo dove pranzo discretamente pagano un prezzo dieci volte superiore alla realtà del mondo cinese. Rimango ancora un paio d’ ore nel grande centro commerciale ( anche se dall’ esterno sembra immenso ) per poi tornare in ostello per un brevissimo riposo. Sono le ultime ore in terra di Cina. Sempre via metropolitana raggiungo il quartiere dell’ elettronica, a nord della Città Proibita. La metropolitana è collegata direttamente con il piano interrato del grande centro commerciale. Quando faccio ingresso…rimango senza parole, esterefatto. Ecco, questo è quello che mi aspettavo, volevo, desideravo. Un bordello di roba, venditori ovunque, disordine onnipresente. Si può trovare di tutto e di più. Ogni piano è specializzato in un genere in particolare, al primo si possono trovare migliaia di negozietti di telefonia, al secondo di computer, al terzo di fotografia…anche se l’ andamento non è cosi regolare. Un dedalo inticato dove perdersi è assai facile. Rimango poco, anche perchè il tempo scorre velocemente e non voglio far si che la fretta mi porti cattivo consiglio. Un giro perlustrativo ed il giorno seguente, ultimo in città, dedicherò maggiore attenzione a questo bazar tecnologico. Ritono in ostello e dopo essermi rimesso in quadro sono nuovamente pronto ad uscire per questa mia ultima serata a Pechino. Vago senza apparente meta, lasciandomi guidare dai profumi, dalle mille insegne luminose, da questa notte stellata. Pechino è magica, ha quel fascino particolare che ti conquista, ti avvolge. Quando cala il buio, quando i mille neon risplendono nella notte, quando dai baracchini s’ alzano al cielo i fumi della brace, cammini con la mente incredibilmente libera. Libertà, in un paese dove sconosciuta è questa parola. Dove comunicare via web è molto difficile, dove basta una maglietta, una frase detta ai quattro venti, e si deve rispondere a qualche domanda. Dove anche se sei solo nell’ immensa Tienanmen, sei osservato da mille persone. Un paese ricco di contrasti, questo si. Mi soffermo un’ oretta a dar cibo al mio povero pancino affamato, e poi, con incredibile leggerezza, passeggiare con animo sereno in questo labirinto di strade. Ritorno in ostello, felice. Insieme ad altri giovani rimango davanti al televisore a guardare il ‘cacciatore di aquiloni’ in lingua cinese ( ma sottotitolato in inglese ) e poi, a scrivere sul mio inseparabile compagno di viaggio.
Martedì 4 agosto
Questa è la mia ultima giornata in Cina, a Pechino. E poi, a malincuore, ritornerò in Italia, dopo una lunga sosta a Doha, Qatar. Mi sveglio intorno alle nove e con tutta calma scendo dal mio lettino a prepare i bagagli. E’ giornata di shopping ( nuovamente ) e dedico il mio tempo tra il quartiere tecnologico e Silk Road. E poi, terminate le compere ( ed i soldi… ) mi sposto via metropolitana allo Zoo della capitale. Giungo alla biglietteria tardi, è ho a mia disposizione una sola ora per godermi questo vastissimo angolo verde della città. Oggi è il più grande zoo della Cina con il maggior numero di specie animali. Vi sono panda, elefanti, gorilla, antilopi e squali in un grande centro per la vita marina, tutto nella pittoresca ambientazione del giardino cinese. Almeno, questo è quello che voglion far credere i cinesi. Diciamo che la realtà è un poco differente, che gli spazi per gli animali molto spesso sono angusti, piccoli, poco curati. Lo zoo è ben strutturato, inteso come area. Un vastissimo giardino verde con laghi, una fitta vegetazione, è percorsi ben segnalati. Venne chiamato Giardino Wansheng durante la dinastia Qing (letteralmente significa il Giardino dei 10.000 animali). Dopo che la dinastia Qing venne sostituita dalla Repubblica di Cina nel 1912, questo giardino divenne un’area sperimentale per l’allevamento e la zootecnia.Lo zoo non venne creato fino a sei anni dopo la fondazione della R.P. Cinese nel 1955, quando il giardino venne ufficialmente aperto al pubblico in qualità di Zoo della Città di Pechino. La parte migliore dello Zoo di Pechino per molte persone è la Casa del panda gigante. Come tutti sanno, il panda gigante è originario della Cina, è riconosciuto come uno dei tesori nazionali cinesi ed è simbolo di questa nazione. Ebbene, esso dovrebbe godere di un ambiente particolare, invece. Per quanto riguarda il panda rosso, bellissimo a mio avviso, pareva godersi la vita…è il primo padiglione che incontro lungo il cammino, e ne rimango entusiasta. Sono cosi belli! Ne vorrei portare uno a Cristina…ed anche uno per me, ma come posso? Passeggio in questo labirinto di sentieri, dove molto spesso gli spazi dove gli animali s’ avventurano liberamente sono vuoti. Forse sarà l’ ora tarda, però…dove li rinchiudono? Non oso immaginare, povere bestiole. E cosi lo spettacolo appare spesso desolante, intravedo poche specie animali come scimmie, lupi, panda, uccelli… Nei dintorni dell’ ingresso sorge la cosidetta casa dei panda, una struttura coperta dove si possono ammirare dalla grande vetrata questi adorabili animaletti. Oddio, più che animaletti, animaloni, viste le dimensioni. Sono enormi, e oltre a mangiare e dormire…beati loro! Certo, lo spazio dove vivono è piuttosto desolante povere bestiole, e se penso ai milioni di flash che tutti i giorni si devono sorbire…bhè immagino faticano a riprodursi! La visita è quasi terminata, sono stanchissimo: con me ho tutti i i miei bagagli ad eccezione della valigia. Il mio zaino è colmo, pesantissimo. Quando esco lungo la trafficatissima strada, lo zoo sta chiudendo i battenti. La visita si è rivelata piacevole, anche se come detto molte delle specie animali era già rinchiuse chissà dove. Velocemente torno in ostello, e dopo aver prelevato i miei bagagli, sono pronto a ripartire. Abbandono questa città, questo paese che tanto hanno saputo regalarmi. Mentre percorro la strada che mi porta alla stazione metro, m’ assale la malinconia. E volato tutto cosi velocemente…ed ora mi tocca nuovamente ripartire. Ma, d’ altro canto, sono felice. Felice di tornare in mezzo alle persone a me care, alla mia città. Sensazioni contrastanti, che m’accompagnano fino all’ arrivo in aeroporto. Buon viaggio. Arrivederci, Cina. http://www.osvaldoforastelli.it/