I colori del Rajasthan
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Da questo punto di vista un viaggio in India è senza dubbio un viaggio “forte”, in una realtà molto lontana dalla nostra, dove la popolazione è ancora suddivisa in caste, molte città sono ancora prive di un sistema fognario degno di questo nome, gli animali sono distinti tra sacri, puri ed impuri e la società si sta aprendo solo per certi aspetti alla modernità. Ovunque regna una sacralità a noi sconosciuta e per molti aspetti proprio incredibile. Per questo viaggio ci siamo affidati a Kesar di Viaggindia (kesar@viaggindia.it), che in India ha avuto come referente Tony Mirza (tel. +91 9414217744) (mirzatony@ymail.com) – guida in italiano e l’agenzia Gita – Grand India Travel Advisors di New Delhi. Per il volo Kesar ci ha proposto la Turkish Airlines con scalo a Istanbul ad un prezzo vantaggioso. Kesar ha offerto anche una eccellente selezione di Hotel di categoria tra 4 e 5 stelle, forse anche troppo belli per le nostre abitudini: Hotel The Suryaa (New Delhi) – Hotel Castle Mandawa (Mandawa) – Hotel Gaj Kesri (Bikaner) – Hotel Rang Mahal (Jaisalmer) – Hotel Park Plaza (Jodhpur) – Hotel Holiday Inn (Jaipur) – Hotel Mansingh Palace (Agra) – Hotel Radisson Blu (Dwarikas – New Delhi)
28/12/2012
Siamo arrivati a New Delhi a notte fonda, dopo un lento controllo in aeroporto ci siamo diretti in hotel per recuperare qualche ora di sonno. Abbiamo dedicato la mattina alla visita di New Delhi, India Gate ed il Raj Ghat, ultimo luogo di riposo di Mahatma Gandhi, la Grande Anima. Il mausoleo colpisce per la sua semplicità, è una piattaforma di pietra scura sulla quale risaltano le corone di fiori di tagete gialli ed arancioni. Intorno c’è un ampio prato dove si incontrano scoiattoli, macachi, pappagalli e soprattutto tanti grandi rapaci in volo. Nel pomeriggio abbiamo visitato Old Delhi iniziando dalla Jama Masjid, una delle più grandi moschee del mondo e la più grande dell’India. All’uscita dalla moschea ci siamo trovati in mezzo al movimentato quartiere Chandni Chowk e subito ci siamo dovuti ricredere in merito alla sicurezza delle città indiane. Mentre all’uscita dai luoghi più turistici capita di essere infastiditi da venditori ambulanti e mendicanti, nel resto delle città la gente è decisamente cordiale e curiosa nei nostri confronti, parlano in molti casi un ottimo inglese e sanno darti rapidamente indicazioni corrette. In molte occasioni non eravamo noi a fotografare la gente del posto, ma erano loro a fotografare noi! Il centro di Old Delhi è pieno di botteghe ed ogni via è specializzata in un singolo settore. La zona situata di fronte alla mura del Forte Rosso ed al Lahore Gate è piena di negozi di accessori per l’informatica, venduti a prezzi molto vantaggiosi. Per concludere la giornata siamo andati in taxi al Bahai Lotus Temple, bellissimo tempio moderno a forma di fiore di loto, con 27 enormi petali di marmo; purtroppo abbiamo anche potuto constatare quanto sia intenso il traffico a Delhi, e per percorrere alcuni kilometri abbiamo impiegato oltre due ore, arrivando al Bahai Lotus Temple di sera, a luci spente.
29/12/2012
La mattina è stata dedicata alla visita della parte meridionale di Delhi. Il Mausoleo dell’Imperatore Humayun è veramente una meraviglia: si tratta della tomba che ha ispirato anche il Taj Mahal, decorato in stile moghul e con molti elementi in stile persiano. Già dall’ingresso ai giardini si ha una veduta mozzafiato sulla parte esterna, mentre l’interno appare piuttosto spoglio, con le tombe dell’imperatore, della moglie e di suoi successori. La zona è molto tranquilla, senza venditori ambulanti e con pochi visitatori. Successivamente ci siamo diretti nella zona di Mehrauli al complesso archeologico del Qutb Minar, che rappresenta il nucleo più antico di Delhi, costruito nel primo periodo di dominazione islamica. La visita a questa parte di Delhi merita diverse ore in quanto ha molto da offrire: il Qutb Minar è uno dei minareti più alti del mondo ed è impressionante. Nel centro del cortile di quel che resta della moschea c’è una colonna di ferro al 98 % di origine persiana che straordinariamente non arrugginisce. Il complesso del Qutb Minar è circondato da prati ben tenuti ed è piuttosto tranquillo. Nel primo pomeriggio ci siamo diretti a Mandawa, ed è stato un viaggio lungo e piuttosto stressante, date le pessime condizioni stradali. In compenso si attraversano km e km di campagne coltivate con piante di senape dai fiori gialli; altre zone sono invece dominate dai comignoli dei forni per la cottura dei mattoni.
30/12/2012
Di prima mattina abbiamo visitato la parte della cittadina a sud dell’Hotel Castle Mandawa, dove ci sono delle case di ricchi commercianti – haveli – con le facciate dipinte con affreschi dai colori vivaci. La visita di Mandawa ha rappresentato per noi il primo vero contatto con l’India più tradizionale, in quanto Delhi, anche nella parte più antica, presenta i lati negativi della modernità, come ad esempio il traffico veramente intenso. A Mandawa invece tutto appare tranquillo: vacche, cani, pappagalli e piccioni ovunque, strade sterrate e scarichi fognari a cielo aperto, tanta gente cordiale per strada. A Mandawa abbiamo visitato due haveli bellissime, la Gulab Rai Ladia e la Chowkhadi Haveli, che meriterebbero diversi lavori di restauro per non perdere i colori degli affreschi. L’hotel in cui abbiamo pernottato, l’Hotel Castle Mandawa, è di per se un’attrazione, ed è stata l’unica vera residenza d’epoca in cui abbiamo avuto l’occasione di passare una notte. A metà giornata siamo arrivati a Bikaner, percorrendo strade abbastanza buone in zone semidesertiche, e ci siamo diretti subito al forte di Junagarh. Si tratta dell’unica fortezza del Rajasthan ad essere situata in pianura, quindi in una posizione meno scenografica rispetto alle altre, eppure questa è una delle realtà indiane che più ci è piaciuta: lo Junagarh Fort si è conservato benissimo, molto meglio di altri forti come Jodhpur o Jaisalmer, l’esterno è di arenaria rossa e racchiude all’interno un cortile stupendo in marmo bianco. Oltre alle stanze normalmente aperte al pubblico, come il Phool Mahal (sala dei fiori) e la Anup Mahal, Tony ci fatto visitare la Chandra Mahal, il palazzo della Luna, che per le sue ricche decorazioni e sfarzosità non ha eguali.
Usciti dallo Junagarh Fort avevamo espresso il desiderio di vedere Tempio di Karni Mata a Deshnok, anche conosciuto come Tempio dei Topi… e Tony ha rapidamente organizzato il fuori programma, visto che il tempio chiude alle nove di sera. Effettivamente, dopo aver vissuto tale esperienza, dobbiamo ammettere che non si può assolutamente andare a Bikaner e tralasciare tale visita, anzi, siamo convinti che non si può andare in India e non visitare questo luogo straordinario. Per arrivare a Deshnok da Bikaner ci vogliono 40 minuti, noi siamo stati bloccati da un passaggio a livello per il transito di un lunghissimo treno ed abbiamo impiegato più tempo aspettando tra camion multicolori e carri trainati da dromedari. Giunti sul piazzale per noi è stato uno spettacolo fuori dal tempo: il tempio in se sembra una modesta costruzione abbellita da luminarie e da due grandi portoni d’argento…ciò che rimane e che fa veramente impressione è ciò che si svolge in questo tempio. Si tratta di uno dei santuari più sacri dell’India, legato a Karniji, una guida spirituale realmente esistita nel 1300 e tanto potente da placare le guerre tra clan. I membri della famiglia di Karniji si reincarnano in topi (kaba) ed a distanza di molte generazioni le attuali famiglie di Deshnok, discendenti di Karniji, credono che dopo la morte si reincarneranno in topi. Molti induisti giungono fino a Deshnok in pellegrinaggio per donare offerte (cereali, zucchero o latte) ai kaba. Appena varcata la prima porta, dopo aver lasciato le scarpe in un apposito deposito a pagamento, ci si ritrova in mezzo a moltitudini di topi che si rincorrono, mangiano e si rintanano nei muri traforati. Nel primo cortile c’è una sorta di deposito delle offerte, la superficie del pavimento è ricoperta dai residui di queste offerte e da escrementi di topi, l’odore è forte così come forte è l’impatto della vista di tutta la moltitudine di topi che si concentra ai lati del cortile. Al centro del primo piazzale c’è una piccola struttura, al quale si accede dopo aver fatto un po’ di coda tra i credenti. All’interno c’è un secondo cortile nel quale si benedicono le offerte: ai lati ci sono dei bacili in cui i topi bevono il latte, si può compiere liberamente un giro intorno alla struttura, avendo cura di strisciare i piedi per terra, per evitare di calpestare un topo sacro. Usciti nel primo cortile abbiamo avuto la fortuna di vedere un topo bianco: il tempio è popolato da 7.000 topi ed in mezzo ve ne sono 2 bianchi. Dopo un primo periodo in cui i topi fanno veramente impressione, successivamente ci si abitua alla loro presenza e ci si avvicina al punto che qualche topo finisce per sfiorarti o per passarti sopra i piedi…è incredibile ma questi topi sono relativamente abituati alle persone, non scappano alla vista, così come i bambini si divertono a guardarli rincorrersi tra loro. Altrettanto incredibile è la gestualità dei credenti, che arrivano a compiere gesti per noi assurdi come baciare il suolo del tempio. Il Tempio di Karni Mata a Deshnok non rientra nei percorsi turistici, all’interno non abbiamo incontrato altri turisti ed anche in questa occasione il popolo indiano ha dato esempio di cordialità e soprattutto di curiosità nei nostri confronti: in tanti erano sorpresi nel vederci nel “loro” tempio ed invece che fotografare i topi o la struttura, preferiva farsi una foto abbracciati a noi. Questa è l’India! Un luogo in cui ciò che per noi occidentali è pura follia, qui è assoluta normalità…ed il Tempio di Karni Mata ne è l’emblema. In questo luogo sei obbligato a fare un vero e proprio salto culturale, accettare il misticismo derivante dalla presenza dei topi sacri, veicoli del propizio Ganesh, entrare con lo spirito giusto, superare i primi minuti di forte impatto per poi lasciarsi trasportare dall’eccezionalità del luogo e dalle emozioni che ne derivano. Una volta usciti si è coscienti di aver vissuto una esperienza unica, che rimane cristallizzata nel tempo.
31/12/2012
Abbiamo dedicato la mattinata a Bikaner, che si è rivelata una delle città più interessanti del Rajasthan: non si tratta di una meta turistica, la gente del posto ci guardava con molta curiosità, come se non avesse mai incontrato degli occidentali, e tutto sembra molto autentico. Con i tuk tuk ci siamo diretti al centro cittadino e siamo rimasti bloccati davanti ad un passaggio a livello, con tanta gente ferma di fronte ai binari, e con due tori neri che si scornavano tra loro come nelle nostre campagne; è stato molto suggestivo vedere come vive la popolazione e come affronta ogni piccolo problema o perdita di tempo. Il centro storico di Bikaner nasconde delle haveli stupende costruite completamente in arenaria rossa. Tony ci ha spiegato che scolpire l’arenaria è molto complicato in quanto è una pietra che si sgretola facilmente e non perdona il minimo errore: se un pezzo si rompe occorre lasciar perdere e ricominciare a scolpire un nuovo pezzo. Lungo il tragitto abbiamo notato alcune donne setacciare gli scoli fognari con dei grandi piatti metallici, abbiamo pensato che li stessero lavando e siamo inorriditi. Tony ci ha poi spiegato che quelle donne stavano setacciando gli scarichi di una gioielleria alla ricerca di scarti di oro e argento, un modo semplice per arricchirsi…anche questa è India! Nel centro di Bikaner ci siamo fermati al Tempio Jainista di Bhandeshwar, che fa parte di un complesso di templi di questa antica religione affine al Buddhismo. Il Jainismo predica la non violenza e l’eguaglianza verso tutti gli esseri viventi, quindi i credenti sono rigorosamente vegetariani e per evitare di uccidere qualsiasi forma vivente i sacerdoti si coprono il naso e la bocca con mascherine di stoffa per non ingerire involontariamente microrganismi o piccoli insetti. Un sacerdote semivestito di bianco ci ha fatto entrare suonando la campana, l’interno del tempio è una piccola foresta di colonne coloratissime con motivi floreali e sculture particolari; da un lato del tempio si accede al piano superiore ed alla guglia dalla quale si gode di un bel panorama sulle vie della città e sui vicini templi di Sandeshwar e di Laxminath. All’uscita il sacerdote ci ha dato una benedizione e ci ha applicato il ”tika”, il terzo occhio, con un pasta a base di zafferano, simbolo di buon auspicio… tutto molto suggestivo. Prima di ripartire per Jaisalmer abbiamo fatto un giretto per il mercato di Bikaner, nei pressi delle mura dello Junagarh Fort, dal lato opposto all’entrata, dove i venditori di frutta e verdura siedono in posizione rialzata rispetto alle bancarelle. Qui abbiamo incontrato un incantatore di cobra in difficoltà nel trattenere il proprio serpente nei suoi paraggi, con diversi tentativi di fuga… e noi tifavamo per il povero cobra! Nel pomeriggio ci siamo diretti a Jaisalmer, distante molti chilometri di buona strada in mezzo al Deserto del Thar: pur essendo definito deserto in realtà l’aspetto di quest’area è più simile a quello di una savana arida con boscaglia rada, sono rare le zone sabbiose o esclusivamente pietrose e le acacie hanno colonizzato ogni terreno. In compenso, anche lungo le strade principali è frequente l’avvistamento di antilopi e gazzelle. Siamo arrivati all’Hotel Rang Mahal poco prima del cenone di capodanno e la sera abbiamo festeggiato all’aperto l’arrivo del 2013 con musiche hindi del cinema di Bollywood.
01/01/2013
Il primo dell’anno l’abbiamo dedicato alla visita di Jaisalmer e per assurdo è stato un giorno veramente caldo. Di mattina siamo andati al bacino di Gadi Sagar, a sud della città ed unica riserva di acqua della regione. Qui i credenti indù gettano offerte ai pesci gatto, affacciandosi dai ghat e dai templi in arenaria. Dalle alture che sovrastano il lago, in prossimità del parcheggio, si gode di una vista spettacolare sulla città di Jaisalmer. Successivamente ci siamo diretti verso il forte, l’unico del Rajasthan ancora abitato. La zona del forte è decisamente turistica, ed abbiamo assistito a casi di sfruttamento minorile per racimolare elemosine. I bastioni in arenaria gialla hanno il loro fascino, sembra di vivere in un’epoca lontana nel tempo. All’interno del forte abbiamo visitato i Templi Jainisti che, a differenza di quelli di Bikaner, non sono dipinti ma sono minuziosamente scolpiti nell’arenaria gialla. Anche in questo caso si può salire al secondo piano e visitare gli stretti corridoi passando attraverso le statue scolpite. In un secondo tempio le luce del sole che filtra all’interno crea una suggestiva atmosfera e dona all’arenaria un colore giallo più acceso. Usciti dal forte, dal quale si gode di un bel panorama su Jaisalmer, siamo scesi tra i vicoli della cittadina che ci è piaciuta moltissimo. Il centro storico non è turistico come il forte ed è anche molto meno frequentato, ma nasconde delle haveli stupende, forse le più belle che abbiamo potuto ammirare nel corso del viaggio. In alcuni vicoli della città tutte le facciate ed i balconcini delle haveli appaiono color miele di varie tonalità e tutto è meticolosamente scolpito nell’arenaria, è un vero spettacolo. Siamo entrati all’interno della Patwon-ki-haveli e siamo saliti fino alla terrazza sul tetto ad ammirare il panorama sul forte, la parte più bella è quella che si affaccia sul vicolo, piena di balconcini sporgenti. Abbiamo poi girovagato senza meta nei vicoli di Jaisalmer ed abbiamo notato che in gran parte delle case, vicino al portone esterno, c’è una immagine di Ganesh. Tra i vicoli ci siamo combinati all’uscita di un gruppo di ragazze da un collegio femminile, abbiamo visto tante mamme che badavano ai figli, cani docili e vacche tranquille… questo è il volto dell’India che ci è piaciuto di più.
Nel pomeriggio ci siamo diretti fuori Jaisalmer, nella località di Bada Bagh (o Barra Bagh), dove ci sono i cenotafi dei marajha. Si tratta di piattaforme dedicate ad una famiglia o ad un personaggio, sormontate da cupole di varie epoche scolpite nell’arenaria gialla dai colori caldi. Tony ci ha spiegato che in India tutti i credenti indù vengono cremati in apposite piattaforme su pire di legna tra i 300 e 500 kg, e le ceneri vengono affidate a persone addette che le spargono o nel Gange o nel Lago di Pushkar o in altre acque sacre.
Da Bada Bagh ci siamo spostati a Sam, verso il confine con il Pakistan, per vedere il tramonto dalle dune. Per chi non ha mai visto le dune sabbiose del deserto questa località può anche piacere, per noi che eravamo già stati in Marocco questo giro in dromedario è stato abbastanza deludente. Per noi il deserto è uguale al silenzio, al fruscio del vento che ti fa sentire una certa intimità, ed agli spazi sconfinati. Sulle dune di Sam non c’è nulla di tutto ciò: un eccesso di turismo ha determinato un afflusso smisurato di persone, dromedari e carri, che si contendono le zone più elevate delle pur basse dune. Non ci sono piaciute le danzatrici, le troppe voci e soprattutto i tanti rifiuti accumulati tra le dune. E’ un vero peccato che non abbiano saputo gestire correttamente una risorsa turistica di questo tipo, che poteva avere delle potenzialità in quanto i panorami dalla sommità delle dune e le luci del tramonto in questo scenario sono comunque affascinanti. Peccato.
02/01/2013
La mattina ci siamo diretti a Jodhpur, passando per Pokaran e Dechu. Abbiamo attraversato zone desertiche con dune sabbiose, forse anche più affascinanti di quelle di Sam. Lungo il tragitto Tony ci ha fatto sostare presso un villaggio costituito da poche capanne rurali caratteristiche di queste zone desertiche. La popolazione ci è subito venuta incontro, gli uomini erano al lavoro nei campi e nel villaggio erano rimaste solo donne e bambini, oltre al capo-villaggio più anziano. Le donne del Rajasthan indossano sari coloratissimi e tanti gioielli: orecchini, bracciali, collane e cavigliere in oro. Tutto questo sfarzo appare assurdo ed in netto contrasto con le povere condizioni di vita di questa gente, che vive in capanne di paglia e fango accontentandosi del poco che può offrire quella terra arida. Sembra che l’oro ed i gioielli siano una diffusa forma di investimento in caso di annate con un ricco raccolto, mentre in caso di carestia gli stessi gioielli possono essere facilmente rivenduti per trarre di che vivere. Prima di fotografare le donne abbiamo sempre chiesto loro il permesso, e raramente ce l’hanno negato; abbiamo notato che apprezzano particolarmente le offerte di saponi, shampoo e lozioni, quindi, al posto delle rupie, in segno di riconoscenza per una foto si possono anche donare le piccole confezioni da bagno degli hotel. Questo incontro con la gente del luogo ci è sembrato autentico e non programmato in quanto alcune persone erano indaffarate nelle loro mansioni e sono rimaste all’interno delle loro capanne, tra galline e pecore, quasi sorprese dal nostro arrivo. Siamo giunti a metà giornata a Jodhpur, città particolarissima, sormontata da un forte che domina il paesaggio piatto e semidesertico già a diversi chilometri di distanza. Il Meherangarh Fort appare altissimo, le sue mura seguono le pareti a strapiombo della roccia e le strutture sono sorvolate da grandi rapaci. Ci si chiede come abbiano potuto costruire un forte così imponente su uno sperone di roccia così scosceso. Si sale in cima con un rapido ascensore e la vista sulla città che si estende ai suoi piedi è uno spettacolo straordinario. La parte vecchia della città è punteggiata da case blu, che dovrebbero essere le case dei sacerdoti brahmani, in realtà sono così numerose da non rendere credibile tale usanza. Tony ci ha spiegato che questo colore probabilmente scaccia gli insetti e quindi viene utilizzato sempre più spesso nel ristrutturare le case. In particolare nella parte della città vecchia che si estende sulle colline ad ovest del forte, il colore blu delle case è nettamente predominante. Di fatto il panorama sulla “città blu” è veramente straordinario. All’interno del Meherangarh Fort abbiamo assistito ad una rappresentazione di come si avvolgono i nove metri di stoffa per realizzare un turbante, poi abbiamo visitato le mostre delle selle per elefanti e delle armi. In una parte del forte si estende il Palazzo delle Perle, con sale ricche di specchi, tappeti, affreschi e decorazioni. Ma la parte più bella di questo forte è sempre costituita dai balconi sporgenti nel vuoto che si affacciano sulla zona ovest della città. Se si vuole ammirare il tramonto conviene spostarsi lungo le mura dalla parte opposta all’ingresso del forte.
Grazie alle giornate abbastanza lunghe abbiamo potuto raggiungere nel pomeriggio i templi della città di Mandore, situata pochi chilometri a nord di Jodhpur. Si tratta di un complesso di templi in arenaria rossa di forma simile a quelli thailandesi e cenotafi dei maharaja che dopo il 1400 si spostarono a Jodhpur, abbandonando la città. Oggi questi templi sono abitati da centinaia di entelli grigi (grosse scimmie simili a cercopitechi), nutrite dai credenti, che corrono tra gli alberi ed i viali dei giardini per nulla spaventate dalla presenza umana. In quasi tutte le città indiane abbiamo incontrato i macachi, che sono a dir poco domestici, ma questi entelli grigi dal muso nero, li abbiamo trovati solo a Mandore e nel forte di Amber.
03/01/2013
La strada che da Jodhpur porta a Jaipur, è lunga, stressante, ed a tratti sconnessa, ci vogliono oltre sette ore, pertanto si perde la giornata viaggiando. Chi non ha problemi di tempo può organizzare il viaggio diversamente, o facendo una sosta di un giorno a Pushkar, oppure dirigendosi a sud verso Udaipur, che nel nostro caso è stata l’unica grande città del Rajasthan che non abbiamo potuto visitare, ed è stato un peccato. Siamo giunti a Jaipur nel pomeriggio, appena in tempo per entrare nel complesso di Templi di Galta, località incastonata nei monti a est di Jaipur. Il luogo è veramente particolare: si tratta di una stretta vallata arida che termina con una serie di templi costruiti a ridosso di due grandi piscine di acqua sorgiva. E’ il regno di un grosso gruppo di macachi che ricevono le offerte dei credenti e si tuffano allegramente nell’acqua. E’ stato suggestivo vedere tutti i macachi correre lungo i versanti rocciosi e scoscesi della gola e raggiungere il bordo delle piscine in cerca delle nostre offerte di cibo. I templi vengono anche chiamati “templi delle scimmie” proprio per via degli abitanti e meritano veramente una visita. La sera ci siamo allontanati dal nostro hotel lungo la riva del lago Man Sagar, alla periferia nord di Jaipur, per vedere il Jal Mahal (Palazzo d’Acqua): si tratta di un palazzo costruito su un’isoletta al centro del lago utilizzato come residenza estiva del maharaja, che cacciava le anatre affacciandosi dalla finestra… anche questa è India!
04/01/2013
La giornata è stata interamente dedicata a Jaipur ed ai suoi dintorni. Di mattina presto ci siamo diretti subito al Forte di Amber: per salire in cima si utilizzano gli elefanti e Tony ci ha spiegato che, trattandosi di una delle principali attrazioni della regione, se non si va presto si rischia di perdere tempo in interminabili file, e così è stato. La passeggiata a dorso di elefante è molto “turistica” però dobbiamo ammettere che ci siamo divertiti; inoltre lungo la risalita il panorama sulla vallata e sul lago è stupendo. Tutte le montagne intorno alla collina su cui si erge il forte sono percorse da una muraglia ben conservata, la luce radente della mattina creava una bellissima atmosfera. La fortezza di Amber è enorme, siamo entrati dalla Porta del Sole in un ampio cortile, poi salendo una scalinata, siamo arrivati ad un secondo cortile davanti alla Ganesh Pol, la porta di Ganesh, un capolavoro. Nel cortile più in alto ci sono le stanze private ed il salone delle udienze, molto luminose grazie ad un raffinato sistema di specchi. Dalle stanze più in alto si gode della migliore vista sul lago e sulla processione di elefanti, che lentamente, risalgono la collina del forte.
Per il resto della mattinata abbiamo girato senza meta nel centro dei bazaar di Jaipur, che rispetto alle altre città indiane sono estremamente ordinati: tutti i vicoli, anche i più stretti, confluiscono su strade ampie e perpendicolari tra loro, è difficile perdersi. Come constatato a Delhi, anche a Jaipur il bazaar è distinto per settori, tutti vendono lo stesso genere di merci e la parte più interessante è forse quella delle spezie. Oltre a ciò che si vede in questi coloratissimi mercati, si rimane colpiti dagli odori intensi, che si riescono a percepire soprattutto nei vicoli interni: nelle strade più grandi il traffico intenso copre l’atmosfera dei bazaar con l’inquinamento ed il rumore. Tutti i mezzi di trasporto indiani, dalla bicicletta al tuk tuk fino al camion, tutti usano in modo sfrenato il clacson, dalle prime ore della mattina fino a sera, al punto che dopo qualche ora nel traffico si rimane storditi ed impolverati. Meglio quindi abbandonare le grandi strade rettilinee di Jaipur ed infilarsi nei vicoli, dove, oltre ai bazaar, si scoprono piccoli templi, botteghe artigiane ed officine di ogni genere. Anche a Jaipur abbiamo trovato la cordialità del popolo indiano, che aveva con noi un approccio delicato e per nulla insistente.
Nel pomeriggio abbiamo visitato il Jantar Mahal, un particolare osservatorio astronomico voluto dal maharaja di Jaipur nel 1700 che, attraverso meridiane ed ombre, effettuava calcoli sulla posizione del sole e delle stelle. A breve distanza si entra nel City Palace, il palazzo del maharaja in cui vive ancora la famiglia del sovrano. All’interno del “palazzo del benvenuto” c’è una mostra degli abiti indossati dal maharaja e si rimane impressionati dalla “obesità” raggiunta Sawai Madho Singh I, che pesava oltre 200 kg. Molto eccentriche anche le due urne di argento massiccio utilizzate per trasportare l’acqua sacra del Gange a Londra: si tratta degli oggetti d’argento prodotti a mano più grandi del mondo! Usciti dal City Palace abbiamo trascorso il resto della giornata girando per il centro storico, dipinto di rosa, di Jaipur. Siamo passati davanti alla bellissima facciata del Palazzo dei Venti dopo di che abbiamo iniziato a percorrere la via che si allontanava dal centro, già visitato la mattina. Ci siamo trovati nel bel mezzo della vita indiana, con mercati a terra, vacche, aquiloni in aria ed il sorriso di tantissimi bambini che ci salutavano dai balconi, come se non avessero mai visto un occidentale… e abbiamo scattato le foto più belle del viaggio!
05/01/2013
Di mattina siamo partiti alla volta di Agra, passando per Fatehpur Sikri. Lungo la strada e fuori programma ci siamo fermati ad Ahabaneri, un villaggio sperduto nella campagna, raggiungibile percorrendo un tragitto sterrato. Tony ci ha annunciato che avremo visto il “Palazzo nella cisterna” e ci siamo trovati davanti al Chand Baori, un antico pozzo a gradoni: tante scalette strette in pietra scendono verticalmente nella profondità del pozzo, fino all’acqua ed al basamento del tempio. Si tratta di una struttura davvero suggestiva, per noi è stata una bella sorpresa, peccato per la nebbia. Siamo arrivati a Fatehpur Sikri nel primo pomeriggio, la città costruita e poi abbandonata dall’Imperatore Moghul Akbar. Visitando Fatehpur Sikri si ha veramente la sensazione di essere in oriente, le strutture e gli enormi cortili ricordano per certi aspetti la città proibita di Pechino… ma qui siamo in India ed il colore rosso dell’arenaria regna incontrastato. Tutte le strutture si sono conservate benissimo e sono state abitate per soli 20 anni, dopo di che sono state abbandonate per la siccità della zona. Veramente meritevole è il padiglione delle assemblee (Diwan-i-Khas) con la sua colonna centrale minuziosamente scolpita dal quale l’imperatore parlava con filosofi provenienti da ogni parte del mondo. Dopo una passeggiata all’interno dei bellissimi cortili e delle residenze di Fatehpur Sikri, ci siamo diretti verso la moschea Jami Masjid. La porta esterna (Buland Darwaza) è enorme, è alta 54 metri e vista dalla base della scalinata è ancora più impressionante. All’interno del cortile della moschea la struttura più appariscente è la tomba del mistico Salim Chishti, interamente in marmo bianco in contrasto con il rosso dell’arenaria circostante. Il baldacchino della tomba del Santo è in madreperla ed è meta di pellegrinaggio per chi cerca la fertilità: legare dei fili di cotone sulle pareti finemente traforate di marmo della tomba è di buon auspicio.
06/01/2013
Taj Mahal ad Agra è stata l’ultima tappa del viaggio e prima della partenza era la meta più desiderata. Descriverla è inutile, riesce a incantare chiunque, ed effettivamente è una delle sette meraviglie del mondo. Tutte le guide consigliano di vedere il Taj Mahal di primo mattino, quando c’è meno gente e la luce delicata e radente rende al meglio ogni immagine. Anche Tony ha preferito visitarlo di primo mattino, ma quel giorno era nebbioso, così come lo era stato il giorno precedente, e le nebbie si dissolvono solo in tarda mattinata. Quindi entrare presto sicuramente è vantaggioso per trovare poca fila, ma non è detto che gli orari mattutini siano i migliori. L’ideale sarebbe passare diverse ore all’interno del parco del Taj Mahal, in modo da vederlo in differenti momenti della giornata, con diverse angolazioni di luce. Nell’arte islamica, in cui è proibita ogni raffigurazione e rappresentazione fisica del Profeta Maometto e di Allah, le variazioni di luce di un’opera simboleggiano la grandezza del Creatore: anche per questo motivo i Taj Mahal è stato realizzato con marmi bianchi, che riflettono la luce in modo differente a seconda del momento della giornata. Quindi per apprezzare al meglio il Taj Mahal è necessario dedicare molto tempo a questa visita… ma raramente noi turisti disponiamo di molto tempo! Dal varco di ingresso, in quella mattina nebbiosa, il profilo del Taj Mahal appariva appena, avvolta dalla foschia, creando un’atmosfera surreale. Percorrendo il viale ed avvicinandoci tutto appariva più nitido, e le nostre aspettative non sono state deluse. Prima di partire per la visita è necessario lasciare in hotel qualsiasi oggetto metallico, compreso il cavalletto fotografico o lampade di qualsiasi tipo, ed all’entrata si viene perquisiti in modo molto accurato: per assurdo, all’interno della biglietteria, sembra non esserci alcun deposito per gli oggetti metallici. Altra assurdità di questo luogo è che i custodi chiedono dei soldi per poter scattare le foto all’interno del mausoleo, anche se è ufficialmente vietato farle: la corruzione dilaga ovunque. Tali aspetti ci sono tornati in mente solo una volta usciti dal Taj Mahal, in quanto fino a quando siamo stati lì, abbiamo pensato solo a visitare tale opera ed a sfruttare al meglio le luci che nel corso della mattinata rendevano tutto più nitido; anche la Moschea ed il Jawab costruiti a fianco al Taj Mahal sono stupendi, in arenaria rossa, ma lo sguardo è rimasto quasi costantemente rivolto verso l’opera principale. Quando, per motivi di tempo, è venuta l’ora di uscire, è stato difficile distaccarsi dal profilo del Taj Mahal: in particolare la porta di ingresso al lungo cortile offriva l’effetto di una lente di ingrandimento, annullando la distanza che ci separava dal Taj Mahal, come se uscendo, la sua immagine rimanesse con noi.
Prima di pranzo siamo andati al Red Fort di Agra, dove è stato imprigionato Shah Jahan, l’Imperatore Moghul che ha voluto edificare il Taj Mahal in onore della moglie. I locali più meritevoli del Red Fort sono proprio le prigioni (Khas Mahal) situate su una torre periferica, tutte rivestite e finemente intarsiate in marmo bianco, e dalle quali si narra che Shah Jahan guardasse il Taj Mahal piangendo per la morte dell’amata moglie Mumtaz Mahal.
Prima di ripartire da Agra abbiamo voluto rivedere il Taj Mahal dal Mehtab Bagh, i giardini situati sulla sponda opposta del fiume Yamuna. Si tratta di un luogo molto tranquillo, aperto a tutti, lontano dalla massa di turisti, mentre il Taj Mahal è molto vicino, con il suo basamento a picco sul fiume, nitido ed illuminato dalla luce tenue del pomeriggio. Sulla riva sabbiosa del fiume c’erano dei bufali al pascolo, il sentiero percorribile dai turisti era delimitato da un filo spinato ed un cancelletto. La vista del Taj Mahal dal Mehtab Bagh è senza dubbio la migliore in assoluto, l’angolazione più ricercata in quanto lo scorrere lento del fiume dona al luogo un senso di spiritualità che forse solo in India si può trovare.
Da Agra abbiamo raggiunto Delhi con poche ore di ottima strada, attraversando risaie e campi rigogliosi, gli ambienti aridi del Rajasthan erano già un bellissimo ricordo.
Visto e documenti: abbiamo provveduto a procurarci il visto direttamente all’ambasciata indiana a Roma nel mese di novembre, e non è stato affatto semplice. Occorre registrarsi sul sito https://indianvisaonline.gov.in/ e poi stampare il modulo, firmarlo, ed allegarlo al Passaporto con 2 foto formato 5 x 5 cm. Occorre prestare la massima attenzione alla compilazione del modulo in quanto non è possibile correggerlo in fase di presentazione: basta una minima imprecisione, come ad esempio delle parole scritte in italiano invece che in inglese o un errore di numero o di data, che la domanda di visto non viene accolta e si è costretti a ritornare. L’ambasciata si trova in Viale XX settembre n. 5 e per accettare le domande apre per neanche due ore al giorno, dalle 14.00 alle 15.30. In realtà ogni giorno accettano solo poche domande, non oltre 20, pertanto conviene arrivare con molto anticipo, attendere l’apertura alle 14.00 degli sportelli sotterranei e sperare di arrivare tra i primi! Il rilascio dei visti avviene dagli stessi uffici a partire da due giorni successivi alla data di presentazione alle ore 17.00. Il personale ci è apparso piuttosto scorbutico ed una volta ci hanno rimandato tutti a casa in quanto i loro computer non funzionavano… conviene contattarli la mattina prima di partire per evitare di perdere tempo. Sembra impossibile che una nazione come l’India che investe molto nell’incentivare il turismo, obblighi gli aspiranti visitatori a questo inutile percorso burocratico con domande del tipo: i tuoi nonni erano del Pakistan? Hai mai lavorato nelle forze armate o in polizia?
Abbigliamento e clima: ci siamo trovati bene vestendoci “a cipolla”: dicembre e gennaio sono i mesi relativamente più freddi, minima 8 massima 24 gradi, alba alle ore 7 e tramonto alle ore 18.15, tempo molto soleggiato e rischio di pioggia ridotto al minimo. In compenso nelle zone più umide (Agra e Delhi) si può trovare la nebbia che si dissolve nelle ore centrali della giornata. Il periodo natalizio coincide con l’altissima stagione, le mattine sono un po’ freddine e forse i mesi perfetti per girare in India sono novembre e febbraio, con un clima leggermente più caldo. Per ovviare al problema conviene portarsi giacche leggere da abbinare a pile nelle prime ore della giornata, per poi rimanere con vestiti di cotone dalle 11.00 in poi, nelle ore centrali della giornata. Il Rajasthan ci è parso più caldo rispetto alle pianure dell’Uttar Pradesh, ed in particolare nelle zone desertiche di Bikaner, Jaisalmer e Jodhpur durante il giorno siamo rimasti in camicia o in maniche corte…a gennaio! Altra considerazione da fare riguarda il riscaldamento, che in molti hotel o nelle vetture non esiste, in quanto per gran parte dell’anno il vero problema è il caldo. Quindi, per non patire il freddo delle prime ore della mattina, abbiamo apprezzato molto i pile tecnici così come gli scarponi da trekking, comodi caldi e traspiranti.
Guide: abbiamo consultato la Lonely Planet (Rajasthan Delhi Agra), la The Rough Guide (India del Nord) e la guida Mondadori (Delhi Agra e Jaipur). La Lonely Planet tratta tutte le mete toccate dal viaggio, è ricca di informazioni pratiche ma appare piuttosto scarna dal punto di vista storico e culturale. La guida Mondadori riguarda solo il cosiddetto “Triangolo d’Oro” ma si apprezza per i disegni e le immagini. La Rough Guide è la migliore, la più approfondita per aspetti culturali ma riguarda l’intera India del Nord ed è un bel mattone! Noi abbiamo utilizzato le edizioni passate, costano meno e raccontano la stessa storia.
Cosa portare: adattatore di corrente e doppia presa, calzini spessi e sovrascarpe da piscina da indossare nei templi o nelle moschee, tappi per le orecchie, gel disinfettante per le mani e salviette igienizzanti, copriwater e carta igienica, torcia, farmaci contro dissenteria, fermenti lattici, antibiotici antinfiammatori ed antipiretici, fotocopia passaporti;
Salute: contro le indicazioni mediche ed a titolo strettamente personale non abbiamo fatto alcuna vaccinazione. Le temperature fresche e l’assenza di piogge del periodo determinano uno scarso rischio di contrarre la malaria. Siamo stati attenti a non mangiare verdure crude ed a bere solo acqua filtrata in bottiglia, abbiamo preso dei fermenti lattici in forma preventiva…e non ci è preso nulla!
Cucina: gli indiani possono fare a meno di tutto tranne che delle spezie, le mettono praticamente dappertutto ed è raro trovare una pietanza condita normalmente per i nostri palati. La cucina indiana di per se è molto sana, ricchissima di verdure e legumi cucinati in ogni modo, abbinata a poca carne di pecora o di pollo. Il pesce è quasi assente. Durante i primi giorni in India durante i pasti le nostre labbra andavano letteralmente a fuoco, al punto di spaccarsi, poi piano piano ci siamo abituati, ma crediamo che tutte quelle spezie coprano i reali sapori dei cibi: in compenso si imparano ad apprezzare l’acqua ed il pane!
Criticità: le distanze tra una città ed un’altra sono in alcuni casi elevate, oltre 300 km, che non sarebbero poi tanti se le condizioni stradali fossero buone…la realtà dell’India, anche in questo caso, è oltremodo variegata. Le tratte Delhi – Agra ed Agra – Jaipur sono ottime, simili alle nostre autostrade. La strade che attraversano le aree desertiche del Rajasthan occidentale, Bikaner – Jaisalmer – Jodhpur, sono abbastanza buone e poco trafficate. Le tratte Delhi – Mandawa e Jodhpur – Jaipur sono stancanti, lungo strade strette e sconnesse, attraversando cittadine interessanti ma intasate di traffico.
Opinioni: la cittadina di Mandawa è una meta obbligata per chi vuole andare direttamente da Delhi a Bikaner, a noi è piaciuta in quanto poco turistica e decisamente autentica, ma dal punto di vista artistico appare piuttosto “povera” se paragonata alle altre mete del viaggio. Ciò non toglie che le sue haveli dipinte siano belle ed interessanti, meritano ampiamente le due ore che gli abbiamo dedicato, ma altri esempi di haveli, forse più affascinanti, li possiamo trovare a Bikaner, con decorazioni scolpite nell’arenaria rossa, e soprattutto a Jaisalmer, in arenaria gialla. In base a quanto abbiamo potuto constatare, se si dispone di poco tempo si può anche rinunciare alla visita a Mandawa e dedicare più tempo alle altre mete: in particolare, consultando guide, foto ed altre opinioni, in questo nostro viaggio è mancata la visita ad Udaipur. Disponendo di almeno 12 giorni di viaggio, sarebbe stato più completo il seguente itinerario:
Delhi, Agra, Jaipur, Bikaner, Jaisalmer, Jodhpur, Udaipur con rientro a Delhi con volo interno.
In questo modo si potrebbero anche evitare le tratte stradali scomode come Delhi – Mandawa e Jodhpur – Jaipur… la mancata visita di Udaipur costituirà un buon motivo per ritornarci!
Mete irrinunciabili e che ci sono rimaste impresse:
– Karni Mata Temple (tempio dei topi) a Deshnok vicino Bikaner
– Qutb Minar
– Humayun’s Tomb
– Junagarh Fort
– Tempio Jainista di Bhandeshwar a Bikaner
– Haveli di Jaisalmer
– Forte di Jodhpur e panorama sulla “città blu”
– Mandore
– Amber Fort
– Ahabaneri
– Moschea di Fatehpur Sikri
– … e, ovviamente, il Taj Mahal
Un’ultima considerazione riguarda il modo in cui viaggiare in India, per riuscire ad apprezzare in tutti i suoi aspetti: l’India più autentica, la parte che più ci ha affascinato, non l’abbiamo trovata negli splendidi palazzi dei maharaja, ma semplicemente per strada. E’ stato bellissimo osservare la vita della popolazione in qualsiasi momento della giornata, approcciare con le persone nei mercati cittadini o assistere a riti nei templi. Solo perdendosi da soli o con pochi altri compagni di viaggio nei vicoli delle cittadine si potrà avere un contatto diretto con la società indiana e la sua gente, il cui sorriso vi ripagherà ampiamente dell’intero costo del viaggio.
Un vero consiglio: non abbiate paura di affrontare un viaggio in India da soli, la popolazione che abbiamo incontrato per le strade è forse tra le più socievoli e gentili del mondo, affrontano ogni problema sorridendo… ma il contatto con la gente più essere precluso ai grandi gruppi dei viaggi organizzati, pertanto, affidatevi ad una buona guida locale, ma scegliete di visitare l’India in un tour “privato”.
Andateci!
Sergio e Sonia (scherubi@libero.it)