USA e le meraviglie dell’Est

Tra gli Stati Uniti e il Canada dove si passerà dalle bellezze naturali, a quelle troppo artificiali di frenetiche e supermoderne città per poi assaporare il pacifico e fraterno stile di vita di agricoltori settecenteschi. Un viaggio dall’aroma inebriante della città più dolce del mondo o pungente per le salse sugli hot dog dei fast food...
Scritto da: Luna Lecci
usa e le meraviglie dell'est
Partenza il: 31/08/2011
Ritorno il: 04/09/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Ascolta i podcast
 
Descrizione in breve. Tra gli Stati Uniti e il Canada dove si passerà dalle bellezze naturali, a quelle troppo artificiali di frenetiche e supermoderne città per poi assaporare il pacifico e fraterno stile di vita di agricoltori settecenteschi. Un viaggio dall’aroma inebriante della città più dolce del mondo o pungente per le salse sugli hot dog dei fast food ambulanti. Posti che, piaceranno o no, hanno sempre e comunque un fascino unico da condividere con amici, con il partner o con la famiglia.

Destinazioni: New York, Cascate del Niagara, Toronto, Amish, Hershey, Washington DC, Alexandria, Mount Vernons, Philadelphia.

Premessa. Dopo aver visitato le Western Wonders (http://turistipercaso.it/stati-uniti/57894/america-del-west.html), io e il mio boy ci dedicheremo a quelle che chiamano le Meraviglie dell’Est. Contatto direttamente il tour operator americano (Allied-t-pro) con il quale effettuammo il tour multilingue, mi risponde che non vende ad agenzie né tantomeno al pubblico ma soltanto a tour operator e me ne suggerisce qualcuno. Tramite un’agenzia di viaggi ricevo i preventivi di Kuoni, Hotelplan, Master Explorer, Viaggidea, Cocktalil tour…, tutti molto simili ad un costo non bassissimo. Cerco un po’ di suggerimenti su Turisti per caso e mi risponde Christian della Versis America (www.versisamerica.it), tour operator on line che offre soluzioni identiche a prezzi più bassi. E’ un tipo di viaggio che sicuramente si può organizzare completamente da soli (ma non è detto si riesca a risparmiare su hotel di alta categoria o sul noleggio auto), ma il mio tempo a disposizione è veramente poco e prenoto, dopo aver concordato varie soluzioni, a una settimana dalla partenza: 1) fly and drive di 9 giorni/8 notti in Florida – autonoleggio con presa a Miami Aeroporto, rilascio ad Orlando Aeroporto di un’auto della categoria Compact, 2 notti a Miami, 2 notti a Key West, 1 notte a Naples, 1 a Sarasota e 3 a Orlando -; 2) un tour in italiano di 5 giorni/4 notti per visitare, con partenza e rientro a New York, le Cascate del Niagara (2 notti), Toronto, Washington (2 notti) e Philadelphia; 3) New York in completa libertà 5 giorni/4 notti; 4) i voli internazionali (Roma-Miami con scalo a Milano, New York-Roma con scalo a Parigi); 5) il volo interno Orlando-New York. La cifra, comprensiva di assicurazioni medico-bagaglio-annullamento, portadocumenti, borsa a tracolla e guida Lonely Planet Stati Uniti Orientali è di € 2.755 a persona. Per l’autorizzazione ESTA provvedo autonomamente pagando € 11 a persona sul sito https://esta.cbp.dhs.gov/

Martedì 30 agosto. OrlandoNew York. Il volo dell’American Airlines previsto per le 12,05 (posti 11D) porta un’ora e mezza di ritardo per cui arriviamo a New York JFK alle 16. Al check in paghiamo erroneamente una tassa di $ 50 per l’imbarco di due bagagli che ci verrà rimborsata in Italia. Durante il volo offrono un soft drink mentre il resto è a pagamento. Ritirate le valigie, ci ritroviamo al terminal 8. Chiediamo al punto informazioni trasporti il modo per raggiungere il Doubletree Metropolitan by Hilton (569 Lexington Avenue – www.doubletree.com) e molto frettolosamente e senza tanta pazienza l’addetta ci indica gli shuttle condivisi ($ 37) o i taxi (circa $ 51). Molti cartelli però segnalano che la metropolitana (subway) arriva a Manhattan per cui, dopo esserci guardati intorno e aver chiesto a chi ci sembrava più disponibile, prendiamo l’airtrain (un trenino interno all’aeroporto) per due fermate (fino a Jamaica Station) e poi, dopo aver fatto i biglietti ($ 14 in due) presso alcune macchinette, la metro E per sei fermate e scendiamo a Lexinton Avenue 53: sotto l’albergo. Ci sentiamo piccoli piccoli guardati dagli altissimi grattacieli e l’impatto è proprio come ce lo immaginavamo: fumo che esce dai tombini, tassisti ovunque e in particolar modo davanti agli alberghi. La stanza (1028) è piccolina, non è dotata di bollitore per caffè che sarebbe stato utile per prepararci qualcosa di caldo e per accompagnare il cioccolatissimo cookie di benvenuto. Può inizialmente sembrare complicato cercare le strade e invece c’è una logica perfetta. Le vie hanno tutte un numero, la parte est è divisa da quella ovest dalla principale arteria commerciale della città, la Fifth Avenue e le avenue incrociano le street. Per cena abbiamo appuntamento con degli amici italiani alla 38th Strada West, angolo 8a Avenue presso il ristorante Carbone (www.carbonenyc.com) carino, pulito, con un impeccabile servizio, dove una cuoca napoletana, su indicazione del proprietario Alessandro, ci farà mangiare dall’antipasto al dolce, tutto squisitamente cucinato e presentato, per $ 150 totali, mancia compresa. Non è proprio economico, ma se si ha nostalgia delle nostrane pietanze la spesa vale l’impresa.

Mercoledì 31 agosto. New York – Cascate del Niagara (km 600). Il tour operator locale al quale si è affidata la Versis America per il giro turistico è la Tourico (www.touricoholidays.com). La guida, Marina, di origine croata, parla un comprensibile italiano e l’autista, Cory, un imponente omone di colore, americanissimo con cappelletto e sorriso sempre pronto, per tutto il tour sgranocchierà semi di girasole (attaccandoci il vizio!). I posti sul pullman (con aria condizionata gelida – ma in America, in qualsiasi posto chiuso, è così – per cui consiglio felpa a portata di mano!) sono comodi, c’è un bagno (da utilizzare solo per estreme necessità giacché le soste sono previste a distanza di un paio d’ore) e il gruppo è di 30 persone tra cui cinque coppie just married. Sempre a disposizione avremo bottigliette d’acqua fresca per $ 1, adattatori per $ 3 e francobolli per $1. Marina raccomanda la massima puntualità e mentre lasciamo New York ci dà qualche informazione sul programma, sulle città che visiteremo e non. Comincia con i nomi dei luoghi che sono spesso di origine indiana: Canada, Toronto, Ontario, Niagara=acqua che si muove, Manhattan=isola sulle colline, Ottawa, Massachussets, Connecticat, Sosquahana=bella donna... Non sempre le città più grandi dei 50 Stati che compongono l’America sono capitali. Lo Stato di New York ha come capitale Albany, in Pennsylvania la città più grande è Philadelphia ma la capitale è Harrisburg, nel New Jersey la capitale è Trenton ma la più nota è Jersey City, in California la più grande è Los Angeles ma la capitale è Sacramento… Fuori dai finestrini il paesaggio è molto verdeggiante, un susseguirsi di colline, montagne, boschi: stiamo attraversando le Catskills Mountain o Green Mountain e ancora tanti fiumi, laghi delle Finger Lakes. Le case sono tutte in legno, con tetti spioventi e curatissimi giardini circostanti. Importante è la produzione di circa 300 tipi di vino, il più noto è il vino di ghiaccio: per produrne una bottiglia ci vogliono uve che normalmente ne produrrebbero 100. Ci fermiamo in un food pharmacy market café della catena Wegmans e ci “perdiamo” tra i reparti e le aree dove viene preparato cibo al momento per tutti i gusti. Quanti pasti pronti da consumare presso i banchi della frutta, delle insalate, della pasta, dei secondi, dei legumi, delle zuppe… tutto a buffet. Ci si serve autonomamente, ci si riempie una vaschetta e il prezzo varia secondo il peso: $ 8 la libra (che corrisponde a gr 450). Voilà, il pranzo è pronto, ma attenzione perché la tentazione è ingestibile e quando poi arriva il conto… non è così economico. Consiglio il reparto del sushi con giapponesi all’opera, dei dolci, delle carni arrosto (pollo, tacchino, manzo, maiale) e della pizza per i nostalgici. Ci rimettiamo in viaggio belli carichi di spesucce varie, costeggiamo l’aeroporto Buffalo, location di uno dei film documentari di Michael Moore e arriviamo in Canada, uno Stato dove la popolazione è più giovane, più ricca, più sviluppata e le tasse sono più salate. Alle 16,30 attraversiamo la frontiera ed entriamo in una delle dieci province, l’Ontario, dove risiede un terzo della popolazione canadese, per cui la più abitata. Subito a visitare le Niagara Falls=acqua che tuona e che precipita per quasi mt 60 a causa del dislivello di mt 90 tra i laghi Eire e Ontario. Il tempo non è dei migliori, è un po’ nuvoloso, ma a bordo dello storico (dal 1846) battello Maid of the Mist (www.maidofthemist.com – $ 16,50 a testa compreso un impermeabile usa e getta), godiamo, per un’oretta scarsa, della vista, del fragore e di qualche schizzo delle cascate che, sinceramente, immaginavo più imponenti. I prezzi esposti sono in dollari canadesi ma tranquillamente accettati anche quelli americani, a volte con una maggiorazione. Per cena molti scelgono di andare sulla Skylon Tower, una torre di 160 mt dalla quale si vedono le cascate illuminate da enormi fari che proiettano luci colorate, e dove si mangia con la formula a buffet all you can eat per $ 50 a persona. Pernottiamo all’Hilton Niagara Falls (www.niagarafallshilton.com), centrale, con belle stanze dotate di lettone kingsize, doccia e vasca idromassaggio (qualora non l’avessimo inclusa nel pacchetto sarebbe costata $185 B&B ma il prezzo sale vertiginosamente il fine settimana!).

Giovedì 1° settembre. NiagaraToronto – Niagara (270 km). Sveglia alle 7, ricca colazione a buffet e… quanto sono buoni i waffles innaffiati da sciroppo d’acero! La foglia di acero è pure rappresentata sulla bandiera canadese! e alle 9 si parte per la città più grande del Canada: Toronto, originariamente conosciuta come York e oggi soprannominata Queen City o Hollywood dell’Est per le produzioni cinematografiche. La musica di Célin Dion, nata nella provincia del Québec, ultima di 14 figli e diventata famosa dopo il film Titanic, di cui inizialmente si era rifiutata di cantarne la colonna sonora, sarà la musica che ascolteremo lungo questa parte di viaggio! Diverse sono le costruzioni in oro, molto costose, ma il materiale è ottimo per l’isolamento termico, protegge dai rigidi inverni quando le temperature arrivano anche a -30°C e dalle torride estati. Le finestre sono più piccoline per lo stesso motivo e le pareti interne rivestite di legno. Visitiamo la Torre CN (Canadian National Tower – www.cntower.ca $ 23), la più alta torre per telecomunicazioni che, fino al 1995, era la struttura più alta della terra con i suoi 553 mt e una delle 7 meraviglie del mondo moderno. Oggi vi organizzano delle passeggiate estreme e noi in 58 secondi di ascensore ci ritroviamo in mezzo alle nuvole. Una parte di pavimento è in vetro e superando un po’ di vertigini vediamo a 360° la città. E’ come se fossimo al 181esimo piano, le auto sono minuscole, i grattacieli (molti sorti negli ultimi 30 anni) non tanto alti e il lago Ontario sembra un Oceano. Qui la temperatura può essere anche più bassa di 10°C rispetto al piano terra! Adiacente alla CN Tower si trova il Roger Center o lo SkyDome, dove vengono giocate le partite di baseball, di football, di calcio… ma è utilizzato anche per concerti, giochi vari, spettacoli… Lo stadio, di circa 50 mila posti, appare come un enorme capannone coperto da una cupola che, se c’è il bel tempo, si apre. Una curiosità: se si alloggia all’hotel Reinessance, uno degli alberghi nei pressi dell’impianto, bisognerà firmare una dichiarazione che non ci si affaccerà senza vestiti. Il motivo? Tempo fa, durante una partita, i giocatori furono distratti da un cliente dell’albergo che si stava gustando il match beatamente dalla sua stanza e completamente nudo! Passando tra le principali vie in onore alla Queen e al King (persino sulle banconote vi è la figura della regina Elisabetta, “Capo dello Stato”) vediamo la piccola Chinatown, St. George Campus una delle tre sedi che compongono l’Università più grande del Canada dove fu assegnato il Premio Nobel a Frederick Grant Banting, un dottore canadese che scoprì l’insulina, e ci fermiamo per visitare, al Queen’s Park, la Legislative Assembly of Ontario, ossia il Parlamento (www.ontla.on.ca). La facciata esterna è in arenaria rossa, perciò è chiamato anche The Pink Palace. All’interno abbiamo il privilegio di vederne due parti: una originaria del 1893 e una ricostruita, dopo un incendio dei primi del 900, utilizzando marmo di Carrara. L’attuale Speaker, il cui appartamento è al III piano, si chiama Steve Peters, è stato eletto dai 107 membri del Parlamento provinciale (MPP – il cui numero varia secondo quello della popolazione), indossa un’uniforme tradizionale ed è dotato di Mace ossia di scettro! Proseguiamo per la Toronto sotterranea, un labirinto di negozi, ristoranti, che si sviluppa come fosse la rete di una metropolitana con i suoi 4000 km di corridoi; molto popolata ora e ancor di più quando d’inverno le temperature raggiungono livelli bassissimi. Pranziamo con un hot-dog imbottito di salsa piccante da uno dei tanti venditori ambulanti (pare che il più famoso sia un iraniano) che circondano Nathan Phillips Square la grande piazza dove affaccia il Municipio (Toronto City Hall) e dove oggi si tiene il Tasty Thursday con la presenza di bancarelle di cibi dal mondo. In mezzo alla piazza c’è un memoriale a un leader del Nuovo Partito Democratico morto il 22 agosto scorso per un brutto male, Jack Layton e tante sono le persone che continuano a portare un ricordo, lasciano un pensiero. Torniamo a Niagara Falls e prima di rientrare in albergo ci fermiamo al duty free, dove i prezzi sono abbastanza convenienti perché non tassati ma ciò che si acquista si può ritirare solo prima di lasciare il Canada (in pratica domani mattina). Dopo una lunga passeggiata per la strada principale, ricca d’intrattenimenti (i musei del guinness, delle cere, dell’incredibile… cioccolaterie, pub, ristoranti per ogni nazionalità) con insegne supergiganti, luminosissime, musica a tutto volume, mangiamo un kebab e subito in stanza, io un po’ stufa di vedere la ricerca sfrenata per spellare il turista, il mio boy incantato da tanta movida.

Venerdì 2 settembre. Cascate del Niagara – Amish – Hershey – Washington DC (720 km). Dopo l’abbondante e mattiniera colazione iniziamo il lungo viaggio verso Washington DC. Passiamo al duty free a ritirare gli acquisti, un veloce controllo alla frontiera, sosta presso il megasupermercato Wegmans a Williamsport, in Pennsylvania e nel primo pomeriggio ci documentiamo su uno dei più antichi insediamenti Amish: un “gruppo” di 260 mila persone “sparpagliate” in 20 Stati, prevalentemente immigrate dalla Germania, che comunica in tedesco (in famiglia) e in americano (imparato a scuola). Gli Amish abitano spesso lontano dalle strade trafficate, in fattorie attigue anche a non Amish, secondo le abitudini e le usanze dei coloni puritani del 600. Si spostano con le biciclette o con le carrozze, non guidano, ma se devono raggiungere mete lontane, viaggiano su qualsiasi mezzo pubblico. Per trasportare le merci usano dei carretti trainati da cavalli: i bugie. Nelle case le finestre non hanno le tende e sono molto semplici; non usano i bottoni perché li associano ai gioielli; di venerdì si occupano del bucato che vediamo steso su lunghissimi fili all’aria aperta; non hanno elettricità (e quindi no tv, no radio, no PC, no alla tecnologia considerata deleteria per la vita in famiglia) e come i cittadini degli Stati Uniti pagano le tasse. Il frigorifero funziona col cherosene e un unico telefono fisso è a disposizione per ogni comunità (le comunicazioni urgenti si danno suonando una campana). Vietato l’uso di contraccettivi e 33 famiglie, spesso con 6, 7 figli, formano una comunità. Si sposano (e contemporaneamente battezzano nel mese di ottobre) tra loro e purtroppo ultimamente si assiste a nascite di bimbi malformati o con malattie genetiche. Quando una coppia mette su famiglia, tutta la comunità la aiuta nella costruzione della casa: mentre gli uomini lavorano, le donne li assistono, preparano il pranzo per tutti, prevalentemente con prodotti dell’orto. Svolgono mestieri artigianali, sono bravi nella lavorazione del legno, nel cucito, nel ricamo… La domenica la messa è celebrata in una casa e prima di mangiare pregano. Non hanno specchi che associano al narcisismo e solo gli uomini, finché non si sposano, ne possiedono uno per guardarsi mentre si radono ma, diventando mariti, niente più specchio e la barba va fatta crescere. Le donne indossano una cuffietta (bianca se nubili, nera se sposate) quando stanno a contatto con gli estranei, i loro vestiti sono lunghi, semplici e dai colori non troppo vivaci. Gli uomini vestono abitualmente abiti scuri e camicie chiare, i ragazzi camicie a quadri e bretelle. Scelgono ciò che salvaguarda la salute morale e fisica della famiglia, per le cure preferiscono rimedi casalinghi, ma per problemi seri o emergenze si rivolgono agli ospedali. Non leggono i giornali ma riviste e libri, i bambini vanno a scuola, una per comunità, per 8 anni e poi studiano in casa. Chi vuole può diventare Amish ma bisogna vivere la realtà di questa “confessione religiosa” per 5 anni minimo. Durante la giovinezza i ragazzi hanno il permesso di condurre una vita non amish affinché, quando tornano in comunità, siano veramente convinti del loro stile di esistenza. Il 10% di solito “non torna” ma è sempre libero di farlo e sempre ben accetto, è un popolo di pacifisti. Un paio d’ore di pullman volano vedendo il film Witness – Il testimone, con Harrison Ford che mette a confronto la realtà semplice e rurale della comunità con la vita americana. Ci fermiamo presso il Weaver’s Market & Bakery (Port Trevorton) a comprare qualcosa (personalmente frutta secca) e per una mezz’oretta veniamo riportati nell’800. Da sopra il pullman riusciamo a rubare qualche foto di queste tranquille persone così vicine e così distanti da noi.

Prossima tappa Hershey, il più dolce luogo sulla terra, un paese “modello” fondato da Milton S. Hershey, dove i lampioni sono a forma di baci di cioccolata e l’aria è pervasa da un aroma irresistibilmente buono (www.hersheyschocolateworld.com). Su un trenino assistiamo alla trasformazione – con la dimostrazione delle varie fasi di lavorazione – del latte delle mucche (tre pupazzone canterine) e dei semi di cacao, in Hershey’s Kisses, che assaggiamo, e dei più calorici prodotti che acquisteremo, a prezzi più convenienti di quelli dei supermercati, nel vasto negozio sottostante lo stabilimento. Abbiamo conosciuto la più grande compagnia statunitense nella produzione di cioccolato e scoperto che nasce qui il Kit Kat!

Arriviamo in tarda serata nella capitale federale, dal 1880, degli Stati Uniti: Washington DC e immediatamente al The Embassy Row Hotel (in ogni piano a disposizione degli ospiti un cestino di frutta), il tempo di fare il check in e via a mangiare un’insalatona che possiamo comporre a nostro piacimento, scegliendo tra tanti sfiziosi e nutrienti ingredienti (legumi, avocado, formaggi, pollo…) da Sweetgreen proprio nella strada attigua all’hotel (Connecticut Ave), per circa $ 20 totali. Alquanto stanchi ci ritiriamo nella confortevole, pulita, dotata di bollitore, stanza 432 e di corsa a nanna.

Sabato 3 settembre. Washington DC. Dopo la prima colazione molto italiana poiché non c’è nulla di salato, iniziamo, con una nuova guida, un’anziana arzilla e molto preparata signora franco-americana, il tour che durerà circa quattro ore. Betty, così si chiama, con molta chiarezza, semplicità e in un italiano perfetto ci dà qualche breve ed essenziale informazione che fedelmente riporto. Ci troviamo in una città con 600 mila abitanti la cui maggioranza, di origine afroamericana, vive fuori il DC (District of Columbia). Washington è uno Stato indipendente tra la Virginia a Sud, il Maryland a Nord e sorge sulle rive del fiume Potomac. Due sono le fonti principali di reddito: il lavoro statale (47%) e il turismo. Il clima non è piacevole: rigido d’inverno, umido e caldo d’estate. La primavera, nei mesi tra settembre e ottobre, dura circa tre settimane. Oggi per esempio è nuvolo, c’è una cappa umida e ogni tanto pioviccica. La parte Nord Ovest della città, dove si trova il nostro albergo, è la più elegante, sofisticata e sede di molte ambasciate. Non ci sono grattacieli in quanto l’edificio più alto non può superare l’obelisco di marmo, il Monumento a Washington, eretto per commemorare, appunto, il padre fondatore della città, eroe della guerra di indipendenza nonché primo Presidente degli Stati Uniti, George Washington che la ideò insieme a un architetto francese. E’ ricca di monumenti storici, di numerose manifestazioni artistiche e culturali; molte sono le statue, i giardini e complessivamente ha un aspetto europeo. E’ sede delle principali istituzioni di governo presso le quali vengono assunte le decisioni più importanti per il paese (Presidente, Congresso, Corte Suprema), molti ministeri, enti federali e alcune organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale… il cuore della politica economica globale=potere e denaro. Nei quartieri afroamericani c’è ancora tanta gente povera e noi, di senza tetto, ne vediamo diversi! La prima tappa, attraversato il fiume Potomac e vicino al Pentagono, nello Stato della Virginia, è il Cimitero Nazionale di Arlington (www.arlingtoncemetery.mil), un cimitero storico e militare dov’è sepolto anche il Presidente americano John Fitzgerald Kennedy. Si celebrano ogni giorno 10-15 funerali di vedove e soldati americani encomiati per qualche atto la cui famiglia decide se seppellire lì o no. Ci si presentano davanti agli occhi oltre 320 mila lapidi, quasi tutte uguali, di marmo bianco, nessun fiore, nessun colore, se non quello di una bandierina americana. Sono allineate su curate e verdi colline che originariamente costituivano una piantagione di proprietà di Robert Edward Lee, un facoltoso generale, confiscatagli durante la guerra di secessione perché appunto da destinare alla sepoltura di tante vite perse. In cima alla collina vi è ancora la casa coloniale dell’ex proprietario in cui però non tornò più. I Presidenti degli USA assassinati sono stati 4; J. F. Kennedy fu l’ultimo, l’unico cattolico e il più giovane eletto. Fu ammazzato a Dallas il 22 novembre 1963 e il suo corpo fu trasportato ed esposto tre giorni e tre notti, prima di essere sepolto, proprio dove ci troviamo. La sua lapide è in semplice pietra grigia (di Boston), è affiancata da quelle della moglie Jacqueline Onassis e di due bimbi (uno di tre giorni e uno di poche settimane). Sopra è piantata una croce bianca e una fiamma arde sempre. Nelle vicinanze, la tomba dei fratelli Robert (Bob, Ministro di Giustizia ucciso a Las Vegas e candidato alla presidenza) ed Edward (Ted, senatore per 48 anni e morto un paio di anni fa di cancro). Il primo fratello era aviatore e fu ucciso in guerra. Durante la guerra di secessione morirono 600 mila soldati: quelli di colore erano sepolti separatamente ma nel ’47 il Presidente Harry Truman pose fine alla diversa razzista sistemazione. La Virginia fu il primo Stato che nel 1620 importò schiavi africani per la coltivazione del cotone e del tabacco e fu Lincoln nel 1863 ad abolire la schiavitù. Seconda tappa il Lincoln Memorial sorto per ricordare un uomo che nacque in una famiglia poverissima, andò a scuola solo 2 anni e da autodidatta studiò legge, divenne avvocato e nel 1860 primo Presidente del Partito Repubblicano. Fu assassinato cinque giorni dopo la fine della guerra di secessione (1861-65) mentre era al Ford’s Theatre con la moglie e alcuni amici. A ferirlo mortalmente fu un attore ventiseienne, sudista. In gravi condizioni fu portato in una casa di fronte al teatro, dove spirò il giorno successivo a 58 anni. All’epoca il nord industrializzato sconfisse il sud dedito all’agricoltura con la maggiore presenza di schiavi. Ora, per contro, il sud è sede della CNN, di stabilimenti Coca Cola, ha importanti aeroporti. Il Memoriale è simile al Partenone di Atene, ha 36 colonne come gli Stati di allora, la scalinata è di 58 gradini (la sua età) e la statua interna che lo ritrae è di mt 6×6 di fronte alla quale Martin Luther King nel ’63 fece un importantissimo discorso: I have a dream… 5 anni prima di morire. Terza tappa il Memoriale ai caduti durante la guerra in Corea – alla quale parteciparono i paesi delle Nazioni Unite tra cui l’Italia (1951-54) – rappresentato da 19 grandi statue di bronzo di soldati in piedi con la divisa dell’epoca. Poco distante, il Memoriale ai caduti durante la guerra del Vietnam: un muro di marmo sul quale sono incisi i nomi di 58 mila soldati. E’ poi la volta della residenza del Presidente, ossia della famosa Casa Bianca, il monumento pubblico più antico della città (1792) in cui tutti i Presidenti d’America, ad eccezione di George Washington, hanno abitato. E’ una struttura semplice perché allora non vi era tanta disponibilità economica, composta di un piano superiore, dove vi è l’appartamento privato del Presidente (i fine settimana però li trascorre a Camp David nel Maryland) e dal piano terra con saloni per riunioni. Per essere eletti Presidente bisogna nascere in America e avere almeno 35 anni. I più giovani furono Kennedy e Roosvelt. Le elezioni ci sono ogni 4 anni il primo martedì di novembre e il giuramento sulla Bibbia avviene la terza settimana di gennaio. Obama ha giurato sulla Bibbia di Lincoln per onorare chi ha liberato il paese dalla schiavitù. Siamo un bel po’ emozionati e, mentre cerchiamo di immortalarla, un gruppo di manifestanti espone striscioni, cartelli e in coro chiede la non realizzazione di un viadotto (pipeline)… Quotidianamente, da oltre trent’anni, una donna si presenta davanti la Casa Bianca ed esprime il suo disappunto per la bomba atomica. Tra camioncini della polizia, polizia a cavallo, giornalisti… non riusciamo ad avvicinarci tanto. La nota stanza ovale, invece, è in un piccolo palazzo bianco attiguo che Roosvelt fece costruire per lavorare con tranquillità vista la numerosa famiglia: padre di 7 figli che avevano creato un vero e proprio zoo all’interno della residenza presidenziale. In mezzo ai giardini, di fronte la Casa Bianca, si erge la statua del Presidente generale Jefferson. Ci fermiamo a scattare foto anche al Parlamento, costruito nel 1794, bruciato da soldati inglesi durante una guerra e sui cui scalini il Presidente eletto giura. E’ formato da 435 deputati eletti ogni due anni e da 100 senatori (due per ogni Stato) eletti ogni 6 anni. Ogni Stato ha un proprio Parlamento. La visita guidata da Betty finisce all’ora di pranzo (che consumeremo da un McDonald’s ambulante). La salutiamo, ringraziamo e seguiamo il suo consiglio: visitare una delle Istituzioni Smithsoniane o Smithsonian Foundation ossia musei che il sig. Smithson, elargendo una grossa somma di denaro, chiese di allestire, aprire e non far pagare! Gratuitamente – faranno una blanda perquisizione alle borse/zaini – entriamo nella National Gallery of Art (www.nga.gov), un’imponente struttura di marmo, e lungamente ammiriamo le collezioni di quadri permanenti italiana (dal 200 al 700 tra cui spicca il ritratto di Ginevra de’ Benci di Leonardo da Vinci!), spagnola, francese, olandese, tedesca, inglese e americana. Diverse sono anche le sculture: la statua del Canova e quella della Venere che i musei capitolini hanno momentaneamente prestato ne sono un esempio. Passiamo poi al Museo Nazionale degli Indiani d’America (www.americanindian.si.edu), quattro piani di storie, racconti, testimonianze, arte… degli indiani nativi in America nel passato e oggi, una mostra veramente ben fatta e interessante. Cerchiamo di vedere la Carta Costituzionale e una copia della Magna Carta presso il National Archives ma la fila è lunghissima e desistiamo. Non facciamo in tempo a vedere lo Smithsonian’s National Air & Space Museum, che racconta la storia del volo e l’esplorazione dello spazio, il Natural History Museum, il National Museum of Crime & Punishment… e chissà quanti altri, ma il tempo a disposizione non è poi tanto! La giornata è migliorata, molti corrono, giocano a frisbee, vanno in bicicletta e vista la chiusura dei musei alle 17, non ci resta che, cartina alla mano, passeggiare tra le larghe e pulite vie, addentrarci nel Federal Triangle a scattare qualche foto al palazzone dove ha sede l’FBI (J. Edgar Hoover Building) e alle auto parcheggiate nei posti loro riservati, al particolare edificio dello storico ufficio postale… e poi girare un po’ per l’immancabile Chinatown fino a quando, un po’ stanchi, con il bus circulator ($ 1 a persona) torniamo in hotel. Riusciamo per cenare, in una traversa di Dupon Circle, al ristorante messicano Baja Fresh dove un paio di quesadilla con pollo e due bibite ci costano poco più di $ 20 totali. Una camminata per la piazza a osservare i tanti giovani dalle diverse origini, dal più disparato abbigliamento, dalle stravaganti acconciature che s’incontrano per un drink, una dinner o per ascoltare improvvisati gruppi musicali. Iin albergo, ci prepariamo un caffè americano e a nanna.

Domenica 4 settembre. Washington DC – Alexandria – Mount Vernons – Philadelphia – New York (520 km). Dopo la prima colazione, partiamo per Alexandria, una città coloniale in Virginia, dove dal pullman vediamo, un po’ frettolosamente, il George Washington Masonic Memorial. Sostiamo a Mount Vernons (www.mountvernon.org) e visitiamo (ingresso incluso nel tour di $ 15 a persona) la residenza che Washington progettò e presso la quale abitò con la moglie Martha, la sua famiglia e pensata per ospitare tante persone. Non possiamo scattare foto nelle camere interne ma solo negli immensi giardini. La struttura è grande ed è curata da una società privata gestita da donne. Si entra a piccoli gruppi e in ogni stanza un custode spiega con entusiasmo i probabili o sicuri accadimenti che riguardavano l’epoca. Proseguiamo per la City of Brotherly Love (la città dell’amore fraterno) ossia Philadelphia dove, intorno al Parco Nazionale dell’Indipendenza, si trovano il Palazzo dei Congressi, la Old City Hall e la Liberty Bell, la famosa campana i cui rintocchi chiamarono i cittadini per la lettura della Dichiarazione di Indipendenza. Per vederla facciamo delle lunghe fila, perquisiscono le borse e ci controllano accuratamente. A noi sembra un po’ esagerato, ma è un cimelio al quale gli americani tengono particolarmente e lo conferma un filmato in italiano esplicativo all’inizio della mostra. Pranziamo con una specialità del luogo: il PhiladelphiaPhilly cheesesteak, un panino riempito con bistecca a pezzetti e formaggio fuso (provolone, formaggio americano o Cheez Whiz). Ultima sosta presso la statua di bronzo a Silvester Stallone (secondo me riproduzione poco fedele) collocata sotto la nota scalinata, che tutta d’un fiato prima io, poi il mio boy saliamo, come decine di persone divertite, emulando Mr Balboa alla fine dei suoi allenamenti e, tanto per entrare un po’ nel personaggio Rocky in altre scende della famosa saga, lui urla pure Lunaaaaaaaaa. Arriviamo nel tardo pomeriggio a New York City, dove il traffico è tanto quante le luci di Time Square in cui trascorriamo una lunga serata guardando i tipi più strani come il cow boy in mutande, stivali, cappello e chitarra che per qualche spiccio suona e avvinghia le passanti per una foto o come la sposa che insieme a coloratissime damigelle e testimoni posa in mezzo alla folla. Mentre cerchiamo un posto per cena, ci lasciamo tentare da uno spiedino di carne di manzo ($ 5) gustoso e ben caldo che le migliaia di ambulanti servono da solo o dentro un panino all’olio farcito da tante salse. La vera e consigliata dinner la consumiamo da Peter’s Since 1969 (www.peters1969.comRotisserie, The comforts of home, 587 9th Avenue) dove mangiamo metà pollo arrosto con due contorni a scelta, un muffin e una bibita analcolica a fontana pagando $ 13. Pernottiamo presso lo stesso hotel dal quale avevamo iniziato il tour, il Doubletree Metropolitan by Hilton (569 Lexington Avenue – www.doubletree.com).

Lunedì 5 settembre. New York. Intera giornata dedicata alla Grande Mela, come la chiamarono sia uno scrittore dei primi del ’900 che la descriveva come il frutto più succoso dell’albero degli Stati Uniti, sia un cronista sportivo considerandola, per gli scommettitori di corse ai cavalli, il frutto=circuito più succulento, sia i jazzisti per i quali suonare fuori città era come suonare sui rami di un melo le cui radici erano New York. Come girarla tra i suoi 12 milioni di abitanti oggi in festa perché è il Labor day (il primo lunedì di settembre)? Le soluzioni sono tante: con uno dei mille taxi (Yellow Cab) poco costosi, utilizzando le efficienti linee metropolitane con le 26 linee e le circa 500 stazioni (www.mta.info) o su carrozzelle romantiche? Scegliamo una quarta soluzione: su una delle linee di double-decker (bus a due piani) privati che fanno un giro per i quartieri più turistici, soste dove si è liberi di scendere e poi risalire (hop in hop off) dalle 9 alle 19, con un costo che cambia a seconda della durata (dalle 24 alle 72 ore) e degli ingressi a monumenti, musei… Le diverse compagnie di sightseeing si equivalgono, optiamo per City Sights New York (www.citysightsny.com) spendendo $ 54 a persona per un ticket di 48 ore comprensivo di giro notturno, mini crociera, ingresso al Museum of the City of NY e tour di Brooklyn (che emozione attraversare l’East River e passare sui 2 km del famoso ponte in acciaio delle chewingum)! Siamo in una delle più sognate e gettonate città, la metropoli per eccellenza e il primo giro lo facciamo per la downtown e per le sue rinomate aree: Theatre District, Garment District, Chelsea, West Village, Soho, Tribeca, Financial District, Chinatown, Little Italy, Lower East Side, East Village, Gramercy e Murray Hill. Scendiamo a Financial District perché curiosi di andare a vedere il Ground zero a dieci anni, fra qualche giorno, dalla tragica vicenda dell’11 settembre che vide la perdita di tante vite e la distruzione del centro dell’economia di tutto il mondo, il World Trade Center con le sue altissime Twin Towers e che, ancora per poche ore, si presenta come un cantiere. Proviamo i brividi nel visitare il Tribute WTC Visitor Center (www.tributewtc.orgwww.911memorial.org), emozioni indescrivibili nel vedere ciò che era, ciò che è stato, ciò che è rimasto, gli omaggi della gente comune… Andiamo a scattare qualche foto al NY Stock Exchange, la tanto nominata borsa, al toro di bronzo e alla City Hall in zona Wall Street, cuore dei mercati finanziari. Per recarci a uno dei simboli della città, la celebre Statua della Libertà, prendiamo il battello (www.statuecruises.com, $ 13 a persona) che fa una sosta anche a Ellis Island dove interessante è il museo per ricordare i tanti immigrati che volevano superare la frontiera e passare la porta d’America. Per salire sulla corona ($ 3) bisognava prenotare con anticipo poiché l’ingresso è a numero chiuso.

Rientrando, facciamo una preghierina nella St Paul’s Chapel, decidiamo di non salire sull’Empire State Building ($ 20 a persona per ammirare lo skyline) e proseguiamo una lunghissima passeggiata su Canal Street che attraversa Chinatown, vastissima, affollata, piena di negozi, ristoranti, banche – anche quelle con insegna in cinese -… in cui spiccano pure una statua di Mao, una di Confucio e diversi templi. Un po’ deludente è Little Italy dal momento in cui locali nostrani sono ovunque e non concentrati solo in quell’area ora inglobata in Chinatown. Belli i monumentali ponti che attraversano la foce del fiume Hudson. Su ogni bus c’è una guida che spiega il tratto di percorso in lingua americana (a volte difficile da comprendere a chi, come noi, ha una conoscenza scolastica dell’inglese della Gran Bretagna). Tutti hanno un modo molto espansivo e scherzoso di presentare i cinque boroughs (Manhattan, Bronx, Queens, Brooklin e Staten Island) e le varie zone di questa cosmopolita e multietnica città, fondata all’inizio del ‘600, importante polo industriale che all’epoca attirò grandi capitali, diventando un fondamentale centro dell’economia nazionale e internazionale. Spesso sono segnalate location di film, fiction, dove hanno esordito personaggi dello spettacolo o cantanti ora noti. Una foto la scattiamo a una delle librerie pubbliche più grandi al mondo, la Public Library, un’altra all’imponente Palazzo di Vetro ossia al Quartier Generale delle Nazioni Unite, alla caratteristica cupola in acciaio della Chrysler Building

Doccia rigenerante al non bellissimo ma comodissimo Doubletree Metropolitan by Hilton e ancora pieni di energie a piedi tra le street e le avenue di Manhattan, facendo lo slalom tra le lunghe fila che si creano a Broadway per assistere a uno degli show, musical, spettacoli quotidianamente in scena.

Martedì 6 settembre. New York. Sapevamo che le stagioni migliori per visitare questi affascinanti luoghi sono state la primavera e l’autunno, quando le temperature sono più gradevoli, le giornate più lunghe (in inverno il clima è molto rigido) e non in questo periodo poiché, oltre a fare caldo, a esserci parecchia afa, c’è anche il rischio di uragani (Irene di qualche giorno fa ne è la conferma), ma oggi la pioggia proprio non ci voleva. Ci attrezziamo con ombrello di cortesia dell’hotel, con il poncho usa e getta distribuito sul bus, ma l’acqua è costante, fastidiosa e non ci dà la possibilità di fotografare e filmare ciò che vediamo nella Uptown durante le quasi tre ore di giro in aree come Central Park, Upper East Side (atmosfera di Sex and the City), West Side (dove c’è il campus della Columbia University), Harlem, Morningside Heights e Midtown East. Tra l’altro oggi la città è più caotica, affollata, sarebbe stato il caso di buttarsi in uno dei tantissimi musei (il Guggenheim, il Metropolitan M. of Art, il MoMA, l’American M. of Natural History i più importanti) ed estasiarsi davanti a imperdibili collezioni oppure andare in un outlet, ma il più vicino e il più fornito, con i suoi 220 negozi, è Woodbury (www.premiumoutlets.com), in un ricostruito villaggio stile coloniale a un’ora di strada il cui costo del bus per raggiungerlo e tornare indietro è di $ 42 a persona. Eccezionale sarebbe stato pure ascoltare musica gospel – un vero e proprio spettacolo di blues – nelle chiese di Harlem… Percorriamo un pezzetto di Central Park, un vero polmone verde e ci sembra di essere in uno dei tanti film in cui gli attori si danno appuntamento per fare jogging, pranzare, pattinare, semplicemente chiacchierare davanti uno dei laghetti artificiali, passeggiare lungo un sentiero, fermarsi ad ammirare le svariate specie di uccelli migratori o improvvisati spettacoli di artisti di strada, pedalare in una delle piste… Inzuppati, rientriamo nel tardo pomeriggio in hotel, ci facciamo un bel bagno bollente e di nuovo fuori per una breve passeggiata in the city: al Rockefeller Centre, un complesso di edifici su pianta ottagonale che comprende uffici, ristoranti, negozi, gallerie, studi tv, radio, teatri, grattacieli, tra cui il GE Building con terrazza panoramica al 70° piano (top of the rock), giardini, fontane e statue tra le quali quella di Atlante in bronzo e del Prometheus in bronzo d’orato di fronte al quale sventolano le bandiere dei Paesi membri dell’ONU. Della costruzione del Centro è famosa la fotografia del 1932 che ritrae 11 operai in pausa pranzo disinvoltamente seduti uno accanto all’altro sopra una trave di metallo che pende da una gru del cantiere ed è sospesa nel vuoto sul panorama di New York. Noi ne scattiamo una meno “vertiginosa” alla più importante chiesa della città, in stile neogotico, in marmo bianco con dei grossi rosoni che rendono preziosa la facciata e cioè alla St. Patrick’s Cathedral e poi gustosa, consigliata, imperdibile cena al chiosco dei The Halal Guys (www.53rdand6th.com).

Mercoledì 7 settembre. New York. La giornata è migliore del previsto, non la dedichiamo ai quartieri notoriamente malfamati come il Bronx (dove avremmo potuto vedere lo stadio degli Yankees), ma a passeggiare per le vie della città, a guardare le vetrine delle grandi firme della Quinta Strada e dell’8th Avenue tra cui Tiffany, che per esempio in vetrina espone coni gelato sui quali al posto della panna o della piccola cialda sono appoggiati brillocchi a mo’ di ciliegina sulla torta, Chanel, Dior, Louis Vuitton… Sembra di stare in un’ampliata via dei Condotti. Tanti sono anche gli atelier, le boutique dei più noti stilisti italiani e non, di marche americane come Banana Republic, Abercrombie… Raggiungiamo Columbus Circle per pranzo che consumiamo al Whole Foods Market, un supermercato all’interno del quale cucinano al momento (dal pollo arrosto alla pizza, alle verdure calde). Io mi butto sul sushi ripieno di pezzetti di avocado e cetriolo e su una zuppa di riso con pollo, mentre il mio boy su una megabaguette e su una zuppa di granchio. Compresa una bottiglia di aranciata paghiamo $ 25. Le file sarebbero da immortalare vista la realtà quasi virtuale alla quale non siamo abituati noi italiani; qui nessuno fa il furbo, tutti si mettono in coda disciplinatamente, le numerosissime casse con velocità incredibile smaltiscono decine di clienti il minuto che, dopo aver pagato, riscaldano vivande nel microonde o nel fornetto elettrico messi a disposizione in un’area apposita del market vicino a tavolini. Le più importanti catene di supermercati-farmacie rimangono aperte 24h su 24. Presso la Duanereade (www.duanereade.com), un drugstore che si trova in ogni area della città, ci fermiamo, così come abbiamo fatto altre volte anche in tarda serata, a prendere bevande fresche. Pomeriggio di shopping sulla West 34th Street=Fashion Avenue dove imponente è Macy’s, il più grande magazzino al mondo dove si veste la maggior parte degli americani (Herald Square), poi un salto da KMart Store (la nostra OVS) e da Foot Locker per due paia di Nike Shox il cui costo, per l’ultimo modello, è di $ 125 al paio. Salutiamo il famosissimo tempio dello sport e della musica, il Madison Square Garden dove si gioca a basket, a hockey, si organizzano incontri di wrestling, di pugilato e presso il quale si sono esibiti famosissimi artisti. Un ultimo giro nella sempre affollatissima, sia di giorno sia di notte, Time Square, che ricorderemo ogniqualvolta guarderemo le immagini dei festeggiamenti per Capodanno.

Ricomincia a piovere, rientriamo in hotel a riprendere le valigie il cui deposito, per qualche ora, c’è costato $ 2 a bagaglio (che vergogna! Un albergo così costoso dovrebbe offrire questo servizio a chi ha pernottato più di tre notti come noi, no?). Alla fermata attigua al Doubletree Metropolitan by Hilton, Lexington Avenue 53, prendiamo la metro E direzione Jamaica ($ 2,5 a persona), scendiamo a Sutphin Blvd Archer Av, poi l’airtrain ($ 5 a persona) e in meno di un’ora siamo all’aeroporto JFK. Il volo per Parigi dell’Air France previsto per le 23,20 purtroppo porta un paio d’ore di ritardo. Durante il volo (posti 41H) servono la cena e la colazione. I sedili sono comodi ma l’aria condizionata ci iberna.

Giovedì 8 settembre. Parigi-Charle de Gaulle – Roma-Fiumicino. Con volo Air France delle 15,25 (posti 03) – durante il quale offrono una merenda con bevanda – raggiungiamo la nostra amata Roma che cominciava a mancarci con il suo clima, i suoi sapori, i suoi profumi, le sue “ridotte” dimensioni… Alle 18 abbracciamo la famiglia tutta di cui avevamo veramente nostalgia!

Have a nice holiday!

Moon Luna Lecci



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche