Vietnam, Laos, Bangkok, Myanmar e Singapore
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Il suo nome, Indocina, richiama la propria posizione geografica tra due grandi vicini, l’India a ovest e la Cina a est. Picchi rocciosi dalle strane forme evocano il dragone e la strega che emergono lentamente dalla nebbia e galleggiano sul mare. Una giunca dalle vele rosso-ocra solca le acque. Le risaie, punteggiate da piccole figure con i cappelli di paglia a cono, sono il simbolo della generosità della natura che in questi luoghi concede abbondanti raccolti. Monumenti antichi, ricordo di civiltà ormai scomparse, e il fiume Mekong, la madre di tutte le acque, che attraversa Laos, Cambogia e Vietnam e ingloba anche il Myanmar, la Tailandia e la Malesia continentale. La geografia dei paesi è segnata dallo scorrere del grande fiume, che unisce e divide allo stesso tempo. Lungo la strada continuiamo a vedere stupende immagini di vita rurale. Salendo, la campagna si fa più rigogliosa e le risaie iniziano a essere a gradoni. Durante il nostro interessante viaggio abbiamo modo di cogliere altre stupende immagini: ancora una donna con un pesante bilanciere di bambù sulle spalle e, in lontananza, un pescatore che lancia la sua rete accanto ad una barca che sembra essere di… altri tempi. I venditori ambulanti offrono prodotti artigianali, spiedini di carne di pollo e bufalo, riso cotto a vapore all’interno della canna da zucchero o in un cestino di bambù intrecciato. Nonostante i danni provocati dai bombardamenti su vasta scala e la deforestazione durante la guerra tra Stati Uniti e Vietnam, l’ambiente è incontaminato. Presenta una ricca vegetazione, costituita da foreste tropicali, da alberi di legno duro dalle fronde alte come teak e palissandro asiatico, da bambù altissimi e da vegetazione di media e bassa altezza. Sono poi comuni le orchidee, le palme tropicali e una vasta gamma di alberi da frutto. Un azzeccato aforisma coniato – pare – dai francesi, recita che i vietnamiti piantano il riso, i cambogiani lo osservano crescere e i laotiani lo ascoltano. C’è molto di vero: queste terre non sono solo di grande bellezza naturalistica, di stupa e pagode ma soprattutto terre di grande pace e serenità, dove i ritmi sono assopiti, la disponibilità delle persone è massima, la gentilezza e il rispetto nei confronti dell’altro sono connaturati al loro modus vivendi, sicuramente influenzati da una religiosità non bigotta né esibita, ma profonda. In ogni caso si tratta di una società povera ma molto dignitosa. Nei luoghi di culto occorre rispettare i loro costumi, quindi togliersi le scarpe prima di entrare in una pagoda e sedersi per terra con le gambe raccolte di lato senza mai rivolgere la pianta dei piedi all’effige del Buddha. Ci si saluta giungendo le mani accennando un leggero inchino. Solo nelle grandi città l’invasione disordinata e pericolosa dei motorini e il continuo suono dei clacson rovina questa pace e crea gravi problemi di sicurezza stradale soprattutto per i pedoni. Per brevi percorsi è possibile usare i tuk-tuk che sono biciclette, moto o motocarri riadattati per il trasporto passeggeri. L’Indocina è suddivisa politicamente tra gli attuali stati: Cambogia Thailandia Singapore Vietnam Laos Malesia peninsulare Birmania o Myanmar Il Vietnam del Nord è uno stato fondato alla fine della seconda guerra mondiale e situato nella parte settentrionale del Vietnam. Nel 1975, la fine della guerra del Vietnam, riuscì a unificare tutto il paese. La valuta in corso è il Dong. Era appoggiato dall’Unione Sovietica e dalla Cina in contrapposizione al Vietnam del Sud, alleato degli Stati Uniti e del mondo occidentale. La Repubblica Democratica del Vietnam, anche nota come Vietnam del Nord, fu proclamata da Ho Chi Minh a Hanoi con un governo provvisorio. Il nostro viaggio in Vietnam dura quattro giorni con un itinerario che comprende la visita delle città di Hanoi e dintorni, Hoa Lu, visita dei templi dei Re Dinh e Le, le grotte di Tam Coc e Bich Dong e la Baia di Halong.
4-5 novembre 2012
Partenza da Genova aeroporto C. Colombo alle ore 7 diretti a Roma da cui ripartiamo alle ore 11,15 per Singapore. Viaggiamo verso est superando sette fusi orari e giungiamo a Singapore il 5 novembre alle 6,05 locali dopo ben diciotto ore di volo (se non ho sbagliato)! Pranzo, spuntini vari e colazione a bordo. Ho anche iniziato a fare conoscenza con i cibi del luogo; ho, infatti, assaggiato i noodles: spaghetti di farina di riso con pollo e verdure. Non male, ma non sarà sempre così! Risaliamo su un aereo per Hanoi alle 9,50, dove giungeremo a mezzogiorno.
All’ aeroporto ci attende la guida del Tour Operetor che avevamo contattato su internet, Asiatica-Travel (www.asiatica.com, www.asiatica-travel.it) che si è dimostrata sia in Vietnam che in Laos un’Agenzia precisa, puntuale, con ottime guide preparate ( ad Hanoi la nostra guida, una simpatica studentessa universitaria parlava un buon Italiano ) con un ottimo rapporto qualità/ prezzo. Primo ed unico intoppo: la mia valigia, che doveva giungere dall’Italia, non è stata recapitata. Con Tino, l’interprete ufficiale della Coritour ( il nome che abbiamo dato al nostro gruppo organizzativo), sbrighiamo tutte le pratiche per il recupero. La Singapore Airlines mi risarcisce con 8oo.ooo dong che corrispondono a circa 40 dollari e con una busta contenente il primo necessario per la toilette e una maglietta. Il mio trolley mi sarà recapitato dopo tre giorni all’hotel Celia di Hanoi. TUTTO BENE QUEL CHE FINISCE BENE! A pratiche terminate con la guida, ci trasferiamo in città e ci sistemiamo all’hotel Celia. Nel pomeriggio visita a Hanoi, l’effervescente capitale vietnamita, che non mancherà di colpirci con i suoi aspetti contrastanti e del tutto inattesi. Il cuore della città è il leggendario Lago della Spada Restituita, uno dei diversi bacini lacustri sui quali sorgono, in posizioni incantevoli, i più insigni edifici religiosi. Tra questi il Tempio della Letteratura, le Quan Thanh e Tran Quoc Pagoda, templi taoisti testimoni del fervido sentimento religioso che anima questo popolo. Infine ci dedichiamo alla visita dei vecchi quartieri di Hanoi, un intrico di viuzze brulicanti di mercatini e laboratori artigianali, in un continuo andirivieni di venditori col caratteristico bilanciere di bambù. Il traffico è rumoroso, caotico; circola un’infinità di motorini con guidatori indisciplinati e pericolosi. Nel tardo pomeriggio assistiamo a uno spettacolo di animazione, particolare e divertente: marionette che si muovono e danzano sull’acqua mentre alcuni suonatori e cantanti accompagnano lo spettacolo.
6 novembre 2012
Partenza per Hoa Lu, uno dei siti del Vietnam turisticamente più noti e soprannominato la Baia di Halong terrestre, con i suoi picchi calcarei, le sue note vestigia ed estese risaie. La bellissima escursione ci porta al complesso delle pagode dei Re Dinh e Le del X° secolo. E’ un grande recinto cui si accede attraverso un ponte in muratura e un maestoso portale in pietre scolpite. Nel pomeriggio attraversiamo il verde delle risaie punteggiate da contadini al lavoro e pescatori con il cappello conico, per risalire il fiume su piccole imbarcazioni. I sampan sono spinti a remi con i piedi e ci porteranno lungo uno spettacolare paesaggio fluviale, contornato da montagne a picco sull’acqua, per raggiungere un complesso di templi e pagode immersi nella più lussureggiante vegetazione, fino a scoprire le grotte di Tam Coc e di Bich Dong; un ambiente idilliaco dal fascino unico e indimenticabile.
7 novembre
Lasciamo Hanoi per raggiungere, in tarda mattinata la baia di HaLong, una delle località più magiche del Vietnam. E’ un’insenatura situata nel golfo del Tonchino e comprende circa 3000 isolette calcaree monolitiche, ognuna delle quali ricoperta da fitta vegetazione, che si ergono dall’oceano e si estendono per un’area di circa 1.500 kilometri, formando uno dei più spettacolari ed emozionanti panorami naturali al mondo. In lingua vietnamita il termine “Hạ Long” significa “dove il drago scende in mare”. Dal 1994 è un patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. L’immensa baia, fantastica fra le forme bizzarre dei picchi che si aprono sul mare con viste mozzafiato, è solcata dalle barche dei pescatori e disseminata di migliaia di isole dalle forme fantasmagoriche, all’interno delle quali si aprono grotte grandiose e incredibili. Un ambiente suggestivo e straordinario che esploreremo con un’escursione in barca per un pomeriggio, una notte e la mattina successiva. Le due isole più grandi sono dotate d’insediamenti permanenti, entrambe hanno attrezzature turistiche, tra cui hotel e spiagge dove è possibile trascorre piacevoli momenti di riposo sdraiandosi al sole o rinfrescandosi con un bagno in mare. Presso un’isoletta ormeggiamo e scendiamo per un bagno sulla piccola spiaggia ai piedi di un belvedere raggiungibile tramite una ripida scalinata composta di 300 scalini; dalla sommità si gode un panorama mozzafiato di tutta la baia. Alcune baie ospitano villaggi galleggianti di pescatori che setacciano le acque poco profonde alla ricerca di pesci e di molluschi. Su alcuni isolotti sono presenti delle grotte, scavate dal mare e dal vento, alcune delle quali si possono anche visitare come quella di Hang Sung Sot, la “Grotta della Sorpresa” le cui grandi sale contengono numerose grosse stalattiti e stalagmiti, resa misteriosa dalle leggende e dall’immaginazione dei locali. Le rocce che sorgono dall’acqua ricordano varie forme, da cui molte volte prende ispirazione il loro nome. Pranzo e cena sulla giunca a base di pesce e frutti di mare. Durante la serata, mentre la barca è ormeggiata in una baia silenziosa e noi siamo distesi sui lettini sistemati sul ponte, sentiamo grida e versi che attribuiamo alle scimmie che dicono abitino su questi isolotti. La navigazione fra le diverse isolette è uno spettacolo emozionante che si può godere dal ponte delle barche turistiche che si addentrano nella baia.
8 novembre
Scendiamo dalla giunca molto presto per visitare con dei sampan una baia chiusa accessibile solo attraverso una grotta che ci obbliga ad abbassare la testa per non sbattere nelle stalattiti che scendono dalla volta rocciosa. Giunti all’interno e circondati da alti e inaccessibili picchi calcarei, un improvviso scroscio di pioggia ci rovina il piacere dello spettacolo che sarebbe molto affascinante. Ritornati all’esterno per risalire sulla giunca, la pioggia è cessata, ma ormai ha rovinato la nostra escursione. Ripartiamo per tornare alla terra ferma e godiamo dello spettacolo che ci circonda; oggi la foschia è minore quindi possiamo distinguere con più chiarezza l’azzurro blu del mare e i verdi della fitta vegetazione che ricopre queste 3000 isolette. Sbarcati, accettiamo la proposta della guida di visitare un laboratorio di perle, ma nessuno di noi si decide per un acquisto. Da Hong Gai rientriamo a Hanoi; un ultimo giro per la città per visitare il museo etnografico che illustra con immagini, descrizioni, usi, costumi, ricostruzioni di abitazioni, siti funerari e oggetti le cinquantacinque etnie che compongono la popolazione vietnamita. Ogni etnia veste i propri costumi tradizionali coloratissimi e pittoreschi riconoscibili per il diverso colore, per la foggia dei monili e dei copricapo che li contraddistinguono. All’hotel Celia ritrovo la mia valigia sana e salva!
9 novembre
Partenza da Hanoi con il volo delle 10,30 per Dien Bien Phu e trasferimento alla frontiera di Tay Trang per il Laos. La capitale dello stato è Vientiane e la valuta il Kip. La sua storia recente è molto triste. Tra il 1964 e il 1973 l’aviazione militare statunitense sganciò più di due milioni di tonnellate di bombe sul territorio laotiano; in alcuni villaggi ne abbiamo viste alcune a ricordare quel triste periodo. Buona parte del terreno agricolo è ancora contaminato da bombe inesplose; spesso i contadini rimangono feriti o uccisi per un’esplosione. Con il ritiro delle truppe americane dal Vietnam, i pochi esponenti politici del vecchio governo abbandonarono il paese e dopo oltre sei secoli di monarchia, il re Savang Vatthana nel 1975 fu deportato assieme a tutta la famiglia in un campo di rieducazione, dove morì. Lo stesso giorno fu proclamata la Repubblica Popolare Democratica del Laos, fu abrogata la Costituzione del 1947 e per alcuni anni il paese fu amministrato secondo le risoluzioni del partito unico. Subito dopo aver ottenuto l’indipendenza, il paese dovette fronteggiare una lunga guerra civile, la situazione economica collassò e le condizioni di vita della popolazione divennero drammatiche. Nel 1991 il Consiglio Supremo del Popolo promulgò la nuova Costituzione e l’anno successivo si svolsero le prime elezioni, che crearono l’Assemblea Nazionale composta di ottantacinque membri. Ebbe così inizio una lenta liberalizzazione economica, ma il partito unico si è mantenuto al potere concentrando la propria azione su una forte militarizzazione del paese, pur abbandonando le rigide posizioni ideologiche dell’epoca sovietica. Il Laos è un paese molto esteso e il suo territorio è costituito prevalentemente da montagne e altopiani; attraversato per tutta la sua longitudine dal fiume Mekong che segna il confine con la Birmania e, per lunghi tratti, quello con la Thailandia. La fertile valle del Mekong è il cuore del paese e fornisce le maggiori fonti di sostentamento. Il fiume più lungo interamente laotiano è il Nam U, che scorre nel nord-est del paese e affluisce nel Mekong nelle vicinanze di Luang Prabang. Alla frontiera tra Vietnam e Laos incontriamo la nostra guida; il suo nome è tutto un programma: Ms. Phutthajione, un monaco mancato, ma che ne ha mantenuti l’atteggiamento e la filosofia di vita! Si rivelerà il tipico laotiano che niente lo irrita e lo scompone ma che ci guiderà con sapienza e conoscenza. Espletate le procedure doganali, partiamo in minibus lungo una strada che scende tortuosa attraverso un susseguirsi di dirupi, montagne e altopiani. Il maestoso Laos settentrionale, isolato dalle catene montuose e ammantato di verde, è ancora oggi difficilmente accessibile e pertanto al riparo dalla modernità; il percorso si sviluppa tra risaie, terrazze degradanti e villaggi di palafitte con pareti di bambù intrecciato. Raggiungiamo Muang Khua, nel fondovalle, dopo settanta chilometri. La cittadina sorge sulla sponda opposta del fiume, quindi, non essendoci un ponte, dobbiamo guadare le acque con piccole barche che ospitano quattro di noi con le rispettive valigie. Siamo sistemati in un hotel nel centro del paese che si raggiunge dal fiume con una strada in salita fiancheggiata da case che hanno al piano terra piccoli negozi o esercizi pubblici. Ceniamo in un caratteristico ristorante la cui sala si affaccia sul fiume che scorre sotto di noi. Dalla tettoia pendono tante piante di orchidee in fiore e sulla riva grufolano maiali e razzolano galline e polli. E’ ormai buio quando usciamo per conoscere meglio il paese che è scarsamente illuminato. Il Nam U è navigabile con agili e piccole imbarcazioni ed è stato una delle nostre mete turistiche in questo paese. Sulle sue acque è in costruzione da parte dei cinesi una grande diga la cui centrale idroelettrica produrrà milioni di kWh, ma che purtroppo interromperà il corso del fiume e, quindi, la discesa in barca che noi abbiamo compiuto, non sarà più possibile! Il clima è tropicale monsonico; la scelta del periodo per il nostro viaggio è caduta su novembre, anche se al contrario delle previsioni, le temperature diurne hanno raggiunto anche 27°.
10 novembre
Di buon mattino usciamo ancora per esplorare, con la luce del sole, le viuzze secondarie che di notte sono totalmente buie. Sono sterrate ma molto popolate specialmente da bambini e da venditori. Qui la vita è regolata dal sole: la popolazione si alza all’alba e rincasa al tramonto. Ogni attività si svolge all’aperto: la lavatura dei panni e l’igiene personale nelle acque dei fiumi; i mercati e la preparazione dei pasti, la loro consumazione davanti alle case o, nelle città, sui marciapiedi delle vie affollatissime e molto trafficate e rumorose. Riprendiamo il nostro viaggio, ma questa volta cambiamo mezzo di trasporto che è la barca. Scendiamo il corso di un affluente del Mekong, il fiume dei Profumi Nam Ou. Per due giorni, fermandoci in piccoli villaggi tribali su palafitte e accessibili solo dal fiume, scenderemo verso Luang Prabang. Sbarchiamo per visitare il primo che è isolato e poverissimo; oggi è giorno di mercato allestito sotto semplici tettoie di bambù lungo le rive, quindi il viavai sul sentiero scivoloso e ripido, dalle capanne alla sponda del fiume, è continuo. Alcune capanne sorgono intorno ad un piccolo spiazzo che è il luogo d’incontro e anche la zona dove sorge l’unica fontanella da cui i locali attingono acqua, lavano i panni e che serve anche da bagno pubblico. Nel secondo villaggio le condizioni di vita non cambiano di molto. Addossati alle capanne orticelli pensili, costruiti con vecchie assi, dove sono coltivate le piante aromatiche, stuoie o cesti pieni di peperoncini rossi e arachidi sono al sole a essiccare e rendono l’ambiente un poco più accogliente insieme alle “piante” delle stelle di Natale fiorite che superano la nostra altezza e ospitano decine di enormi e coloratissime farfalle che volano impazzite a suggere il nettare dei fiori. L’atmosfera che si vive è irreale, sembra di essere tornati al passato di duecento anni fa. La gente è di una dignità e serenità ammirevoli ma in condizioni di estrema povertà; lo spettacolo mi suscita un profondo disagio. Mamme giovanissime mostrano orgogliose i loro neonati e miriadi di stupendi e sorridenti bambini ci seguono per ottenere regali e bonbon come chiamano loro i dolcetti. Anche qui galline, galli, pulcini, maiali e cani vivono liberi e si rifugiano sotto le capanne, dove lavora un anziano come canestraio e una donna che tesse al telaio. Sulla porta di una capanna il padrone di casa mostra orgoglioso in una mano una trappola e nell’altra il topo catturato. Lungo il fiume si vedono gli ordinatissimi orti ricavati sulle rive, bufali che fanno il bagno nelle acque, donne che lavano i panni e bambini che si lavano e giocano in acqua, piccole barche adibite per il trasporto delle merci, di animali e persone, che sfrecciano agili e veloci o sono “parcheggiate” in attesa dei naviganti. A Muang Ngoi sostiamo per la notte in una guesthouse formata da tante casette di legno a due camere con servizi. Qui la luce artificiale è erogata a orari fissi e quindi durante la notte siamo al buio. Intorno un giardino rigoglioso e curato con bellissimi e coloratissimi fiori tropicali abbellisce il luogo. Nel tardo pomeriggio passeggiamo in esplorazione nel piccolo villaggio con stradine sterrate, fiancheggiate da palme e casette monofamiliari in prevalenza costruite con bambù. Sono visibili ovunque le bombe gettate sul villaggio durante la guerra civile del 1967-72. Alla fine di una di queste strade, sotto il portico di una casa, pende una culla sempre in bambù sospesa con delle corde, dentro dorme tranquillo un bambino; la stessa via termina in una scalinata che permette di accedere alla zona della pagoda e del monastero. Nel giardino sono radunati i monaci e i fedeli seduti sull’erba in preghiera. Cena sotto la tettoia di un piccolo ristorante che si affaccia sul fiume e da cui godiamo lo spettacolo del tramonto.
11 novembre
Dopo colazione si ritorna al fiume per affrontare anche le rapide. Sosta per visitare un altro villaggio dove vivono circa trecento persone le cui donne si dedicano alla tessitura di sciarpe coloratissime. Visitiamo anche la scuola che consiste in un’ampia capanna di una sola stanza con le pareti di bambù come il pallone, perfetto capolavoro d’intreccio, con cui giocano due bambini sul prato antistante. Questo insediamento è stato costruito dal governo centrale per unire diverse tribù che vivevano sparse nell’interno e molto isolate. Passando attraverso bellissimi paesaggi carsici giungiamo a Pak Ou Nam Ou alla confluenza tra il fume Nam Ou e il Mekong e dove si aprono le due grotte di Tham Ting e Tham Phoum. La prima, facilmente accessibile, è interamente costellata di statue e immagini votive del Buddha di dimensioni e stili diversi accumulati da oltre dieci secoli. Quella superiore si raggiunge percorrendo una lunga scalinata ed è costituita da sale, ma priva di ornamenti religiosi. Riprendiamo la navigazione su un battello più grande che ci permette di giungere a Luang Prabang nel tardo pomeriggio. Ci consegnano la chiave della camera nell’hotel Villa Chitdara ma per Dodi, Maria Rosa e me, c’è una sorpresa! La nostra camera, peraltro di dimensioni abbastanza ridotte, è a tre letti. Cerchiamo di organizzarci e di accettare la situazione per niente comoda che dovrà durare tre notti. Ci prepariamo già alla convivenza a tre del Mianmar, ma quella era in programma!! La struttura è bella, composta di una dozzina di stanze e dalla tettoia per i pasti immersa in un giardino ombroso e verdissimo.
12 novembre
Per noi inizia l’intera giornata dedicata alla visita della città: il vecchio Palazzo Reale che il re fu costretto ad abbandonare nel 1975, oggi Museo Nazionale, che fra gli antichi tesori custodisce il prezioso Pra Bang, il Buddha khmer simbolo del Laos. L’edificio è stato sottoposto a molti cambiamenti da quando non è più residenza reale, ma si possono ancora vedere tutte le abitazioni conservate come le lasciò la famiglia reale. I saloni dove si tenevano le visite ufficiali sono completamente decorati con ornamenti dorati, come se fossero un tesoro. In queste stanze si possono apprezzare i molti regali che ricevette la famiglia reale da altri paesi. In un secondo momento si passa alla stanza privata del re, diversa da quella della regina. Si tratta di una stanza, dove si trovano ancora alcuni vestiti e un letto immenso; la stanza della regina è semplice, e tuttavia esiste un bellissimo mobile con uno specchio nel mezzo. Durante la visita si possono osservare diversi gioielli e vestiti appartenuti alla famiglia reale. Per ultimo si trovano le stanze utilizzate per le visite della regina, decorate con quadri del re, di suo figlio e della regina stessa, con numerose vetrine nelle quali erano esposti i regali ricevuti. Anche i dintorni del palazzo sono bellissimi, con dei giardini coloratissimi, la pagoda del re e il teatro della città. Lo Wat Xieng Thong è il tempio più significativo della città e rappresenta nel modo migliore l’architettura templare classica, con tetti spioventi fino a terra. Iniziato nel 1560 dal re Setthathirat, fu costruito interamente in legno di tek e completato, come lo vediamo ora, nel 1961; era sottoposto alla supervisione del re stesso. La parete posteriore presenta un imponente mosaico raffigurante “l’albero della vita” su sfondo rosso. All’interno, le colonne di legno dagli elaborati decori, sostengono un soffitto ornato in oro. Altri motivi in oro sulle pareti interne raffigurano le gesta del re Chanthaphanit. E’ stato il luogo dove erano incoronati i re. La haw tai pha sainyaat ospita un Buddha disteso particolarmente raro che risale all’epoca di costruzione del tempio. Questa statua, unica nel suo genere, e’ realizzata con proporzioni perfette nel classico stile laotiano. Invece di sostenere semplicemente la testa, la mano destra assume una posizione inconsueta, allontanandosi dal capo in un gesto semplice ma pieno di grazia. Oggetti votivi in foglia d’oro sono allineati sulle pareti superiori del tempio, ai lati del Buddha disteso. Davanti alla statua ci sono diversi Buddha in piedi e seduti, di epoche e stili diversi. Ai lati dell’altare si trovano due piccoli arazzi ricamati, raffiguranti uno stupa e un Buddha eretto. Tutto il cortile, attorno agli edifici principali è cosparso di stupa, cappelle e piccoli santuari disposti a scacchiera. La biblioteca è una costruzione anch’essa con il tetto spiovente che però non arriva fino a terra; le pareti esterne sono rifinite a mosaici di vetro colorato di una delicatezza e di una bellezza indescrivibile. Pranziamo in un ristorante particolarissimo, immerso nella foresta e raggiungibile attraverso un ponte in bambù, molto instabile, sul Mekong. Qui festeggio il mio compleanno in anticipo di un giorno regalandomi un particolare e originale girocollo a mezzaluna formato da un insieme di treccine su cui sono fissate delle perle di fiume e delle spirali di filo d’ottone: è un oggetto etnico e interamente artigianale. Nel tardo pomeriggio saliamo sulla collina di Phu Si, dove si trovano due antichi templi. Per raggiungere la cima ho affrontato 328 gradini; si sale da una parte e si scende da un’altra e ho messo così alla prova la mia gambetta “gigia” ma la fatica è ricompensata dal tramonto su una splendida veduta d´insieme incluso il fiume Mekong, poi abbiamo disceso la collina dalla parte opposta. Alcuni di noi scelgono l’opportunità di assistere a uno spettacolo teatrale che dicono sia stato veramente interessante specialmente per le maschere e i costumi indossati dagli attori. Ci ritroviamo per cena e dopo, al mercato notturno che abbiamo percorso a piedi ammirando le produzioni tessili delle tribù locali che vivono sulle colline intorno alla città. 13 novembre Sveglia all’alba per assistere alla questua quotidiana dei monaci che in Laos sono numerosissimi e vengono soprattutto dalle campagne: molti genitori, non avendo soldi per mantenerli, li mandano nel tempio così sono sicuri che possano studiare e avere qualcosa da mangiare. Quasi ogni famiglia nelle campagne ha almeno un figlio monaco… Ai margini della strada, di fronte alle loro case, siedono donne e uomini su stuoie e tappeti con cestini di vimini pieni di riso caldo appena cucinato, frutta e anche qualche dolce che i monaci accettano nella loro ciotola di lacca. Pian piano la macchia color zafferano, lontana, si fa sempre più distinta… i monaci danno inizio al rituale giornaliero; disposti perfettamente in fila, silenziosi e scalzi, avvolti nelle loro tuniche colorate, si avvicinano seri alla strada principale per intraprendere il loro giro. Il tempo scorre lento, gli osservatori aumentano, le luci si schiariscono, albeggia e l’atmosfera avvolta nel silenzio ha dell’inverosimile. Sfilano, aprono i loro contenitori, che vengono riempiti con le offerte di cibo; non ringraziano e non osservano chi hanno dinanzi, mentre ogni persona inginocchiata offre qualcosa distribuendo piccole porzioni a tutti. La processione continua in ogni angolo, ovunque si volga lo sguardo s’incontrano monaci scalzi che colorano le strade, i vicoli, pronti a ricevere il cibo giornaliero. Ogni giorno la città si sveglia così, donando ai monaci un cibo modesto. Pian piano le strade prendono vita, i monaci spariscono lentamente, la luce del giorno è sempre più decisa, il silenzio è sostituito dal normale rumore della città, che prende a muovere il consueto ritmo giornaliero. La processione è ormai scomparsa, dignitosamente, silenziosamente, così com’è iniziata…senza disturbare i monaci tornano nei monasteri, ombre colorate protagoniste di un cerimoniale spettacolare ma per me incomprensibile pensando alla povertà che ci circonda. Esistono anche le monache buddiste che girano scalze, rapate, ma vestite di rosa e non ricevono il cibo già cotto ma questuano di solito nei mercati ponendo in cesti che portano sul capo, ortaggi e frutta che sono offerti da venditori. Durante il tragitto verso le cascate Tat Kuang Si, ci fermiamo a visitare un villaggio Kamu.
Il resto della mattinata è dedicato alla visita delle belle cascate che precipitano, con diversi salti, su formazioni di roccia calcarea, formando una serie di pozze dalla fresca acqua verde-azzurra. Ci concediamo prima una passeggiata lungo i sentieri all´interno della rigogliosa foresta circostante e, dopo, ci rinfreschiamo con una piacevole nuotata in una delle piscine naturali. All’inizio del sentiero è stato costruito un grande recinto che accoglie diversi orsi salvati dai fucili e dalle trappole dei bracconieri. Sono orsi di una razza particolare e poco conosciuta, con il pelo nero con riflessi blu scuri e una V bianca sotto la gola. In un “ristorante” locale presso le cascate pranziamo a base di pollo e pesce cotto alla brace. Lungo la strada del ritorno sostiamo in un laboratorio, dove producono stoffe di seta. I bachi sono allevati su cesti di vimini ricoperti con foglie di gelso. Donne ai telai tessono le stoffe colorate che sono confezionate e i manufatti venduti in un negozio della struttura. Rientro a Luang Prabang, cena in un ristorantino del centro e passeggiata nelle vie principali curiosando le vetrine. In una di queste sono esposti tanti animaletti cuciti a mano con stoffe e ricami multicolori; come il solito, la mia attenzione è stata catturata da un galletto (per chi non lo sapesse, sono appassionata di “pollai”). Quattro signore del gruppo: Maria Rosa, Cecilia, Elisabetta e Dodi hanno avuto nei miei riguardi un pensiero gentilissimo. Siccome oggi compio sessantotto anni, mi hanno piacevolmente sorpreso e festeggiato regalandomi appunto il galletto che ora “canta” insieme a tutti gli altri membri del mio pollaio, in cucina, appunto!!
14 novembre
Dopo la prima colazione lasciamo Luang Prabang per volare nel Laos del Sud. Salutiamo la nostra “efficientissima” guida e sottolineo “efficientissima” perché con il suo comportamento interpreta perfettamente l’aforisma citato in precedenza. Per fortuna, ma l’eccezione conferma la regola, la nuova guida che ci attende quando atterriamo a Pakse è molto più attiva e simpatica (anche se noi la definiamo bonariamente l’anello mancante tra la scimmia e l’uomo). Questa città è la più popolosa del Laos meridionale ed è stata per un periodo la capitale dello stato; è situata sulla confluenza dei fiumi Don Xe e Mekong. Proseguiamo in direzione della provincia di Salavan, buona parte del territorio provinciale è situata sul fertile altopiano di Bolaven, nella parte centrale della provincia, dove si trovano alcune tra le più belle cascate del paese, tra le quali quelle di Tad Fan e Tad Lo.
Le due cascate gemelle di Tad Fan sono situate a pochi chilometri dalla località di Paksong, la principale dell’altopiano. Un buon luogo d’osservazione si trova nella proprietà di un resort; è da questa balconata naturale che si affaccia su un anfiteatro ricco di vegetazione che si osservano i due salti d’acqua, l’uno al fianco dell’altro, precipitare per più di 120 metri in piscine naturali e in una stretta gola. Le cascate sono davvero suggestive per la loro altezza e per la portata d’acqua! Durante la passeggiata di ritorno, la guida e le urla di alcuni ragazzi ci hanno messo in allarme per l’avvistamento di un serpente velenoso che si muoveva sinuosamente tra i rami della vegetazione. Era di colore verde chiaro con il capo arancione, lungo circa un metro. Tra le molte coltivazioni dell’altopiano spiccano le pregiate qualità di caffè di varietà arabica e robusta, considerate le migliori del paese. Questa fertile terra montagnosa non era mai sta oggetto di coltivazioni intensive fino a quando i francesi non cominciarono a sperimentare la coltivazione del caffè, degli alberi di caucciù e delle banane all’inizio del 20° secolo. Oggigiorno la coltura del caffè rappresenta un reddito considerevole per molte famiglie locali. Lungo la strada in prossimità del villaggio, si possono vedere piccoli appezzamenti di terra coltivati a caffè così come i frutti a macerare e i bianchi chicchi lasciati a essiccare sotto il sole, stesi sopra piattaforme con il fondo grigliato. In uno di questi appezzamenti gestito da una cooperativa del governo, abbiamo potuto osservare la coltivazione, la raccolta e il procedimento di lavorazione iniziando dai rossi frutti staccati dalle piante fino all’essicazione dei chicchi. Alla rivendita-bar, seduti comodamente ai tavolini, abbiamo sorseggiato un ottimo caffè dopo aver passeggiato nel parco tropicale e selvaggio che circonda la costruzione. La zona orientale della provincia s’innalza verso le vette della catena Annamita, dove sono stanziate diverse tribù appartenenti alle minoranze etniche. Durante il percorso sostiamo per visitare alcuni villaggi di Alak, Nge e Katu, gruppi etnici di minoranza. Raggiungiamo il Tadlo Lodge che è un insieme di bungalow con una struttura principale dove è situata la sala da pranzo, costruiti in un bosco a lato di un fiume che poco sotto diventa una cascata. Insomma, un’ambientazione spettacolare. Le camere sono grandi e spaziose dotate di zanzariere sui letti; noi per sfizio le abbiamo sciolte e vi abbiamo dormito sotto, anche se zanzare non ce n’erano. Chi aveva a disposizione questo spazio per costruirci un albergo ha sicuramente scelto la struttura più adeguata riuscendo a rispettare l’ambiente.
15 novembre
La cena di ieri sera e la colazione nella sala da pranzo sono state piacevoli perché il locale si affaccia sul fiume dove la mattina alcuni elefanti, accompagnati dai loro “custodi”, fanno il bagno e, in seguito, nel loro recinto consumano la colazione a base di banane. Partenza verso Khong Island; durante il viaggio breve fermata per visitare un mercato. Anche questo, come tutti gli altri è coloratissimo e affollato. Verdure, frutta, pesci e persino in una conca di plastica, le rane vive. Il viaggio continua alla volta di Vat Phou per visitare i resti di un tempio di architettura khmer e di religione induista, situato nei pressi di Champasak, sulla sponda destra del Mekong. Il nome significa Tempio della montagna perché è stato costruito sulle pendici orientali del monte Kao. La montagna possedeva un particolare significato religioso in antichità, perché la forma del suo picco ricorda il lingam, ovvero la forma fallica sotto cui è sovente adorato il dio Śiva. Il tempio, cui si accede tramite una scalinata monumentale oggi in avanzato degrado, è stato costruito a più riprese tra il VII e il XIV secolo, sebbene la maggior parte delle strutture e dei rilievi ora visibili risalga al XII secolo. Per esprimere la visione indù del rapporto tra la natura e l’uomo, il sito si stendeva tra la parte superiore della montagna e le sponde del fiume in un disegno geometrico di templi, santuari, giochi d’acqua e anche due antiche città. Il resto della giornata è dedicato alla visita in battello della regione delle “4000 isole”, dove il fiume Mekong, durante la stagione delle piogge, raggiunge la larghezza massima del suo percorso formando centinaia di isole; molte di esse solo stagionali, di cui solo alcune abitate. Nella stagione secca, affiorano migliaia di isole e isolotti, creando uno straordinario paesaggio. Ci dirigiamo verso l’isola di Don Khone, la più grande di quelle formate dal fiume e che è raggiungibile tramite un passaggio con un traghetto. Qui trascorriamo la notte nell’hotel Villa Muongkhong.
16 novembre
Questa mattina presto rivediamo la processione dei monaci questuanti e, dopo, con una piccola imbarcazione raggiungiamo un’isola per visitare i resti della ferrovia del periodo francese: una locomotiva e un ponte in muratura e poi Liphi Waterfall o “Corridoi del Diavolo”, la più grande cascata per volume in Asia Sud-Orientale. Percorriamo una strada sterrata con dei motorini trasformati per il trasporto delle persone; ognuno può trasportate tre di noi. Il tuk tuk su cui sono salita io, era guidato da un ragazzino e ci ha condotto attraverso altri villaggi fra risaie e boschi, l’immancabile pagoda e le cascate davvero impressionanti. Sulle sponde vivono i pescatori acrobati che per pescare si lanciano tra le rocce e le acque turbinose. L’isola è tranquilla ed è il posto ideale per riposarsi e passare un po’ di tempo a osservare il ritmo di vita delle poche centinaia di laotiani che vivono qui. Questa sera dall’aeroporto di Ubon prendiamo il volo che dopo solo un’ora ci farà scendere a Bangkok, in Thailandia. Pernotteremo all’hotel Silom.
17 novembre
La visita in questa città è stata solo un assaggio. Come primo incontro alcuni mercati che richiamano moltitudini di turisti; noi ne visitiamo uno talmente esteso e gremito da essere una vera e propria città nella città, dove si può trovare una varietà impressionante di oggetti, cibi, frutta, verdure e animali. I fiori esposti sono di colori e forme stupefacenti: ogni banchetto si perfeziona per offrire prodotti totalmente diversi e per ogni esigenza. Bangkok è la capitale e la più grande città della Thailandia, nei pressi del Golfo della Thailandia. Il nome cerimoniale della città in thailandese è: กรุงเทพมหานคร อมรรัตนโกสินทร์ มหินทรายุธยามหาดิลกภพ นพรัตน์ราชธานี บุรีรมย์อุดมราชนิเวศน์มหาสถาน อมรพิมานอวตารสถิต สักกะทัตติยะวิษณุกรรมประสิทธิ์ Il lungo nome formato da 190 caratteri significa: «Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale Palazzo Reale, la quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam». Ha conosciuto negli ultimi anni un rapidissimo sviluppo industriale e urbanistico; rappresenta una delle città economicamente più dinamiche del sud-est asiatico. Sorge sulle rive del fiume Chao Phraya, ampio e navigabile, che assieme ai suoi affluenti settentrionali Nan e Ping, costituisce il bacino idrografico comprendente il centro e il nord del paese. Solcata da una complessa rete di canali che le hanno fatto assegnare il nome di Venezia dell’Est Asiatico, su di essi vi sono alcune abitazioni galleggianti, vaporetti per il trasporto di merci e passeggeri che consentono agli utenti di evitare il traffico caotico delle vie cittadine e di ammirare il paesaggio. Anche noi, con un’imbarcazione di dimensioni più ridotte, risaliamo un ampio canale lungo il quale si allineano palafitte, piccole pagode e il padiglione usato per il rimessaggio della barca reale che è in attesa dei suoi regali passeggeri all’imbarcadero. Tutto intorno, su altre piccole imbarcazioni, uno spiegamento di guardie del corpo per la loro sicurezza. Del tutto particolare, per me, la scelta del colore delle maglie della divisa dei poliziotti: rosa confetto! Poco più avanti, una lussuosa villa costruita interamente in tek, si affaccia sul canale con il suo elegante pontile, ma quanto stride al confronto con le casupole che la attorniano! Questo è un popolo che sembra non curarsi di contrasti così profondi. Sostiamo per sfamare i pesci che sono veramente insaziabili, aggressivi, numerosissimi e molto grandi; sono protetti perché considerati animali sacri e quindi non vengono pescati! Durante la stagione delle piogge la città subisce frequenti allagamenti ed esondazioni del fiume e dei canali, quindi hanno provveduto a creare degli argini più alti sui canali a maggior rischio, ma il problema è sempre presente. Infatti, transitando sulla barca lungo il canale, notiamo le idrovore che aspirano l’acqua dai giardini allagati delle case; certamente nei giorni precedenti il nostro arrivo è piovuto in abbondanza. Il giro continua a ritroso verso il fiume Chao Phraya per fermarci all’imbarcadero del tempio buddhista Wat Arun. E’ un’opera architettonica religiosa costruita in tempi e stili diversi, che si trova nel popoloso quartiere di Thonburi sulla riva destra del fiume; sulla sponda di fronte svettano grattacieli altissimi: si dice che in questa città ne siamo stati costruiti più di mille! Lo Wat Arun è chiamato anche “Tempio dell’alba” per i meravigliosi effetti cromatici che le prime luci del mattino gli conferiscono rifrangendosi sulle numerosissime tessere di porcellana cinese multicolore che compongono i mosaici di cui è interamente rivestito. La sua più notevole costruzione è la guglia centrale istoriata (Prang) costruita in stile khmer con mattoni stuccati e adornati con migliaia di pezzi di porcellana. Su ognuno dei quattro lati del Prang vi è una scala molto ripida che porta alle due terrazze, nella prima tutto attorno alla torre si trovano una serie di cariatidi delle divinità protettrici Yakṣa. Sopra di esse sono raffigurate scene di vita del Buddha intervallate da nicchie contenenti statue dei Kinnara (creature della mitologia induista e buddhista metà uomo e metà uccello). Le cariatidi della seconda terrazza sono scimmie, presenti nel poema epico siamese Ramakien, che a loro volta portano altri Kinnara. All’ultimo livello, sopra la seconda terrazza, sono presenti quattro nicchie contenenti statue del dio guerriero indù Indra, che cavalca il mitologico elefante a tre teste. La sommità della torre reca un “tridente” a nove punte che secondo molte fonti rappresenta una versione siamese dell’arma del dio indù Shiva. L’edificio originale fu costruito ai tempi di Ayutthaya ed era alto 16 metri. Rama II decise di elevarlo ma i lavori furono completati durante il regno di Rama III. La struttura adesso misura 81 metri e il basamento è di forma circolare con un diametro di 234 metri. Su di esso, ai quattro angoli, sono stati costruiti quattro Prang più piccoli decorati anch’essi da un mosaico di conchiglie e cocci di porcellana. La statua nella nicchia di ognuno dei quattro Prang minori raffigura il Dio dei venti a cavallo. Io logicamente rinuncio a scalare questa meraviglia e mi limitato a godere della sua visione dal basso, comodamente seduta in compagnia della nostra guida. Dobbiamo dirigerci all’aeroporto per il volo delle 16,25 che ci porterà a Yangoon, in Birmania, dove giungeremo alle 17,10 e dove siamo attesi dal referente dell’agenzia di viaggi www.myanmartravels.net, www.santamariatours.com, contattata su internet, che si dimostrerà molto efficiente e precisa sia per la bravura delle guide, sia per gli spostamenti in pulmino, in aereo ed in barca sul lago Inle, con un buon rapporto prezzo / qualità. Per la prima volta conosciamo il costume tradizionale maschile birmano: il longyi che è una gonna-pantalone lunga fino ai piedi in tinta unita o a quadrettini color indaco, verde e porpora scuro. Trasferimento all’hotel Yuzana che è una costruzione pretenziosa con le sue mastodontiche colonne che ci accolgono nell’atrio, ma in evidente stato di trascuratezza. Tanto personale giovanissimo ma nullafacente. Dodi “abbandona” qui, a malincuore, la sua palla e il suo cappello a cono per poi recuperarli quando torneremo nello stesso hotel fra otto giorni, a viaggio quasi ultimato.
18 novembre
Per mia colpa, mia massima colpa, questa mattina sveglia prima del previsto; dobbiamo di nuovo volare (volo alle 6,30 e arrivo previsto per le 7,45) da Yangoon a Bagan in Birmania. Capitale del Mianmar è Naypydaw; la valuta il kiat birmano. Con un euro si ottengono circa 1560 kiat! La Birmania o Myanmar, è uno Stato affacciato sul Golfo del Bengala e sul mar delle Andamane. Nel 1990, si tennero per la prima volta in trenta anni le elezioni libere. Il NLD (Lega Nazionale per la Democrazia), il partito di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991, e figlia di Aung San, porta all’Assemblea Costituente 392 membri, su un totale di 485, ma lo SLORC (Consiglio di restaurazione della legge e dell’ordine di stato), spalleggiato dall’Esercito, si rifiuta di cedere il potere, rovesciando l’assemblea popolare e arrestando Aung San Suu Kyi. Poi si cambiò il nome Birmania in Myanmar. Da allora comincia un periodo molto difficile per Aung San Suu Kyi, che, rimessa in libertà nel 1995, è nuovamente arrestata nel 2000, liberata nel 2002 e nuovamente arrestata nel 2003. Viene definitivamente liberata il 13 novembre 2010. Le nuove elezioni si tennero nel 2010, e furono definite da tutto il mondo una farsa, perché il partito della storica eroina della democrazia Aung San Suu Kyi non si presentò. Il 1º aprile del 2012, si sono tenute nuove elezioni che distribuivano però solo una piccola parte dei seggi al Parlamento, mentre la maggioranza di tali seggi è appannaggio di ufficiali nominati dalla giunta militare. Nonostante l’esiguo sviluppo numerico, le nuove elezioni hanno avuto un importante significato politico con la partecipazione dell’NLD di Aung San Suu Kyi, che ha trionfato conquistando 43 dei 45 seggi disponibili. Naypyidaw è la nuova capitale. Rangoon o Yangon, l’ex capitale, la città più popolosa. Mandalay, città storica, seconda del paese per abitanti. Bagan, sito archeologico molto importante. La Birmania è una delle nazioni più povere al mondo, perché nella storia recente ci sono stati ristagno economico, cattiva gestione e isolamento. Ha delle infrastrutture insufficienti. Un’importante “autostrada” è il fiume Irrawaddy. Le ferrovie sono vecchie e rudimentali, con poche riparazioni dalla loro costruzione, nel XIX secolo. Le strade principali non sono normalmente asfaltate, tranne nelle città principali quindi i trasferimenti via terra sono molto lunghi, per questo motivo i nostri spostamenti sono in aereo e barca. I voli tra un luogo e l’altro sono molto brevi, serviti da piccoli aerei che fanno un servizio di aero-bus, cioè iniziano da una città per passare all’altra seguendo una rotta circolare sempre uguale e tornando all’aeroporto di partenza, dopo aver fatto tutte le altre fermate. Ciò fa però perdere ugualmente tempo fra trasferimenti e attese in aeroporti. Le operazioni di checkin sono molto veloci anche se tutto viene fatto a mano, compresi il caricamento e la consegna dei bagagli che però sono sempre giunti perfettamente a destinazione. Viaggiamo su qualsiasi mezzo: dai taxi sgangherati, ai mototaxi o camiontaxi seduti su panche molto instabili nella parte posteriore, al carretto con cavallo e alla barca per lunghi tratti. Le nostre carte di credito e i cellulari sono inutilizzabili sia per l’interno sia per l’estero. I birmani sono dotati di cellulare ma per comunicare solo tra loro. Grazie allo smarthphone di Franco siamo riusciti, qualche volta, a chiamare i fissi italiani; anche internet non è molto diffusa. La Birmania custodisce luoghi incantevoli, capaci di stregare il cuore e l’anima di ogni visitatore. Pagode dorate che spuntano da ogni dove, monaci ordinatamente in fila per attendere il pasto quotidiano, sorrisi genuini che incrociano il nostro sguardo… il Myanmar è un luogo incredibilmente autentico e affascinante, povero ma dignitoso, imprigionato dalla dittatura, ma fortemente libero di sentimenti. L’aspetto che più distingue il Paese è proprio la sua gente, difficile restare indifferenti rispetto a una mentalità per noi incomprensibile, fatta di semplicità, spiritualità, tradizione e forse anche rassegnazione. L’aspetto più fastidioso è il doversi togliere le scarpe per entrare nei luoghi sacri…praticamente sempre! Si deve andare a piedi nudi non solo nella sala di preghiera, ma le scarpe vanno tolte molto prima e si cammina scalzi anche per ore, in mezzo a qualsiasi cosa, cani, terriccio, bancarelle, pure nelle rovine archeologiche, su scalinate in pietra e corridoi senza pavimento! E’ davvero seccante. Poi non parliamo degli sputacchi dei birmani! Gli uomini hanno l’abitudine di masticare un preparato, chiamato “betel”, che è fatto utilizzando foglie di betel appunto, noce di areca e a volte foglie di tabacco; molto spesso è confezionato e venduto sulle bancarelle dei mercati. Chi visita per la prima volta una città birmana, resta immediatamente colpito dalle innumerevoli macchie rosso-sanguigne che sporcano i marciapiedi, le strade e perfino i muri delle case. Nella folla ci s’imbatte continuamente in uomini dalle labbra e dai denti tinti di rosso cupo, che sputacchiano con una straordinaria frequenza: sono i masticatori di betel, mentre le chiazze purpuree notate nelle strade e sui muri sono gli sputi rossastri cui continuamente li costringe l’aumento di secrezione salivare provocato da questa “cicca”. Tutto ciò non è piacevole a vedersi! Un’altra caratteristica tradizione è quella delle donne che fumano i Cheerot, verdi e forti sigari arrotolati a mano e che spennellano sul loro viso e quello dei bambini, in mille artistici modi, una pasta giallognola ricavata macinando su una pietra la corteccia di una pianta (Linoria Acidissima): è il Thanakha, loro unico cosmetico. Generalmente non mi dispiace assaggiare qualcosa per strada, ma in Birmania come in Vietnam e Laos, le specialità locali delle bancarelle non sono sempre invitanti…l’igiene è molto precaria e tutto si prepara e si cucina sui marciapiedi; tuttavia ho voluto provare, il sapore era buono, ma l’effetto provocato non è stato piacevole. La Birmania è costellata da un’infinità di pagode erette nel corso dei secoli da generazioni di fedeli, ma quel che resta maggiormente impresso a chi visita questo paese, è il sorriso e la cordialità della gente, che dimostra una sconcertante serenità pur conducendo una vita irta di difficoltà materiali e tuttora priva di diritti politici. Noi siamo stati fortunati perché il tempo è stato splendido, sempre giornate assolate, cielo abbastanza limpido e azzurro e con temperature molto gradevoli, calde di giorno e fresche la notte, ma abbiamo acceso comunque l’aria condizionata in camera per timore delle zanzare, anche se il problema è quasi inesistente in questo periodo. Al mattino presto, navigando sul Lago Inle, serve una maglia leggera. 18 e 19 novembre Ci svegliamo e, affacciandoci, ci troviamo in mezzo a migliaia di templi buddhisti, sorvolati dalle mongolfiere che si alzano in volo con la prima luce del sole per mostrare ai turisti la piana di Bagan, un luogo incantevole che merita davvero di essere visitato. L’hotel che ci ospita, il Kumudara è proprio situato in questa piana di rara bellezza che appare imponente e maestosa in ogni ora della giornata, ma specialmente al tramonto e la notte quando le luci artificiali illuminano i templi solenni e la valle regala un paesaggio mozzafiato rendendo la vacanza indimenticabile. La città di Bagan fu la vecchia capitale di parecchi regni antichi in Birmania ed è situata nelle pianure centrali asciutte del paese, sulla riva orientale del fiume Irrawaddy. I venditori all’entrata dei templi sono spesso petulanti e insistenti, una folla di persone che s’inventano un’attività anche artistica per vendere le loro produzioni ai turisti e ricavare qualche kiat per sopravvivere. Alcuni templi sono circondati da folta vegetazione, ma se si accede alla terrazza superiore, per le precarie e ripidissime scalinate, si può avere una spettacolare e magica vista sul fiume e sugli altri templi circostanti che sembrano non finire mai. Il sole scende lentamente illuminando i templi e regalando emozioni uniche: è il momento migliore per fotografare la bizzarra piramide del Dhammayangyi, che appare in tutta la sua magnificenza. Sebbene simili tra loro, i templi sono diversi l’uno dall’altro e molti sono anche visitabili all’interno. Tra i più significativi e che merita una particolare attenzione è il tempio Ananda Pahto, il primo dei grandi templi di Bagan, con il suo pinnacolo dorato (hti) di 53 metri che si vede luccicare in lontananza. Sembra sia stato fatto costruire dal re Kyanzittha tra il 1090 e il 1105; custodisce quattro statue di Buddha in teak alte quasi 4 metri. La pagada Shwezigon Paya situata a Nyaung-U, una città vicino a Bagan, è uno stupa circolare rivestito da foglie d’oro e circondato da piccoli templi e santuari. La sua costruzione ha avuto inizio durante il regno del re Anawrahta e fu completata nel 1102 d. C . Si crede che custodisca un osso e un dente di Buddha. Anche se ci si potrebbe annoiare di visitare templi e pagode, il tempio Sulamani Pahto è il più importante del tardo periodo (1170-1300) di Bagan, per me è giusto sia stata una tappa d’obbligo del nostro viaggio; il nome stesso significa ‘Gioiello dell’Incoronazione o ‘Piccoli rubini’. In realtà fu ben più di un tempio, il complesso in origine conteneva un gran numero di edifici annessi, tra cui sale di riunione, celle per i monaci e una biblioteca. E’ costruito con mattoni rossi e a forma piramidale su base quadrata. Ci sono due livelli con portici a ciascuno dei quattro punti cardinali. Corona il complesso una bellissima sikhara, torre tipica dell’architettura Indù. Le caratteristiche salienti del Sulamani comprendono le fini decorazioni in muratura e l’uso della pietra sia nelle parti portanti sia negli angoli esterni. Numerose piastrelle e pannelli vetrosi sono lungo lo zoccolo e le modanature delle terrazze, mentre gli affreschi rendono ricco l’interno stuccato dei corridoi. Questo tempio è stato l’esempio per la costruzione dell’Htilominlo Guphaya; anch’esso molto suggestivo e all’interno contiene numerosi affreschi rari da trovare in questo tipo di costruzione.
20 novembre
Volo da Bagan a Mandalay. Un paese straordinario che custodisce un patrimonio storico e artistico eccezionale con migliaia di templi millenari, a ricordo di antichi imperi, posati tra verdi vallate fertilissime, radure steppose, altopiani e catene montuose ricoperte da foreste. Lunghi fiumi navigabili con un lago straordinario, Inle, dove il tempo e la gente sembrano essersi fermata con le secolari tradizioni. Mille pinnacoli d’oro si stagliano all’orizzonte, con i Buddha di ogni dimensione e stile, mentre al tramonto, tutto il paesaggio acquista un fascino irreale… Mandalay, città capoluogo e porto commerciale, è situata al centro del paese sulla riva sinistra del fiume Irrawaddy. Fu costruita su una collina da cui prende il nome, la montagna sacra, e racchiusa da imponenti mura erette per difendersi dalla minaccia dei britannici. L’abitato si estende intorno al nucleo storico, dove si trovano templi, monasteri, vasti parchi e il Palazzo Reale. Nella sua provincia c’è la capitale della Birmania, Naypyidaw. La città è anche un centro religioso molto importante: la metà dei monaci buddisti del Myanmar risiede nella città e nei suoi dintorni. Secondo i miti birmani fu visitata da Buddha sotto le spoglie di una gallina. Senza conoscerne ancora il significato ho acquistato proprio qui una gallinella con la funzione di peso sempre per arricchire il mio pollaio! Il traffico è incredibilmente disordinato, senza regole, biciclette si mischiano a furgoni, auto, moto, carretti e tutti credono di avere la precedenza: si rischia davvero parecchio ad attraversare una strada! Proprio oggi si celebra la festa della luna piena che segna la fine dei tre mesi di ritiro dei monaci. Per l’occasione, per tre giorni, la popolazione festeggia, in ogni città, offrendo in processione ai monaci quello di cui necessitano: cibo, vesti, ciotole per le elemosine e altri oggetti che accompagnano la loro vita! Lungo una strada per raggiungere un enorme monastero che ospita più di mille monaci, si trovano moltissime botteghe, dove gli artigiani scolpiscono nel marmo statue di Buddha. Ci fermiamo al monastero, dove sarà servito il pranzo a un numero incredibile di monaci che, ordinatamente sfilano in assoluto silenzio tra due ali di turisti curiosi e un po’ perplessi. Nel frattempo girovaghiamo nel monastero, entriamo in qualche abitazione, nella grande sala mensa, nel magazzino, dove è conservato il riso in sacchi, nelle cucine in piena attività per preparare in enormi pentoloni il riso cotto a vapore e sul lungo fiume con alte e ombrose piante. Osserviamo la vita quotidiana dei monaci impegnati a sottoporsi al bagno giornaliero, alla lavatura delle loro tuniche e alla rasatura. Ritorniamo verso la città e, dopo aver sostato presso un laboratorio di sete, raggiungiamo la pagoda sulla collina utilizzando un camioncino trasformato in taxi. Saliamo sul retro seduti su una panca, ma la posizione è molto instabile; per noi è una nuova divertente avventura attraverso i ripidi tornanti fino alla piazzola sotto la scala mobile che sale al tempio sulla cima e che ospita una serie numerosa di statue di Buddha tutte uguali, in posizione seduta e addossate alla parete ricurva. La vista da quassù è sorprendente. La giornata non ha ancora termine, abbiamo il pomeriggio davanti a noi che ci permette di raggiungere prima in barca e poi in carrozza trainata da un cavallo, gli interessanti resti dell’antica capitale imperiale Inwa. Nel corso della storia, fu saccheggiata e ricostruita numerose volte, ma definitivamente abbandonata dopo una serie di grandi terremoti nel marzo 1839. Inwa è stata fondata ufficialmente il 26 febbraio 1365 su un’isola artificiale creata collegando con un canale i fiumi Irrawaddy e Myitnge, dando origine a paludi e laghi che sono coltivati a risaie e bananeti. Anche se oggi restano solo poche tracce del suo passato splendore, merita di essere visitata; si possono ancora osservare alcuni resti tra cui il monastero Bagaya circondato da una fitta vegetazione tropicale dove furono educati i reali; stupende colonne decorate sorreggono la struttura e le pareti interne ed esterne sono interamente decorate con intarsi. La Torre Nanmyin che raggiunge 27 metri, era la torre di guardia della cinta muraria e il monastero Maha Aungmye Bonza o il Monastero di mattoni è una delle strutture più belle in muratura decorato con fiori e stucchi. Due grandi leoni bianchi, le chinthe, difendono l’ingresso. Durante il percorso, anche questo avventuroso perché il calesse ha dei frequenti sobbalzi a causa della strada fangosa e dissestata per le piogge e per l’instabilità degli ammortizzatori e delle ruote, osserviamo scene di vita rurale: carretti trainati da buoi, contadine al lavoro, mucche al pascolo intorno alle abitazioni, piccoli mercati…… Ritorno sulla terra ferma; l’imbarcazione che ci trasporta ospita anche una ragazza con il suo motorino. Aspettiamo il tramonto sul ponte U Bein, una delle cose più interessanti dell’antica città reale di Amarapura, è il più lungo del mondo costruito interamente in tek: misura più di un chilometro e poggia su millesessanta tronchi. Collega la città a un piccolo villaggio tradizionale birmano. La passeggiata sul ponte, tra una folla di persone, è un momento veramente suggestivo.
21 novembre
Oggi il programma prevede l’escursione al villaggio di Mingun in riva al fiume. Per raggiungere la barca dall’imbarcadero facciamo delle vere acrobazie saltando da una barca all’altra. Devo però dire che gli addetti sono molto premurosi specialmente con una vecchietta come me e mi accompagnano gentilmente dandomi sicurezza. La navigazione sul fiume Irrawaddy è piacevole e impieghiamo poco più di un’ora per arrivare a destinazione. Ci godiamo il panorama stesi su delle comodissime sdraio in bambù costruite artigianalmente. Il fiume svolge un ruolo importante nella vita di tutti i giorni per gli abitanti del posto; pescano e lavorano i terreni sulle isole che il fiume, durante la stagione secca, lascia affiorare. Certo i loro attrezzi sono molto primitivi: usano ancora gli aratri di legno trainati da buoi. Sembra anche qui, come in Laos, di vivere nei secoli addietro. L’oretta di navigazione ci avvicina gradualmente al villaggio racchiuso fra due diverse pagode bianche e raccolto sotto il profilo di un’alta collina tondeggiante, che però non è naturale, ma è il risultato del tentativo di un sovrano locale di costruire qui il più grande stupa del mondo, che avrebbe dovuto raggiungere i 150 metri di altezza. Sulla riva ci attendono uno stuolo di venditrici e alcuni caratteristici carretti-taxi trainati da buoi, ma Mingun è a due passi e si gira facilmente a piedi . Prima tappa alla grande pagoda incompiuta; sarebbe stato il tempio più grande del mondo se fosse stato completato, ma fu lasciato a metà, quando venne meno la fiducia di farcela. Ecco nascosti tra la vegetazione i resti di due enormi chinthe in mattoni con l’aspetto di leoni, che avrebbero dovuto introdurre nella zona sacra; sul prato antistante giace un grande occhio di marmo bianco. Qui la salita è breve sui gradini dissestati e ci siamo. Mi chiedo: è su questi gradini che i lavoratori dovevano trasportare i mattoni per i successivi cento metri di stupa da innalzare? Ora non ci si può salire sopra, ma soltanto girarvi intorno perché paurosamente spaccato dalle fenditure provocate da un recente terremoto. Accanto al tempio, un piccolo santuario, ospita la Mingun Bell, un’enorme campana di bronzo ritenuta la più grande campana del mondo ancora integra. In realtà sarebbe per dimensione seconda solamente a quelle ospitata a Mosca nel Cremlino, ma quest’ultima non sarebbe in grado di suonare perché danneggiata. La Mingun Bell pesa circa 90 tonnellate, è alta 4 metri con un diametro di cinque e fu fusa nel 1790. Sul luogo sono presenti alcuni grossi bastoni che permettono di sperimentare il forte rintocco. Passeggiare per il villaggio è davvero piacevole, sotto ombrose piante s’incontrano banchetti che espongono varie mercanzie e anche quadri di artisti locali; sembra di essere catapultati nel secolo scorso. Raggiungiamo nelle vicinanze la pagoda Myatheindan, molto bella, che abbaglia per il candore delle sette spirali di onde in muratura e da simbolici rilevi mitologici. Ci dirigiamo verso la barca e ritorniamo a Mandalay. Nei dintorni visitiamo una tessitura di arazzi; le donne sono impegnate in lavori estenuanti di precisione e di pazienza! Infine, alla Pagoda d’oro di Maha Muni “Grande Saggio” con la grande statua dorata di Buddha alta 4 metri. E’ collocata in una piccola camera, seduta su un trono con le gambe incrociate e i piedi rivolti verso l’interno. Sul capo ha una corona tempestata di diamanti, rubini e zaffiri . Solo ai devoti di sesso maschile è permesso applicare sulla faccia delle lamine sottilissime d’oro tanto che il rivestimento ha raggiunto lo spessore di quindici centimetri. Le donne devono sostare in uno spazio di fronte alla statua ma Dodi, che ama infrangere le regole, ha cercato di avvicinarla fino a quando un addetto l’ha fermata. Nel 1884, quando la pagoda è stata bruciata, sono stati recuperati 91 kg d’oro. Lungo il porticato che conduce alla pagoda principale, ci sono molti chioschi per la vendita di oggetti religiosi, come incenso, candele, fiori, abiti, sandali… e prodotti artigianali. Le arcate sono sostenute da 252 colonne dorate e intagliate, impreziosite da pregevoli affreschi. In una stanza vicina sono situate grandi statue di bronzo che raffigurano elefanti e Shiva; si crede che, se strofinate, abbiano il potere di guarire. Saliamo sulla collina della città, dove fu costruita, per ordine del Re Mindon nel 1860, una fortezza circondata da mura e da un fossato, a difesa del palazzo reale di legno. Durante la guerra molte parti furono distrutte da un incendio, ma in seguito vennero ricostruite. La cittadella è composta di quarantasei edifici a un solo piano. La sala delle udienze è vastissima, con il trono del re e della regina tutto decorato con specchietti. Visitandola ho avuto l’impressione di passeggiare in una città set cinematografico, era totalmente deserta e irreale. Il monastero Shwenandaw è noto per le sue sculture in teak di miti buddhisti, che adornano le pareti e i tetti. Prima si trovava nella fortezza reale poi fu spostato nella posizione attuale; è l’unica struttura di legno originale che si è salvata dall’incendio. ll Kuthodaw Paya è un complesso di templi alla base della collina Mandalay; al suo interno si trova il libro più grande del mondo. Presenta una pagoda principale circondata, da centinaia di stupa bianchi che contengono l’intero testo Tripitaka, il libro più sacro del buddismo. Immaginate che 1.081 volumi, quanti servono per trascrivere l’intero canone buddista, sono stati incisi tutti su 729 lastre di pietra e che ciascuna di queste iscrizioni è al riparo di una piccola pagoda per proteggerla dalla pioggia e dal sole.
22 novembre
Oggi volo da Mandalay al minuscolo aeroporto di Heho; con la nuova guida, ci dirigiamo verso Taung Gyi per una strada scorrevole e asfaltata. La città si trova a 1400 metri sopra il livello del mare. Il suo nome significa “grande montagna”, infatti, si trova a est di una vetta assai alta, il Taung-chun. Questa sera sosteremo qui per assistere al Festival Balloon. Ora tutta la piana è in preparazione per questa la manifestazione. E’ come un’immensa fiera di paese con ruote panoramiche, autoscontri, venditori e bancarelle che vendono abbigliamento, cibi pronti e una varietà infinita di altri prodotti. Noi proseguiamo verso Kakku situato a una quarantina di km. Sostiamo brevemente in un villaggio per accogliere con noi due ragazzi giovanissimi dell’etnia pa-o perché è d’obbligo per i turisti essere affiancati da queste guide. Il percorso per raggiungere la località è molto panoramico e attraversa piccoli villaggi, abitati dai Pah-o, intenti alle attività tradizionali, secondo le usanze tipiche dell’etnia e anche un mercato del bestiame. Giunti sul pianoro che accoglie il sito, un’esclamazione di meraviglia e stupore “scoppia” all’unisono nel nostro pullmino. Il luogo, oltre ad essere circondato da colline coperte di fitta e rigogliosa vegetazione e dai piccoli campi coltivati, è stupefacente anche per la sua unicità archeologica. E’ ormai l’ora di pranzo perciò ci dirigiamo subito verso il ristorante la cui sala aperta si affaccia su questo panorama unico e rilassante. La temperatura è più fresca e piacevole. Anzi per me direi proprio frizzantina tanto che acquisto una sciarpa coloratissima per proteggermi le spalle, ma non mi accontento, perché aggiungo all’acquisto anche una borsa caratteristica che i Pa-o usano portare a tracolla, tessuta a telaio e parte del loro costume. I due ragazzi che si sono aggiunti alla nostra guida per accompagnarci e darci spiegazioni dei luoghi, indossano questi costumi che ricordano i capostipiti della loro etnia in una leggenda locale. Il racconto narra che la popolazione discende da un padre indovino e una madre drago, ecco appunto i molti strati dei vestiti delle donne e lo strano turbante che indossano e che dovrebbe evocare le sembianze di drago. Per simboleggiare il drago appunto, anzi la “draghessa”, le donne avvolgono intorno al capo una sciarpa come quella che ho acquistato per simboleggiare la cresta del drago; anch’io desidero rappresentare la “draghessa” e chiedo alla ragazza Pa-o di avvolgermi in testa la sciarpa, a mo’ di cresta di drago. Finito il pranzo, ci avviamo a visitare il sito archeologico che è di grande fascino con più di 2.000 stupa nella maggioranza alti 3 o 4 metri e disposti in file ordinate. Nel XVI secolo, attorno al tempio centrale, in segno di devozione e per l’acquisizione di meriti, i fedeli buddisti fecero erigere queste piccole pagode, finemente decorate con stucchi che formano preziosi ricami. Il silenzio del luogo è rotto solo dalle campanelle delle pagode che tintinnano al leggero vento. Su un piccolo stupa sono rappresentati i personaggi della leggenda sulla nascita del popolo Pu-a. Questa valle è un territorio storicamente ribelle, con forte autonomia e minoranze etniche, da sempre coinvolto nel traffico della droga del cosiddetto triangolo d’oro. Ora ha una sua milizia autonoma e un presidente-sovrano che detta regole diverse rispetto al Governo centrale: niente tasse sulla terra per i contadini. L’esercito e la polizia birmani non vi entrano e per andare bisogna ingaggiare una guida locale come abbiamo fatto noi. Ripercorriamo a ritroso la strada e giungiamo nel tardo pomeriggio alla città di Taunggyi per assistere al Balloon Festival che è un grande evento annuale. Ci sono alcuni turisti stranieri presenti, ma la stragrande maggioranza dei frequentatori proviene dalle città e dai borghi dei dintorni. La festa dura sette giorni e termina nella notte di luna piena, cioè proprio oggi. I festeggiamenti sono suddivisi in programmi diurni e notturni.
Durante il giorno sono lanciate piccole mongolfiere a forma di animali da un grande campo alla periferia della città. Di notte sono di forma più tradizionale, ma molto più grandi, sono i “palloncini di fuoco”, che volando in alto nel cielo creando una spettacolare esibizione a cascata di fuochi d’artificio. Sono costruiti con carta e sotto di essi vengono “accese” fiaccole enormi il cui fumo riempie l’interno delle mongolfiere, inducendole a sollevarsi. I fuochi artificiali sono su una piattaforma che è sospesa da corde alla parte inferiore del pallone e s’incendiano alcuni minuti dopo che il pallone è stato lanciato. Accidentalmente può incendiarsi l’esterno del pallone, cioè la parte in carta, e quindi ecco che il lavoro è distrutto e i fuochi d’artificio potrebbero sparare in mezzo alla folla; a questo punto le cose sarebbero pericolose. Noi siamo stati invitati a sederci in una posizione privilegiata, su un palco protetto da eventuali scintille e da lì, abbiamo goduto lo spettacolo fino a tarda sera. Merita veramente! E’ uno spettacolo unico e meraviglioso. Con un pullmino partiamo per il lago Inle: la prima parte del tragitto procede su una strada scorrevole, ma da metà in poi la strada diventa stretta, piena di buche e sterrata, siamo completamente avvolti dalle montagne e dal buio della notte senza una luce che ci indichi un’abitazione o un villaggio, pensavo che non saremmo arrivati a destinazione. Giungiamo Nyaung Shew a notte fonda e prendiamo alloggio nell’hotel Paradise Nyaungshwe per trascorrervi la notte.
23 novembre
Il cielo è diviso tra l’azzurro e bianco di qualche nembo che si sta alzando dalle montagne, l’aria è frizzante, ma non fa freddo. La mattina dopo colazione, assistiamo all’ennesima processione delle donazioni. La cittadina di Nyaung Shwe dista pochi chilometri dal Lago Inle e funge da “porto” per le numerose imbarcazioni che trasportano i turisti al lago raggiungibile attraverso un canale del fiume. Riusciamo a raggiungere il mezzo che ci trasporterà all’imbarcadero, dove le barche a noi riservate, ci attendono. Saliamo accomodandoci sulle sedie sistemate sulle barche; accanto ad ognuna è legato un ombrello che io ho usato come parasole durante la navigazione sul fiume e sul lago, mentre sulle spalliere sono appoggiate delle leggere coperte. Il mezzo di trasporto è una barca snella e lunga che si potrebbe assomigliare a una piroga, veloce perché spinta da un motore con un lunghissimo albero di trasmissione che termina con l’elica che lascia dietro di sé una scia di alti spruzzi d’acqua. Quando entriamo nel lago Inle nello Stato Shan, che è a 900 metri di altitudine, si sta veramente bene! E’ quasi completamente circondato da monti che si specchiano sulle acque prive d’increspature. Il lago è popolato dagli Intha, che abitano i villaggi completamente realizzati su palafitte; su di esso si svolge ogni loro attività: vi abitano in case su palafitte, si lavano, giocano, si spostano, vanno al mercato, festeggiano, si recano al tempio e si muovono con una naturalezza che è sorprendente anche nei bambini piccolissimi! Vivono di pesca, ma soprattutto coltivano una grande quantità di ortaggi in orti galleggianti, tra cui si muovono agilmente su piatte piroghe. I barcaioli locali, per avere una mano libera, con cui curano e raccolgono le verdure coltivate e manovrano le tipiche reti da pesca a cono, hanno sviluppato una tecnica assolutamente originale e unica al mondo: spingono il remo con un piede, mantenendosi con l’altro in equilibrio sulla barca. Il lago si percorre su barche a motore strette e lunghe, tutti ne usufruiscono, per le attività più quotidiane e per le occasioni speciali, sono tanto veloci quanto rumorose. In questo modo visitiamo pagode, monasteri, villaggi, orti e piccoli laboratori che producono stoffe, sigari o oggetti d’argento e di legno. L’altra caratteristica sorprendente del lago Inle, sono gli orti, di cui ho accennato prima; la superficie del lago è per gran parte coperta da erbe galleggianti, i gigli d’acqua, che fungono da supporto per alghe estratte dal fondo del lago, giunchi, erba e terra. Si ottengono in questo modo strisce di terreno su cui coltivano fiori e ortaggi, con una produzione che non conosce sosta (più raccolti l’anno). Sembra che questa tecnica sia dovuta a un motivo molto pratico: per coltivare la terraferma, che non era di proprietà, le autorità chiedevano una tassa, una specie di “decima”, piuttosto esosa. La superficie del lago, invece, non era soggetta a questa legge, per cui un po’ alla volta i contadini hanno iniziato a spostare le loro colture sul lago, la cui superficie è sempre priva di onde, in pratica per non pagare le tasse. I nostri primi incontri sono proprio i pescatori con le nasse a cono che si avvicinano per mostrare la loro pesca. Dopo un’oretta di viaggio attracchiamo all’imbarcadero del Paramount Inle, un resort costruito su palafitte nel cuore del lago, immerso nella tranquillità che permette di assaporare l’atmosfera particolare di questo luogo. Anche se circondato da acqua, c’è un verde giardino tropicale che andiamo subito a esplorare, dopo aver sistemato le valigie in camera. È anche possibile salire sulla torretta per ammirate il paesaggio circostante composto di palafitte circondate da estesi orti galleggianti. Risaliamo in barca per iniziare l’esplorazione del lago. Questo bacino di acque calmissime costituisce un vero e proprio ecosistema per i suoi abitanti, che oltre alla pesca, sfruttano le alghe, dragate dal fondo del lago, per fabbricare isolotti galleggianti fissati con pali di bambù su cui coltivare vari tipi di ortaggi e creando così un labirinto di canali solcati quotidianamente dalle caratteristiche imbarcazioni degli Intha.Vi si trovano diversi villaggi e molti templi costruiti su palafitte. L’industriosa gente ha sviluppato molte interessanti forme di artigianato, compresa una filatura eseguita con i fiori di loto nel villaggio di Kyaing Kan; la visita delle botteghe di produzione è molto interessante. Continua l’esplorazione recandoci al villaggio in un’officina di fabbri al lavoro con la forgia, dai maestri d’ascia costruttori di barche e scultori di piccoli oggetti di legno, nel laboratorio per la produzione di carte speciali e oggetti caratteristici. Sosta al ristorante parcheggiando il nostro mezzo al pontile sul canale. Di fronte a noi sorge maestosa la pagoda Phaung Daw Oo e accanto la rimessa, dove viene riparata la barca dorata che è usata per le regate durante i diciotto giorni delle feste del mese birmano (da settembre a ottobre). La pagoda ospita cinque piccole immagini di Buddha, di differenti altezze, che sono state ricoperte con foglie d’oro, fino al punto che le loro forme originali non sono più visibili. Delle cinque immagini, quattro sono collocate ogni anno, durante i giorni di festa, su una copia della chiatta reale a forma di uccello hintha e portate da pagoda in pagoda sul lago Inle; solo un’immagine resta sempre al tempio. La chiatta, riccamente decorata è trainata, da diverse imbarcazioni i cui vogatori remano all’unisono con il piede, seguita da altre imbarcazioni, formando così un’imponente processione sull’acqua. E’ trascinata da un villaggio all’altro lungo le rive del lago e per la notte, le quattro immagini sono sbarcate e poste nel monastero principale di ogni paese. Nel 1960, nel corso di una giornata particolarmente ventosa, quando le onde sul lago erano alte, la chiatta che trasportava le immagini si rovesciò e queste caddero nel lago. Si disse che un’immagine non poté essere recuperata, ma che quando i pellegrini tornarono al monastero, l’immagine mancante era miracolosamente posizionata al suo posto!? Giungiamo infine al centro dei giardini galleggianti, ricchi di verdure e fiori: un ambiente irreale, assolutamente incredibile. La giornata finisce con un tramonto spettacolare goduto dalla torretta dell’hotel. Il sole sparisce dietro le montagne tingendo di colori e di riflessi argentei e rossicci le calme acque del lago mentre i commercianti si radunano sul canale di fronte a noi per acquistare i pomodori raccolti nella giornata. Questa sera cena nel ristorante del resort in un ambiente piacevole e rilassante. Io non vario il menù perché temo spiacevoli sorprese: pollo, patate fritte e frutta.
24 novembre
Questa mattina ci rechiamo ad un villaggio, dove si tiene il mercato, coloratissimo, vario e frequentato da un gran numero di persone di tutte le etnie locali e anche da turisti. Qui possiamo osservare per la prima volta, su un piccolo banco, la preparazione e la vendita del betel. Navigando lungo i canali che si dipartono dal bordo del lago, finiamo in un intrico di vegetazione galleggiante, tanto fitto che la barca riesce con difficoltà a districarsi. Attraversiamo un villaggio le cui abitazioni sono completamente circondate da piantagioni di loto in fioritura: è una meraviglia quella distesa di calici rosa intensi che galleggiano sull’acqua! La giovane guida pa-o che ci accompagna, ha avuto per noi signore un gentile pensiero: ci ha donato una collana confezionata con uno di questi fiori e noi, grate, l’abbiamo subito indossata. Siamo diretti all’antico villaggio di Sankar Samka e già dal largo vediamo spuntare dall’acqua numerosi e vecchi stupa; ma qui non c’è imbarcadero, quindi le barche devono attendere il loro turno per avvicinarsi a una striscia di terra che si protende nell’acqua per far scendere i passeggeri. Anche il villaggio che circonda questo sito è poverissimo, ma gli abitanti sono molto cordiali e sorridenti. Si avvicina l’ora di pranzo perciò torniamo a un ristorante sull’acqua che avevamo notato al primo passaggio. Saliamo e occupiamo un grande tavolo che ci accoglie tutti e ordiniamo il pranzo. Mentre siamo in attesa, una cavalletta verde si posa sul mio avambraccio e sembra trovarsi a suo agio, mentre a me provoca un po’ di solletico come la farfalla cui avevo offerto un involontario “passaggio” durante la discesa del fiume dei profumi in Laos. Di fronte a noi si stende la splendida visione della Takhaung Mwetaw Pagoda. Nel pomeriggio attraversiamo il canale e scendiamo a visitare questo luogo che è introdotto da due grandi chinthe ai lati della scalinata. Alcuni stupa sono nel loro stato originale di degrado e di un colore rosso-arancio pallido, altri restaurati sono bianchi, decorati con sculture mitologiche per metà uomini e metà animali. Una grande tettoia protegge numerose piccole statue di Buddha che attorniano quella grande stesa in posizione di riposo. Uno stuolo di bambini sorridenti ci segue e con piacere si lascia fotografare. E’ spettacolare l’immagine vista dall’alto di alcuni stupa che sono circondati dall’acqua e vi si riflettono mentre, sullo sfondo, velocissime barche solcano il fiume. Riprendiamo la navigazione per dirigerci verso l’hotel dove trascorreremo un’altra notte sul lago.
25 novembre
Raggiungiamo le barche che ci attendono all’imbarcadero del report per continuare l’escursione sul lago. Navighiamo per una ventina di minuti lungo il canale di Inthein, comodamente seduti sulle sedie di legno disposte sulla barca. Uno splendido sole ci riscalda e le coperte di lana a disposizione sono ormai superflue. Lungo il viaggio, attraversiamo affascinanti villaggi costituiti interamente da palafitte, passiamo sotto passerelle costruite con bambù che sono eccezionali opere architettoniche e osserviamo insolite scene di vita quotidiana lungo il fiume. Il lago è enorme ed è un susseguirsi di paesaggi mozzafiato, orti galleggianti, barche di pescatori e di gente del luogo che ci saluta da lontano. Alle spalle del villaggio sorge uno dei siti più interessanti, una miriade di pagode che spunta dalla giungla in cima a un colle cui si accede risalendo una scalinata interamente coperta da una tettoia sotto di cui sostano e vendono prodotti locali molto particolari, genti appartenenti a diverse etnie. Ritorniamo all’hotel per recuperare le valigie a dopo raggiungiamo il pullmino: nuovamente un mezzo terrestre. Ci fermiamo nel caratteristico e antichissimo monastero di legno dalle finestre ovali, quello delle classiche immagini in cui si vedono i novizi affacciati alle finestre. E’ il momento dello studio ma possiamo tranquillamente accedere al monastero. I novizi non fanno molto caso alla nostra presenza, evidentemente sono abituati agli estranei, oppure hanno l’ordine di non distrarsi. Nella serata giungiamo all’aeroporto di Heho per salire sul volo che ci porterà a Jangoon; in nostro viaggio sta per finire. Giunti nella capitale ci facciamo accompagnare all’hotel Yuzana da un taxi di fortuna, perché quello fissato in precedenza non si è presentato, ma l’autista è stato onestissimo e preciso. Dodi ritrova la sua palla e il suo cappello in perfetto stato.
26 novembre
Visita della città. Yangoon è cosmopolita: il traffico è caotico, le abitazioni in stile coloniale decaduto, tantissima gente cammina ai bordi della strada perché i marciapiedi, tutti rotti, sono uno spaccato di vita quotidiana, gente che lavora, artigiani, donne che cucinano, bancarelle con cibarie indefinite; di notte le vie sono piuttosto buie. I tuk tuk sono pieni all’inverosimile, con gente appesa ovunque. Una cosa non manca mai: i sorrisi e gli sguardi cordiali e incuriositi. Partiamo alla scoperta di Yangon che è situata sulla riva destra del fiume Pegu e in parte sui canali del delta del fiume Irrawaddy, ricca di parchi e di laghi; dal verde spuntano pagode dorate di ogni forma e dimensione. Siamo subito accompagnati alla Maha Pasana Guha; si tratta di una grotta artificiale che accoglie una sala immensa, tranquilla e silenziosa, per i candidati monaci che sostengono l’esame religioso orale e scritto sul Tipitaka, detto appunto Tipitakadhara. La costruzione è circondata da giardini curatissimi e in fiore. Al lato dell’ingresso una piccola tettoia ospita la campana che si suona battendola con un bastone. Si trova presso la Kaba Aye pagoda, di pianta circolare e cava, nella quale si entra per visitare il salone centrale con le reliquie di Buddha e una grande statua d’argento alta più di otto metri. Percorrendo le vie della città sostiamo a un laboratorio di pietre preziose specialmente, smeraldi e rubini; ma non siamo stati tentati da un acquisto. Forse i prezzi!!!?? Il Buddha dormiente nella Chaukhtatgyi è imponente, coloratissimo, ma con sembianze, per me, eccessivamente femminee; per contenerlo hanno costruito un capannone mastodontico perché la statua misura 70 metri. Passiamo a visitare il parco che ospita uno dei laghi della città. Nelle sue acque si specchia il pinnacolo della pagoda Sule (che è un punto di orientamento per visitare la città) e vi galleggia una copia della barca reale utilizzata come ristorante. Sembra che su questo lago si affacci l’abitazione di Aung San Suu Kyi, celebre pacifista, che il 13 novembre 2010 è stata liberata dal carcere; nel 2012 ha ottenuto dal governo Birmano il permesso di raggiungere il figlio in Inghilterra. Dopo una rilassante passeggiata nel parco ci siamo diretti alla pagoda Sule. Sembra sia stata costruita nel III° secolo a.C. e la tradizione dice che conservi sette capelli di Buddha. Ha un’insolita forma ottagonale e quattro ingressi. Le pareti interne e i soffitti sono interamente ricoperti da foglie d’oro che assumono la forma degli stucchi: fiori, animali e svastiche. Oggi il nostro tour è stressante, ma se vogliamo conoscere un poco Yangoon, non possiamo fermarci. Perciò eccoci diretti alla pagoda delle tartarughe così definita perché in un laghetto artificiale vivono miriadi di tartarughe appunto con pesci grossi e voracissimi. Sotto un ampio porticato che ospita vetrine con doni, un santone magrissimo, con la lunga e rada barba bianca, uno strano turbante è seduto sul pavimento in preghiera con le gambe incrociate. In fondo è situata una giostra delle donazioni, consiste in un tavolo circolare ruotante su cui sono poste delle ciotole che dovrebbero accogliere le banconote piegate in un modo particolare che i fedeli lanciano cercando di centrarle. Chissà perché mi ricorda la giostra dei pesciolini rossi delle nostre fiere. Anche noi abbiamo voluto provare; ha “vinto” Tino riuscendo a fare il maggior numero di centri!! Anche i monaci le studiano tutte per spillare…. Prima del tramonto raggiungiamo la Swedagon Paya. Una facile salita con l’ascensore ci conduce a questa meraviglia che è il simbolo della città. Entriamo dove cresce il grande albero sacro al cui piede è stata posta una statua di Buddha che ricorda la sua illuminazione. Ci ritroviamo a camminare a piedi nudi insieme a decine di fedeli sconosciuti e vestiti in modo colorato e strano per noi, in mezzo a edifici fantastici, il tutto pervaso da un’atmosfera colorata, luminosa, infantile, gioiosa, musicale. Superato il primo impatto, piena di curiosità, trovo bello lasciarmi andare a seguire la corrente della folla percorrendo l’ampia piattaforma circolare, che per oltre 300 metri circonda il magnifico stupa centrale, fiancheggiata da una miriade di tabernacoli, tempietti, statue di Buddha e di altre divinità, immagini di animali, edicole, piccoli edifici per la sosta e la preghiera dei pellegrini, fontanelle per le abluzioni e naturalmente decine di altri stupa di tutte le dimensioni che creano un insieme stupefacente e armonico. Tra essi è conservata anche la grande campana di 23 tonnellate che gli inglesi vollero portasi a Londra, ma la campana cadde nel fiume quando stava per essere caricata su una nave; solo parecchio tempo dopo fu recuperata. E’ giunto il momento di concentrare l’attenzione sull’enorme stupa centrale che fu edificato la prima volta nel VI secolo e raggiunge l’altezza di 98 metri. Nella parte bassa è formato da una serie di terrazze ottagonali degradanti interamente coperte da foglie d’oro che poi si modellano in forma di un’enorme campana rovesciata. La tradizione di dorare lo stupa inizia nel XV secolo e permane tuttora: il peso della foglia d’ora che lo ricopre è stimato in oltre 53 tonnellate. Sopra la campana seguono una serie di modanature e una doppia fila di petali di loto. Poi inizia il cosiddetto germoglio di banana e infine l’hti o ombrello che è formato da sette gradini degradanti verso l’alto, è in ferro rivestito d’oro e vi sono attaccate 4004 campanelle d’oro, 474 d’argento e 1805 foglie d’oro. Pesa una tonnellata ed è internamente sorretto da una struttura in ferro. Sopra l’hti si eleva un pennone centrale sul quale è attaccata una banderuola d’oro nella quale sono incastonati 1100 diamanti e 1383 pietre preziose. Il pennone prosegue poi con bassorilievi e un globo d’oro che contiene 4351 diamanti per 1800 carati. Infine sopra il globo risplende uno splendido diamante di 76 carati adeguatamente fissato alla struttura. La manutenzione di questo tesoro richiede accortezze continue che non mancano, anche se sono realizzate con metodi ancora artigianali e primordiali. Durante la nostra visita lo stupa era avvolto interamente da un’impalcatura di bambù, un intreccio vero capolavoro di manodopera! Dal basso partiva una teleferica a forma di carrello tutta decorata, illuminata e colorata che portava su in alto le donazioni dei fedeli. Con la festa della luna piena l’atmosfera è ancor più suggestiva, anche se poco mistica. Cala il sole e le luci fanno brillare la Swedagon: il cielo blu intenso con la luna piena fa apparire il luogo unico e magico. Sorge su una collina e domina la città, quindi a tarda sera, quando eravamo già a letto, Franco ha bussato alla porta della nostra camera per invitarci sul tetto-terrazzo dell’hotel per uno spettacolo eccezionale! Lo abbiamo subito seguito e dall’alto abbiamo potuto ammirare la pagoda che brillava sulla notte della città in tutto il suo splendore. Un momento che resterà indimenticabile!
27 novembre
La vacanza è terminata, dobbiamo abbandonare questi paesi. Durante il tragitto verso l’aeroporto per il volo che da Yangoon ci porterà a Singapore, il mio sguardo si sofferma ancora una volta sulle scene quotidiane viste e riviste in questi giorni. Non dimenticherò mai gli intensi momenti che hanno caratterizzato questi giorni e che hanno esaltato la bellezza dei luoghi visitati. La mia speranza è che il futuro di questo popolo possa essere migliore, libero ma sempre legato alle sue autentiche tradizioni e che possa mantenere quello spirito e quella cordialità che mi ha colpito durante questo percorso. Non potrei mai vivere in un posto simile, ma nel frattempo torno da questo viaggio arricchita, anche se non riesco ad accettare che gli abitanti di una terra così generosa siano costretti a vivere in povertà a causa di una dittatura spietata e per niente celata; che ha forse l’unico “pregio” di aver mantenuto questi luoghi intatti e integri. Giungiamo a Singapore nel pomeriggio e quindi abbiamo ancora alcune ore prima della partenza per Milano. La compagnia Singapore Airlines ci mette a disposizione un pullman per regalarci un “assaggio” di questa fantastica città che ci catapulta nel futuro. Singapore è uno stato insulare costituito da sessantatré isole, situato a sud della penisola di Malacca; l’isola principale è nota come isola di Singapore. La città-stato è il quarto principale centro finanziario del mondo ed è una delle principali città cosmopolite mondiali, con un importante ruolo nel commercio internazionale e nella finanza. Il suo porto è tra i primi cinque per attività e traffico in ambito mondiale. Singapore è una vera metropoli moderna, multietnica, caotica, colorata, commerciale e finanziaria fatta di grattacieli, ristoranti e strade pulite. Marina Bay è la nuova zona a sud, avveniristica e dominata da moderni e imponenti edifici che si specchiano nelle acque del fiume. Purtroppo questa volta il tempo non è stato clemente; il tour è stato accompagnato da una pioggia noiosa e insistente che ci ha impedito di godere appieno dello spettacolo offertoci. Anche le foto scattate non meritano di essere conservate, quindi io ho attinto ad altre fonti per consolarmi. L’aeroporto di questa città rispecchia il suo tenore di vita: è enorme, una seconda città. Per la sua estensione e i numerosi gates vi è stata costruita una metro interna che collega i vari terminals. E’ dotato di aree giochi per bambini, di zone per il riposo, di accesso internet libero, di centri commerciali, di giardini delle orchidee, dei girasoli e delle farfalle, di fontane e spazi all’aperto anche con piscina…….alla partenza era già in veste natalizia. Poco prima della mezzanotte ci alziamo in volo per Milano. Ora è veramente finita, torniamo a casa!
Ciao.
Marisa