Round Annapurna and Tilicho Lake
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Abbigliamento: in città fa calduccio durante il giorno e freschetto la sera. Per il trekking abbigliamento consueto per la montagna e l’alta montagna.
Cibo: ottimo.
Vaccinazioni: portatevi le medicine consigliate in qualsiasi guida, attenetevi alle basilari norme igieniche, ma state tranquilli. Soprattutto in alto grossi problemi non ce ne sono.
Portatevi quattro foto tessera e, se potete, il giusto importo in dollari per il visto (altrimenti in euro, ma con ‘cresta’)
Partenza!
25/10/12 Florence-Frankfurt-Dheli
Mi imbarco sul coloratissimo aereo che ci condurrà a Delhi. Resto folgorato dall’accogliente ‘Namasté’ di una bella Signora ornata da un gioiello in mezzo alla fronte e vestita elegantemente. In realtà non è altro che una hostess dell’equipaggio. É un pò come se con una specie di magia la profonda ferita al cuore che mi lacera l’anima venisse in parte ricucita. Sono le 23. Stiamo sorvolando la Polonia. Varsavia, credo. Non so se é l’effetto della birra o se sono le divise indiane delle hostess, ma sento di essere entrato in un altra dimensione. Vedo tutto a colori: l’India. Sogno di andare a Dharamsala, alle sorgenti del Gange. Una strana Spiritualità si è improvvisamente impossessata di me. Non riesco a smettere di pregare. Uno strano senso di serenità mi avvolge. Solo qualche minuto fa ero lacerato dal dolore, ora sogno l’Amore. É una sensazione bellissima.
26/10/12 Dehli-Kathmandu
Nottata in aereo pessima, a fianco di un piccolo e robusto padre premuroso che faceva dormire il suo bimbo di un anno al suo posto. Peccato che lui, il padre, per far posto al bimbo, dormisse in pratica tra le mie gambe! Davanti, un altro grazioso bambino poco più grande ha piagnucolato e a tratti gridato lamentandosi, per quasi tutto il viaggio. Risultato: sono punto e da capo. Piccolo, sperduto e desideroso di non stare più qui. Abbiamo da poco sorvolato Islamabad e tra poco più di un’ora dovremmo atterrare a Delhi. Aeroporto di Delhi: che delusione! C’è una foschia che non lascia vedere niente.
Katmandu International Airport: sembra di essere un pò a Kabul o come uno se la immagina. Dopo essere rimasti smarriti una volta scesi dalla scaletta dell’aereo, lo si è rimasti ancora più quando è arrivato il bus a prendere i passeggeri. Comunque dopo una lunga attesa, tutto ok per il visto e ad aspettarmi un auto con ben tre persone! Amdo Lobsang, tranquillo e pacioso baffuto signore, con cui mi ero relazionato per mail durante questi mesi di preparazione dall’Italia, tibetano rifugiato, così mi spiega, dallo sguardo sereno e l’evidente incapacità di nuocere a una mosca, una guida, ragazzo non più giovanissimo dallo sguardo vispo e leggermente furbetto e l’autista, giovane, impegnato a manovrare l’enorme volante del mezzo, tra le strade sterrate, buche e l’incredibile caotico traffico della città. Appena mi vedono mi porgono al collo la classica sciarpa bianca di seta e lanciano i miei bagagli sul tetto del mezzo, facendomi gentilmente accomodare accanto all’autista. Mi portano alla Guest House: Thorung Peak Hotel. Onesta e pulita, ma chiamarlo albergo forse è un pò troppo. Siamo nel cuore di Thamel, il centro storico e turistico della città. La location è indubbiamente ottima. Mi ripiglio un attimo salendo in camera e, dopo una chiacchierata organizzativa con i miei interlocutori, nel giardinetto prospicente l’ingresso dell’albergo, mi tuffo in Ktm quando ormai è sera.
È il 26/10 e ho in pratica viaggiato per un giorno intero e anche più, a causa del fuso, in avanti di 3 h (che poi diventeranno 4, con l’ora solare) e 45! Non ho idea di dove andare e di dove mi trovi esattamente. Non ho una mappa e poi da queste parti non c’è traccia di una via o nomi di strade, quartieri, ecc. Faccio solo attenzione a cercare di ricordare il tragitto, senza esagerare nell’allontanarmi. E poi mi hanno già dato la ‘card’ dell’albergo, dovessi mai perdermi…. È ora di cena e, senza alcuna esitazione, entro in un posto che mi pare giusto per mangiare. All’interno del locale c’è la foto del Dalai Lama appesa al muro. Una sorridente Signora, dall’aspetto, credo, tibetana, al banco accoglie i clienti smistandoli ai tavoli e mischiando le carte tra gli avventori del locale. I tavoli sono da quattro/sei e spesso si viene invitati ad accomodarsi con altri clienti già seduti. Il posto si chiama ‘Yak Restaurant’ e si mangia benissimo. Conosco così una guida ucraina che, informatosi sui miei programmi di viaggio in Nepal, mi consiglia di aggiustare il percorso del trekking, perchè secondo lui in basso stanno costruendo nuove strade che rischiano di rendere fastidioso (e polveroso) il percorso a piedi. Mi sembra un buon consiglio. Crollo dal sonno
27/10 Kathmandu
Colazione dopo una bella dormita, poi ‘briefing’ con i miei interlocutori per il trekking in programma. Manca però lo sherpa, inizialmente anche lui previsto per la riunione. Ma la cosa non mi preoccupa affatto. Sento di essere tra Amici. Concordiamo alcune modifiche al programma e fissiamo di rivederci per l’una. Faccio un giro a piedi per Thamel. Non ci sono parole per descrivere: Napoli in confronto è Svizzera. Mi aggiro stralunato per le strade della città tra canti di preghiera, mucche e vitelli coricati sulla strada, venditori, auto, moto, risciò, e procacciatori di ogni tipo di servizio. Improbabili guide, venditori di ogni possibile amuleto ben augurante (uno lo compro e anche a caro prezzo, prima patacca ‘appioppata’!). Ma non entro in nessun templio e non visito nessun museo: solo la strada.
All’una nuovo incontro. Questa volta il ‘Porter’ c’è. E’ arrivato. Viene dalla regione dell’Everest. Capisco subito che mastica un pessimo inglese (saremo in due… a quanto pare), ma mi piace. Prendiamo accordi per la partenza dell’indomani, apportiamo le ultime modifiche al percorso del trekking, come da me richiesto, anche sulla base dei consigli della guida ucraina. Pago il servizio in questione anticipatamente a Amdo, l’intermediario così come concordato e declino l’invito da parte dell’altra guida, Ang Ngima Sherpa, con cui però ci scambiamo l’indirizzo mail, il ragazzo maturo che si era gentilmente offerto per accompagnarmi a fare un giro in città. Ho voglia di scoprire il territorio da solo.
Pomeriggio: dopo l’incontro, concentrazione e massaggio Shirodara (quello con un filo d’olio caldo che viene lentamente fatto scorrere sulla fronte, che avevo deciso di provare da tempo). Confidavo sui suoi proverbiali effetti taumaturgici, ma nonostante la professionalità e bravura dell’autore, con me non c’è stato niente da fare, sono rimasto la solita testa dura. Poi a letto presto, dopo la puntuale cena allo Yak durante la quale incontro un signore italiano con il giovane figlio, residenti in Svizzera, che invito a sedersi al mio tavolo per la cena e che, in partenza per l’Italia l’indomani, mi raccontano la loro entusiasmante esperienza nepalese. Il ragazzo in particolare, mi sembra entusiasta e il padre, attivo nel campo della ricerca farmaceutica, se ho ben capito, mi racconta dei loro contatti con un centro di assistenza nei pressi di Kmd in cui lavora un loro amico.
E’ ora di ritirarsi: l’appuntamento con il ‘porter’ per l’indomani è fissato per le 5.30!
28/10/12 Starting Trekking Day 1 Kathmandu- Besishar- Jagath
Puntualissimo arriva Geljen a cui consegno il ‘luggage’ da trasportare. Per fortuna avevo predisposto un borsone con manici, tutto sommato resistente, perchè quello è e quello resterà per l’intero trekking! Ci aspetta un taxi per portarci alla stazione bus. Stazione? Dopo mezz’ora in mezzo alla strada, sterrata, al freddo e al buio in mezzo a fumi, grida, clacson e gente che cammina sulla strada, carichi come camion, saliamo sul mezzo che ci condurrà a Besishar in ca 5 ore. Il mezzo, il pulmino intendo dire, in confronto ai vari bus ai miei occhi apparentemente mezzi scassati parcheggiati tutti intorno, non è male. Mi fanno sedere accanto al guidatore, per fortuna. Dietro c’è un gruppetto di ragazzetti nepalesi che schiamazzano. Il porter ne approfitta per dormire, sdraiandosi sulla seconda fila di sedili. Deve essere sfinito per il viaggio di 2 gg. di cui uno e mezzo a piedi per venire a prendermi. La musica a tutto volume viene incessantemente cambiata a turno dai ragazzi che si spingono in avanti dai sedili posteriori, a manovrare la radio accanto al guidatore. L’autista è decisamente un bel soggetto. Indossa uno stano copricapo e ha uno sguardo sovra eccitato e un sorriso indecifrabile. Mi guarda, anzi non mi guarda, con diffidenza. Ma mentre guida, a tratti prende a muovere il busto spingendolo in avanti, ritmicamente, soprattutto in fase di sorpasso (sembra una sorta di amplesso), come se volesse spingere il mezzo che sta conducendo, soprattutto durante i frequenti sorpassi (molto dei quali in curva) il cui esito, rigorosamente inizialmente incerto, veniva a scoprirsi solo dopo il completamento della curva in questione (se sono qui a raccontarlo vuol dire che, non chiedetemi come… ma sono andati tutti a buon fine). Dopo un paio di soste per uno spuntino presso una sorta di baracchini con polli appesi, ciotole di cibo cotto, tra cui riso, verdure e non so cos’altro, tea, bevande confezionate, ecc, milioni di colpi di clacson e colloqui improbabili dell’autista con persone sul ciglio della strada a chiedere ed aspettare non so cosa, arriviamo finalmente a destinazione. L’autista ha viaggiato tutto il tempo con il finestrino completamente abbassato, non chiedetemi perchè, e considerate che quando siamo partiti e per tutte le prime due ore di viaggio ci saranno stati ca. 5 gradi di temperatura. La differenza tra il dentro e il fuori, mi pare di capire, qui in Nepal è estremamente labile.
Arrivati a Besisahr, la città da cui partirà il nostro trekking, vengo a scoprire che si potrebbe arrivare fino a Chame, prevista come terza tappa del percorso, in bus/jeep bypassando quindi quasi i primi tre giorni di trekking. Questo non ci è possibile, non so perchè, ma riusciamo tuttavia a risalire in bus fino a Jagath, a circa un giorno e mezzo di cammino da Chame, cioè risparmiando poco più di un giorno a piedi rispetto al tragitto inizialmente programmato. E’ vero che ci perdiamo tutto l’ambiente di questo primo tratto di percorso. Però ormai la strada esiste e ostinarsi a camminare a piedi in mezzo al traffico di jeep, bus, moto e quant’altro può non essere il massimo.
Il viaggio sul secondo bus/jeep è veramente difficile da raccontare. Mi ritrovo in un sedile accanto a un signore australiano di una certa etá e stazza. Non riesco a starci e all’inizio mi siedo su un piccolissimo bracciolo. Sembra uno di quei pulmini gialli, quei minibus per le gite scolastiche dei bambini, ma in versione fuoristrada. Quando il bus parte le oscillazioni sono tali da farmi ben presto precipitare nell’angusta seduta. Il bracciolo è saldamente piantato nella milza. Il livido lo sentirò per una settimana. Una signora nepalese davanti a me mi siede quasi in braccio e mi utilizza da spalliera. Alla mia sinistra un ragazzino nel darmi informazioni quasi mi bacia. Insomma tre ore di autentica tortura appena alleviata da una coloratissima e ritmata musica indo-nepalese sparata dall’autista a tutto volume: l’unico modo per cercare di arrivare a destinazione. Inutile dire che considerando le espostissime cenge percorse in alcuni tratti ritengo un vero miracolo essere riusciti ad arrivare a destinazione.
Poi la scoperta di dove si era arrivati: sembra un film, ma non lo è. È quasi impossibile descrivere come vive questa gente. Comunque il lodge (qui li chiamano ‘hotel’, ma in pratica si tratta di una sorta di ‘rifugio’ con piccole camerette spartane a più letti e un’area comune dove mangiare) dove decidiamo di pernottare, il cui ingresso è collocato esattamente davanti a dove ci lascia il bus, è decente. Ho una camera singola in una specie di cameretta in muratura, ma i servizi sono quasi inesistenti e la cena, e successiva colazione, non esattamente indimenticabili.
Sentendomi improvvisamente tagliato fuori dal mondo, il telefono non prende più, la mia avventura serale consiste nello scrivere una mail nella stanza tv di un ‘hotel’ attiguo, dotato di servizio internet a pagamento, in mezzo a una quindicina di ragazzi e uomini tibetani che mi guardavano. Poi a dormire con i miei pensieri di questi ultimi tempi, da ‘horrible mind’, che purtroppo non mi abbandonano più.
29/10 Day 2 Jagath-Bagarchhap
È sera, sono quasi le 6, sono nella sala pasti del lodge che abbiamo scelto per pernottare. Siamo partiti questa mattina intorno alle 8 dopo aver fatto una chiacchierata con tre ragazzi francesi: un’aspirante guida che viaggia da solo a grandi falcate e una strana coppia di soggetti, giovani quanto ambigui. Prima di partire, una delle donne del locale in cui abbiamo dormito la notte precedente, vedendomi fare la barba nel cortile di fuori, alla ceca, mi offre gentilmente uno specchietto, di cui faccio tesoro, per completare la rasatura. Abbiamo camminato tutto il giorno e ora siamo poco sopra i 2100 m di quota. Fa freddino, altri ospiti hanno su un cappello di lana. Non c’è verso che chiudano la porta. Sembra incredibile, ma qui la distanza tra il dentro e il fuori, torno a ripetere, è quanto mai labile. Aspettiamo la cena per andare a dormire. Ho su pile leggero, pile medio e orsetto.
Siamo arrivati a Bagarchap dopo sette ore (reali) di cammino e oltre 1000 m di dislivello considerando i vari sali-scendi. Bello, bellissimo, ma come sovente capita di vedere in montagna ovunque si vada. La differenza è che qui ci vivono. Incontri i bimbi che vanno a scuola, uomini che trasportano carichi impossibili, anziani con cavalli. E poi le dimensioni… ti accorgi c’è qualcosa di immensamente grande. Ponti sospesi lunghissimi da attraversare in continuazione. Molti punti di ristoro. Il mio amico ‘porter’, che ha 31 anni, mi raccontava in uno stentatissimo inglese di non avere corrente e gas dove vive. I suoi bambini (ne ha due, uno di 11 e l’altro di 8) quando dovranno andare alle superiori dovranno fare 1 h a piedi per andare e altrettanto per tornare. Lui stesso per lavorare nei campi fa 3-4 ore a piedi al giorno, spesso con sulle spalle i carichi necessari alle mansioni. Ogni tanto va al mercato per cercare di vendere qualcosa: 4 h per andare e altrettanto per tornare caricato all’inverosimile con i caratteristici enormi cesti che usano da queste parti. Per caricare le batterie del cellulare deve andare da quello che nel villaggio ha un pannello solare, pagandogli il dovuto. Sogna di avere una mountain bike e di trasferirsi a Dubai per avere un lavoro fisso. Per venire a Kmd a farmi da porter ha viaggiato 2 gg di cui uno e mezzo a piedi. Altrettanto farà a fine lavoro.
Ho visto da lontano il mio primo ottomila, il Manaslu e più da vicino si sono affacciati i primi settemila, Lamjung e Annapurna II. Siamo nell’ennesimo villaggio tibetano: urca se è dura!
Facendo mente locale al percorso da completare mi sono accorto che c’è un errore nel ‘plan’ e manca un giorno. Forse dovremo rinunciare all’unico giorno di riposo previsto per riuscire a starci dentro. Questo vuole dire però almeno altri 8 giorni serratissimi davanti di cui la metà veramente duri senza alcuna pausa. Non so se ce la farò. Sempre meglio che tornare a ‘casa’ e affrontare il disastro che mi attende.
30/10/12 Day 3 Bagarchhap-Bhratang
Dormo, una cosa irraccontabile. Benissimo e in una stanza accogliente e un buon letto nonostante la ‘spartanità’. L’indomani non suona la sveglia e il mio amico ‘porter’ capisce meglio con chi ha a che fare. La nottata è stata perfetta, la sistemazione eccellente. A pranzo ho preso solo del pane arabo con il nostro formaggio italiano portato da casa… e a cena: spaghetti! Non esattamente al dente, il sapore un pò strano, ma almeno sospendo fritto e spezie. Il territorio è interessante, ma camminare dopo la tirata del giorno prima lo è molto meno. Qui tendono a farti pagare anche l’aria che respiri. Carica telefono, acqua, internet, ecc. Siamo ancora in basso e c’è molta gente che fa turismo. Dai soliti trekkers, comitive di una certa età, con quello che fa lo spiritoso e l’altro che è invasato. Poi ci sono quelli raffinati, dalla coppia assolutamente chick e bella al signore australiano nei suoi sessanta avanzati che viaggia da solo tra continue serene risatine con ‘panza’ pari a zainetto. Rompo subito il carica batterie solare che mi ero portato. Il telefono non prende. Il tentativo di telefonata la sera prima è stato un disastro. Stento un pò a rimettermi in moto, ma alla fine vado.
Arrivati a Chame, passati Danaque, Timang e Koto, cambia la musica. Posto molto bello, ma ci si sarebbe potuti arrivare comodamente in jeep. A malincuore, per ragioni di tabelle, decidiamo di proseguire per raggiungere il successivo posto di sosta, Bhratang, un’ora e mezzo dopo, dove troviamo posto per miracolo, ma in un lodge veramente tremendo. Scelta decisamente pessima, anche se dovuta ai tempi di marcia previsti. Un freddo terribile (siamo quasi a 2.900 m), niente corrente, cena da lasciar perdere e camera/tugurio con letto tavola legno per non dire dei servizi. Alle 6 sono dentro il sacco a pelo per cercare di scaldarmi dopo aver ucciso un ragno grosso come una noce sopra la mia testa. Inutile dire che non riesco a prendere sonno. La testa abitata da mille pensieri di tutti i tipi, non vedo l’ora che venga giorno per andarmene da quel posto.
Eppure nella ‘stanza’ accanto prima di andare a dormire e la mattina presto prima di alzarsi, un uomo, forse il gestore/proprietario recita canticchiando le sue nenie di preghiera, forse mantra o non so cos’altro. Siamo in Nepal, ma sembra Tibet.
31/10 Day 4 Bhratang-Ngawal
Siccome non ho dormito quasi niente alle 6 sono in piedi. In Nepal non esiste il concetto del lavandino, tanto meno dello specchio. I denti non sai mai dove lavarteli. La barba poi… Poi ci sono questi strani antri/cabine in muratura, scuri, senza una mensola un gancio, che loro chiamano hot shower e al cui interno in effetti dell’acqua leggermente scaldata dal pannello solare c’è, ma ‘vattici’ a provare…..per non dire che poi devi uscire magari con la temperatura sotto zero e raggiungere la tua stanza dalla parte opposta. Nel posto dove ho dormito, a scanso equivoci, addirittura c’era solo una latrina.
Comunque via… e alle sette di nuovo in cammino diretti a Pisang passando per Dhukur Pokhari. Man mano che il sentiero sale tra boschi di pini e ginepri si scorge una parete immensa che, si dice, gli spiriti dei defunti devono risalire, prima di abbandonare completamente il corpo. Incontriamo uomini con carichi impossibili e carovane di asini guidati dagli ‘autisti’. Dall’altro greto del fiume stanno costruendo la strada. Quindi tutto questo durerà poco. Di tanto in tanto già sfreccia qualche moto su tracciati impossibili. Finita la salita si apre uno scenario davvero magnifico: Pisang. Un luogo assolutamente particolare. Bandiere delle preghiere tibetane sventolano ovunque. Lo scenario è incommensurabile, vastissimo con l’Annapurna II che con i suoi quasi ottomila svetta imponente. Mi viene subito voglia di salire verso Upper Pisang e lo scenario si fa impareggiabile. Ancora più in alto tra Gompa, ruote della preghiera e bandierine svetta un monastero tibetano. Devo ammetterlo: un pensierino ce l’ho fatto: chissà se accettano europei, magari per soggiorni brevi. Mangiamo in uno dei numerosi ‘hotel’ uno squisito pane tibetano cucinato con amore da persone dolcissime. Il mio amico Geljen è estasiato dal suo piatto. Di tanto in tanto risuonano le nenie di mantra e preghiere. Questa gente prega tantissimo e luoghi come questi sono pregni di Spiritualità.
Dopo una lunga e deliziosa sosta per visita, pranzo e relax, con breve chiacchierata con una coppia di ragazzi, lei polacca, lui australiano, che si sono incontrati a Londra, decidendo di fare insieme questo viaggio, semplicemente in amicizia, ci incamminiamo lentamente verso Ghyaru che si trova al culmine di una lunghissima salita che ci conduce a quota 3670. Posto incredibile anche questo, che visitiamo con velocità, ubriacati dalla vista delle montagne che ci circondano: Annapurna II, III e IV, Annapurna, Pisang Peak, Chulu East e Chulu West. Compro una collanina di scarso valore, per 500 rupie da una simpatica signora che aveva piazzato li il suo banco. Decidiamo tuttavia di proseguire per Ngawal, a circa un’ora e mezza dove arriveremo per le 16, quando purtroppo non possiamo più godere del sole.
Durante la giornata odierna sono comparsi i primi yak.
Mi danno una camera con vista Annapurna e faccio una doccia calda che é meglio non raccontare. Cena e poi a scrivere un po’ di queste note e a studiare l’itinerario per l’indomani. A un certo punto decidono di accendere la stufa nella sala cena! Possiamo togliere cappelli guanti e sacchi a pelo. La serata, dopo essersi scaldata, va decisamente meglio. Incontro nuovamente i due ragazzi che viaggiano insieme, l’australiano e la polacca. Faranno anche loro il passo e concluderanno il trekking salvo poi restare fino a fine mese a Kmd e poi volare a Bangkok per una quindicina di gg (mica scemi, un’idea, direi, per poi lui tornare a casa e lei proseguire per Cambogia, Vietnam, magari cercando lavoro).
Ho girato più ruote di preghiera oggi……
01/11/12 Day 5 Ngawal-Khangsar
Dormito molto bene. Sogni sempre più strani, ma i pensieri purtroppo sempre più cupi. Ci rimettiamo in marcia con calma verso le 8 meno 10 da Ngawal in direzione Bragha dove visitiamo uno spettacolare Gompa. Ma tutta la zona è pregna di simboli e rimandi alla tradizione tibetana e buddhista. I monaci e i Lama ci sono. Si recano in questo luogo per le puje, ricevono posta, ci sono dei pacchi/lettera a loro indirizzati, ma non si vedono. Saranno come al solito ritirati in alto. La zona é parecchio desolata, con campi di grano saraceno e d’orzo, ma non è desolante. Le famose torte di mele e dolcetti descritti dalla guida ci sono davvero, e anche i forni che vendono pane di tutti i tipi! Ancora mezz’ora e arriviamo a Manang (3540 m). Da come la descriveva la guida mi aspettavo quasi una città. Invece siamo sempre lì, anche se più grande e con parecchi negozi che vendono di tutto. Pranziamo sotto un fantastico sole con Annapurna e Gangapurna che sembra di toccarli. Qui la guida Lonely Planet suggerisce di fare un doppio pernottamento per favorire l’acclimatamento, pertanto c’è un certo movimento di trekkers ecc.
Ma noi devieremo verso Khangsar abbandonando il percorso principale che porta al passo Thorong La, per compiere un anello in direzione del Tilicho Lake (il lago più alto del Nepal). Un’altra ora e mezza buona di cammino e così anche oggi fanno ca 5h, con almeno 450 m di dislivello. Questa è stata la nostra giornata di riposo! Compaiono i primi doloretti, anche se per adesso niente di grave. Stamattina ho ritenuto di indossare l’abbigliamento da alta montagna, ma forse potevo ancora aspettare. Kanghsar (3745m) é piuttosto defilata rispetto all’itinerario principale. Lo si capisce dai prezzi e dal fatto che noi siamo gli unici ospiti del lodge dove abbiamo deciso di pernottare. Il proprietario ama chiacchierare e mi ubriaca per convincermi a restare. Ci dà la solita stanzetta gelata e con infissi fatiscenti, ma c’è la luce. Cerco di ottenere qualche informazione in più rispetto al percorso che intendiamo fare, prendo un tea sorseggiandolo su una bella terrazza a godermi l’ultimo sole che ahimé presto andrà a nascondersi dietro la montagna. La vista è magnifica, ma lascia senza parole, non so perché. Decido di andare a riscaldarmi in cucina dove c’è una tiepida stufa. Parlo, si fa per dire, un pò con il gestore e il mio amico, anche perchè siamo gli unici occupanti dell’edificio, ma poi penso che sarà meglio ritirarmi in camera, anche perché se continuo a guardare in questo nero totale dell’ambiente gli utensili con cui cucinano, la tinozza piena d’acqua in cui lavano tutto, ecc., rischio di non mangiare più. Il mio amico Geljen ha cucinato per me un’ottima zuppa e un piatto gigantesco di… pasta! Esatto, qui la fanno spesso. Solo che è un pò dolce. Dolce come lo è questo ragazzo. Vorrei fosse mio figlio, in fondo avrebbe potuto esserlo davvero. Mangio in cucina perchè c’è il fuocarello. Nel frattempo sono arrivati un pò di lavoratori locali, forse porters, chiassosissimi, ma almeno c’è qualcuno.
Il tipo del lodge mi invita a prendere il tea a casa di sua madre che sta a sua volta preparando cena per Geljen. Accetto di buon grado e finito di mangiare ci avviamo. Con le torce, facendo ben attenzione a non pestare il tappeto sacro di cacche varie, passando tra capre, buoi, e non so cos’altro, entriamo in una stalla, con degli agnellini.
Siamo arrivati: da un lato una ripidissima scaletta appoggiata in legno ci conduce al pianale di legno soprastante. Una sorta di anticamera alla stanza dove troviamo due anziani signori accovacciati alla maniera del loto di lato ad una stufa con dentro legna che arde. Sono entrato senza scarpe, ma per il nostro metro di giudizio questo tipo di pavimenti sono dei tavolati malformi. Mi invitano a sedere su di un tappetino pieno di macchie sapienti. Cerchiamo di scambiare qualche parola soprattutto con la Signora, nel frattempo intenta a preparare la cena per Geljen che siede accanto a me così da formare un quadrato. Intorno, una sorta di mensole con ciotole e ingredienti vari in un’altra parte della stanza una sorta di magazzino con ammucchiato di tutto. Sul soffitto pezzi di carne ad essiccare, credo di yak che il mio amico mi fa notare essere una prelibatezza divenuta di questi tempi molto costosa. L’uomo non incrocia mai il mio sguardo. Accanto ha una radiolina vecchia e impolverata appesa alla parete con uno spago. Ogni tanto emette una sorta di flebili lamenti. La donna, credo cerchi di farmi capire che qualcosa non va con i polmoni dell’uomo. Poi mi fa intendere che vuole sapere da dove vengo. Rispondo Italia, Europa, ma lei sembra voler chiedere il luogo. Dico Firenze, Roma, ma il discorso cade. Allora sono io a cercare di chiederle se sono originari di li oppure se vengono da altre parti. Lei dice Kmd, mentre pulisce con le mani, le sue mani totalmente scure e funzionali a tutto ciò che fanno in continuazione, con molta attenzione, la ciotola in cui va a versare il the al mio amico. Poi fa lo stesso con me. Un tea salato, ma buono. In pratica queste due persone, di qui a poco, per evitare il freddo e la neve imminenti, faranno in una giornata di cammino, la stessa strada che ho fatto io fino ad arrivare a Chame, per poi fare un giorno di bus e sistemarsi in qualche tempio per passare i tre mesi invernali.
Non riesco ad immaginare tutto questo. Mi chiedo come sia possibile. Io vengo da li e sono mezzo morto dalla stanchezza. L’uomo che mi sieda davanti, oltre che anziano, non sta bene. Come può essere possibile tutto questo? Continuo a bere tea. La donna serve la cena a Geljen. Con un mestolo mette questa sorta di pappa polenta bianca in un piatto su cui poi sopra versa una sorta di zuppa con, credo dei pezzi di carne di yak. Geljen affamato ci si tuffa con le mani, le stesse mani che fanno tutto, e mangia con appetito e gusto. Verso la fine del pasto, la donna mi offre un mestolo di questa pappa che prendo con la mano e mando giù a forza di tea. Alla fine chiedo se posso scattare delle foto.
Giro un breve video per ricordare i loro nomi e ringraziarli per la calorosa ospitalità. Riguardano le immagini divertiti e sorridenti ne più e ne meno di come avrebbero fatto mia madre o i miei suoceri,,,, Buonanotte.
02/11/12 Day 6 Khangsar-Tilicho Base Camp
Siamo al fatidico Due Novembre. La notte è andata, la sistemazione non è delle migliori. Mi accorgo di aver lasciato non so dove anche le utilissime ‘salviettine’ disinfettate. Ogni giorno ne combino una. Perdo le banane, non so se mi spiego, poi la borraccia, poi il carica batteria solare, infine le salviette. Pur svegliandoci all’alba e saltando quasi completamente la così detta toletta, partiamo solo alle 8.
Sono un pò preoccupato dal percorso che ci attende e che la guida dà solo per escursionisti esperti.
In un’ora appena saliamo al lodge soprastante (dato per 2h) e a 10′ troviamo un bel posto di ristoro. Poco sotto il lodge c’è un cartello che indica Yak Kharka, il paese in cui saremo diretti al ritorno dal lago. Questo vuole dire che non dovremo ridiscendere fino a Khangsar l’indomani, come invece pensavo che avremmo dovuto fare. Peccato che vi abbiamo lasciato mezzo bagaglio (!), consigliati dal gestore del lodge. È incredibile come i nepalesi non riescano a considerare minimamente possibilità di questo tipo nel darti consiglio. Magari contavano in un’altra nostra notte presso di loro e quindi ti dicono ‘lascia tutto qui’. Purtroppo nella mia cartina questa deviazione non è contemplata. C’è una sorta di cono d’ombra nel tracciato riportato e il percorso da fare non è chiaro. Per farla breve il mio amico Geljen si offre, per l’indomani, di andare a prendere il bagaglio e ritornare al bivio per farmi evitare di allungare. Potrà farlo scarico e stimiamo in un’ora e 1/2 questo suo supplemento di sforzo.
Dopo una lunga e piacevolissima sosta in cui avvistiamo le prime blue sheeps (sorta di stambecchi/caprioli) ci muoviamo verso le 10. Alle 11,45 siamo al Tilicho Base Camp. Meno di tre ore reali (lo davano per 4/6).
Alla fine di questo espostissimo e lungo traverso un cartello recita ‘thanks’ a ricordarci che in percorsi simili ci vuole sempre un pò di fortuna onde evitare di avere problemi più o meno seri. Ma noi nella nostra vita quando compiamo azioni di un certo impegno e riusciamo a compierle ce lo ricordiamo più di ringraziare? Oppure preferiamo commentare ‘si, va bene, l’abbiamo fatto, ma non paghiamo perchè il servizio non ci ha soddisfatto….’ Inqualificabili.
Quello che dall’alto della loro saccenza certi occidentali definirebbero ‘indecente sudiciume’ guardando a come questa gente vive, ai luoghi che abitano e alle loro mani è direttamente proporzionale alla limpidezza che pare di scorgere dalle loro menti, anche in quelle dei più ‘furbetti’. Arrivati a un certo punto prevale la solidarietà. Unico modo per rendere tutto più sopportabile e perchè no, a tratti anche divertente. Ma non si tratta di una solidarietà miserevole, bensí compassionevole cioè condivisa. La montagna, quel percorso, è il tuo quanto il mio e per passarvi dobbiamo entrambi considerare le medesime difficoltà e cosí via in avanti per tutte le altre funzioni della vita giornaliera.
A ricordarmi da dove veniamo al Tilicho Base Camp troviamo un bel gruppetto di tedesconi di una certa età che sghignazzando con la loro aria di conquistatori del mondo (vorranno perdonarmi mia cognata e famiglia che vivono in Germania, ma ogni paese hai i suoi aspetti meno positivi…); si sono subito riservati un’intera area con tavolini, sedie e relativi spazi guardando con occhi torvi chiunque si aggiri nei paraggi, non abbia mai a pensare di invadere il loro spazio…….
Comunque è prestissimo, prendiamo alloggio e pranziamo verso le 12,30.
Oggi ci attende una giornata di semi riposo (3h e ca 550m) in vista della faticata che ci aspetta domani. Poi no electricity, no phone signal, quindi passo e chiudo altrimenti domani niente energy per photos.
3/11/12 Day 7 Tilicho Base Camp-Tilicho Lake-Shree Kharka
Settimo giorno di trekking e sesto effettivo di camminata. Ieri sera la serata è andata bene nonostante il freddo becco (Uhmmm, Becco!?). Mi hanno raggiunto al tavolo due ragazze, entrambe viaggiano da sole. Abbiamo così costituito il Lonely Trekkers Club. Hagit, molto giovane e gioviale è Israeliana. Arriva dall’India dove è stata per dei mesi a fare corsi di tutti i tipi, yoga, gioielli, massaggi, ecc. poi andrà non so bene dove altro per chissà quanto ancora e appena ha saputo che sono di Firenze ha detto che a febbraio verrà a trovarmi. L’altra ragazza viene da Santiago del Cile! É stata ospite in un monastero buddista per dei mesi, dopo aver trovato le debite informazioni per esserlo, in internet, poi ha iniziato il trekking con un amico, per non girare sola, incontrato durante il soggiorno in monastero. L’altra ha assunto un ‘porter’. Beata gioventù! Tutte poveracce, immagino.
Comunque si incontra davvero di tutto, uomini e donne ultrasessantenni che vagano da soli con fare stralunato, ma sicuro, giovanissimi anche sotto i venti, qualche comitiva, davvero tante donne sole o in coppia, di tutte le età.
Ad ogni buon conto stamani sveglia alle 5. Mi dispiace per le ragazze, con cui c’era una mezza intesa per andare insieme, ma noi alle 6 e qualcosa partiamo. Con i circa 1200 m previsti per oggi e le circa 7 h di cammino, a stasera altri 50 km e quasi 2000 m di dislivello andranno ad aggiungersi a quanto fatto nei primi tre gg per un totale di ca 120 km e 5000 m di dislivello in 6 gg. La salita al lago si fa sentire: se non sono 3 h poco ci manca, 900 m tra i 4200 e i 5100. Mi sembra di andare bene. Alle 9 circa siamo su come previsto. Ovviamente il posto è molto bello, ma il lago non è affatto gelato. C’è addirittura una sorta di piccolo ‘ristorante/bar’ dove ci prendiamo un tea caldo. Ho su un numero imprecisato di pile sebbene la giornata sia magnifica e ci sia un sole splendente. Dopo poco giriamo i tacchi e torniamo indietro.
Ci attende un lungo percorso fino all’incrocio con il sentiero per Yak Kharka, (letteralmente, il pascolo degli Yak). Scesi dopo un interminabile discesa mangiamo qualcosa, ma accuso un pò di mal di testa, credo per un principio di insolazione. Questo per aver camminato un’oretta senza cappello! Speriamo passi. Attraversiamo di nuovo l’espostissimo sentiero già percorso ieri. Per fortuna va tutto bene. Anche questa volta possiamo dire: grazie!
Verso le 14 siamo a destinazione dopo una giornata di oltre 7 ore di cammino e quasi 1200 m dislivello. Il lodge dove pernottiamo è tra i meno peggio. Geljen mi fa prendere subito una zuppa di cipolle, la mia preferita! Dice che per il mal di testa fa bene. Non faccio altro che incontrare ragazzi e ragazze che sono stati per un certo periodo (settimane/mesi) nei monasteri tibetani a meditare. No internet, no phone, no niente insomma. Non mi sembra un’idea così cattiva per disintossicarsi, ma: come fare?
Qui, quando si arriva dal trekking se se ne ha la forza si può fare bucato, lavarsi, ecc. C’è un sole che ti ammazza. Appena tramonta dietro l’immancabile picco, si muore immediatamente dal freddo e l’unico rimedio é infilarsi dentro il sacco a pelo fino alla cena momento in cui, dove va bene, accendono un qualcosa di caldo, magari nella cucina e qualcosa arriva anche dove si mangia. Del resto siamo pur sempre a 4020 m. Comincio ad accusare parecchi dolorini e indolenzimenti. Siamo solo a metá…..
4/11/12 Day 8 Shree Kharka-Yak Kharka
La serata ieri sera è filata via liscia. Il lodge era carino, tanta gente, ma non ero di spirito per chiacchierare. Troppo stanco e un pò di mal di testa per un principio d’insolazione. Scambio due parole con un ragazzo ungherese e una ragazza australiana. Entrambi hanno deciso di rinunciare al lago per il tratto molto esposto che bisogna attraversare.
Questa mattina ero convinto di trovare l’acqua e invece niente. Tutto gelato. Siamo a quasi 4100. Per farmi la barba devo andare nella loro cucina chiedere una bottiglia d’acqua e uno specchietto che gentilmente mi danno. Poi vado fuori per trovare un angolo, qualche pietra dove appoggiare le mie cose e cerco di fare toletta. Per la prima volta dormo fino all’alba senza svegliarmi mai (solo dopo poco aver preso sonno, sono stato svegliato da dei ragazzi che rientravano). Ero proprio cotto.
Alle 7.30 Geljen purtroppo deve ridiscendere a Khansart per recuperare parte del bagaglio che vi avevamo lasciato. Gli do un’ora di vantaggio e restiamo d’accordo che ci ritroveremo lungo il cammino per Yak Kharka previsto per oggi. Parto verso le 8,10 con un magnifico giorno. La via è indicata da un cartello, ma ben presto mi ritrovo sperso in un immenso declino di vallata con un gippeto, credo, rapace di una certa dimensione simile ad un aquila, che mi volteggia intorno forse attratto dalla mia maglia arancione (in lana merina, davvero perfetta per queste zone e per il tipo di trekking… su consiglio del mio amico Cosimo De Nuccio, scalatore, e di Damiano Guidotti del negozio Climb dell’ottimo Andrea Astorri, a Firenze). Il sentiero prende a salire. Penso che si potrebbe trattare di una magnifica occasione per far perdere le proprie tracce nelle montagne nepalesi. Basterebbe sbagliare un sentiero, camminare per 6/7 ore ostinatamente nella direzione sbagliata e poi la notte, forse, farebbe il resto, essendo io in questo momento senza bagaglio alcuno (sacco a pelo ecc).
Ma alla fine la vallata è una specie di libro stampato e persino per uno come me è davvero difficile perdersi. Dopo poco più di un’ora di cammino, con il sole ormai alto e confortante, quando stavo assaporando la quiete e la solitudine di quell’immenso spazio da dietro un dosso ormai alle mie spalle mi sento dire bonjour… è Geljen, sorta di piccolo principe cresciutello e nepalese, apparso dal nulla, seduto addosso a un terrapieno che, non chiedetemi come, sapeva che prima o poi sarei passato di li.
Beh, ricomposta la cordata, ci addentriamo in questo enorme vallone, salendo per circa un’ora e mezzo fino a un colle per poi ridiscendere precipitosamente per andare a prendere l’ennesimo ponte sospeso che ci avrebbe condotto sull’altro greto del fiume da dove avremmo ripreso a salire per agganciare dopo un’altra ora circa la via principale che da Manang conduce al passo di Thorong La e di li in circa 30/45 minuti finalmente Yak Kharka, dopo poco più di 5 ore di cammino e credo 400/500 m di dislivello: la nostra giornata di riposo o almeno quella che doveva essere tale.
Curioso, alla fine della discesa, prima dell’attraversamento del fiume, quando mai te lo aspetteresti ecco comparire una sorta di luogo di ristoro, credo ‘trasportabile’, tra merci e assi di legno per scaffali. Il gestore in questo caso un vispo bimbetto sugli 11 anni ca, ci mesce ‘motorcorì’ in una ciotoletta fumante. Sembrano piselli, forse seccati poi bolliti in un brodo piuttosto salato. Però buoni. È difficile mangiare male qui in Nepal. Anche nella cucina più oscura conservano un certo gusto e amore per servire all’avventore quanto di meglio sia loro possibile, dalle ottime pietanze locali a piatti cinesi o indiani fino alla nostra pasta, se non addirittura lasagne e pizza.
A Yak Kharka troviamo per miracolo forse l’ultima stanza rimasta, e si vede! Ma il tipo che la gestisce non può che ispirare simpatia e tenerezza e si capisce subito che nella sua stanzetta a fianco delle 2 o 3 camere da affittare, farà di tutto per servirti un ottima cena, sempre che non se la pappino prima i cavalli, al pascolo in libertà nelle vie del villaggio, che di tanto in tanto a turno ficcano il muso nella stanzetta. Ora sono a gustarmi un’ottima torta al cioccolato e una tazza di caffè nel miglior lodge del paese dove avremmo voluto dormire, ma non c’era posto. Prima per la strada avevo comprato 3 mele da un ragazzo disabile del luogo, il primo incontrato. Pensavo fosse bisognoso, aveva cartelli che invitavano all’acquisto delle mele, ad aiutarlo, ecc. Ora scopro essere il figlio dei gestori di questo lodge, evidentemente benestanti. Si sfrutta tutto pur di far su quattrini…Tutto il mondo è paese!
Nella sala in cui mi trovo c’é una tv. Non credo esista una tv nazionale, perchè trasmettono di tutto, da partite di calcio a scemenze varie a filmoni o cartoons. I nepalesi, in gran parte ‘porters’ vi si incollano anche se non capiscono niente, visto che la maggior parte di loro nn conosce l’inglese. Però stanno lì incantati… La musica a commento del film di avventura/fantascienza che sta passando ora a tratti è magnifica e mi fa ricordare improvvisamente cosa ho inseguito per tutta la mia vita e ricordare di quanto avrei amato riuscire a fare qualcosa di simile, di quanto forse c’ero vicino e di quanto tutto ciò appaia ora così distante e remoto. Mi commuovo e devo fare attenzione.
Nella sala c’è un via vai di trekkers che sembra quasi uno zoo. Se ne vedono davvero di tutti i colori. I cappelli poi…. Facce di animaletti, codini stile tibetano, passamontagna effetto burka. Mi interrogo sul senso di questo turismo. Certo, mettiamola come vogliamo: qui arriva il ‘cepperello’ di turno, come il sottoscritto, e con poco si fa una mega vacanza pur sempre in un paese, per dirla all’occidentale, sottosviluppato. Non so quanto di spirituale e di ricerca ci sia in tutti noi e quanto invece di bisogno di sentirsi forse per un attimo, non dico più importanti, ma di confrontarsi con qualcuno che non ti appare fatalmente e inevitabilmente dall’alto. Proviamo a pensare ad esempio a quali sono le nostre sensazioni in cittá del Nord Europa o a città come NY o Chicago.
Non so, l’ideale forse sarebbe riuscire a sentirsi tanto non superiori qui quanto non inferiori nelle civiltà così dette più avanzate. Il senso c’è in entrambe le esperienze. Bisognerebbe sforzarsi di capirlo ed essere capaci di bilanciare e fondere le due realtà.
La batteria è scarica. No signal for phone, sono le 16,28, anche qui dentro fa un bel fredduccio e la sola alternativa è tornare nel cucinotto del nostro locatore di lodge sperando nel fuocarello con cui cucina. Le nostre vicine di stanza sono tre polacche stasera. La cena è fissata per le 18, poi giretto sotto zero di qualche secondo e via a ripararsi dentro il sacco a pelo per ritornare il prima possibile sulla strada, il vero salotto del Nepal.
5/11/12 Day 9 Yak Kharka-Thorong Phedi Base Camp
Ieri sera cenetta a lume di candela con Geljen, il cuoco gestore e tre polacche. Tutti nella cucina intorno al fuoco per non morire di freddo. Tra ambientino come dire, un pò così, puzzo di fumo e cibo un pò heavy, mi sono subito spostato di nuovo nell’altro lodge. Troppi caffé, troppe torte, troppo pesante, sta di fatto che non ho chiuso occhio tutta la notte, anche perchè l’ambientino era veramente al top.
Questa mattina non vedevo l’ora di rimettermi in cammino e così verso le 7 ci rimettiamo in moto in direzione Thorong La o addirittura Thorong High Pass. 4500 il primo 4700 il secondo. Geljen mi lascia e affretta il passo per andare a prenotare un posto letto. Teme di trovare tutto pieno.
Verso le 11, in poco più di 3 h reali di cammino e ca 500 m di dislivello siamo al Thorong La e decidiamo, avendo trovato un letto in camera con un distinto signore giapponese, di non rischiare di andare oltre. Così oggi che non mi sento affatto in forma, facciamo il giusto. In compenso domani giornata campale. 1000 m in salita per raggiungere i 5500 m del passo e poi ca 1800 m in discesa fino a Muktinath! La giornata passa pigramente in questo luogo un pò strambo, pieno zeppo di persone da ogni parte del mondo. Tanti mega gruppi di francesi (Terres des Aventures, Allibert), finché c’é il sole si sta come le marmotte, fuori è freddino, quattro chiacchiere qua e la, mando una mail a caro prezzo (300rs!) e poi un pò mi annoio anche. Tra un pò cena poi a letto presto. Domani levataccia con partenza alle 5.
6/11/12 Day10 Thorung Phedi Base Camp-Thorung La Pass- Muktinath
Ho dormito davvero bene. Non avrei mai immaginato. Anche la cena ieri sera è andata bene e ho gustato un’ottima zuppa e dei fantastici maccheroni al forno. Le solite quattro chiacchiere con i lonely trekkers del momento, un ragazzo olandese, sui trentacinque forse e una ragazza olandese anche lei, forse un pò più giovane, molto carina. A queste ragazze piace molto avere il loro ‘porter’ maggiordomo tuttofare. Comunque fanno la loro strada, spesso, a mio avviso in maniera un pò isterica e poi ci si perde immancabilmente. In fondo se siamo tutti ‘lonely’ qualche motivo ci sarà.
Comunque dopo l’ottima cena, visto i precedenti dell’orribile nottata a Yak Kharka, decido di ritirarmi in stanza, dove per la prima volta dormo condividendo con un distinto signore giapponese, dintorni Tokyo, molto educato e simpatico, sulla sessantina.
Mi addormento in un attimo e alle 3 inizia il folle e nevrastenico via vai dei vari gruppi che con le loro guide vanno all’assalto del passo Thorong La, 5500 metri circa.
Anche il mio coinquilino si alza alle 3,45 per cui a quel punto verso le 4,15/4,30 mi alzo anche io, sebbene già sveglio da oltre un’ora. Verso le 5,25 partiamo dopo una colazione appena sufficiente. Thorung la Pedi Base Camp è però un posto molto particolare. Può ospitare una marea di persone e pensate che pur avendo mandato avanti Geljen questa mattina non siamo riusciti a trovare niente di meglio di una doppia. Molti arrivati dopo si sono dovuti accontentare di posti in camerate. I gestori sembrano usciti da un film su Gengis Khan. Praticamente il collegamento Tibet-Mongolia sorge spontaneo. Solo che poi, alla mia richiesta di Wifi, il tipo Gengis Khan mi prende dalle mani il mio iphone e in un attimo mi digita la pw facendo scattare il tassametro. Per mandare una mail e scaricare il possibile ci lascio il prezzo di una cena, da queste parti s’intende. Comunque ci sono delle stanze con i letti accanto alle vetrate rivolti al sole verso le montagne che sono una favola. Anche il cibo è ottimo e poi mandano dell’ottima musica, occidentale però, con un ottimo impianto.
Una marea di persone di tutte le età e di tutti i generi. Tantissimi ragazzi forti. E poi qui sono almeno un pò organizzati con i bagni e le taniche d’acqua che lasciano un pò in giro per poter aprire i rubinetti e servirsene per lavarsi e farsi la barba.
Comunque partiamo: mi sembra di morire. Ho il cuore in gola. Anche alzare un braccio per mettere un guanto diventa un affanno. È ancora buio, fa freddo, ho su tutto quello che ho (2 pile pesanti 2 medi e maglia, pantaloni alta montagna, calzamaglia e passamontagna oltre guanti pesanti e cappello). Però della giacca a vento non c’è bisogno. Insomma i passi non superano il mezzo scarpone di lunghezza. Geljen secondo me é preoccupato.
Ma devo cercare di trovare il ritmo per riuscire a progredire senza soffocare. Albeggia e di li a poco (meno di un’ora) raggiungiamo l’High Camp 4.700 m, dove avremmo potuto pernottare, ma con il rischio di non trovare posto e avere problemi di quota per dormire. Cominciamo a riprendere gente partita prima, 4,00, 4,30, 5,00. Comincia ad andare meglio. Forse la luce. Dopo circa un’ora raggiungiamo una tea house, ma nn ci fermiamo. Il primo sole mi fa bene e il passo tiene: lento, ma cadenzato. Ormai abbiamo ripreso i grupponi partiti anche un’ora prima. I cavalli con i loro conduttori si aggirano lungo il sentiero come avvoltoi in cerca di possibili avventori trekkers che non mancano. Infatti da li a poco sono tutti occupati, spesso ragazze grassottelle. Si assiste anche a scene spiacevoli come a quelle di persone, anche giovani che tornano in giù con le facce stravolte e in lacrime.
Nell’ultima parte della salita Geljen mi fa un bel complimento invitandomi a tornare per scalare il Thorong Peak che in quel momento si trova davanti a noi. In effetti da quel versante si intravede una traccia sul ghiaccio che zigzagando risale un rapido pendio, credo sud-est, fino ad arrivare ad una cresta che sembrerebbe condurre comodamente alla vetta. In vetta al passo verso l’attacco della via si potrebbe piantare il secondo campo base (il primo potrebbe essere lo stesso High Camp del Thorong. Comunque verso le 8.30 raggiungiamo il passo e con esso la massa di tutti i trekkers che fino ad allora ci avevano preceduto. Devo dire un bel recupero che stupisce me e, credo, un pochino anche il mio accompagnatore. I miei polmoni sembrerebbero ancora funzionare bene e li ringrazio tantissimo.
Sta di fatto che siamo entrambi un pò contrariati dalla confusione: il tempo di prendere un paio di foto, guardarci intorno frettolosamente e via, giù per la discesa.
Pensavo di trovare una tea house, qualcosa per rifocillarci, invece dobbiamo camminare altre 2 h in discesa, a tratti quasi a precipizio, prima di trovare un posto dove rifocillarci e in cui arriviamo alle 10,30 ca. Verso le 11,15 ripartiamo e in ca un’ora siamo a Muktinath dopo ca 6 h totali di marcia e un dislivello di ca 1.300 m. Devo dire non male, il tempo minimo indicato dalla guida.
A Muktinath sembra di essere tornati alla civiltà, il che è dire tutto! Però ci sono una quantità enorme di Lodges (credo più di 15 e molti in costruzione). Nella strada, ovviamente sterrata, sconnesa e in pendio c’è una marea di bancarelle. Fatichiamo a trovare posto (!), ma alla fine mi danno una bella camera con matrimoniale e letto singolo. Accanto, incredibile a dirsi, c’è il mio amico giapponese con cui avevo condiviso la camera la notte precedente. Ritrovo un pò di trekkers incontrati nei gg precedenti e, udite, udite, mi faccio una Hot shower (credo con acqua a 10 gradi max) e mi rado!
Una volta ricompostomi in assetto da bassa montagna con Geljen decidiamo di andare a visitare il tempio, particolare credo, dato l’incontro al suo interno tra induismo e buddismo. Arrivati in cima tra mezzi santoni ruote di preghiera e Gompa vari vediamo delle suore che si lavano in un piazzale in mezzo alle persone e due di loro, non più giovanissime, sono a torso nudo! Da noi si direbbe in topless… Buffo, no? Comunque, dopo essermi preso l’ennesima benedizione, questa volta con segno bianco in mezzo alla fronte, e non più rosso, come nel Gompa di Upper Pisang, facciamo ritorno al lodge.
In serata quando il freddo inizia ad essere pungente anche all’interno del locale, intorno all’ora di cena (in genere verso le 18) ci graziano mettendo una sorta di scaldino sotto il tavolo comune dove ci eravamo nel frattempo accomodati per mangiare con il buon signore giapponese, una coppia di tedeschi di Colonia, più o meno della mia età e che non mi sembravano dei paperoni, ma che raccontavano di essere reduci da quasi tre settimane in Sud Africa e di essere volati direttamente qui in Nepal dove avevano modo di restare fino a fine mese! Ah però…, misteri del mondo dei viaggiatori…. e poi al tavolo con una coppia di ‘paperine’ zona Santa Barbara San Francisco, che ogni tanto mi ritrovo davanti con le loro simpatiche risatine fragorose, pari al vistoso acme cutaneo e perenne ritardo in quelle che sono tutte le loro partenze, i loro arrivi, pasti, ecc. Infine arriva la mia nuova amica Israeliana, Hagit, avvocato criminologo che proveniente dall’India e lì di nuovo diretta dopo la parentesi di un mesetto nepalese, mi da un bel pò d’informazioni su alcuni luoghi del nord India nei pressi dell’area che mi piacerebbe visitare.
Infine tutti a letto: mi accorgo con sgomento che nei nudles mangiati c’erano delle verdure fresche: brutta faccenda, infatti. Corro subito ai ripari inaugurando la farmacia portata al seguito e ingerendo l’apposito medicinale previsto. Fortunatamente la nottata va bene, anche perchè altrimenti avrei rischiato di fare la spola con il bagno camminando su uno stuolo di porters che si erano dovuti sistemare nell’atrio che separava le nostre stanze dalle toilettes. Altri 2000 m e 50 km che vanno ad aggiungersi ai precedenti per un tot. di 7000 m saliti e 170 km percorsi, credo.
7/11/12 Day 11 Muktinath-Tatopani
Entro nell’ultima delle tre settimane del viaggio. Alle 7 colazione e poi via a prendere la jeep per Jomson. Ancora con il japanese e poi una coppia che potrebbero essere padre e figlia, ma non sembra, lei sulla cinquantina e lui ca 70, ma molto in gamba e sveglio, lei sorta di Jaqueline, altera. Sembrano egiziani, dalla lingua sicuramente mediorentale, ma dall’aspetto assolutamente europeo.
Siamo in tre dietro già stipati e aprono lo sportello con l’intenzione di volerci ficcare un quarto passeggero che nn entrerebbe neanche in braccio. Il bello è che insistono, sostenendo che in Nepal indietro si va in quattro. Noi non sappiamo cosa dire, tale è l’evidenza….. Per fortuna alla fine si convincono e partiamo. Avevo letto di evitare di viaggiare in auto in Nepal. Meglio l’aereo. E un effetti il consiglio non è sbagliato. Sarà la prima ora e mezzo di un candido e costante supplizio, nonostante la bizzarria delle circostanze (vedi altri mezzi fermi in mezzo al guado che ci costringono a fermarci, scendere e poi optare per un’alternativa costituita da un ponticello di legno ‘tremabondo’, oppure sosta per pranzo all’ora x nel bel mezzo del percorso, ecc.).
Qui in Nepal i pasti sono sacri, vanno rispettati, bus, jeep, tutti si fermano all’ora dovuta.
Comunque credo di aver rischiato molto più oggi che negli esposti e ripidi pendii dei giorni precedenti. Questo tratto motorizzato ci serve per ‘bypassare’ un buon terzo del tour dell’Annapurna, che altrimenti non avremmo avuto il tempo di fare, e per andare a riprendere con alcune varianti ampliate il tratto conclusivo tra Tatopani e Gandruck/NayaPool.
Devo confessare che nel ridiscendere abbandonando il cuore delle montagne e rendendomi conto di entrare nell’ultima delle tre settimane di soggiorno nepalese, mi prende improvvisamente quello strano senso di nostalgia di quando una cosa presente improvvisamente diventa passato: ricordo.
Comunque dopo 1h e 1/2 di Jeep, 3 h di bus con shakeraggio vario (chiamatemi cocktail, da ora in poi…) e pranzo (a proposito mi sono accorto che sono i cani a ripulire le ciotole dei clienti prima del veloce risciacquo con acqua della pozzanghera fuori il locale che le rende pronte per il cliente successivo!!!) e ca un’altra ora e mezza di jeep in cui abbiamo viaggiato in 14+1 sul tetto (da noi sarebbe stata un 5 +2 o volendo essere generosi + 4), con tanto di benevolo controllo di polizia! siamo finalmente ridiscesi ai ca 1200 m di Tatopani.
Si respira aria vacanziera da queste parti, ci sono le terme, hot springs e il nome del villaggio vuole appunto dire acqua calda. Ma io non ne approfitto, intanto siamo arrivati verso le 15, eravamo alla jeep stop di Muktinath verso le 7,30, quindi quasi 7 ore di viaggio carrozzato in totale compreso gli attraversamenti a piedi di Jomson, il sapersi ri-orientare a Ghasa e le pause, diciamo cosí tecniche. Comunque la passeggiatina nella strada di Tatopani è molto carina. Le terme sono piene di gente, soprattutto ragazzi.
Assistiamo a una simpaticissima lezione di danza tenuta da una deliziosa giovanissima, in molti giocano a Karambut, una tavola quadrata di ca 80×80 in cui facendo ‘schioccare’ le dita fanno carambolare una sorta di tappetti quadrati su una superfice resa scorrevole da una polvere tipo cera bianca. Infine spulciamo per i negozi prendendo qualcosa giusto per arrivare a cena. Incontriamo un pò di trekkers vari tra cui la ‘simpaticissima’ olandesina (ca 1,80 con un bel fisico, piantato, da atleta) che viaggia con il ‘suo’ porter così come tante ragazzine amano fare da queste parti. Ha lasciato il fidanzato a casa, a lavorare, lei stessa lavora alla Shell e soprattutto è molto ‘cordiale’. Nonostante viaggi così tanto e sia effettivamente piuttosto forte come trekker, dà l’idea di pensare che l’Olanda e in particolare la sua Den Haag siano il posto migliore del mondo e forse anche lei si sente la migliore del mondo. Diciamo che non ha ancora assaggiato le delizie che la vita saprà riservarle.
Comunque alloggiamo in un lodge molto carino, camerina piccina, ma confortevole e servizi più che decenti (ci sono addirittura dei lavandini, fuori, ma ci sono). La serata passa tra appunti di viaggio e quattro chiacchiere anche con un altro ragazzo olandese, più o meno stessa pasta dell’altra (d’altronde per loro io sono un ‘sessantenne’, nient’altro).
Presto a nanna, poi all’1,30 sveglia per una telefonata ricevuta dall’Italia e addio sonno. Ne approfitto per scrivere. L’indomani ci attendono Gorhopani m. 2.900 e buoni 1800 m di dislivello per raggiungerla, vero ‘colpo di coda’ di questo trekking.
8/11/12 Day 12 Tatopani-Ghoropani
Siamo arrivati a Gorhopani, m. 2900, in ca 7 ore. Sono le 14,20 ca. eravamo partiti verso le 7,20, ma bisogna considerare la pausa per il pranzo all’hotel Serenidipity, come il titolo del film, davvero paradisiaco, a circa metá del percorso, e poi le varie soste (brevi in verità) per tea e bevande varie. Inizialmente volevo rifiutarmi di farmi altri 1.800 m in un giorno dopo quanto giá fatto. Ho cercato di scanzarla in tutti i modi: jeep, asini, cavalli. Poi abbiamo incontrato la ‘ragazzina’ dioscuro olandesona che sarebbe andata tranquillamente l’indomani dopo aver fatto lo stesso trek nostro (senza il Tilicho però), ma diretta a fare anche il trekking Abs, cioè quello del campo base dell’Annapurna che prevede una salita oltre i 4.000m! A quel punto mi vedevo male sull’asinello passare salutando con la manina gli altri trekkers.
Quindi sono andato. Non solo, va detto che io stento a partire, andrei ovunque pur di non partire, ma quando mi decido, beh….ancora me la cavo. Infatti in poco più di un’ora di cammino riprendiamo la bimbona olandese partita quasi venti minuti prima. Poi dalla seconda parte del cammino in poi, come in genere mi succede, sono come i tori quando gli sventolano davanti il drappo rosso. L’idea di arrivare alla mèta e di togliermi il pensiero diventa così pressante che comincio quasi a correre puntando la cima quando gli altri quasi si fermano. Insomma Geljen (con un carico di oltre il doppio del mio però) arriva quasi mezz’ora dopo. Nell’ultimo tratto recupero un bel pò di trekkers piantati e raggiungo infine Ghoropani (circa quota 2.900 m., ben 1800 metri sopra Tatopani, da cui siamo partiti) neanche tanto provato, anche se si è trattato di un bel tiro. Siamo a 9.000 m totali e ca 200 km complessivi.
Ci attendono domani, con Poon Hill 400 m e poi vari saliscendi verso Gandruck per un tot. di circa altri 1000 m e poi l’indomani da Gandruck a Nayapool, dato circa per 4/5 h e poi bus per Pokhara in serata. Quindi alla fine sfioreremo i 10.000 m e ca. 240 km complessivi, ma saprò essere più preciso dopo le due ultime tappe che ci attendono.
Tornando ad oggi va detto che lo sforzo è stato premiato. Un sole stupendo e una strada accogliente tra boschi, fiori, campi per le coltivazioni con i buoi ancora a tirare l’aratro! Le persone affaccendate ai loro compiti, battono uno strano miscuglio di erbe che mi pare di aver capito diventerà cibo e bevande, vino credo. Bambini ai lati della strada che giocano divertiti o in braccio a mamme nonni e quant’altro. Le galline che razzolano ogni dove. I richiami degli animali da soma mischiati ai vari canti degli uccellini. Poi le grandi montagne che fanno capolino tutto intorno: Annapurna Sud, Dalaughiri, ecc. Davvero un percorso suadente, affascinante. Come passare tagliando nel mezzo una bella torta panna e cioccolato e quello che più vi piace. Arrivati a Ghorepani una delle prime cose che noto è un ‘piccolo principe’ in inglese in una delle poche vetrine dei tre/quattro negozietti nella piazzetta sommitale. Per il resto gli altri lodge e abitazioni sono tutti adagiati sui vari versanti della montagna.
Mi rifugio nel lodge a scrivere, ma presto la situazione si riscalda.
Il sorriso del proprietario è davvero sincero e incoraggiante. Diventa anche caloroso quando di lì a poco decide gentilmente di accendere la stufa attorno alla quale ci sono delle panche per sedersi. Il lodge è piuttosto grande, forse non tra i più carini, ma ha la sua identità e ariosità che lo rendono forte e accogliente. Mentre sono seduto a scrivere compare una giovane signora bionda, dal volto dolcissimo e sorridente che mi offre un secondo cuscino da mettere dietro la schiena per stare più comodo. Resto stupito quanto gratificato per il gesto e l’attenzione. Da li a poco la sala si popola dei pochi clienti che vanno a raccogliersi intorno al caldo della stufa dove sono appesi anche degli indumenti ad asciugare. Si mettono a chiacchierare. Capisco che la signora bionda è danese e che c’è un’altra giovane signora danese, anche lei molto simpatica. Poi c’è un giovane signore cinese, insolitamente simpatico quanto concreto e semplice, poi ci sono i ragazzi del proprietario. Una ‘signorina’ sugli undici anni e una simpaticissima bimba intorno ai due. Si capisce subito che c’è una bella atmosfera, insolita. Mi sento contento e da li a poco sono anche invitato dalla dolce signora bionda a sedermi anche io attorno alla stufa, cosa che accetto di buon grado. Devo dire che la serenità, la semplicità e la simpatia che trapelano dallo sguardo e dalle parole di questa bionda donna che scopro essere dei dintorni di Copenaghen, contribuiscono non poco a rendere speciale la serata. Di lì a poco si aggiunge alla comitiva un signore maturo, credo della mia età, ma che subito si distingue per la giovialità, e anche per una certa stravaganza. Sento dirgli di essere americano, ma di gestire un museo d’archeologia in Irlanda e di aver passato gran parte della vita a suonare per le strade in giro per il mondo: insomma un vero Pazzo che mi suscita immediatamente simpatia. Ecco che la stessa signora bionda mi invita dolcemente a dire di me. E così mi introduco alla comitiva a cui nel frattempo si erano aggiunti una coppia di signori più grandi, simpatici anche loro e credo tedeschi e una ragazza più giovane e dall’aspetto più ‘travagliato’, americano. La bella e dolce signora danese bionda, Tina il suo nome, esibisce a quel punto un lattinone di birra, rigorosamente Tuborg, con un bel gruzzolo di bicchieri. Stappa e comincia ad offrire a tutti i presenti. A quel punto la magia è fatta! Siamo un gruppo di persone affiatato, disposti a condividere e a scambiare: parole, affetto, calore, sorrisi. Il tipo dell’Irlanda comincia a raccontare le sue storie incredibili. Gli altri intervengono alternativamente con le loro esperienze: il cinese, l’altra signora danese, la coppia, la ragazza. Io avverto una specie di miracolo, avverto la solidarietà. Ci spostiamo al tavolo per mangiare, ognuno invita l’altro e condividiamo in parte il cibo ordinato. Insomma ceniamo in allegria e poi ci spostiamo nuovamente attorno alla stufa con anche i bambini del gestore terminando la serata in allegria, quasi fraternamente con i racconti alternati un pò di tutti.
Ma allora il calore, l’amicizia, l’affetto, lo scambio amicale esistono ancora! Perchè io tutto questo pensavo quasi non esistesse più in questo mondo. Mi sento come un cellulare spento perchè scarico che attaccato alla presa improvvisamente ‘resuscita’ rivitalizzandosi. Insomma di li a poco, defilandoci in buon ordine e con la pace nell’animo favorita dalla serata di Amicizia tra persone che non si erano mai incontrate prima e che presumibilmente non si incontreranno più (anche se io ho promesso al mio amico americano irlandese che andrò a visitare il suo museo d’archeologia e che lo ascolterò suonare e invitato la dolce donna danese a venire in Italia) ci ritiriamo in buon ordine per andare a dormire contenti. L’indomani levataccia alle 4,45 perchè ci aspetta la salita al ‘cinematografo’ Poon Hill, 430 m più in alto per vedere l’alba e il sole che sorge tra le montagne.
9/11/12 Day 13 Ghoropani-Poon Hill-Gandruck
Alle 5 in punto, con le frontali accese ci incamminiamo nella processione trekkistica per Poon Hill m 3236, affrontando di prima mattina e di buona lena l’ennesimo dislivello di oltre 400m previsto in circa un’ora e mezza. Dopo un avvio come al solito stentato e in affanno, prendiamo il ritmo e rimontiamo la fila arrivando in cima tra i primi. Ma lo spettacolo nn mi pare affatto entusiasmante. Vedere le montagne in quella confusione è un pò come vedere gli animali allo zoo. Infatti, con estremo disappunto della mia giovane e tanto carina quanto antipaticuccia amica olandese Hester, decido di tornare a Ghoropani quando il sole non era ancora alto, anche perchè nel frattempo mi si era scaricato il telefonino e quindi niente foto. Facciamo colazione nell’accogliente lodge che ci aveva ospitato nella notte, preparo borsa e zaino, saluto i miei cari e magici amici e ci incamminiamo per Gandruck.
Solo che non avevo realizzato che in pratica pur dovendo ridiscendere a ca. 2000 m inspiegabilmente riprendiamo a salire su una ‘collina’ parallela a P.H. e della stessa altezza. Quindi altri 400m abbondanti. Ma lo scenario è magnifico. Questa volta le montagne sembrano più contente di mostrarsi: Annapurna 1, Annapurna South, Dalaughiri, ecc…
Davvero uno scenario incommensurabile e la fatica (già quasi 900m di dislivello e neanche le 8 di mattina!) sembra non farsi sentire. Con il sole inizia una fantastica discesa seguendo il greto di un torrente in un bosco a tratti fiorito dalle cui fronde fanno capolino le varie cime. A volte si odono dei canti d’uccelli che danno la sensazione di trovarsi in una giungla tropicale.
Ripenso alla serata magica del giorno prima, al fatto di quanto sia importante e meglio potersi sentire contenti dentro, in pace con se stessi e a quanto talvolta invece nella vita di tutti i giorni si rischia di ritrovarsi anche a capo di istituzioni, paesi importanti, ecc. magari svuotati del proprio essere. Purtroppo ben presto mi si scarica il telefonino che riusciamo a ricaricare a caro prezzo durante una pausa per prendere un tea. Incrociamo trekkers del Bangladesh e un’agenzia di trekking per sole donne (la maggior parte anziane) tutte accompagnate da giovani portatrici locali.
La discesa è comunque bellissima anche se interrotta dall’ennesima salita (altri 300m! E sono 1100 anche oggi) e anche se in pratica cammineremo fino alle 15, vale a dire 10 ore di filato, pause colazione, tea e pranzo permettendo, prima di arrivare, tra le nuvole, le prime di questi 13 gg di trekking, a Gandruck, ridente villaggetto, a quanto pare caro ai tedeschi, con addirittura qualche pompetta per annaffiare i giardini dei vari lodges. Ma che fatica!
10/11/12 Day 14 Gandruck-Nayapool-Pokhara
La serata precedente si spegne in un nulla di fatto. Il lodge dove pernottiamo conquista il terzo posto sul podio dei peggiori. Un’umidità che si taglia a fette ben accompagnata dal primo giorno nuvoloso, in verità preannunciato dalla grigia serata del giorno prima. Anche gli altri ospiti presenti ben si integrano in questa serata grigia.
Comunque alle 7 eccoci di nuovo in marcia. Purtroppo il Machapure e le altre montagne intraviste al nostro arrivo nella giornata precedente restano nascoste. Così Ghandruck non resterà scolpito nei miei ricordi come uno dei luoghi più belli, anche se in realtà lo deve essere visto il numero di strutture ricettive presenti e la qualità di gran parte di esse e il ‘way of living’ di gran parte degli indigeni residenti.
Ad un’ora di cammino ci sarebbe la possibilità di prendere un mezzo (jeep o taxi), ma noi niente! Non abbiamo budget e continuiamo a camminare… e scendere. Perdiamo quasi 1000 m di quota in ca 5 h in un sentiero spesso terribilmente ‘acciottolato’. Ma il territorio è sempre bello da vedere e la strada resta il salotto di questo paese, anche se la stanchezza si fa sentire. Nella pausa pranzo un gruppo di giovani ragazze svizzere, piene di energia e sana allegria, guidate da una giovane signora, mi offrono, facendomelo scoprire, ahimé troppo tardi, dell’ottimo Masala tea. Tra loro scopro che Rahel, neodottoressa tanto ventiquattrenne quanto sorridente sarà sul mio stesso aereo per Dehli. Verso le 13,30, infine l’agognato local bus su cui monto trafelato in mezzo ad una selva di russi, credo, pronto ad affrontare l’ennesima esperienza mistica derivante da questo tipo di trasporti.
In un paio d’ore abbondanti raggiungiamo Pokhara, tra sorpassi mozzafiato in curva e pause lunghissime per acquisti cibarie e non so cos’altro. Pkr appare subito come profondamente diversa da Kmd e diversa da tutto quanto visto in Nepal fino ad ora. Raggiungiamo in breve l’hotel una volta scesi dal bus, dopo aver percorso gran parte del celebrato lungo lago. Da fuori, l’albergo non è male. Le camere fanno un pò casa al mare di basso livello. Ma posso farmi una doccia davvero calda! Poi Wifi a palla e ci si riconnette, rientrando ahimé nel tunnel. Appena rimessomi in sesto, esco per la città, come sempre in questi casi, attento a ricordare come poter fare ritorno all’albergo. Vita, persone, molle rilassamento. Gran ristoranti e caffè sul lago. A me non piacciono così tanto certi tipi di situazioni, ma dopo due settimane di trekking ininterrotto e l’acido lattico accumulato nei polpacci mi tuffo volentieri in questa aria vacanziera e riminesca.
Le montagne si intravedono appena, siamo quasi al tramonto, ma ci sono, tutte intorno al lago, sullo sfondo in lontananza. Machapure, Annapurna 1, Annapurna South, i vari altri Annapurna, ecc. Mi ficco, a notte ormai fatta e dopo una breve passeggiata sul lago, in uno degli innumerevoli saloni di massaggio, come da manuale. Qui dice siano dei maestri, ma becco un ragazzino che mi sa aveva iniziato il giorno prima e mi fa più male che altro.
Ceno in una sorta di ‘bistrot’ tibetano, un pò dismesso e poi mi isolo a gustarmi un cake con cappuccino che mi costeranno più della cena, ma il bel barretto all’aperto con WiFi mi consente durante tutta la serata, di rispondere alle mail più urgenti e riprendere contatti con il mondo, anche se il mondo non è che abbia tutta questa necessità di stare in contatto con me, a quanto pare. Il bello però di questo tipo di viaggi è che dopo un pò la prospettiva cambia così tanto che puoi perfino permetterti il grande lusso di fregartene.
11/11/12 Day 15 Pokahra
Beh, la colazione nell’Hotel Stupa di Pokhara è discreta, la dormita è stata buona e Geljen dopo la mezza giornata libera torna a farsi sotto attendendo disciplinatamente il mio risveglio per venire con me a fare un giro per la città. Usciamo e approfitto della sua presenza per acquistare un pò di spezie e per farci un giretto in barca sul lago fino a visitare il piccolo tempio su un’isoletta poco distante. La giornata è buona e si vedono le celebrate montagne sullo sfondo, anche se la visibilità nn è delle migliori. Per fare vacanza questo posto è l’ideale. Puoi fare parapendio, rafting (come del resto un pò ovunque qui in Nepal) prenderti un caffè sulla riva del grande lago (il più grande del paese), noleggiare una bicicletta, una moto, andare a cavallo e farti baciare da un morbido sole, noleggiare un barchino e remare per raggiungere il tempio su un’isoletta in mezzo al lago. Tutto questo in attesa di partire per un trekking o nel riprenderti dalle fatiche già compiute e, spiace sottolinearlo, a prezzi decisamente più abbordabili che dalle nostre parti. Ristoranti trendy (per il Nepal) sul lago, migliaia di negozi e offerte di tutti i tipi. Volendo ci si può spingere a Nord verso la Pkr più vera o salire su una collina verso ovest (ca 2h a piedi), oppure 10 min in bus, per ammirare il Gompa.
Verso pranzo congedo il mio amico Geljen che già punta alla sua razione di DalBat quotidiano e vado a gustarmi una bella e buona pizzetta margherita con aggiunta di spinaci! Qui trovare spaghetti, maccheroni e lasagne è cosa assai comune. Nelle montagne sono a volte un pò dolciastri anche a causa del formaggio di yak, buono, ma senza sale, a differenza di certo tea, con burro di yak e salato.
Poi continuo lo shopping da solo. Diciamo che non è un grande sforzo in quanto tutti ti chiamano e ti cercano. Conosco un collega musicista di strada, che riesce a vendermi un tamburo nepalese e un Cdfatto con il suo gruppo. Mi ‘vendico’ chiedendogli di suonare per me gli strumenti che ha cosí da filmarne il suono e i nomi (un sarangi, con corde ed arco, e un madal, tamburo newpalese). Siamo diventati amici! Lo stesso di li a poco con una ragazza tibetana che mi ‘abborda’ molto delicatamente e con sorriso, leggerezza e simpatia e mi porta su un prato lungo il lago per mostrarmi la merce del suo negozio di bigiotteria riposto nella sua borsa. Passiamo una buona oretta a parlare raggiunti dopo un poco da un paio di bimbi attratti dal luccichio di tutte quelle collanine. Insomma finisce che dobbiamo correre alla banca per cambiare altri euro e poter pagare tutti gli oggetti che Taschi, questo il nome della ragazza, che significa successo, e mai nome mi è mai sembrato più appropriato, mi ha rifilato. Ci scambiamo gli indirizzi mail e diventiamo amici. Poi, concluso lo scambio, ognuno di nuovo per la sua strada.
Io concludo la giornata acquistando vari CD di musica locale e un pò di cartoline e poster.
Ma ciò che più mi colpisce è un mandala dipinto in oro su sfondo nero esposto in uno dei tanti negozi lungo la strada. Commetto l’errore di chiedere e da li a poco la carta di credito mi confida il suo ennesimo segreto con un puntuale quanto preciso sms. E già, stavolta non sono bastati gli spiccioli. Si tratta di un disegno fatto a mano da un lama laico del luogo. Ma sono contento della scelta fatta. A Ktm poi ne troverò tantissimi, molto simili, ma quasi a un terzo del prezzo da me pagato. Ma nessuno in grado di attirarmi allo stesso modo. Voglio fidarmi del mio intuito e pensare di non aver preso una ‘fregatura’.
Di li a poco fanno ancora in tempo a rifilarmi un paio di pashmine, in attesa di andare a cena con la mia amica Hagit, di Tel Aviv incontrata durante il trekking, al BC del Tilicho Lake. Mangiamo pesce del lago. Il ristorante non è indimenticabile, ma la serata scorre veloce e divertente tra racconti di vita israeliana e indiana. Al termine dopo esserci trasferiti su un caffé sul lago per prenderci una fetta di dolce con tea, raggiungiamo gli amici di Hagit in un bar poco distante decisamente più movimentato. In fatti a quel punto il vecchietto saluta e va a dormire anche perchè l’indomani si parte presto per Kmd.
12/11/12 Pokhara-Kathmandu
Sveglia alle 6,30, colazione alle 7 e alle 7,30 siamo in partenza dalla stazione dei bus di Pkr dove siamo arrivati con un taxi, per Kmd. Sembra un viaggio non eccessivamente lungo, credo sui 250 km circa, ma sarà interminabile. Anche perché dopo appena 45′ dalla partenza siamo già fermi per la prima sosta in quello che potrebbe essere assimilabile a un nostro autogrill, ma con il quale, vi posso assicurare non c’è niente, ma proprio niente di più distante. I bus, camion e mezzi vari raggiungono disordinatamente un’area sterrata a lato della strada, (in cui quando va bene scorre una parvenza di nastro d’asfalto). Quando il bus si ferma la prima cosa che per noi viene naturale pensare è che da li non si uscirà più tale è il numero dei mezzi ammassati e il modo confuso con cui si infilano nello sterrato piazzale/strada. Ma a forza di manovre e assordanti colpi di clacson e dopo una sosta di ca 20 minuti in cui con 100 rupie, l’equivalente di poco meno di un euro, ti riempiono un piatto di riso, piselli in brodo, patate e quant’altro, riusciamo, non so come a riguadagnare la strada.
E così sosta dopo sosta e sorpasso dopo sorpasso, quasi sempre rigorosamente in curva, contando sulla buona sorte e sul traffico relativamente poco intenso e dopo altre due conviviali soste per pranzo e merenda dopo poco più di 7 ore (!) arriviamo finalmente a Kmd accolti dalla pioggia, la prima da quando sono arrivato in Nepal, che almeno mitiga un pò la polvere. Faccio una bella doccia reimposto la valigia e mi tuffo di nuovo nel caos disorganizzato di questa pazzesca città.
Dopo solo due ore sono costretto a ritornare in albergo perchè mi hanno ‘appioppato’ un altro paio di strumenti: un flauto indiano e uno sheney, strumento ad ancia, tipico nepalese, dal timbro acuto e penetrante, che devo riporre. Infatti poco prima per strada vengo agganciato da uno strano signore indiano che dice di aver bisogno di soldi e in cambio di un’informazione riguardante uno strumento nepalese che sto cercando gli compro un flauto. Diventiamo amici e mi porta da un suo amico negoziante (prima un negozio di strumenti e poi, su mia richiesta, uno di dischi). Alla fine mi sparo uno snack per strada, una sorta di crèpe indiana alle verdure, mentre scambio due chiacchiere con un trekker canadese e poi, dopo un altro giro, entro nel mio ristorante preferito (Yak Restaurant) dove vengo messo al tavolo con un paio di giovani e carine trekkers olandesi con cui mi metto a chiacchierare cenando insieme (una si chiama Hester e l’altra, vorrà perdonarmi, non ricordo più). In Nepal resteranno solo per due settimane e mezzo. In compenso vengono da un mese in India e sono dirette a Pnom Pen in Cambogia dove resteranno un altro mesetto per fare se possibile anche un pò di mare.
Beh, anche questa cena è finita. Saluto cordialmente le mie nuove amiche, scambiandoci i recapiti e vado a farmi una breve passeggiatina prima di tornare in albergo a fare le telefonate italiane e, sic! a fare le valige, accorgendomi di avere ormai un bel pò di roba: speriamo bene!
13/11/12 Kathmandu
Ci siamo, l’ultimo giorno è arrivato. Anche la colazione del Thorong Peak Guest House di Kmd non è male: intendiamoci, niente di che, ma comunque passabile. Credo che alla fine in Kmd non visiterò un bel niente. Intendo dire no templi, palazzo reale o musei. Avrei voluto visitare anche Bakthapur, ma si vede che non è questa la giusta occasione. La mia ‘agenda’ in giornata è strapiena: ore 9 meeting con Amdo Lobsang, che ha fatto da tramite con il ‘porter’ assoldato e le varie necessità organizzative per permessi soggiorno e varie. È un tibetano, persona capace, seria e umanamente molto presente come la maggior parte delle persone sino ad ora incontrate da queste parti. Poi devo velocemente finire i miei acquisti musicali per i Cd e prendere qualche cashmire per portare alle persone care. Verso pranzo ho un appuntamento con Ain Ngima Sherpa, una guida locale, ma proveniente dall’area Everest, conosciuta tramite Amdo Lobsang, che vuole stringere contatti con me per possibili futuri trekking e quindi mi ha invitato a pranzo. Infine vorrei a mia volta chiedere in altre agenzie info riguardanti possibili future spedizioni per salire su quelli che da queste parti vengono definiti Peaks, vale a dire quelle montagne tra i 5000 abbondanti e i 7000 scarsi.
Poi oggi è il primo dei tre giorni di Festival, Tihar credo si chiami. Una festa nazionale locale, a quanto pare molto sentita e divertentissima. Infine vorrei documentarmi acquistando delle guide per futuri itinerari su queste fantastiche montagne.
Beh, dopo esserci salutati con Amdo e accordati per l’indomani per andare all’aeroporto, mi tuffo nel mio, purtroppo, ultimo busy day in Kmd!
L’atmosfera è elettrizzante. Mi dicono che il meglio arriverà in serata. Tutti appongono decori floreali alle vetrine dei loro negozi e sulle soglie delle loro case. Per lo più si tratta di sgargianti fiori arancione chiaro. Poi vengono montati stendardi e disegnati in terra dei rettangoli/quadrati/cerchi in cui vengono riposti petali di fiore qualche pezzo di frutti, spesso banane, polveri colorate e una candela che sarà accesa col fare della notte. I bambini, spesso vestiti magnificamente a festa si riuniscono in piccoli gruppi e si affacciano agli ingressi dei negozi cantando una sorta di nenia canzoncina che smetteranno solo dopo aver ricevuto qualche rupia. Dicono che i disegni sono bene auguranti e servono a favorire fortuna benessere e buone vendite. Devo dire che funziona. Infatti io vuoto il portafoglio e devo ricorrere più di una volta alla carta di credito, ma è una cosa che faccio con una gioa infinita. La mattinata è tutta un fare la spola tra i vari negozi e l’albergo per riporvi i vari pacchettini con gli acquisti. Qui se non ti vedono contento dopo aver concordato un prezzo, anche se loro stanno facendo un ottimo affare, sono capaci di non concludere la trattativa, a costo di rimetterci. È importante che entrambi siano contenti di quanto concordato e che ad affare concluso ci si stringa la mano sorridendo.
A pranzo mi incontro con Aing Ngima Sherpa, dopo essere passato in un’agenzia di trekking e climbing per cercare di capire come fare nel caso si volesse tentare un Peak prossimamente. Aing è della regione dell’Everest e conosce bene quel trekking e Island Peak (poco oltre i 6000 m). Cerchiamo di conoscerci a vicenda, di studiarci per vedere se in futuro sarà possibile combinare qualcosa di buono insieme. La giornata scorre veloce. Saluto il mio amico, mentre l’atmosfera della festa in città si fa sempre più intensa. Tanti tanti bimbi in strada, vestiti a festa. Anche i grandi lo sono. Ci sono colori sgargianti dappertutto. Come la musica e i suoni in generale. Decido di perdermi nel caos.
Comincio ad imboccare strade che non avevo mai fatto prima, allontanandomi un pò, non so bene in che direzione, dal quartiere di Thamel, quello più centrale. So che non riuscirò più a trovare la strada per tornare, ma so anche che non sto correndo un grande rischio. In fondo basta montare su un risciò e per 100/200 rupie farsi riportare al quartiere più turistico, da dove poi ritrovare il Thorong Peak Guest House. Ormai sono nel caos (uno step prima del nulla, direbbero i buddhisti tibetani). Una frenesia fatta di eccitazione e contentezza generale, si fa fatica a muoversi tra persone, bancarelle di tutti i generi, decorazioni, negozi, moto, macchine, ecc.
Ad un certo punto, nel soffermarmi a fare delle foto noto una giovane ragazza orientale che in un certo senso é attratta dagli stessi soggetti per fare a sua volta foto con il suo IPhone. Non so perchè, ma la noto, mi incuriosisce, ma poi ovviamente cerco di guardare avanti, nell’incredibile confusione gaudente e gioiosa. Questa città è già caotica all’inverosimile in condizioni normali, vi lascio immaginare nel primo di una tre giorni di Festival continui! Faccio quindi dell’altra strada, ormai non più asfaltata. Di occidentali neanche l’ombra. Non ho la minima idea di dove sia finito, ma é quello che voglio. Sono attratto dalle bancarelle con i dolci e me ne compro uno che una signora molto gentile mi offre incartandolo con cura in una carta di giornale, la stessa con cui da noi certi ferramenta ci incartono gli utensili o le viti che ci vendono. Ma non importa, qui è così: meglio la carta di giornale e tutti quei sorrisi veri, che la carta oleata e la puzza sotto il naso…
Ad un certo punto vedo un ragazzo su una bella moto che mi sorride: e di nuovo Aing Ngima Sherpa che, dovendo l’indomani partire per un lungo trekking con un gruppo di giapponesi, fa le ultime compere e commissioni girando per i negozietti di Kmd. Lui è sorpreso quanto me nel vedermi fuori zona e mi chiede se è tutto ok, ma io lo rassicuro, tra dolci e buste per lo shopping che gli mostro trionfante. Continuano a vendermi roba…
Ci salutiamo di nuovo e nella incredibile confusione mi trovo nuovamente a fianco della giovane ragazza orientale che mi guarda, apparentemente tranquilla. A quel punto le rivolgo la parola e lei mi sembra piuttosto sollevata da questo fatto. Le chiedo se è del luogo, ma mi spiega di essere cinese e che si trova lì da sola, semplicente perchè non trova più gli altri del suo gruppo. Anche lei non ha la più pallida idea di dove si sia. Intanto camminiamo tra la folla e per parlare dobbiamo urlare e siccome entrambi non padroneggiamo l’inglese come si dovrebbe, il dialogo diventa davvero buffo. A quel punto capisco che non le dispiacerebbe capire come tornare, ma io nel frattempo sono perso quanto e più di lei, e detto tra noi lo ero già prima di arrivare lì e forse addirittura prima di partire dall’Italia. Beh, allora le dico, diciamo ad un risciò il nome del tuo albergo e ci facciamo portare. Lei da una parte credo che non voglia prendere il risciò non so bene perchè, dall’altra prova a chiedere a qualche passante pronunciando il nome dell’albergo, ma nessuno le sa dire niente! Le chiedono allora di mostrare la card dell’albergo per cercare di capire, ma non ha nessuna card. Non mi sembra così preoccupata, tuttavia, ha quella forza invincibile comune a tutti i giovani di una certa qualità e continuiamo a camminare nella folle atmosfera di festa esaltata e sovra eccitata, ma in maniera positiva, non distruttiva come talvolta ci capita di vedere dalle nostre parti. Nel frattempo continuiamo a parlare. Mi racconta di lavorare in una grande radio, ma non in una radio nazionale e di introdurre programmi che parlano di viaggi, di essere arrivata in Nepal, proveniente dal Tibet e di essere delle parti di Shangai. Chiede di me e io le rispondo. Entrambi facciamo fatica a localizzare i rispettivi luoghi di provenienza non essendo mai stati rispettivamente ne in Italia ne io in Cina, almeno in quella parte di Cina.
Continuiamo ad essere travolti dalla folla e dal rumore assordante, completamente ubriacati da quella magica e gioiosa serata. Tutti hanno ormai acceso i lumini in questa sorte di giardinetto minuscolo disegnato davanti i propri usci con polveri colorate e petali di fiori e con una sorta di stradina più o meno lunga che conduce verso l’esterno.
Io mi offro nuovamente per offrirle un passaggio in risciò così che tornando nella zona di Thamel possa ritrovare e riconoscere la zona del suo albergo. Ma lei non appare convinta e continua a raccontarmi della sua vita mentre attorno a noi continuano il chiasso e la confusione più totale. Dice di aver voluto smettere di lavorare e di aver voluto fare questo viaggio, sebbene il suo boss la volesse con se a lavorare. Mi dice anche che vorrebbe venire in Europa, in Irlanda, perchè li c’è il suo boy friend. Ha già richiesto il visto, ma i suoi si oppongono alla relazione perchè lui è straniero, cerco di incoraggiarla, ahimè come farebbe un… diciamo insegnante? Rispetto per il volere dei genitori sì, ma anche per quello che si prova… Intanto ci capita di assistere alle cerimonie più strane, canti, preghiere, risa, concitazione, ma dove siamo?
Alla fine riesco a convincerla, si sta facendo tardi. Mi chiede se sono su Facebook ma mi dice anche che in Cina è proibito. Allora che me lo chiedi a fare? Le dico, e lei, beh intanto ora sono all’estero e poi cerca di spiegarmi che può esserci il modo di aggirare la censura. Mi dice anche che Youtube è censurato in Cina: ma vi rendete conto? E noi tutti non dico a sperare nei cinesi, ma insomma… ormai ne siamo quasi schiavi, o no?
Finalmente la convinco a salire su un risciò. Continua la situazione sovra eccitata, tratto a malapena il prezzo e chiedo al guidatore che ci porti al centro di Thamel. Saliamo e un ragazzino ci si incolla dietro il risciò urlandoci di tanto in tanto qualcosa che noi non capiamo. La ragazza ne è infastidita e gli chiede urlando a sua volta in inglese perchè ci sta seguendo. Poi mentre il nostro conducente si svicola tra la folla con manovre e peripezie, credetemi davvero difficili da raccontare scrivendo, la ragazza mi chiede di annotare sul suo telefono la mia mail, chissá forse ha bisogno in quel momento di avere un contatto, un riferimento scritto visto che siamo spersi tra la folla e lei non ha in realtà altri riferimenti in quel momento. Beh comunque mi adopero per farlo mentre viaggiamo a velocità esagerata per un risciò soprattutto in una situazione così pazzescamente confusa.
Alla fine la strategia si rivela corretta e rientrando nei dintorni di Thamel, sempre con il ragazzino attaccato alle spalle, alla fine la ragazza riconosce la zona e riusciamo a ritrovare il suo albergo dopo aver lasciato il risciò non prima dell’ennesima trattativa estenuante derivante dal tentativo da parte del conducente di raddoppiare il prezzo della tariffa approfittando della confusione. Scopriamo infine di avere i nostri alberghi quasi uno di fronte all’altro. La ragazza cerca di sdebitarsi invitandomi a cena, ma capisco che sarebbe di troppo e ci salutiamo con un bel sorriso e una flebile stretta di mano, forse poco adeguata alle usanze cinesi.
Approfitto per tornare in albergo a mia volta, per posare gli ennesimi pacchi e per riprendermi da quella ubriacatura che credo resterà unica a lungo. Posso dire di non essermi annoiato. La città è sempre al buio (a Kmd i black out sono all’ordine del giorno, tanto che la maggior parte degli alberghi e dei negozi hanno un loro gruppo elettrogeno che va in moto continuamente fracassandoti le orecchie anche nel pieno della notte. Di li a poco decido di andare a cena allo Yak Restaurant, il mio preferito. L’ho trovato appena arrivato e non l’ho più abbandonato. Per me si mangia benissimo e poi il fatto di dover spesso condividere il tavolo con altri mi permette di fare conoscenze curiose. Stasera è il turno di due ragazzi sulla venticinquina. Lui mi sembra davvero un bel figlio, anche se non me ne intendo e in qualche modo si sforza di sorridermi al mio arrivo su invito della proprietaria del locale, tibetana anche lei, e che ormai mi sorride con sincerità ogni volta che mi vede entrare, a sedermi al loro tavolo perchè non ci sono altri posti liberi. Ormai la signora tibetana potrebbe tranquillamente chiedermi come va a casa mia… tanto mi sento ormai familiare in quel posto.
Lei, la ragazza del ‘belloccio’ quando mi siedo si sforza di abbozzare un sorriso, ma proprio non le riesce. Si capisce che vorrebbe strozzarmi. Si era allargata in quel bel tavolone da quattro/sei. Stavano giocando a carte (!?) e mai avrebbe immaginato di dover condividere….. Io mi sento in imbarazzo, faccio quasi per andarmene, ma il ragazzo con una battuta cerca di stemperare la tensione e decido di sedermi. La viperetta, a mio avviso quasi inguardabile, non mi rivolgerà più la parola per tutta la cena, salvo i saluti di rito, prima di alzarsi per andarsene assieme al suo stangone.
Il ragazzo mi racconta invece che sono olandesi (ne è pieno il Nepal, sarà mica perchè vogliono rivalersi del fatto che vivono nei così detti ‘paesi bassi’?) e che staranno in Nepal per circa 2 settimane e mezzo. Penso: sono più fortunato io che ho potuto starci 3 settimane. Peccato che poi continua dicendomi che arrivano dall’India dove sono stati circa un mese, e che sono diretti nello Sri Lanka, per tre settimane, salvo poi andare in Nuova Zelanda e da li a un mese, visitare il Cile, poi l’Argentina e con calma cominciare a rientrare verso casa dopo questi ca sei mesi di viaggio. No, forse stanno meglio loro…..penso.
È pazzesco vedere quanti sono oggi giorno i ragazzi giovanissimi che viaggiano da soli in giro per il mondo e per dei mesi. Comunque alla fine se ne vanno, lui alto almeno due metri e la tappetta altera pel di carota, dietro come un cagnolino.
Così dopo l’ottimo cibo un’ultima girata nella notte festosa di Kmd che va ormai spegnendosi: il tempo di essere salutati da dei botti e di assistere ad una piacevolissima danza improvvisata in strada da ragazzine truccate e vestite con abiti a festa. Tra le persone raccolte li intorno per assistere all’evento ritrovo la mia amica cinese che mi corre incontro per salutarmi con il suo bel sorriso. ‘Spero di incontrarti di nuovo nella mia vita’, mi dice, e io la saluto a mia volta, ringraziandola, per andare a dormire, contento.
14/11/12 Flying back Home Kathmandu-Dheli-Frk-Flo
E’ arrivato il momento della partenza. Sveglia alle 6.30, colazione alle 7 e taxi per l’aeroporto alle 7.30. Il volo sarà alle 10. Alla hall dell’albergo c’é Amdo ad attendermi, con il suo fiero sorriso e tutta la sua serietà di persona semplice e concreta. Mi fa trovare un’auto insolitamente grande sottolineando con una battuta la particolarità della cosa in relazione alla mia partenza. Sorrido a mia volta alla battuta, ma non senza lasciargli, come d’accordo, un sacchetto con tutte le medicine che mi ero portato e che per fortuna non mi sono servite e un piccolo riconoscimento per lui, che forse non si aspettava. Mi chiede di continuare a scrivergli. Certo, io per lui sono un cliente, ma sento che dietro c’è qualcosa di più e un nodo mi stringe la gola. Noi siamo Amici ormai.
E io sento di aver fatto bene, una volta tanto. Fatto bene il mio viaggio e fatto bene il mio trekking con il giusto impegno e la dovuta attenzione. Sono stato inondato da Amore, Amicizia, ho stretto tante mani e incrociato una moltitudine di sguardi puliti e occhi trasparenti. Ho davvero ricevuto un grande aiuto dalle persone incontrate in questa terra e, come ho imparato durante il trekking, non posso che dire una sola parola a conclusione del percorso: grazie!
Il volo Dheli-Frankfurt sembra voler premiare questo spirito e mi riserva un viaggio che sembra una lezione di geografia con un volo privato. Sotto di noi e davanti, grazie ad una visibilitá eccezionale e ad un’ottima posizione al finestrino posso ammirare le grandi montagne dell’Himalaya che si allontanano lasciando via via spazio agli aridi altopiani afgani, poi alle terre a confine tra medioriente e Russia gli Urali il Mar Caspio: eccezionale! Come l’intera fila di poltrone vuote su cui posso comodamente sdraiarmi per riposare dopo aver scritto queste poche note.
In volo 14/11/2012
Prima di partire per questo paese alcune persone da me incontrate mi avevano riferito di essere stati in Nepal tre/quattro, anche sei volte. Il più era riuscire ad andarci la prima, dicevano… Quando sono arrivato a Kmd il primo giorno un signore francese mi aveva detto di essere lì per la sesta volta, eppure non amava né trekking, né montagne. E così molti altri… e io ascoltavo incuriosito chiedendomi il perché di tanto insistere nel voler tornare. Ebbene, ora credo di avere capito.
Massimo Buffetti
Nepal, October 25th – November 14th 2012 Trekking around Annapurna and Tilicho Lake – with Gieljè Tamang, porter-guide by ‘Richa Tours’, General Manager Amdo Lobsang. Journey Notes by Massimo Buffetti.
Link Video:
‘Round Annapurna Part 1: http://youtu.be/CSbJgooI3p8
‘Round Annapurna Part 2: http://youtu.be/rrezJ3doOug