Le città della West Coast e fuga romantica alle Hawaii
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9 Marzo – Partenza
Dopo mesi e mesi di ricerche su internet su siti e blog specializzati è arrivato il momento di partire, la California e le Hawaii ci aspettano. La tabella di marcia prevede sette voli in diciassette giorni, in un viaggio completamente self made che ci farà toccare California, Nevada e il cinquantesimo stato stars and stripes, le mitiche Hawaii! L’idea era visitare tre grandi città della West Coast: San Diego, Las Vegas e Los Angeles per poi partire per le Hawaii, prima Maui e poi Honolulu, sull’isola di Ohau. I voli sono stati prenotati circa un mese prima della partenza, in seguito abbiamo prenotato qualche hotel, le auto a noleggio, l’assicurazione sanitaria e naturalmente il visto turistico ESTA, fondamentale, quando si viaggia negli USA. Arriviamo all’aeroporto di Peretola che è ancora notte, il volo per Francoforte parte alle 6.30, per cui verso le 4.30 siamo già nel piccolo terminal partenze dell’aeroporto Amerigo Vespucci. Voliamo con la Lufthansa, che a mio parere rimane la migliore compagnia europea. Facciamo il self check-in alle macchine automatiche e imbarchiamo i bagagli che recupereremo direttamente a Los Angeles. Il volo verso Francoforte è in perfetto orario e dopo circa un’ora e trenta siamo già nel grande aeroporto tedesco in attesa del volo intercontinentale per LAX. Voliamo su un Boeing 747, un aeromobile abbastanza vecchio, con posti piccoli e senza sistema di intrattenimento personale, ha solo piccoli schermi sui corridoi. Il volo dura circa dodici ore, abbastanza noiose a dire la verità. I film che trasmettono non sono un granché ed io, oltre ad essermi scordato in auto gli occhiali da sole, non mi sono nemmeno portato dietro qualcosa da vedere sul net book. Fortunatamente facciamo conoscenza con un signore iraniano che faceva ritorno a casa sua, a Las Vegas, dove lavorava per un hotel. Scambiando qualche battuta sulle nostre vite capisco che si stava portando dietro suo fratello e suo nipote per fargli ottenere la green card e garantirgli un futuro negli Stati Uniti. Quando ad un’ora all’arrivo passiamo sopra Las Vegas mi mostra come la città sorga nel nulla, solo deserto intorno. Incredibile. Atterriamo all’Aeroporto Internazionale di Los Angeles alle tredici ore locali, toccata terra intravediamo subito dai finestrini dell’aereo un bel sole, perfetto, siamo in California! Sbrigate velocemente le pratiche doganali e ritirati i bagagli, usciamo dal grande terminal degli arrivi internazionali e subito respiriamo la fresca aria primaverile di Los Angeles, ma ancora non ci rendiamo conto che in realtà è solo smog! Aspettiamo una decina di minuti la navetta della Dollar che ci porta a ritirare la nostra auto prenotata dall’Italia. Firmato, il contratto e caricati i bagagli in bauliera, ci rimettiamo subito in viaggio per la nostra prima tappa: San Diego. L’anno scorso, in Florida, Il tomtom che ci siamo portati da casa con le mappe USA caricate, non ci ha dato alcun problema, ma adesso si stava facendo desiderare perché non riusciva a trovare i segnali del satellite! Vabbè ci fideremo delle vecchie ma sempre valide insegne stradali! Dalla zona dell’aeroporto è semplice raggiungere la Interstate 405, chiamata anche San Diego Free way, la imbocchiamo in direzione sud e subito facciamo conoscenza con l’impressionante traffico di L.A. e con le mostruose autostrade a 6 corsie per senso di marcia! Nei tratti più caotici la corsia all’estrema sinistra è designata al carpool, ovvero a quelle auto che trasportano due o più persone. Questo ci fa guadagnare un po’ tempo nel nostro tragitto. Sembra incredibile quanta gente viaggi da sola in macchina in questa città! Dobbiamo guidare per circa 130 miglia, la nostra destinazione è l’Hotel Sofia a San Diego, in zona Downtown. Durante il tragitto lungo l’oceano, passiamo dalle città che compongono quella megalopoli che è Los Angeles; Torrance, Long Beach, Huntington Beach, Costa Mesa e Irvine. A metà strada ci fermiamo a riposarci in un punto panoramico poco prima di Carlsbad, da dove ammiriamo la vastità dell’oceano davanti a noi. La strada è inghiottita dalla bellissima luce del tramonto mentre le magnifiche ville con vista sull’oceano si stagliano sulle colline circostanti, è la classica California del sud che siamo abituati a vedere in tv e al cinema! Dopo circa due ore e trenta arriviamo a San Diego, dopo aver letto alcune recensioni su TripAdvisor, parcheggiamo l’auto in un parcheggio pubblico a due isolati dall’hotel, per risparmiare qualche dollaro, esattamente al 1089 Di Columbia Street. Scarichiamo le valigie e ci avviamo verso l’hotel, che è anche un edificio storico. Ci sistemiamo nella nostra camera, piccola ma carina e prima di farsi prendere da un sonno profondo decidiamo di uscire e di andare a fare una passeggiata a piedi a Gaslamp, il quartiere storico di San Diego, con ristoranti e locali tipici, tutti pieni di bella gente che si diverte. Un po’ spaesati e scombussolati dal viaggio decidiamo di prenderci un bel gelato al Ghirardelli Store, una delle marche più note di cioccolata negli States. Stefy si prende una bella coppa che avrebbe sfamato tranquillamente entrambi, mentre io ancora più ingordo decido per una splendida banana split! Continuiamo il nostro giro in alcune boutique, prendiamo una bottiglia d’acqua e qualche snack a un Seven Eleven e ci avviamo verso l’hotel, questa interminabile giornata sta per finire, ma domani è già tempo di visitare in lungo e in largo San Diego.
10 Marzo – San Diego
A causa del fuso orario ci alziamo di buon’ora e subito andiamo a prendere l’auto. Fuori si sta bene, l’aria è fresca e c’è un bel sole, decidiamo di prendere qualcosa da Starbucks e andare a fare colazione di fronte all’Uss Midway, la grande portaerei-museo che sta a fianco dell’Embarcadero ad ovest di Downtown. Ci sdraiamo sul prato verde di fronte alla maestosa imbarcazione, ci siamo noi e tre poveri senza tetto in terra, mentre tutti i turisti armati di videocamere e macchine fotografiche si concentrano su un’enorme statua di un marinaio che bacia una bella donzella, riproduzione del famosissimo bacio a Times Square immortalato Alfred Eisenstaedt e comparso sul magazine Life per celebrare la resa del Giappone e la vittoria degli Stai Uniti della Seconda Guerra Mondiale. Ci gustiamo la nostra colazione a base di blueberry muffin e succo d’arancia Odwalla mentre studiamo la nostra prossima tappa sulla guida California di Lonely Planet. In zona, oltre ai parchi tematici, consigliano di andare a visitare Balboa Park e l’Old Town, una ricostruzione della città datata 1850. Il posto è veramente carino e caratteristico, una vera chicca che consigliamo a tutti! Si trova a circa dieci minuti a nord rispetto a downtown, vicino all’intersezione tra le Freeways 5 e 8. La zona appare particolarmente curata con ristorantini e negozietti in mexican style creati ad-hoc per i turisti. Ci sono anche hotel e motel carini, il primo pensiero che mi salta in mente è che semmai dovessimo ritornare qua, sicuramente vorrei alloggiare qui. Parcheggiamo l’auto e ci avviamo verso la zona pedonale in cui è ricreata la cittadina di frontiera che era San Diego un secolo e mezzo fa, meta di cowboy, cercatori d’oro, immigrati messicani e ricchi magnati industriali. Ci sono tanti negozi che espongono antichità o manufatti, noi entriamo in uno che vende aromi per la cura del corpo, saponette e roba del genere, ma scopriamo a nostro malgrado, che i prezzi non sono rimasti quelli di allora, ma sono esageratamente alti! Continuiamo a camminare nella grande piazza al cui centro si stagliano maestose sia la bandiera a stelle e strisce che quella californiana. A una prima occhiata ci sembra un posto prettamente turistico ma scopriremo in futuro che si tratta del primo insediamento di coloni spagnoli, quindi un luogo molto importante e profondamente legato alla nascita dello stato, considerato a tutti gli effetti il luogo in cui è nata la California. Vicino alla grande piazza si trova la Fiesta del Reyes, una corte in stile coloniale spagnole in cui sorgono ristoranti e negozi di souvenir, e alcune statue di latta un po’ inquietanti, ma carine da fotografare. Procediamo il nostro giro risalendo verso la strada principale, tutto intorno ci sono edifici in stile west che raccolgono mostre fotografiche, cimeli d’epoca, grandi carrozze di Wells Fargo e altre antichità del genere. Senza accorgersene siamo già arrivati all’ora di pranzo e Stefy decide che ha aspettato anche troppo, il richiamo dello shopping nei grandi Mall americani si fa sentire: direzione Fashion Valley Mall, che guarda caso si trova proprio a pochi minuti di auto da dove siamo adesso. Qua non è che ci sia molto da raccontare a parte famose catene di negozi come Sephora, Apple, Bose, Tiffany, Macy’s e chi più ne ha più ne metta, compreso Victoria Secrets, un incubo per i maschi che si aggirano con facce tristi e sconsolate, cercando di trovare solidarietà negli sguardi altrui. Comunque ci facciamo un bel pranzo a base di cucina greca allla Food court e continuiamo il nostro giro, facendo (lei) anche delle compere da Tiffany. Il tempo rimane bello sereno e nel primo pomeriggio fa anche po’ caldo, allora riprendiamo l’auto e ci dirigiamo verso la costa, precisamente alla famosa Mission Beach, rinomata per i surfisti, ma appena ci spostiamo verso il litorale, il cielo inizia a rannuvolarsi e a fare abbastanza freddo, per cui torniamo in auto e proseguiamo lungo la Mission Blvd. che continua lungo tutta la lingua di terra che va verso nord, verso La Jolla, un’altro posto che potevamo visitare, perché definito da tutti come il classico villaggio marino con residenze di lusso e giardini curati, ma che alla fine non abbiamo visitato. Guidiamo tra le casette di mare che riempiono questa zona, passiamo davanti al classico Pier con il roller coaster, tipico di ogni spiaggia americana che si rispetti, e continuiamo verso il Cabrillo Monument, a Point Loma, un punto panoramico, da cui, così dice la guida, si ha una splendida vista di Downtown San Diego. Attraversiamo una zona molto popolata, con case, casette, ville e villoni, all’incrocio tra Nimitz e Catalina la strada inizia a salire gradualmente per una decina di km, fino a che non si arriva ad un check point militare. Preoccupati e timorosi accostiamo a destra e facciamo passare, quando vediamo che il traffico scorre tranquillamente andiamo anche noi, ma capiamo solo dopo che la zona, oltre ad essere un parco nazionale è anche una base navale. Per arrivare al Cabrillo Monument, si attraversa un’area molto curata dove sorge il cimitero militare, con migliaia di piccole lapidi bianche, sistemate l’una dall’altra con precisione maniacale. Andiamo ancora avanti, il monumento si trova in fondo alla strada, vediamo subito che c’è un grande parcheggio e un centro visitatori, ma il problema più grande è che il cielo si è fatto ancora più scuro e nuvoloso, e fuori è veramente troppo freddo per stare con i pantaloni corti, queste condizioni unite al costo del biglietto di 5$ ci fanno rinunciare alla visita, poco male tanto anche il panorama era coperto dalla nuvole, i palazzi di San Diego non si intravedono neanche. Un altro posto da appuntarsi per visitarlo, semmai torneremo qui. Stanchi morti, ma comunque contenti per tutte le attività che abbiamo fatto oggi ce ne torniamo al nostro Hotel percorrendo una strada panoramica che costeggia l’aeroporto e arriva direttamente a Downtown. La sera, dopo una bella doccia e un altrettanto bella dormita , decidiamo di andare a mangiare a LIttle Italy, ma considerando il freddo che c’è la zona è completamente deserta e lontana parente da quella descritta nelle guide. Allora tiriamo dritto e torniamo verso Gaslamp, dove i ristoranti sono tutti pieni o troppo cari, ci ritroviamo così a mangiare una gustosa crêpes alla Nutella in un bar. In hotel prepariamo le valigie perché la mattina seguente partiremo per Las Vegas, ma prima prenotiamo su internet il nostro resort, l’Encore uno dei più belli!
11 marzo – La trasferta
Oggi è il giorno del gran trasferimento verso il Nevada e verso Las Vegas, ci aspettano 320 miglia di deserto da attraversare pari a circa cinque ore e mezzo di auto. Dopo un’abbondante colazione in un bar di fronte all’hotel, dove ci riforniamo anche per il viaggio, ritiriamo l’auto dal parcheggio situato sotto la torre dell’NBC e partiamo alla volta di Las Vegas. Ci lasciamo alle spalle San Diego e le sue lussureggianti valli, andiamo verso nord, passeremo prima per San Bernardino e poi per Barstow, rinomata per i grandi outlet. La guida è tutt’altro che noiosa, fino alle montagne di San Bernardino si passano molte città industriali di medie dimensioni come Temecula e Riverside, una volta attraversato il passo, il paesaggio si fa più “arido”. La strada sembra l’unico segno di civilizzazione perché tutto intorno non c’è altro che deserto, qualche area di sosta e una gosth town ogni tanto come ad esempio Calico, sede anche di diverse pellicole western. Decidiamo di fare una sosta per il pranzo a Barstow e di dare un’occhiata anche agli outlet che ci sono. Niente di impressionante, ma ci compriamo lo stesso una t-shirt a testa nel negozio di American Eagle. La zona commerciale della città si trova alla prima uscita autostradale che s’incontra venendo da San Bernardino, qui ci sono principalmente molti fast food, stazioni di rifornimento e vari outlet. Facciamo rifornimento alla nostra jeep e continuiamo verso Las Vegas, siamo quasi a metà del viaggio. Arriviamo nella Faboulos City verso le 4 del pomeriggio e subito andiamo verso il nostro hotel, anzi resort, l’Encore, il fratello gemello del Wynn, che si trova nella parte a nord della Strip. Parcheggiamo l’auto al parcheggio del Wynn, ci sentiamo spaesati tra tutti quei mega resort, ma assaporiamo subito il fantastico clima del deserto, un piacevole sole e un’aria fresca ed asciutta ci danno il benvenuto. Ci mettiamo un po’ a trovare la via per arrivare alla hall dell’hotel, alla fine scopriremo che dal parcheggio in un attimo saremmo arrivati direttamente nell’Esplanade, la galleria di boutique lussuose che collega i due resort gemelli. Comunque passiamo da fuori e trascinandoci le valigie fino all’entrata arriviamo finalmente a fare il check-in. Una cosa molto particolare che mi ha subito colpito che tanto più grandi sono gli hotel, tanto più grandi sono i megaparcheggi multi piani che li affiancano. La prima impressione, varcata la soglia, è il lusso sfrenato e la voglia di lasciare a bocca aperta il turista. Marmi ovunque, grandi lampadari, pregiati drappeggi rosso porpora e vetrate ovunque, quelle della hall danno sulla piscina, circondata dal giardino. In pochi minuti sbrigo le pratiche del check-in, mentre Stefy mi aspetta su un divanetto poco più in là, intenta a d osservare ogni particolare dell’arredamento. Con le nostre valigie ci avviamo goffamente verso gli ascensori, dove un inserviente controlla la nostra carta e ci fa salire. Qu sono tutti in tiro, mentre noi vestiti da pezzenti ci sentiamo un po’ a disagio. La junior suite prenotata il giorno prima è a dir poco fantastica, ma in un primo momento rimaniamo delusi dalla vista che non dà sulla parte sud della strip, quella dove si concentrano le maggiori attrazioni, ma verso la parte nord e downtown. Questa delusione sarà ampiamente ripagata quando, la mattina seguente, assisteremo all’alba dal nostro divano. Decidiamo di riposarci, di fare una doccia e di uscire più tardi per andare direttamente a cena. Così, verso le 19.30 scendiamo a tutta velocità con l’ascensore che stappa le orecchie, andiamo a cercare qualcosa da mangiare nel Mall che si trova proprio davanti al Wynn, il Fashion Show. Qui scegliamo un ristorante italiano che sembra molto carino, Maggiano’s. Come gran parte dei ristoranti americani, d’italiano ha solo l’aspetto, ma forse neanche quello. Ci fanno aspettare circa venti minuti, così ci danno una specie di cercapersone che vibra quando arriva il tuo turno. Ci fanno accomodare in un comodo tavolino dove non ci sono sedie, ma un grande divano in pelle a forma di ferro di cavallo e l’immancabile tovaglia a quadretti bianchi e rossi. Il cibo è, come potevamo immaginare, abbondante, le mie linguine ai frutti di mare basterebbero a sfamare una famiglia di 3 persone, mentre Stefy si da d’affare con un Caesar Salad XXL. L’insalata non è male, ma è pur sempre un’insalata, mentre la pasta è scotta e non ha legato affato con lo pseudo-sugo di pomodoro e frutti di mare quindi ne mangiamo almeno metà e chiediamo il conto. Usciamo a vedere le splendide luci di Las Vegas, lasciano a bocca aperta, sembra di essere in un grande parco giochi in mezzo al deserto. Ai lati della Strip scorrono paralleli percorsi pedonali, scale mobili e attraversamenti sopraelevati che permettono ai pedoni di entrare ed uscire dagli hotel/casinò senza mai attraversare la strada. Molto comodo. In giro ci sono veramente tante persone, questa è la prima differenza che vediamo rispetto alle altre metropoli statunitensi, qua il centro di tutto sta lungo una strada, non c’è bisogno di prendere l’auto e fare decine di km. Facciamo qualche isolato a piedi, ma le scarpe coi tacchi di Stefy nono sono tanto adatte a questa attività, così per tornare verso l’ Encore passiamo all’interno Wynn, diamo un’ occhiata all’immenso casinò e alle boutique di lusso che ci sono nell’Esplanade, c’è anche un concessionario Ferrari, per non farsi mancare proprio niente. Sono le undici di sera quando ci addormentiamo nell’immenso letto con coperte in cotone pregiato, e con le luci della città più pazza del mondo sullo sfondo.
12 marzo – Viva Las Vegas!
Oggi l’intera giornata è dedicata a Las Vegas, ai suoi casinò e agli annessi centri commerciali. La prima idea, appena usciti dalla camera, è quella di andare a fare subito una bella colazione, ma per evitare prezzi troppo esosi, e vi assicuro che all’Encore non c’è niente di economico, nemmeno un croissant, ci avviamo a passeggio lungo la strip, in direzione sud. Tra foto, video e sguardi increduli ai fantastici resort ci fermiamo nel più banale dei McDonald’s, che è pieno zeppo di gente in fila per fare colazione, molto probabilmente non sono tutti Donald Trump a Las Vegas! Colazione light, oramai sono quasi le undici, continuando la nostra passeggiata, entriamo negli hotel più belli: Bellagio e Caesar Palace su tutti. Anche se contraddistinti d stili diversi, questi due storici palazzi, sono accomunati dalla stessa opulenza e maestosità. Mentre il Bellagio si rifà vagamente alle atmosfere veneziane il Caesar si ispira alla Roma imperiale. Gli interni degli hotel sono uno spettacolo nello spettacolo, pensate che dentro la Bellagio si trova la cascata di cioccolato fuso più grande del mondo! Incredibile. Il Caesar Palace è invece famoso per il suo centro commerciale in stile imperiale con il soffitto dipinto come il cielo, gli acquari nelle pareti e le spettacolari statue e fontane di marmo. Tra un hotel e un centro commerciale si sono fatte quasi le 4 e sinceramente, non avendo nemmeno pranzato, non mi dispiacerebbe mettere qualcosa sotto i denti e riposarmi un po’ così ci compriamo un bel panino farcito per uno da Walgreen e ce lo andiamo a mangiare nella nostra suite all’Encore, lo so suona un po’ male, ma il servizio in camera costava quasi 30$ a testa mentre due panini a 5,99 sono più convenienti! Ci riposiamo un po’ ma dopo un paio d’ore torniamo alla carica, stavolta peró arriviamo al Planet Hollywood in macchina che parcheggiamo gratuitamente al Miracle Mile, un altro centro commerciale di grandi dimensioni. Sta calando la sera e Las Vegas si trasforma, luci scintillanti e gente completamente fuori di testa si aggira sulla strip intonando le note di Viva Las Vegas del mai dimenticato Elvis. Eh sì, perché qui Elvis è più di un cantante è una divinità, un simbolo americano che con l’andare del tempo si è rafforzato tanto che ancora oggi è in programma il musical Viva Elvis all’Aria Hotel. Usciti dal MM incontriamo un gruppo di uomini sulla quarantina che si fanno fare una foto, molto probabilmente si trovavano li per un addio al celibato in stile Una Notte da Leoni, Stefy guarda incredula! Attraversiamo la strada e andiamo all’Hotel Aria, anche qui troviamo l’immancabile centro commerciale che ricalca lo stile dell’hotel: super moderno! Prossima tappa: Hard Rock Café, Cola Cola Store e per non farci mancare niente M&M’s Store, quest’ultimo è imperdibile, quattro piani con ogni gadget possibile immaginabile e ovviamente una montagna di M&M’s vendute a 13$ al chilo, niente male come prezzo. Tornando verso il parcheggio incontriamo gli immancabili artisti di strada, il più gettonato è naturalmente Elvis, ma anche Bumblebee e Iron Man riscuotono un discreto successo. Mentre percorriamo la Strip in macchina, devo stare attendo dove vado perché non è facile tenere gli occhi sulla strada con tutto quel casino intorno, passiamo davanti al Bellagio, ma incredibilmente ci siamo dimenticati di assistere al mitico spettacolo di fontane al Bellagio e all’eruzione del vulcano del Mirage! No way! Dobbiamo stare una notte in più! Allora presi dall’euforia invece di fermarsi al nostro hotel decidiamo di tirare dritto e di andare a vedere cosa è rimasto della zona meno battuta di LV, Freemont Street, famosissima per le insegne storiche tra cui quella del cowboy e per la copertura a tubo piena di lampadine luccicanti. La zona tra la strip e Downtown è buia e non ispira grande sicurezza percorrerla ma la distanza tra le due zone è breve, circa 10-15 minuti. Noi non ci fermiamo, passiamo solo davanti al Golden Nuggets, rimasto l’unico hotel storico, e diamo, anzi do (Stefy si era già appisolata da un pezzo) un’occhiata veloce alla strada tutta illuminata, ma stranamente semivuota alle 11 di sera. Peccato non averla potuta visitare meglio perché, in realtà mi sono accorto di quale zona fosse solo rientrati in hotel, cercando su internet, è sicuramente un posto da segnare sul taccuino di un probabile ritorno!
13 marzo – Hoover Dam
Dopo aver speso quasi 50$ Tra shampoo e balsamo alla boutique dell’hotel (caro il mio shampoo anche se è griffato Wynn) visitiamo anche le piscina, dove l’ingresso è assolutamente riservato solo ai clienti del resort. Tutto, ovviamente, molto bello, ma il tempo stringe, oggi andiamo a visitare la diga di Hoover che si trova al confine tre Nevada e Arizona. Facciamo il check-out e ci dirigiamo verso est, prima pero facciamo una bella colazione ad uno Starbucks in periferia e visto che di fronte c’è un distributore facciamo anche rifornimento alla jeep che consuma abbastanza e con la benzina a 4,60$ a gallone influisce non poco sul budget del viaggio. Certo ancora non siamo ai livelli italiani, ma rispetto a un anno fa la regular è aumentata di quasi 80 cent. Per arrivare all’Hoover Dam impieghiamo circa un ora e trenta, il tragitto in macchina si svolge principalmente in mezzo al deserto. Poco prima di arrivare alla diga, che è anche monumento nazionale, attraversiamo Boulder City, una tranquilla cittadina di provincia che si affaccia sul lago Mead. Qua incontriamo un po’ di fila, causata da lavori stradali e dalla grande massa di visitatori che si apprestano ad andare alla diga o in barca sul lago. Si dice che l’Hoover Dam sia ad alto rischio di attentati, in effetti, a poche centinaia di metri dalla diga si trova un check point militare. Due ufficiali vestiti di mimetico controllano con sguardo attento le macchine che sfilano lentamente davanti a loro. La monovolume davanti a noi viene fermata per un controllo più approfondito, molto probabilmente il fatto che fosse stracarica ha insospettito i militari. Noi ci avviciniamo lentamente all’ufficiale, che con un cenno mi dice di andare, io ringrazio, saluto e continuo verso la diga. Il confine tra Nevada e Arizona si trova esattamente a metà diga, la quale permette anche l’attraversamento del Black Canyon sottostante. La strada continua salendo sul crinale attraverso tornanti ad U. Ci fermiamo al primo tornante dove c’è un ampio parcheggio gratuito. Scendiamo dall’auto, io naturalmente ho tutta l’attrezzatura tecnica fotocamera e videocamera per immortalare questo gioiello in stile Art Decó che ho sempre voluto visitare dopo averlo conosciuto in film come Transformers e Into the Wild. Ci avviamo a piedi verso il parapetto che sporge sul canyon, lo spettacolo è emozionante, vedere quel colosso di cemento che scende giù fino al corso del fiume Colorado. Dalla parte opposta si trova il lago Mead, grande bacino creato dalla diga e tutto intorno lo scenario desertico che contraddistingue questa zona. Ci facciamo qualche foto ricordo e ci dirigiamo al livello inferiore per entrare al Visitor center. Sono quasi le due di pomeriggio e il caldo inizia sfarai sentire, forse un cappello per la mia testa pelata ci voleva proprio, Stefy invece non ha problemi con la capanna di capelli che si ritrova. Il Visitor sarebbe una bella idea perché ti fanno fare un bel giro all’interno della diga per vedere le turbine e tutti i condotti, m’interesserebbe ma visto il prezzo evitiamo e torniamo indietro. Nel negozio di souvenir acquistiamo delle magnifiche mentine della diga di Hoover. fantastiche! L’ultima tappa della nostra escursione è la passeggiata sul ponte della statale 93, costruito di recente per bypassare la diga per ragioni di sicurezza. Accanto alla carreggiata c’è un passaggio pedonale da cui si gode una vista fantastica della diga. Sulla via del ritorno a Las Vegas ci fermiamo per una breve visita a Boulder City, una cittadina nata per ospitare gli operai che lavoravano alla costruzione di quel gigante in cemento armato. Visitiamo qualche negozio di antichità (poche) e cianfrusaglie (molte) che hanno sempre il loro fascino. Tra dischi di Elvis, servizi di porcellana e bambole inquietanti decidiamo di fare anche un giretto a piedi, ma da vedere c’è ben poco, a parte qualche edificio storico. Così tiriamo dritto verso Las Vegas, verso il Planet Hollywood, dove abbiamo prenotato una camera su internet questa mattina. Dopo una rilassante doccia e una bella dormita ci svegliamo alle otto di sera con i crampi della fame, oggi non abbiamo neanche pranzato. Controlliamo sul nostro libretto dei coupon se c’è qualcosa di valido e scopriamo che proprio all’interno dell’hotel c’è uno dei famosi All-you-can-eat Buffet di Las Vegas: lo Spicy Market. Cibo ottimo, quantità industriale e bibite free to refill per 30 $ a testa. Un vera scorpacciata! cosa si può volere di più dopo una “dura” escursione nel deserto La serata continua con i classici spettacoli di acqua delle fontane del Bellagio e di fuoco al “Vulcano” del Mirage che avevamo mancato la sera precedente. Camminando arriviamo quasi al Wynn che si trova all’altra estremità della Strip, visitiamo anche gli altri due enormi hotel che mancavano alla nostra lista, il Paris con la sua copia in scala ridotta della Torre Eiffel e il The Venetian dove si sono dati da fare ricreando il canale maestro di Venezia e addirittura il Ponte di Rialto. Usciti dalla falsa Venezia ci dirigiamo stanchissimi verso la nostra camera, dove crolliamo dal sonno. Domani ci aspetta un’altra sfacchinata verso Los Angeles.
14 Marzo – Back to L.A.
Ancora un check out, di nuovo con le valigie in mano, pronti per chiudere il cerchio, per tornare nella città degli angeli! Prima però, di rimettersi alla guida mi compro un bel cappellino blu dell’UCLA e Stefy un paio di occhiali di Tiffany con un ottimo sconto all’Outlet di Primm che si trova appena usciti da Las Vegas. Durante il tragitto discutiamo su quale punto di L.A. andare a visitare per primo, vista l’immensità di questa area urbana. Scegliamo di dirigerci subito verso l’osservatorio Griffith, il famosissimo punto da cui si gode di una fantastica vista sia sulla Downtown, sia sulle colline della magnifica scritta Hollywood. Ci vogliono circa cinque ore di auto tra Las Vegas e l’osservatorio che si trova sulle montagne che circondano Los Angeles. Dopo qualche sosta lungo la via per il carburante e per rifocillarci arriviamo in questa magnifica costruzione in stile art déco, che sorge nell’omonimo parco. Abbiamo fortuna perché troviamo un parcheggio vicino all’edificio, mentre in tanti lasciano la macchina per la strada e si fanno la salita a piedi. Restiamo lì un paio d’ore, giusto in tempo per aspettare il tramonto. Gironzoliamo in infradito, ma qua è tutto un altro clima rispetto alla tiepida temperatura di Las Vegas, è molto più freddo, in linea con le nostre temperature italiane di metà marzo. Io, armato di videocamera, fotocamera e treppiedi, scatto foto e video da ogni posizione, sono entusiasta, anche questo è uno di quei posti che ho sempre sognato di vedere. Stefy si presta gentilmente a ogni mia inquadratura ma alla fine cediamo insieme al freddo che sta diventando sempre più insopportabile per due in infradito. Così entriamo dentro l’osservatorio dove oltre al planetario si trova anche un’esposizione scientifica molto interessante. Usciti fuori, scattiamo le ultime foto e ci dirigiamo verso l’auto, adesso dobbiamo decidere in quale zona andare a dormire. Dopo un piccolo briefing all’interno della nostra Jeep e ci indirizziamo verso la Sunset Boulevard, la famosa strada che si snoda da est verso ovest, da Downtown a Santa Monica. Scegliamo di andare al Best Western Sunset Plaza, un buon hotel con prezzi ancora decenti in questa zona. Uno dei primi aspetti che ci ha colpiti di L.A. è come cambia dal giorno alla notte, Sunset Blvd. a parte che è sempre tutta illuminata e piena di gente che va per locali, le altre zone come Hollywood e West Hollywood di giorno sono fantastiche mentre la sera deludono, sono squallide e buie. Dopo aver sistemato i bagagli in camera, facciamo un giro e ci fermiamo a mangiare un ottimo hamburger in quella che a mio parere è la migliore catena di fast food americani: Wendy’s. Tra un bel panino e ottime patatine, ci sfamiamo pensando a come poter passare la serata. Sfruttiamo la Wi-Fi gratuita del locale e scopriamo che a pochi Km di distanza si trova la Walk of Fame di Hollywood. Ci dirigiamo lì con l’auto ma, come scritto anche prima, la zona ci delude un po’, è deserta e poco illuminata, nonostante sia un punto d’interesse importante. Sono circa le dieci di sera e prima di tornare in hotel decidiamo di fare un piccolo tour in auto nella Downtown. Imbocchiamo la 101 verso sud e dopo poche miglia ci ritroviamo in pieno centro. Stefy è crollata pochi minuti fa, io mi fermo in un punto di North Hope St. Vicino al Disney Concert Hall, dove si riesce a vedere bene lo skyline di L.A. Faccio delle belle foto e salgo nuovamente in auto. Dopo aver letto qualche recensione sui pericoli che si possono correre a passeggiare di notte in queste zone, mi guardo bene dall’allontanarmi dall’auto, anche se un po’ mi spiace, avrei voluto vedere di più on Downtown, ma ormai è ora di andare a letto per cui torniamo verso West Hollywood. Domani saremo in giro nei dintorni di Los Angeles, ultimo giorno prima di partire verso le Hawaii.
15 Marzo
Troppe cose da vedere oggi. Tanto per cambiare, sarà un’altra bella giornata intensa, abbiamo un sacco di cose da visitare, ma prima dobbiamo pensare alla nostra biancheria intima! Eh si! Poiché il nostro hotel ha una sala lavanderia, decidiamo di fare il bucato e intanto ci dirigiamo verso la lobby per fare colazione. Un bel waffel, qualche muffin e un po’ di frutta ci saziano in abbondanza. All’entrata della sala colazione ci sono un sacco di coupon per le attrazioni turistiche e Stefy viene attratta da un fantastico murales di un McDonald’s che si trova nei pressi di Anaheim, può essere una buona idea per il pranzo di oggi. La prima tappa della lunga tabella di marcia, una volta, sistemati tutti i bagagli nella Jeep, sarà nuovamente la Walk of fame di Hollywood, che di giorno ha decisamente un aspetto migliore! Usciamo dal garage dell’hotel verso le 10 e lo smog visto fino ad ora su L.A. è solo un ricordo lontano, splende un bel sole in cielo! La giornata inizia alla grande, ma abbiamo sempre le felpe a portata di mano, non si sa mai. Arriviamo sull’Hollywood Blvd. e parcheggiamo proprio di fronte all’Hard Rock Cafè. Io rimango un po’ intimorito, non riesco a capire se qui sia permesso il parcheggio oppure no, scendo dall’auto e controllo il bordo del marciapiede che non sia rosso e vado verso il parchimetro, niente spiccioli, si paga solo con carta di credito, Oh Yes siamo negli U.S.A.! Il costo è di 2 $ l’ora, nemmeno tanto, considerando dove siamo. Restiamo in zona per due ore circa, ci facciamo la camminata lungo la Boulevard per vedere tutte le stelle in terra, visitiamo il centro commerciale al Kodak Theatre e l’Hard Rock Cafè per comprare le immancabili magliette. Come ho già detto è tutta un’altra cosa rispetto alla sera prima, oggi ci sono migliaia di turisti, strani personaggi vestiti da super eroi, organizzatori di tour di ogni genere, predicatori agli angoli della strada, un vero e proprio melting pot di culture e persone da tutto il mondo. In definitiva è una bella zona e sprizza euforia da tutti i pori, d’altra parte è la capitale mondiale del cinema. Usciti da Hollywood decidiamo di proseguire verso Santa Monica, per vedere la Promenade e il mitico pontile, dove finisce la Route 66, la madre di tutte le strade. Forse non ci rendiamo ancora conto delle distanze enormi, ma Santa Monica è a circa 15 miglia dalla nostra posizione attuale. Una distanza che si potrebbe coprire normalmente in circa mezz’ora, ma a noi ne occorrono quasi due e in più il sole, tanto desiderato fino ad adesso, lascia spazio a nuvoloni minacciosi, sembra che più ci si avvicini alla costa più aumentano nuvole e smog! Arriviamo sul lungomare di Santa Monica, giriamo un po’ per scovare un parcheggio che alla fine troviamo sulla PCH la strada che costeggia tutta la costa del Pacifico dal nord al sud della California. Anche qua paghiamo con la carta al parchimetro e andiamo verso la Promenade, un’area pedonale che si estende lungo tutta la terza strada, e che ci ricorda vagamente la Lincoln Road visitata l’anno precedente a Miami. Oltre alle immancabili catene di negozi di abbigliamento, elettronica ed accessori ci sono anche ristoranti carini ma a prezzi esosi. Passeggiamo tra artisti di strada, aspiranti star che cantano pubblicizzando i loro album e innumerevoli dog sitter che portano a spasso gli amici a quattro zampe di facoltosi signori. Facciamo un po’ di compere da Adidas e Abercrombie & Fitch prima di tornare verso la macchina, che si trova a una ventina di minuti di cammino dal pontile. Nel frattempo si è reso necessario indossare le felpe, la temperatura è scesa bruscamente, quindi ci fermiamo solo per qualche foto con il pontile sullo sfondo e torniamo verso l’auto. Oramai sono quasi le 14.30 e ancora non abbiamo pranzato, ma sinceramente non sentiamo la fame, la colazione di stamattina è stata veramente abbondante. Discutiamo sul da farsi, se andare verso Anaheim a vedere quel murales o da altre parti, Los Angeles è talmente grande che è davvero difficile trovare cosa fare in una giornata. Alla fine scegliamo di andare a vedere Rodeo Drive, famosa in tutto il mondo per sue boutique di lusso che però sono quasi tutte vuote. Percorriamo la Pico Blvd. verso est, verso Beverly Hills. Passiamo davanti alla sede della Fox, il famoso network televisivo, che è una città dentro la città, poco dopo, all’altezza di South Rodeo Drive giriamo a sinistra in un bel quartiere e percorriamo tutta la strada fino in fondo, a quel punto intravediamo l’insegna della boutique di Bulgari. Parcheggiamo nei paraggi e facciamo due passi tra boutique lussuosissime e auto costose come Rolls Royce e Bugatti. Non c’è molta gente in giro, così, mentre faccio qualche foto all’insegna diamantata che indica la strada, assistiamo anche al servizio fotografico di due sposi orientali, un modo fuori dal comune per festeggiare il matrimonio. Ci rimettiamo nuovamente in marcia per andare a vedere questo benedetto murales ma il navigatore ci indica senza pietà, che ci sono circa 75 km tra Beverly Hills e Anaheim. Appena entrati in Freeway la situazione precipita visto il caos che c’è, ma continuiamo a guidare verso sud sperando di arrivare al Mc Donald’s per l’ora di cena per mangiarci un meritato Hamburger. Purtroppo però dopo un’ora di coda, e meno male che c’è il cambio automatico, siamo costretti a abdicare. All’altezza di Commerce decidiamo di uscire da quell’inferno, intravediamo un centro commerciale dalla Freeway e prendiamo l’uscita per il Citadel Outlets. Li troviamo un ristorante della catena Ruby’s, stile anni ’50, dove, dove ci rifocilliamo davanti ad un bel piatto di fish and chips, dopo un’intera giornata passata in giro. Non abbiamo né tempo ne voglia di visitate anche questo centro commerciale, e siccome sono quasi le nove di sera, inseriamo nel nostro fido amico tomtom, l’indirizzo dell’hotel in cui ci fermeremo per la notte, vicino all’aeroporto LAX. Torniamo verso Inglewood, all’hotel Wingate by Wyndham LAX, che si trova vicino all’ufficio della Dollar, domattina dobbiamo lasciare la macchina presto, alle 8 parte il volo per Maui. Prima di andare a riposare stampiamo le carte d’imbarco per il giorno seguente, vediamo se riusciamo a dormire qualche minuto in più, ma conoscendomi, non credo sia possibile. La finestra di camera nostra dà sull’entrata della 405, osservare tutte quelle macchine che vanno e vengono mi rende un po’ triste, perché ci sarebbero talmente tante cose da vedere, ma non si può far tutto! Domani partiremo per le Hawaii, a detta di molti un vero e proprio paradiso terrestre, speriamo bene.
16 marzo – Partenza per Maui
Mi sveglio prestissimo, alle cinque sono già in piedi, mentre Stefy ronfa ancora nel lettone. Non è facile sopportarmi, quando dobbiamo andare all’aeroporto per prendere un ateo, specialmente se non siamo in Italia divento ansioso e un po’ paranoico, non che abbia paura di volare, ma ho sempre paura che non ci sia tempo sufficiente o che qualcosa vada storto. Così scendiamo a caricare le valigie in auto e risaliamo nella lobby per fare il check-out e fare colazione. Stefy si mangia di gusto due muffin e uno yogurt mentre io con lo stomaco chiuso riesco solo a dare un morso al muffin. Ci avviamo verso l’ufficio della Dollar per lasciare la jeep, dista solo cinque minuti di strada dall’hotel. Appena arrivati, l’inserviente controlla velocemente l’auto, ci rilascia la fattura e ci indica dove andare ad attendere la navetta che ci accompagnerà al terminal n. 5 di LAX, voleremo con Delta Airlines. L’aeroporto è pressoché deserto, già muniti di carta d’imbarco, ci mettiamo in fila per imbarcare i bagagli. Ogni bagaglio imbarcato da e per le Hawaii costa 25$ con qualsiasi compagnia, quindi le tariffe convenienti scovate su internet tramite Expedia vanno a farsi benedire. Comunque lasciamo i bagagli e ci avviamo ai controlli, intanto notiamo che dietro di noi si è creata una fila che arriva quasi alle porte scorrevoli dell’entrata, e sono appena le sei del mattino. I controlli, efficienti ed approfonditi, scorrono veloci, così arriviamo al gate una quarantina di minuti prima della partenza. Visto che sul volo cibo e bevande sono a pagamento compriamo qualche snack, sandwich e una bottiglia di acqua per passare le cinque ore di volo che separano La California dalle Hawaii. Siamo imbarcati a gruppi, noi ci ritroviamo nel terzo gruppo, l’ultimo. Siamo un po’ preoccupati perché, come spesso accade in queste situazioni, abbiamo paura di non trovare posto per i nostri bagagli a mano, piuttosto ingombranti. Fortunatamente non è così, ci sistemiamo nei posti che ci sono stati assegnati vicino al finestrino e osserviamo fuori, il tempo è veramente pessimo, oltre alle nubi è comparsa una leggera pioggia, il che non ci dispiace visto che siamo in partenza per spiagge da favola! Partiamo direzione Hawaii. Passata la coltre di nubi e smog che avvolge la zona dell’aeroporto, il cielo si rivela limpido e con un bel sole, stiamo volando sull’oceano Pacifico. Dopo qualche ora vengono serviti a tutti i passeggeri bibite e noccioline, in più, a pagamento c’è a disposizione un menù con panini e altri piatti riscaldabili al microonde. Ed io che pensavo che facessero pagare anche un bicchiere d’acqua, rimango piacevolmente stupito del servizio di Delta, oltre ad essere su un aereo con posti comodi anche il servizio si dimostra gentile e disponibile. Il volo scorre via velocemente tra cartoni animati in inglese e video promozionali che mostrano le meraviglie Hawaiane. In prossimità dell’atterraggio a Kahului ci viene distribuito un formulario da riempire specifico per lo stato delle Hawaii, molto simile al modulo I 94 W che ci avevano consegnato quando eravamo in volo da Francoforte a Los Angeles. Le domande a cui rispondere sono più o meno le stesse, compresa quella dell’alloggio che noi lasciamo vuota, infatti a Maui non abbiamo prenotato niente, ci fermeremo nel posto che più ci piace. All’inizio sono un po’ preoccupato perché ho paura che mi facciano storie ai controlli, ma dopo penso tra me e me ” un momento, noi siamo in un volo interno negli Stati Uniti, quindi non ci dovrebbero essere dogane o controlli”. Tutti i miei dubbi svaniscono appena tocchiamo il suolo hawaiano: l’atmosfera rilassata, l’aeroporto in stile polinesiano, qua le paranoie da trasporti pubblici diffuse sulla terra ferma sono solo un lontano ricordo. Le persone sono tranquille, cordiali, il clima è molto easy, caldo ma non troppo, umidità assente e tira un piacevole venticello rinfrescante. Se al momento della prenotazione ero un po’ preoccupato per il meteo che potevamo trovare qua, ora, soddisfatto per il primo impatto, penso che la scelta fatta sia stata giusta! Il formulario va consegnato al personale dell’aeromobile che ci lascia scendere senza problemi. Riprendiamo i bagagli dal nastro trasportare e ci dirigiamo verso l’ufficio della Dollar, anche qui abbiamo noleggiato una eco car dall’Italia attraverso il sito enoleggio.it Attendiamo qualche minuto prima dell’arrivo del pulmino, guidato da un donnone alta 1 e 90 che scaraventa le valigie sopra e ci invita a salire, meglio muoversi prima che si arrabbi! Al momento della consegna dell’auto l’impiegato mi consiglia, come sempre fanno, di acquistare polizze di ogni genere, sconsolato da ogni mio rifiuto, mi propone di fare l’upgrade a una jeep per 50 $ in più al giorno, indispensabile, a suo dire per percorrere la strada per Hana e per andare a vedere le cascate. Rifiuto per l’ultima volta e lui finalmente mi consegna le chiavi dell’auto che andiamo a ritirare. E’ una Ford Focus berlina con la carrozzeria un pò ammaccata, ma completa di aria condizionata, cambio automatico (immancabile), stereo satellitare e un bel bagagliaio in cui entrano alla perfezione tutte le nostre valigie. Perfetto, è quasi mezzogiorno, adesso possiamo andare a cercare un posto dove sistemarci. Stefy, guidata da quello che poi si rivelerà un ottimo intuito, decide di andare verso Kihei, descritta da molte recensioni come il luogo meno snob e a buon prezzo di tutta l’isola. Kahului è in tutto e per tutto una vera città americana di piccole dimensioni, con i suoi immancabili Mall e i suoi cortili molto curati. E’ il centro industriale dell’isola di Maui, qui si concentrano tutte le aziende, il mare non è un granché quindi ci dirigiamo verso la parte opposta dell’isola. Muniti del nostro migliore amico, il tomtom, ci dirigiamo verso sud ovest percorrendo la Mokulele Hwy, una grande strada a due corsie per senso di marcia che taglia in due l’isola nella valle tra i due grandi vulcani di Maui, l’Haleakala e la riserva naturale di West Maui. In circa mezz’ora di tempo arriviamo a Kiehi, un classico paesino di mare con ristoranti, agenzie per escursioni e molti condos, come chiamano qui gli appartamenti, che si estende lungo la costa. Prima di iniziare la nostra ricerca ci fermiamo a prendere un bel gelato rinfrescante da ONO. Il primo hotel che andiamo a visionare è uno dei più economici, che avevo già controllato su Trivago poco prima della partenza, il Days Inn. Anche se notoriamente questa è una catena di motel, qui lo fanno passare per un hotel a due stelle, ma le dotazioni sono misere, le camere minuscole e in generale è un po’ bruttino e vecchiotto. Per me non ci sarebbero tanti problemi ma Stefy è rimasta ancora sconvolta dall’esperienza al Parisian dell’anno scorso a Miami, quindi passiamo oltre. Attraversiamo la strada e andiamo in un fantastico condominio con prati verdi bellissimi e fiori dappertutto. Sono quasi l’una e crediamo che l’ufficio sia chiuso, invece dal desk sbuca una gentilissima signora a cui chiediamo se hanno disponibilità per cinque notti, lei, molto disponibile, ci spiega che non sono direttamente i condos a vendere le camere ma le agenzie immobiliari. A questo punto fa qualche telefonata a condomini ed hotel per verificare la disponibilità, chiama anche l’agenzia e ci dice che riaprirà alle tre, ci spiega dove si trova sulla mappa, mentre su un foglietto segna le tariffe che gli hotel le hanno comunicato al telefono. Variano dai 180 ai 250 $ a notte, i prezzi sono alti, ma c’era da immaginarselo. Siamo rimasti sorpresi dal suo atteggiamento, disponibile, nonostante già sapesse che non saremmo andati al suo residence, ma questo è un pregio degli Hawaiani, sempre molto disponibili ad aiutare il prossimo, anche se è un turista spaesato. Torniamo verso il centro della città e ci fermiamo al Maui Coast Hotel, considerato uno dei migliori a Kiehi. Anche qui molto gentilmente ci dicono che non hanno camere a disposizione, ma ci indirizzano, tramite una telefonata verso l’Aston Banyan, un residence pochi km più a sud. Ci dirigiamo qua e subito notiamo che si affaccia direttamente sul mare, sulla spiaggia di Kamaole. Entriamo decisi nella lobby, ormai stanchi di cercare una sistemazione e prendiamo un appartamento con tre stanze completo di cucina e soggiorno per 220 $ a notte ( che con tasse e quant’altro diventeranno 250 $ a notte). L’appartamento è ancora da sistemare, per cui ci dicono di tornare tra una quarantina di minuti, insieme alla scheda magnetica ci consegnano un libretto pieno di coupon per ristoranti, attività, centri commerciali e negozi di souvenir. Nel frattempo attraversiamo la strada e andiamo a vedere la spiaggia, piccola ma carina con la sabbia fine. Ci rilassiamo un po’ al sole, dopo una lunga giornata passata in giro tra navette, sale d’aspetto e aeroporti. Poco dopo torniamo in hotel a prendere finalmente possesso del nostro appartamento. Ci sistemiamo in fretta e torniamo subito in spiaggia, ma a quel punto il cielo si è già rannuvolato e non si sta più molto bene. Aspettiamo una mezz’oretta per vedere se il tempo si rimette un po’, ma niente! Siamo costretti ad andarcene e sono solo le cinque del pomeriggio. Per ingannare il tempo decidiamo di andare a fare la spesa al Foodland di Kihei, una grande catena presente su tutte le isole. Notiamo subito dai cartellini della merce in esposizione che ci sono due prezzi, uno per i locali molto più basso dell’ altro riservato ai turisti. Rimaniamo spiazzati e chiediamo delucidazioni alla cassiera che molto gentilmente ci spiega che utilizzando il codice nello scontrino usufruiremo anche noi del prezzo speciale per le nostre prossime compere in qualsiasi negozio di questa catena. Buono a sapersi. Compriamo del latte, cereali, marmellata e tutto il necessario per fare una bella colazione, oltre ad acqua, carissima quella importata, più conveniente la Hawaiian Springs, della carne, patate e tanta frutta, per una spesa di circa 90 $. Torniamo all’appartamento con due buste piene di roba verso le sette di sera. Ci prepariamo per andare a mangiare un boccone ed usciamo verso le nove, quando scopriamo che…è già troppo tardi! Tutti i ristoranti sono chiusi, così anche i negozi. Alle nove tutto chiuso e nessun in giro, non ci voglio credere! Fortunatamente troviamo un Mc Donald’s che chiude alle dieci. Ci fermiamo per prendere qualcosa, ma la cucina sta per chiudere, mentre la sala è già chiusa e il cameriere sta dando il cencio. Dei pochi panini rimasti prendiamo due Mc Chicken e due patatine, ce li facciamo incartare e torniamo al Banyan per consumare la prima cena hawaiana in camera, un po’ triste ma domani andrà meglio.
17-21 Marzo: Sole e mare a Maui
I giorni alle Hawaii scorrono calmi e lenti, una bella differenza rispetto al ritmo che avevamo preso sulla terraferma. La scelta di alloggiare in un condo è stata ottima, la mattina facciamo con calma un’abbondante colazione, Stefy prepara il pranzo al sacco per il giorno a base di sandwich e una bella macedonia con la dolcissima frutta comprata al supermarket. L’ananas è qualcosa di sublime, non a caso a Maui c’è la coltivazione della Dole, una delle più grandi aziende ortofrutticole del mondo. Il nostro intento in questo break a Maui era di totale riposo, niente escursioni affaticanti, solo sole, mare, spiaggia, qualche bel tramonto e tanta frutta e verdura! Peccato perché Maui, oltre a bellissime spiagge, offre anche tante attività all’aria aperta, tutte hanno un suo costo per intenderci, ma se ne trova per tutti i gusti. Dalle immancabili lezioni di surf al paddling detto anche stand up surf, dall’escursione sul vulcano Haleakala e relativa discesa in bici, alla scoperta della “Road to Hana”, la strada che attraversa la foresta di Maui rivelando spiagge di sabbia nera e panorami mozzafiato, a detta di molti impraticabile senza una 4×4. Ci dedichiamo alla vita da spiaggia quindi, e anch’io, più restio a questa banale e noiosa tipo di vacanza, accetto di buon grado poiché i giorni in giro tra le grandi città della West Coast mi hanno un po’ stancato e ho bisogno di ricaricare le pile. La nostra base era naturalmente il Kamaole Beach Park 3 che si trovava proprio di fronte al nostro condo, qualche volta abbiamo provato ad esplorare altre spiagge ma appena ci muovevamo verso nord o verso sud, automaticamente peggiorava il tempo e dei nuvoloni neri si addensavano sopra le nostre teste, manco fossimo Fantozzi! Abbiamo passato una mattinata a Big Beach a Wailea, la zona dei resort lussuosi come il Fairmont, il Marriott, il Four Season o il Grand Wailea, dove hanno girato un recente film con Adam Sandler e Jennifer Aniston, Mia moglie per finta. Siamo arrivati lì verso le nove del mattino ed è stato relativamente facile trovare posto vicino all’ingresso. La spiaggia, lunga circa 1 km, mi è piaciuta veramente tanto. La sabbia è fine e le onde consentono di divertirsi per ore con la boogie board. Molto frequentata dai ragazzi del luogo, si può ammirare le incredibili acrobazie che fanno con la tavola, infatti ho dedicato un pò tempo a fotografare un gruppo di surfisti. Peccato che il tempo non ci abbia assistito, così quando le nuvole hanno iniziato a diventare sempre più minacciose siamo andati a fare un giro per il centro di Wailea che altro non è che un Mall di boutique per gli ospiti facoltosi della zona.
Un altro giorno siamo andati a nord verso Kaanapali, la parte nord ovest dell’isola, ritenuta da molti la più bella. Anche qui a causa del meteo così e così abbiamo fatto solo una breve sosta alla spiaggia del Westin Resort, molto lunga ma niente a che vedere con Big Beach. Unico punto d’interesse una grande foca spiaggiata, protetta dai turisti tramite dei nastri. A quel punto non abbiamo fatto in tempo a sistemarci che siamo ritornati subito verso sud, verso Ulua beach, una spiaggetta carina situata nella zona di Wailea vicino al Marriott Beach Resort. L’abbiamo scoperta per caso girando in una delle deviazioni che si trovano lungo la curatissima zona di Wailea. La spiaggia è incastonata in una zona residenziale di alto livello, un complesso con villette vista oceano a cui non pende un capello, con prati verdissimi e vegetazione rigogliosa.
L’ultimo giorno abbiamo deciso di fare un’escursione in catamarano con Boss Frog’s, uno dei più famosi negozi di Diving presenti alle Hawaii, che appunto organizza anche crociere di snorkling e whale wacthing della durata di mezza giornata. Si parte abbastanza presto dal porto di Maalea, verso le 8 di mattina per dirigersi subito verso Molokini, la corona di un cratere sottomarino che spunta dall’acqua. Decantato in tutta l’isola come il miglior punto dove fare snorkling, a noi è sembrata una vera buffonata. L’area era completamente invasa da turisti, molti veramente goffi con i salvagente a tenerli su come boe! Nessun pesce, pochissimi coralli, siamo stati cinque minuti, giusto per fare il bagno e siamo subito risaliti in catamarano. L’altra sosta, a Turtle Beach, è più carina perché si ha la possibilità di vedere una tartaruga veramente da vicino, sembra quasi ammaestrata. Una volta entrati in acqua sale su per farsi vedere in tutta la sua bellezza, questa è stata un’esperienza da ricordare. Tornando verso il porto era prevista una sosta a osservare la balene, che in quel periodo transitano in quella zona, ma non c’è mai stata, abbiamo visto solamente alcuni sbuffi di code al largo, ma niente di spettacolare come riuscivano a vedere le altre barche che facevano il nostro stesso percorso. Per quanto riguarda la vita notturna, o meglio, serale di Maui, visto che alle 9 è già tutto chiuso (a Lahaina alle 10,30) non c’è molto da dire. Oltre a cenare fuori, noi abbiamo provato Denny’s (si va sul sicuro, solita solfa degli altri), Fabiani’s Bakery a Kiehi, (quest’ultima offre la pizza più buona di tutta l’isola, non a caso è gestita da un ragazzo italiano delle Cinque Terre) e Mai-Tai Lounge a Lahaina, (pessimo e costoso). Abbiamo visitato Lahaina, la cittadina più grande di tutta l’isola. A me ha fatto una strana impressione, come vedere una vecchia cittadina del West sul mare! Disposta lungo la strada principale e direttamente sull’Oceano ha un suo fascino particolare. Gli edifici sono quasi tutti in legno, c’è un bel faro e tantissimi negozietti e locali molto carini dove passare un paio d’ore. Una visita è immancabile, però se state a Kiehi partite per tempo perché ci vuole circa un’ora di tempo, lungo una strada buia e piena di curve e tornanti. Un’altro problema è il parcheggio, introvabile in certe sere. Alcuni supermercati a ridosso del centro mettono a disposizione il loro parcheggio per due ore, come il Foodland, dove però devi dimostrare di aver comprato qualcosa attraverso lo scontrino. Fortunatamente noi dovevamo fare spesa quella sera, per cui abbiamo preso al volo l’occasione. Terminati i giorni a Maui ci aspetta l’ultima tappa di questo viaggione: Honolulu.
21-24 Marzo: Waikiki Beach
Conclusa l’escursione a Molokini, torniamo qualche ora sulla spiaggia di Kiehi, giusto per passare un paio d’ore prima di prendere il volo per Honolulu, il capoluogo che si trova sull’isola di Oahu. Voliamo con la compagnia low cost go! Mokulele che opera voli tra le varie isole. In aeroporto la signorina al check-in ci chiede se vogliamo prendere il volo prima, ma visto che avevo già prenotato la navetta che ci avrebbe portato all’hotel a Waikiki abbiamo preferito declinare, tanto aspettare all’aeroporto di Maui o fuori all’aeroporto di Honolulu era la stessa cosa. Il volo dura mezz’ora, non si fa a tempo ad arrivare alla quota di crociera che subito si deve discendere per atterrare. L’aereo è un bimotore con una ventina di posti, veramente per pochi intimi. Atterrati ad Honolulu, ritirate velocemente le valigie in un mini terminal deserto, usciamo e ci accorgiamo che sta iniziando a piovere, una fitta pioggerella che ci bagna quasi completamente. Siamo costretti a tornare al riparo, dove un simpatico ragazzo addetto ai bagagli ci tiene compagnia nel mentre che aspettiamo la navetta di Roberts Hawaii, che tarda ad arrivare. Dopo circa una ventina di minuti di attesa ecco arrivare il nostro autista che a bordo di un moderno furgoncino carica noi ed altri passeggeri diretti ai diversi hotel di Waikiki Beach. Nei quaranta minuti che ci dividono dalla parte più turistica di Honolulu, la prima impressione è di essere capitati in Giappone o in Thailandia, vista la grande presenza di orientali e un umidità pazzesca. Honolulu è una metropoli, niente a che vedere con l’idea paradisiaca che comunemente ci facciamo sulle isole Hawaii. Una metropoli completamente diversa dall’isola di Maui, più selvaggia e non ancora invasa dal turismo di massa. Arrivati a Waikiki l’autista non riconosce il nostro hotel, il Renew, situato in Paoakalani Ave., una traversa della strada principale che costeggia la spiaggia e offre una splendida passeggiata a mare tra boutique e prestigiosi hotel e ristoranti, Kalakaua Ave., così sono io ad accorgermi dell’insegna e gli dico di fermarsi, lui si scusa e subito ci aiuta a scendere le valigie, ma stavolta si è giocato la mancia. L’Hotel è un piccolino tra i colossi, da un lato abbiamo un Marriott immenso e dall’altro un Aston ancora più grande, ma nella botte piccola ci sta il vino buono. Infatti già il benvenuto è uno dei migliori che abbia mai avuto nei viaggi on the road in U.S.A., bicchiere di buonissimo succo di ananas e asciugamano profumato umidificato per rinfrescarsi dal (seppur breve) viaggio. La sera non usciamo a cena, ma ci addormentiamo dopo un’altra giornata intensa.
Nei prossimi tre giorni sosteremo a Waikiki senza un’auto per cui potremo esplorarla in lungo e in largo. Le impressioni avute durante il viaggio dall’aeroporto all’hotel si confermano la mattina. Dopo una bella colazione, usciamo dall’hotel e subito ci accorgiamo di come la strada sia affollata di giapponesi, coreani, cinesi e quant’altro. Il dolce sole di Maui ormai è solo un ricordo, qui il sole picchia e anche forte. Ci affacciamo sulla Beachwalk, appena intravista la sera prima e notiamo che è piena di gente già alle 8,30 di mattina. Mi ricorda molto Miami, ma è molto più lussuosa. Noi ci troviamo nella parte finale, quella a sud-est, nel versante che dà sul Diamond Head, il vulcano inattivo che si staglia sul lungomare di Waikiki. Dato che non abbiamo un’auto, ci dedichiamo soprattutto al relax, a lunghe passeggiate allo shopping serale lungo la Kalakaua Ave.
Nei tre giorni rimanenti a disposizione giriamo i diversi tratti di spiaggia lungo la Beachwalk, ma la migliore rimane quella in prossimità dell’hotel, la Sans Souci Beach, di fronte all’Honolulu Zoo. E’ la migliore perché è quella che ha risentito meno dell’erosione da parte del mare, invece altre in cui andiamo come il Kuhio Beach Park o il tratto di fronte allo storico “The Royal Hawaiian”, sono molto colpite da questo fenomeno. In quei tratti sono state costruite delle barriere a una cinquantina di metri di distanza dalla riva, per impedire al mare di portarsi via tutto. Oltre al poco spazio disponibile per stendersi e alla ressa che si veniva a creare, c’erano anche molte ruspe al lavoro nel tentativo di riportare un po’ di sabbia nei punti in cui ce n’era più bisogno, e tutto ciò sotto un sole potentissimo. Perciò passiamo più tempo possibile alla spiaggia che ho accennato prima, dove cerco anche di praticare un po’ di boogie surf con le tavole messe a disposizione dall’hotel, qualcosa mi riesce, ma ci vorrebbe molto più allenamento, in confronto ai ragazzi che ho accanto sono un pivello. Dopo un’ora mi stanco e mi rimetto a riposare. Una cosa che non ci è piaciuta di questo mare è che nel pomeriggio peggiore parecchio a livello di pulizia, iniziano a comparire cartacce, sacchetti in plastica, bottiglie, niente a che vedere con la purezza di Maui. E’ comunque piacevole stare molte ore in spiaggia, anche per uno che si annoia presto come me, infatti, lì c’è la possibilità di passeggiare tra negozi, prendere un gelato da 8 $ da Haagen Dazs, scegliere ottimi biscotti locali artigianali da Honolulu Cookie Company e comprare un souvenir a uno dei tantissimi ABC Store presenti. Un giorno andiamo alla spiaggia dell’Hilton Hawaiian Village, uno degli hotel più grandi di tutta Waikiki. Basti pensare che al suo interno c’è un centro commerciale e una laguna artificiale, chiamata appunto Hilton Lagoon, che però è a libero accesso per chiunque. Il posto però non ci entusiasma un granché dato che il tempo è così e così e ogni tanto sprizzola un po’, quindi dopo un paio d’ore al sole ci facciamo una passeggiata all’interno del complesso grandissimo e carissimo, a giudicare dai prezzi degli snack bar. Di sera Waikiki è veramente carina, tantissimi negozi per tutte le tasche, dalle grandi firme internazionali alle marche più in voga per quanto riguarda il surf e lo skate, che qui la fanno da padrone. Ci sono botteghe artigianali che fabbricano camicie rigorosamente a fiori, ho visto che ne vendevano una identica a quella che ha indossato il mitico Elvis durante il concerto in mondovisione qui a Honolulu. Ci sono le varie catene di ristoranti come Hard Rock Cafè, Cheesecake Factory, TGI Friday’s, Burger King, Mc Donald’s, insomma di tutto e di più… Passeggiare lungo Kalakaua Ave. è veramente un esperienza da provare, tra artisti di strada, cantanti improvvisati, ma anche tantissimi senza tetto e ragazzi che fanno l’elemosina. Per il pranzo ovviamente ci siamo arrangianti con alcuni sandwich comprati agli ABC Store o hot dog direttamente da un banco sulla spiaggia, mentre a cena abbiamo provato diversi posti. Il migliore è sicuramente il Teddy’s Bigger Burger sulla Kapahulu Ave., un fast food artigianale con un vago stile anni ’50. Qui potete trovare degli ottimi hamburger, fatti sul momento con patatine tagliate a mano sempre croccanti, niente a che vedere con le normali catene di fast food. Un’altra sera siamo andati ad uno dei tanti chioschi che si trovano nelle food court dei centri commerciali, di nome Pearl Korean BBQ. Per poco più di 10 $ a testa abbiamo mangiato ottima carne in porzioni più che abbondanti con due tipi di contorno e bibita free refill. L’ultima sera, infine abbiamo voluto esagerare, siamo andati da Cheesecake Factory, che ha un bellissimo e immenso ristorante su Kalakaua Ave. e abbiamo finito l’ultima (?) cena con una bella fetta di cheesecake alle fragole, molto più buona di tutto il resto. Arrivati alla conclusione di questo splendido viaggio, ultimate le spese, qualche maglietta, l’immancabile statuina della danzatrice hawaiana, una scatolina di biscotti Honolulu Cookie Company e un libretto d’immagini su queste splendide isole da tenere in soggiorno, siamo nuovamente a rifare le valigie, ma stavolta per l’ultima volta.
25-28 Marzo: L’odissea del ritorno
25 Marzo Honolulu – Los Angeles
Sarà una lunga giornata per noi, lunghissima. Dopo gli ultimi acquisti di ieri sera e dopo aver finito di fare i bagagli a mezzanotte, puntiamo la sveglia alle 3.45, poiché alla 4 la navetta passa a prenderci per portarci nuovamente all’aeroporto, dove prenderemo un aereo per Los Angeles. Il volo Delta 1150 partirà alle 7.00 per cui alle 5.00 già siamo in fila per imbarcare i bagagli e le uniche persone che ci sono, indovinate un po’… sono tre ragazzi italiani, due emiliani e un romano appassionati di surf che hanno girato per tre settimane l’intera isola di Ohau, compreso ovviamente il North Shore, il versante prediletto dai surfisti. Nel frattempo che ci accodiamo per fare il check-in, iniziamo un po’ a parlare delle esperienze avute durante il viaggio e tutti siamo rimasti molto contenti. Fin lì tutto bene, passiamo i controlli e ci dirigiamo al gate, facciamo colazione a uno Starbucks mentre aspettiamo il momento dell’imbarco. Poco tempo dopo ci comunicano che il volo subirà un lieve ritardo, ma con il passare del tempo il ritardo aumenta. Io inizio a preoccuparmi. Al momento della prenotazione avevo prenotato i voli intercontinentali Firenze-Los Angeles e ritorno sul sito della Lufthansa, mentre i voli da e per le Hawaii erano stati prenotati tramite Expedia con la Delta. Sapevo che era un rischio, poiché non essendo una prenotazione fatta con un unico vettore, nel caso in cui avessi perso la coincidenza a LAX perché il volo proveniente da Honolulu ritardava, saremmo rimasti a terra senza uno straccio di biglietto e soprattutto senza il diritto di essere riprotetti su altri voli. A LAX avremmo avuto circa 6 ore di tempo per ritirare i bagagli e fare nuovamente il check-in per il volo di ritorno, ma piano piano il tempo a nostra disposizione stava diminuendo sempre più. Per questo, ogni qual volta che il volo ritardava, mi presentavo dall’assistente di terra della Delta con i fogli di prenotazione Lufthansa dicendogli che il mio viaggio non sarebbe finito a Los Angeles, ma continuava fino a Firenze via Monaco, lei controllava sul terminale, ma ogni volta faceva spallucce e mi ripeteva di attendere. Finalmente verso le 9.30 qualcosa inizia a muoversi e ci fanno imbarcare. “Arrivati a Los Angeles avremo ancora tempo per imbarcarci sull’altro volo, ce la caveremo!” penso, ma le cose andranno diversamente. L’aereo procede piano piano verso la pista assegnata, improvvisamente si ferma per diversi minuti, tutti a bordo ci domandiamo cosa stia succedendo. Il capitano da una comunicazione in un inglese veloce, purtroppo non comprensibile da noi, ma gli altri passeggeri capiscono subito che c’è qualcosa che non va. L’aereo fa ritorno al gate, incredibilmente ci fanno scendere nuovamente. Tra la confusione più totale, Il personale di terra ci comunica che l’aereo aveva problemi tecnici e che sta arrivando un nuovo aeromobile dal continente, ma ci vorranno almeno tre ore se non di più. Addio coincidenza. Alcune persone avevano lasciato bagagli a mano nelle cappelliere dell’aereo e sono invitati a risalire per prenderle, credo che sia proibito ma oggi non ci sono regole all’aeroporto di Honolulu. Ci sediamo in sala d’attesa vicino ai ragazzi italiani e iniziamo a contare le ore, per vedere se riusciamo a prendere le nostre coincidenze, ma be presto appare chiaro che nessuno riuscirà a prendere quei voli! Loro avevano la coincidenza a LAX per Parigi con Air France nel primo pomeriggio mentre la nostra per Monaco con Lufthansa partiva alle 21.30, partendo alle due del pomeriggio con cinque ore di volo più due ore di fuso orario saremmo arrivati a Los Angeles alle nove di sera, era impossibile imbarcarsi sul volo per Monaco. Così cerchiamo invano di chiedere informazioni su quali voli avremmo potuto prendere una volta a Los Angeles, ma è tutto molto confusionario e ci viene detto che una volta atterrati la compagnia ci avrebbe riposizionato su altri voli. A questo punto ci mettiamo l’animo in pace e aspettiamo il nostro aereo. Consumiamo il nostro pranzo a un pessimo self Service dell’aeroporto con i buoni messi a disposizione da Delta, peccato che con 6 $ a testa riusciamo a malapena a comprare una pizza e una coca in due. Verso le due di pomeriggio, la situazione sembra sbloccarsi, il nuovo aereo è arrivato e possono iniziare nuovamente le procedure d’imbarco, sperando che siano definitive. Fortunatamente lo sono. Partiamo alla volta di Los Angeles, sorvolando l’intera spiaggia di Waikiki, dall’Hilton Lagoon fino al nostro Hotel Renew, ci lasciamo dietro questa splendida vacanza alle Hawaii, sperando di tornare un giorno! Il volo procede benone, piacevole e con un aeromobile decisamente migliore del precedente. Vediamo anche un film, Le idi di Marzo, con audio in italiano. Per farsi scusare, solo parzialmente, ci danno anche la cena e qualche spuntino. Quando oramai sono circa le 22, ora del Pacifico, stiamo sorvolando l’aerea urbana di L.A. E ancora una volta ne rimango stupito. Non vedo la fine di quelle luci, di quelle strade, cerco qualche punto di riferimento, ma non ne trovo, ma quanto è grande?!? Una volta atterrati ci vorrà circa un’ora per riuscire arrivare al gate, tra un mal di testa lancinante e una stanchezza profonda, oramai abbiamo perso ogni barlume di speranza di riuscire a prendere il volo per Monaco. E’ immaginabile, che come noi, molte altre persone sul volo debbano continuare il loro viaggio verso altre destinazioni, per cui, scendere dall’aereo sarà una vera e propria corsa verso il desk della Delta, posizionato all’uscita del tunnel. Quando arriviamo, si è già creata una lunga fila, la situazione è abbastanza tesa, ci sono molte persone furibonde perché non riusciranno a tornare a casa nei tempi previsti e anch’io, solitamente pacato e tranquillo mi sto innervosendo. Poco più avanti c’è un gruppo di francesi che fanno fuoco e fiamme perché non sono stati sistemati tutti sul solito volo di ritorno, ma in questi casi ci vuole anche un po’ di flessibilità specialmente se sei in un gruppo di dieci persone. I nostri amici italiani vengono riposizionati su un volo del giorno seguente diretto a Parigi e successivamente a Bologna ( la loro destinazione finale), un altro ragazzo aggregato a loro e diretto a Roma viene invece fatto partire la mattina presto con un volo per Philadelphia e successivamente con un altro per Fiumicino, ma tutti vengono comunque sistemati in un hotel per la notte, il Marriott LAX. Poco prima che tocchi a noi una signora da letteralmente in escandescenza sbraitando parole irripetibili, anche in inglese, e minacciando di chiamare la polizia, viene avvicinata da un signore distinto, forse un capoccio di Delta o dell’aeroporto che gli dice qualcosa e lei prontamente le risponde di andare aff…e se ne va! Finalmente è il nostro turno e la signora al banco provvede gentilmente a posizionarci su un volo Lufthansa diretto a Francoforte e successivamente a Firenze, in partenza alle 14. per la notte ci assegnano una stanza all’Hilton LAX e ci consegnano alcuni buoni da 6 $ l’uno, da utilizzare per cena e colazione. Io gliene chiedo altri due, e loro, consci del casino che hanno combinato (in realtà hanno svolto egregiamente il loro lavoro, portandoci a casa sani e salvi, ma a mezzanotte in aeroporto dopo una giornata come quella, la realtà appare molto distorta!) me li danno senza dire una parola. A questo punto scendiamo e scale e andiamo a ritirate i bagagli al carousel, ma non li vediamo. Mi si ghiaccia il sangue, ci manca solo questa… ma fortunatamente erano stati messi da parte perché era ormai un’oretta buona che eravamo scesi dall’aereo e ora si preparavano a scaricare i bagagli di un altro volo. Aspettiamo la navetta dell’Hilton fuori dal grande salone degli arrivi nazionali, fa freddo ed è umido, più che in California sembra di essere già tornati a Firenze. Saliamo sulla navetta che ci porta all’hotel, a pochi minuti dal terminal e una volta mostrato il buono al desk ci assegnano una camera. Dopo una bella doccia andiamo a letto, domani sarà un’altra lunga giornata.
26 Marzo – Manhattan Beach, una bella scoperta
Ci alziamo in tutta tranquillità, e prima di mettersi a sistemare le poche cose che abbiamo preso ieri sera, andiamo a fare una colazione nello Starbucks nella hall dell’hotel. Io non so perché gli Starbucks vengono considerati da tutti i viaggiatori italiani ottimi posti per fare colazione, le paste o i dolcetti che ci sono non sempre sono buoni e anche caffè, cappuccino e altre bevande calde lasciano un po’ a desiderare. Forse sono quanto di più simile a un bar nostrano si riesca a trovare oltreoceano, ma il nostro cappuccino se lo sognano. Vabbè, divagazione a parte, consumiamo il nostro croissant e la nostra cioccolata calda da 500 Kcal minimo e torniamo in stanza a prendere i bagagli. Una volta riconsegnata la scheda usciamo fuori e aspettiamo la navetta, sono le undici di mattina. Cinque minuti dopo saliamo in direzione del Tom Bradley International, il Terminal da dove partono gran parte dei voli internazionali di LAX. Appena entrati notiamo subito una lunga fila ai banchi della Lufthansa e avvicinandosi per mettersi in coda, un simpatico inserviente ci passa due buste di cartone e indicando l’insegna luminosa che si trova sopra ai banchi mi dice qualcosa in un americano strascicato, al cui interno risuona come una campana la parola STRIKE. Capisco subito che c’è qualcosa che non va, tutte quelle persone in fila con il sacchetto di cartone come noi, poi guardo dentro al sacchetto e vedo un panino imbottito , un sacchetto di patine, una bottiglia d’acqua e una banana…” Non ci posso credere” esclamo! Non partiamo nemmeno oggi, dico a Stefy, c’è uno sciopero in Germania! E’ incredibile ma il nostro viaggio sembra non avere fine. La fila scorre piano piano e intanto ci dicono di chiamare il call center della Lufhtansa per farsi riposizionare su un’altro volo del giorno successivo. Così, dopo aver fatto conoscenza con un ragazzo italiano che era in fila davanti a me, reduce da un viaggio con suo padre sulla Route 66 da Chicago a Los Angeles, decido di chiamare il numero e sfodero il mio inglese turistico. Mi sorprendo e me la cavo anche bene, grazie anche all’operatore che parla un inglese chiarissimo, mi comunica che ci hanno sistemati sul volo di domani per Monaco, in partenza alle 21.30. Così, una volta al banco ci facciamo stampare la ricevuta del nuovo itinerario e ci dicono a quale hotel alloggiamo per la notte, gentilmente offerto dalla Lufthansa stavolta! Ci mandano al Radisson, a pochi metri dall’aeroporto, e ci offrono anche 55 $ di buoni a testa, molto più degli scarsi 20 $ in due della Delta Airlines. A questo punto torniamo fuori con i nostri bagagli e risaliamo sulla nostra amata navetta che ci accompagna all’hotel. Solita routine, check in, consegna della chiave e valigie in camera, ormai siamo diventati veri e propri globe-trotter. Sono ancora le quattro di pomeriggio e abbiamo ancora un’intera giornata a disposizione per cui scendiamo nella hall a vedere come possiamo sfruttare tutto questo tempo. Andiamo a informarci all’auto noleggio dell’hotel, ma ci tirano un prezzo stellare per un giorno di noleggio, 70 $ senza una goccia di benzina. Decliniamo e domandiamo al concierge che ci consiglia di prendere l’ Express Trolley, un pulmino che collega gli hotel zona aeroporto con la zona balneare di Manhattan Beach, e i centri commerciali di Manhattan Village e di El Segundo. Il trolley, un pulmino scomodissimo con sedili di legno, in stile vecchia funivia, passa a intervalli regolari da queste tre fermate, molto carine da visitare se si ha qualche ora a disposizione in attesa del volo. Manhattan Beach è la tipica cittadina californiana che si affaccia sull’Oceano Pacifico, ha l’ immancabile pontile, la spiaggia chilometrica con decine e decine di campi da beach volley, i negozi trendy e i bar che già alle cinque del pomeriggio iniziano ad apparecchiare per l’aperitivo. Passeggiamo per un’oretta tra le vie che arrivano alla spiaggia, arriviamo fino alla fine del pontile, dove c’è un piccolo acquario con ingresso a offerta, molto carino, anche se un po’ datato. Il pontile è una sorta di Walk of Fame del Beach Volley, poiché ci sono incastonati, all’interno di un pallone stilizzato i nomi di tutti i vincitori dell’annuale torneo che si disputa qui. Molto carino per passare qualche ora a sorseggiare un drink a un bar con vista mare, ammirando gli splendidi tramonti della SoCal. Dopo risaliamo sul trolley che ci porta al Manhattan Village, un bel centro commerciale a un paio di km a ovest dalla spiaggia vicino a Sepulveda Blvd . Carino e con bei negozi tra cui gli immancabili Apple Store e American Eagle, oltre a tanti altri. Stefy trova da comprare qualcosa anche qui, nell’ultimo scampolo di vacanza utile, all’ultimo sprint riesce a trovare le famigerate Ugg, colore sabbia, che cercava sin dall’anno prima in Florida. Intanto le acquistiamo ad un buon prezzo, poi in qualche modo le faremo entrare in un valigia già strapiena. Finito il giro risaliamo sul trolley e ci dirigiamo verso il Radisson, sono quasi le sette di sera e, dopo un’altra giornata di furore, la fame inizia a farsi sentire. Usufruiamo dei buoni consegnati da Lufhtansa e andiamo al ristorante dell’hotel di nome Palmira, situato al piano terra. Il menù è alla carta, noi mostriamo i nostri buoni al cameriere che va a chiamare il responsabile, un tipo simpatico che ci dice che possiamo scegliere se cenare alla carta e molto probabilmente spendere più dei 20 $ assegnati a testa o usufruire gratuitamente del buffet, che comprendeva pasta, pollo fritto, pesce, verdura, coca cola, acqua e dolce a volontà. Ovviamente preferiamo la seconda scelta e ci facciamo una cena con i fiocchi! Torniamo in camera e prima di addormentarsi osserviamo i piloni luminosi che accompagnano la Century Blvd. fino ai terminal dell’aeroporto, che cambiano continuamente dal verde passano al celeste fino ad assumere i colori della bandiera americana, bianco, rosso e blu. Ci addormentiamo in quella che probabilmente sarà la nostra ultima notte a stelle e strisce, con un po’ di malinconia mista a sollievo per un agognato ritorno a casa.
27 Marzo – Time to go!
Passiamo gran parte della nostra giornata tra la camera, la hall e il ristorante, perché siamo ormai a corto di dollari cash e dobbiamo limitare al minimo le spese. I buoni sono accettati solo nei pressi dell’aeroporto e negli hotel convenzionati, peccato che intorno ci siano solo parcheggi e nient’altro. Dopo aver fatto una bella colazione e preparato le valigie facciamo una passeggiata nei dintorni, arriviamo fino alla fermata degli autobus della 96esima, dove cerchiamo indicazioni per dirigerci verso Venice Beach con i mezzi pubblici, ma la poca esperienza unita al ristretto tempo a disposizione ci fanno tornare indietro. Col senno di poi sarebbe stato carino visitare questa rinomata località, ma dovevamo già essere preparati dal mattino, oramai era troppo tardi per muoversi in tranquillità. Così torniamo al Radisson, temporeggiamo fino alle due del pomeriggio quando andiamo a pranzare. Nel tardo pomeriggio, dopo un ultimo giro a El Segundo Plaza (evitare, poco o niente da comprare) saliamo sullo shuttle che ci porta nuovamente al terminal della Lufthansa. Stavolta il volo è in perfetto orario, si torna a casa! Facciamo il check-in, imbarchiamo i bagagli e ci dirigiamo ai controlli, la nostra epica vacanza è alla conclusione. Spendiamo gli ultimi dollari in snack e bibite ai negozi vicino al gate, ci imbarchiamo alle 20.45 e partiamo alle 21.30. Il viaggio verso Monaco è piacevole visto che siamo su un Airbus A340 nuovo che dispone di un bel sistema di intrattenimento, con uno schermo per sedile e vari titoli da vedere quando si vuole, ne guardiamo diversi per passare le undici ore di volo, tra cui Paradiso Amaro con George Clooney, ambientato alle Hawaii. Anche il cibo che ci servono non è male, molto meglio di quello consumato all’andata. Arriviamo in Europa e subito ci selezionano per un controllo alla dogana, forse le borse imbottite al limite hanno insospettito gli ufficiali. Il giovane ragazzo ci fa aprire tutto, ma una volta constatato che non abbiamo articoli di valore ci lascia andare a prendere la coincidenza con Firenze, operata da Air Dolomiti. Dopo circa un’ora di attesa saliamo sul piccolo aereo in direzione Italia. A questo punto siamo veramente stanchi e facciamo un ultimo sforzo per sopportare quest’ultima ora di volo prima di arrivare in tarda serata là dove tutto era iniziato più di venti giorni fa, l’aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze!
Considerazioni finali. Personalmente sono sempre stato appassionato di viaggi on the road Made in USA, fosse stato per me avrei passato anche venti giorni a girovagare tra metropoli, deserti e parchi nazionali, ma la decisione di riposarsi una decina di giorni alle Hawaii è stata un’ottima idea. Subito dopo aver prenotato il volo intercontinentale, eravamo indecisi se passare qualche giorno di mare in Messico (Cabo San Lucas o Puerto Vallarta) o alle Hawaii, destinazione sicuramente più affascinante. Dopo esserci detti che non avremmo avuto tante altre occasioni e possibilità di andare in un posto così poco battuto dal turismo italiano abbiamo optato per queste isole prenotando prima i voli e successivamente l’hotel a Waikiki. Nonostante una programmazione di massima fatta a casa, la parte iniziale del nostro viaggio è stata comunque improvvisata, avendo prenotato dall’Italia solo le due notti al Sofia Hotel a San Diego, tutto il resto l’abbiamo deciso direttamente sul posto sul posto. Però, ci siamo presto accorti che le distanze sono enormi soprattuto per spostarsi da una parte all’altra della città e non sempre è facile calcolare le attività da fare in un giorno, specialmente se hai poco tempo a disposizione come noi. Anche muniti di una guida non è stato facile scegliere cosa fare specialmente a Los Angeles e per questo abbiamo perso mezza giornata tra autostrade e zone industriali. Molte attrazioni che mi sarebbero piaciute non le abbiano fatte come ho raccontato nel diario, ma può essere una buona scusa per tornare molto presto sulla West Coast magari con un itinerario che comprenda anche San Francisco, il parco di Yellowstone, la Death Valley, il Grand Canyon e magari qualche altra zona di Los Angeles, una città che ami o odi. Non ne sono rimasto tanto deluso come pensavo leggendo i vari forum, forse perché sapevo più o meno cosa aspettarmi. Las Vegas lascia senza fiato e sicuramente è un posto dove tornei più che volentieri, sicuramente varrebbe la pena fare una deviazione verso il Nevada. Un pò meno entusiasta sono rimasto di San Diego, forse perché il meteo non ci ha assistito e dovevamo ancora riprenderci dal jetlag, ma rimane comunque un posto splendido. Che altro dire, siamo tornati da poco ma la mente vola già alle prossime avventure sempre nel segno del fai da te, almeno quando si parla di Stati Uniti.
Costi sostenuti Per completare il report di questa fantastica vacanza, non potevo non includere l’ammontare dei costi complessivi sostenuti, compresivi di voli, hotel, auto a noleggio, cibo, servizi e quant’altro, per farvi rendere conto quanti soldi può portare via un’avventura del genere (i costi sono a coppia). Voli, visti e marche da bollo – prenotati tramite internet dall’Italia Lufthansa: Firenze – Los Angeles via Francoforte/Monaco A/R 1.222,04 € Expedia: Los Angeles – Kahului (Maui), Honolulu – Los Angeles con Delta 845,68 € Go! Mokuele: Kahului – Honolulu 124,92 € Visto ESTA per Andrea 10 € Marche da bollo 80 €
Il visto elettronico Esta, necessario ai turisti per accedere al territorio USA, si compila comodamente su internet e quasi nella totalità dei casi dà la conferma immediata del buon esito della procedura. Costa 14 $, circa 10 €, e dura due anni dalla data di compilazione. Ad ogni viaggio può essere rinnovato solo cambiando le informazioni relative al volo e all’indirizzo della prima notte in terra americana. Le marche da bollo, anche se in molti non lo sanno, vanno rinnovate. Purtroppo è così. Se al controllo passaporti incontrate uno scrupoloso rischiate di non partire se nelle vicinanze non c’è un tabacchino dove potete acquistarla in extremis. Quindi meglio prevenire che rischiare di buttar via un viaggio per poco più di 40 € a testa. Cercate di prenotare direttamente sul sito della compagnia aerea, sia perché è molto più sicuro che affidarsi alle decine di agenzie on-line, sia perché difficilmente troverete tariffe più vantaggiose, a meno che non abbinate al volo un hotel ed un auto a noleggio. Nel mio caso ho prenotato sul sito Lufthansa e su quello della compagnia hawaiana senza problemi, mentre ho avuto problemi a completare la prenotazione sul sito di Delta Airlines, sono stato quindi costretto a virare su Expedia dove l’identica combinazione di voli mi costava una cinquantina di euro in più.
Auto a noleggio – prenotate tramite internet dall’Italia eNoleggio : Los Angeles – Dollar 172,40 € (pieno carburante e tasse escluse) Kahului – Dollar 151,11 € (pieno carburante e tasse escluse)
Una cosa importante, non fate l’upgrade al banco al banco dell’ufficio, come ho fatto io, da bischeri. Se desiderate un’auto più potente come una Jeep o una berlina prenotatela direttamente da internet perché risparmiate almeno una ventina di dollari al giorno. Così come per gli hotel, anche per le auto a noleggio le tariffe su internet sono molto più vantaggiose di quelle on location. Avevo prenotato una berlina, ma preso dall’euforia ho deciso di prendere una Jeep, ma al momento della riconsegna mi sono ritrovato addebitati sul conto finale, oltre ai 50 $ standard per il pieno benzina, altri 150 $ di tariffa e tasse sull’upgrade che avevo fatto al momento del ritiro. Su internet si leggono opinioni contrastanti per quanto riguarda il sito enoleggio.it, ma noi ci siamo trovati molto bene. E’ una sorta di comparatore nascosto di tariffe dei noleggi auto, nascosto perché non è rivelata l’agenzia finché non procedi con l’acquisto. A noi è stata assegnata in entrambi i casi la Dollar, una agenzia low cost presente solo in U.S.A., meno conosciuta di Hertz, Budget o Avis, ma che si è rivelata efficiente. La tariffa segnalata su enoleggio.it era molto più conveniente di quella sul sito ufficiale di Dollar, per cui il mio giudizio non può altro che essere positivo, ma attenti all’auto che scegliete. Le Eco sono a mio pare le migliori, compatte, economiche, sicure anche sui lunghi tragitti, le più “europee” diciamo. Se scegli una berlina ti potresti ritrovare una enorme Crown Victoria (per intenderci l’auto della Polizia americana della Ford), decisamente complicata da gestire sia per il consumo che per la manovrabilità, mentre con le Jeep e le sportive i prezzi aumentano molto.
Assicurazione sanitaria – prenotata tramite internet dall’Italia Mondial Assistance: Mondial Care 246,50 €, soldi spesi che vorresti non servissero mai, ma se servono meglio essere ben coperti. Quando si è in U.S.A. con un auto meglio andare sul sicuro e scegliere un’assicurazione tosta. La copertura sulle spese mediche è illimitata e soprattuto è l’assicurazione che paga direttamente le spese, non come molte che ti rimborsano le spese una volta terminata la vacanza. C’è da dire che questa copre solamente le spese mediche, ma a mio parere è ridondante stipulare polizze che coprano ritardi aerei o problemi con l’auto, a quelli, in gran parte dei casi provvedono direttamente le compagnie. Se stipulata sul sito ufficiale Mondial, permette ai soci Conad di avere un buono sconto del 20%, noi abbiamo risparmiato una quarantina di euro.
Hotel – prenotati tramite internet dall’Italia San Diego – The Sofia Hotel – Trivago, Olotels Standard Queen Room – 2 notti @ 185 € (tasse escluse) Honolulu – Hotel Renew – Trivago, Octopus.com Standard Room – 4 notti @ 545 € (tasse incluse) Era la prima volta che prenotavo un hotel tramite Trivago e devo dire che si trovano tariffe vantaggiosissime, ci può essere molta differenza tra un sito di e-booking e l’altro. Nel caso del nostro hotel a San Diego la tariffa trovata su Olotels.com era la metà di quella proposta dal ben più noto Booking.com. Il risparmio non sempre è garantito, ma se siete in procinto di prenotare un hotel in città dove i prezzi sono sempre molto alti, dateci un’occhiata.
Hotel – prenotati in loco (prezzi inlclusi di tasse e dove presenti parcheggio e resort fee) Las Vegas 1 – Encore – wynnlasvegas.com Panoramic Suite King – 2 notti @ 269,68 € Las Vegas 2 – Planet Hollywood – Trivago, hotels.com Camera Hip Hollywood – 1 notte @ 58,97 € (no resort fee) Los Angeles 1 – Best Western Sunset Plaza – prenotato in loco Camera Standard – 1 notte @ 170 € Los Angeles 2 – Wyngate by Wyndham LAX – hotelclub.com Camera Standard – 1 notte @ 108 € Kiehi – Aston at the Maui Banyan – prenotato in loco Monolocale – 5 notti @ 964 € Hilton LAX e Radisson LAX gentilmente offerti da Delta Airlines e Lufhtansa
Inutile dire che prenotando via internet, anche la mattina per la sera stessa, risparmiate un sacco di soldi, a meno che non vi accontentiate di motel in zone di periferia. Alle Hawaii i prezzi sono altissimi anche prenotando via internet. L’unica cosa che consiglio è mettersi in contatto via mail già dall’Italia con strutture o direttamente con agenzie immobiliari che affittano condos e appartamenti. Controllate bene sempre la posizione che vi viene proposta e il metodo di pagamento. Quello che avevo contattato io mi aveva indirizzati su appartamenti a buon prezzo, ma non mi forniva alcuna garanzia sul pagamento e nessun link sicuro. Voleva che inviassi il numero della mia carta di credito via mail e lui avrebbe sottratto l’intero importo, alla mia richiesta di pagare metà alla prenotazione e metà all’arrivo a Maui ha detto di no, per cui, nonostante mi sembrasse un professionista, ho preferito declinare per non avere brutte sorprese sull’estratto conto. Per ogni altri informazioni su hotel, attrazioni e luoghi visitati vi rimando alla mia pagina personale di Tripadvisor, dove potrete trovare tante foto e commenti su gran parte dei posti visitati: