Ritorno in India

Sulle strade di Terzani, del Dalai Lama e nelle città sacre induiste e sikh
Scritto da: azizas
ritorno in india
Partenza il: 01/10/2012
Ritorno il: 15/10/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Questo è il mio secondo viaggio in India, lo scorso marzo, sempre con mio marito, avevo avuto il primo con questo straordinario Paese. Organizzo anche questa volta il viaggio da sola. Compero un volo offerta speciale della Lufthansa: Malpensa/ Monaco/ Delhi a 448 euro a/r, preparo il mio itinerario di viaggio e contatto l’agenzia indiana Popular India Vacations di Karni Singh e ci accordiamo sul prezzo che dovrà comprendere l’auto con autista, benzina, tasse e hotel B&B.;

Ho deciso di scrivere questo diario nella speranza possa venire utile a qualche altro turista “fai da te”. Quando ho programmato il mio viaggio, infatti, non ne avevo trovato nessuno col mio stesso itinerario.

1 ottobre

Partiamo sia da Malpensa che da Monaco, spaccando il secondo ! Il volo è lunghetto e i sedili non sono il massimo della comodità, ma quello che conta nel viaggio è la puntualità…

2 ottobre

Atterriamo alle 6,45, una volta tanto siamo fortunati, i bagagli arrivano dopo 15 minuti e siamo fuori. Ci guardiamo intorno alla ricerca del nostro autista, una ventina di loro sono schierati coi loro cartelli, ma di “Welcome Anna Sabrina” non c’è ombra. Usciamo fuori dal terminal, ci sono altri autisti, ma non il nostro. Dopo mezz’ora comincio a preoccuparmi, prendo il cellulare e chiamo l’agenzia. Parlo col titolare, è allarmato perché l’autista avrebbe dovuto essere lì e mi richiama poco dopo dicendo che entro dieci minuti, il suo uomo sarebbe arrivato. Finalmente lo scorgiamo, corre verso di noi, si chiama Sattu. Si scusa e ci dice la verità. Ha sbagliato a leggere il programma di lavoro scambiando l’orario del nostro arrivo da 6,45 a 8,45. Errare humanum est, non facciamo polemiche, l’importante è mettersi in marcia perché, la strada è lunga. Siamo diretti ad Almora, nell’Uttarkhand. Alle 8,15 usciamo dall’aeroporto e ci vuole più di un’ora per uscire da Delhi. Le prime cinque ore le percorriamo su strade trafficatissime, ma scorrevoli, ma più ci avviciniamo all’Uttarakhand e più le cose si complicano. Le ultime cinque ore diventano un incubo, una serie ininterrotta di curve implacabili, una dietro l’altra. I rettilinei, rarissimi, non sono più lunghi di 80 metri. Le curve sono cieche e c’è l’incognita di chi si può trovare dall’altra parte. Il manto stradale sembra bombardato, tutta una buca , facciamo lo slalom e siamo sballottati come fossimo dentro un frullatore. Sono strade impossibili per persone che soffrono il mal d’auto. Arriviamo ad Almora alle 18,30, distrutti e ubriachi dopo tante curve. Siamo cosi’ stanchi che andiamo subito a dormire. Il nostro hotel è un Lodge di montagna, molto carino con pareti perlinate in legno, pulito e confortevole ( Hotel Kasaar Jungle Resort). E’ su una altura a 7 km dalla città che si stende come un presepe sotto di noi.

3 ottobre

Alle 7 mi sveglio e corro alla finestra per vedere il panorama delle vette Himalajane…c’è una nebbia cosi’ fitta da non riuscire a vedere neppure la città sottostante. Il clima di montagna è simile in tutto il mondo, molto variabile, umido e imprevedibile.

Raggiungiamo l’autista e lo troviamo tutto intirizzito dal freddo. Scopriamo che dorme in macchina, cosa frequente, lo fanno per risparmiare. Per ripararsi dal freddo notturno ha solo un golfino leggero di cotone e la coperta è un telo da bagno in spugna. Mi precipito in camera a prendere un pile di mio marito, portato nel caso servisse di mattina e sera. Facciamo colazione e andiamo a visitare il Tempio induista di Kasar Devi , si accede con una scalinata che sale tra i boschi. Al tempio troviamo un religioso e scambiamo due chiacchiere, è l’immagine della serenità. Prima di andare via gli lasciamo un’ offerta. Si parte verso Kasuani. La strada è molto bella, ovvio tutta una curva, ma il traffico è quasi inesistente. La cosa che ci sorprende è che si scorgono ovunque piccoli villaggi, è una montagna sfruttata al massimo anche come coltivazioni. Ci sono dei terrazzamenti dove si coltiva grano e foraggio, le donne sono il 90% della forza lavoro, sono loro a portare in testa dei carichi impressionanti di legna e fieno. Gli uomini si scorgono raramente , sono per lo più fuori dai bar se bar si possono chiamare. La scuola ha due turni, i bambini che ci vanno di pomeriggio di mattina sono tutti al lavoro, curano le pecore , capre e aiutano nei campi. L’infanzia fatta di giochi temo sia inesistente. C’è povertà, ma molto dignitosa, nessuno mendica e neppure i bambini si avvicinano per chiedere le penne o le caramelle. Sono incuriositi, ma nulla di più. Prima di arrivare al nostro hotel rimango scioccata alla vista di alcuni uomini che stanno col capo chino, hanno uno straccio sul collo e vengono caricati di pietre fino all’inverosimile, poi partono e discendono un sentiero scosceso che si perde nel verde. Il nostro hotel (Pratikshahotel Kasuani) ha le camere su una vista mozzafiato, cosi’ recita la pubblicità, ma quando arriviamo la nebbia è ancora adagiata sulle vette. Dal balcone vedo altri uomini che questa volta risalgono un sentiero, portano un sacco di juta pieno di pietre con un laccio sulla fronte, tipo sherpa nepalesi, lo rovesciano su un terrazzo in rifacimento dell’hotel e poi tornano giù…smetteranno solo alle prime luci del tramonto…

Pranziamo in albergo molto bene e spendendo una cifra ridicola, meno di 5 euro a testa (così come in tutte le altre località indiane). Il nostro driver sarà per noi un prezioso compagno di viaggio e avventura, sempre discreto, educato e premuroso, con lui condivideremo tutto da mattina a sera, la fatica, la ricerca delle strade perchè, la segnaletica in India, fuori delle città, è rarissima. Dopo pranzo, su consiglio del proprietario dell’hotel, andiamo a visitare una minuscola azienda che produce tè. C’è un uomo che ci spiega tutte le fasi di preparazione delle foglie e poi acquistiamo a un prezzo davvero incredibilmente basso un tè himalajano di prima qualità ! Alle 17 il meteo ci fa un regalo: di colpo si alza la nebbia e compare finalmente la grandiosa catena himalajana del Nanda Devi coi suoi 7816 metri di altitudine. Dopo un po’ tuona, piove per dieci minuti e poi scattiamo una foto davvero bella con l’arcobaleno. Qui da qualche parte ci sarà il rifugio di Tiziano Terzani che ha scritto tante meravigliose pagine su questo straordinario Paese.

4 ottobre

Ci svegliamo alle 5,30 per fotografare l’alba che è spettacolare , alle 7,30 la nebbia è di nuovo calata, ma ormai siamo pronti per partire, siamo diretti a Haridwar, una delle sette città sacre induiste. Ci vogliono due ore per arrivare a Ranikhet, il panorama è stupendo, la strada trafficata, ma per lo standard indiano rilassante. Alle 12 e mezza attraversiamo il Corbett National Park, la giungla intricata sfiora la strada. Il Parco è ancora chiuso, apre il 15 ottobre, ma tutto è ormai pronto per accogliere i clienti. Gli elefanti sono tutti pronti per cominciare il loro lavoro, portare i turisti all’interno del parco. Ci fermiamo a mangiare in una trattoria molto carina, siamo gli unici clienti. Raggiungiamo la pianura dopo altre cinque ore di viaggio e alle 17,30 siamo a Haridwar. Il nostro hotel, una ex residenza di maharaja ( Hotel Haveli Hari Ganga) , è nel centro storico pedonale, un intrico di vicoletti dove c’è il bazar. Parcheggiamo in uno spiazzo sterrato, polveroso e maleodorante, ” arriva il Tuk tuk “, ci dice… l’autista, siamo contenti, viaggiando accompagnati non abbiamo mai avuto l’occasione di prenderne uno, ma con orrore vediamo avvicinarsi un risciò. A marzo ne avevamo preso uno a Delhi e giurato che mai più saremmo montati su un mezzo trainato da un uomo, questo risciò è dell’hotel, ha una bella insegna pubblicitaria dipinta sul fianco. Un ragazzo piccolo e magro pedala verso di noi. Carica velocemente tutti i nostri bagagli sul retro del mezzo poi ci costringe a salire , due colpi di pedale e voliamo giù per la discesa sparando sassetti. Frenata brusca e gira a sinistra, il ragazzo balza giù dalla bici e piegato in due comincia a spingere il veicolo su per il vicolo, in salita, verso il nostro hotel. Io e mio marito ci guardiamo, urliamo all’unisono “ stop, stop” e scendiamo. Il ragazzo insiste per farci salire di nuovo, ma ha un’aria sollevata…Lui spinge e noi trotterelliamo dietro, ma quando siamo a una decina di metri dell’albergo, il ragazzo ci prega a mani giunte di risalire. E lo facciamo, la strada è piana, cosi’ il ragazzo potrà presentarsi davanti alla porta con clienti e bagagli a bordo cosi’ come ci si aspetta da lui. Abbiamo appena il tempo di mettere le valigie in stanza a andiamo al Ghat per la preghiera serale. Non so come, ma riusciamo ad accedere all’isola in mezzo al Gange, riservata ai soli induisti. I fedeli che ci fanno posto, ci invitano a salire su un muretto per vedere meglio la cerimonia del fuoco e scattare delle foto uniche. Siamo gli unici occidentali . La folla è immensa e non c’è nulla di costruito a misura di turista, qui la preghiera è molto più intensa di quella vista a marzo a Varanasi. Il bazar della città è vivacissimo, si cammina tra i profumi degli incensi accesi in ogni bottega , è tutto uno sfavillio di finto oro che proviene dagli oggetti di stampo religioso che sono in vendita nei banchetti. Il nostro hotel era una residenza privata di un maharaja e c’è un piccolo ghat privato, corredato di catena per non venire trascinati via dalla corrente del fiume che qui è fortissima. Cè anche un tempio e verso le 21, dopo cena, inizia una cerimonia religiosa, ci sono dei musicisti che suonano e cantano.

5 ottobre

In hotel, alle 6, 15, qualcuno bussa alla porta ci svegliano per assistere al sorgere del sole sul Gange, per noi non è una novità, l’avevamo già visto a Varanasi, ma è sempre uno spettacolo suggestivo. Tutti gli ospiti dell’Hotel sono sulla terrazza panoramica vestiti a casaccio, noi compresi . Se qualcuno aveva preferito continuare a dormire, in ogni caso, alle 7 un bel colpo di gong annuncia l’inizio della preghiera. Come la sera precedente ci sono sia i musicisti che i cantanti. Facciamo colazione e poi passiamo tre ore nella città vecchia. Gli occidentali non vengono a Haridwar, a soli 20 km c’è Rishkikesh che attira molti più turisti , qui siamo gli unici stranieri. Lungo i ghat fervono le preghiere e i riti per i defunti. Le famiglie in lutto sono sedute davanti al Gange , il figlio maschio maggiore ha il capo rasato. Nonostante il divieto di buttare oggetti nel fiume ogni donna, uomo o bambino lancia qualcosa nell’acqua. A volte sono indumenti che sembrano più stracci, bottiglie di plastica , fiori, candele , ci sono minuscoli tizzoni carbonizzati vorticanti nell’acqua segno che da qualche parte anche qui si cremano i corpi. E’ pieno di umanità dolente, un mare di mendicanti con la mano tesa, c’è chi non ha le gambe e viaggia sui carrellini di legno con le rotelle. C’è un tronco umano con delle minuscole braccia che invoca… mi prende un attimo di scoraggiamento, di rifiuto, vorrei scappare via da tutto questo….poi riesco a superare questa crisi e l’India mi accoglie di nuovo tra le sue braccia.

Abbiamo appuntamento per la partenza alle 11 e un’ora più tardi siamo a Riskikesh. L’hotel è sul Gange, (Hotel Ganga Kinare)abbiamo una bella vista sul fiume, siamo distanti dal centro circa due km. Poso i bagagli e vado in bagno, sopra la vasca c’è una tenda, tiro il cordone e mi trovo davanti a una vetrata con vista sul lettone. Sigh! Non ho mai visto nulla di simile in vita mia. Alle 16 andiamo in centro, prima di arrivare passiamo un ponte e al di sotto c’è una terrificante bidonville, un intrico di tetti in lamiera, muri di fango, bambini nudi, ma al di là siamo quasi in occidente, ci sono hotel, guest house, bazar, negozi di tutti i tipi e un mare di occidentali. Visitiamo il bazar e il Ponte Lakshman Jhula. In auto abbiamo una radio/ cd, Sattu a Jjaipur, la sua città, era andato in un internet caffè e aveva scaricato su una chiavetta delle musica. Quanti cd ? chiediamo. Uno ! ci risponde Sattu, di musica religiosa ! adocchiamo nelle vetrine una ampia scelta di cd, ma, dato che siamo in una città sacra, vendono solo musica religiosa e in alternativa new age per meditazione e yoga. Ritmi lenti che favoriscono non solo il rilassamento ma anche l’abbiocco : preferiamo lasciare perdere dato che la musica la ascoltiamo solo in macchina…. A fine viaggio tutti e tre noi viaggiatori saremo in grado di seguire canticchiando la musica religiosa. Torniamo in hotel e ci iscriviamo al rafting per il giorno successivo con Red Chilli Adventures. Nel nostro hotel si può fare di tutto : corso di cucina indiana, yoga e meditazione con maestro, preghiera con religioso, bagno nel Gange, rafting, deltaplano, trekking, safari nella giungla locale e pure risposarsi con rito indù sulla riva del Gange. Ci limitiano al rafting.

6 ottobre

Alle 9 arriva la jeep che ci porta all’agenzia della red chili adventure e conosciamo i nostri altri 5 compagni di avventura. Sono tutti giovani tra i 25 e i 35 anni e poi noi due che potremmo essere genitori di tutti loro. Ci sono due belle ragazze irlandesi, un olandese, uno del Kuwait e in indiano di Bombay. Il nostro Caronte è Mattew, canadese, ma trapiantato da anni in India. Mi sembra un po’ preoccupato quando legge la nostra età sulla liberatoria, ma non batte ciglio, ci chiede solo se è la prima volta che facciamo rafting. NO, rispondiamo, la seconda, la prima è stata sul Madawaska River in Ontario Canada , 30 anni fa…Partiamo in jeep e viaggiamo per 45 minuti per arrivare in cima alla montagna dove inizierà il nostro rafting. Segue un quarto d’ora di delucidazioni su cosa fare e non fare nel caso si venga sbalzati dal canotto e le tecniche di recupero da parte dei compagni di avventura e dei tre ragazzi indiani che ci seguiranno col loro kayak.Poi si comincia: come in tutte le rapide si alternano parti di navigazione in acque calme, semi calme e ribollenti con onde di due metri il Gange sarà anche sacro, ma è grande, molto grande.

Tutti i ragazzi vengono presi all’improvviso per le spalle dai kayakisti e buttati in acqua, meno noi due attempati ( il nostro recupero a bordo del canotto avrebbe rappresentato per tutti un serio problema, si sarebbe dovuto mettere al lavoro tutto l’equipaggio).

L’indiano, quello di Bombay, è visibilmente ammaliato dalle due irlandesi e così comincia a dare sfoggio delle sue abilità atletico-circensi. Si butta in acqua stando ritto sul bordo del canotto e poi giù con un salto mortale all’indietro. E’ il primo ad accettare di sfidare le rapide meno impegnative stando a cavalcioni della prua e al termine a stare in piedi a gambe larghe e braccia aperte per ben sei giri di canotto fatto girare veloce dai nostri colpi di remi. Il piccolo indiano non riesce però a issarsi con le proprie forze dentro il canotto e qui interviene una delle irlandesi, ha un fisico esile, ma sotto si cela una Wonder woman. Segue le istruzioni date da nostro Caronte alla lettera, acchiappa l’indiano per le bretelle del salvagente e oplà! con un solo colpo di reni fa volare il ragazzo sul canotto lei sotto e lui sopra… Lui alle stelle….! si tuffa dieci volte! C’è da dire che se uno vuole fare il bagno nel Gange è meglio tuffarsi dal canotto in mezzo al fiume. Noi abbiamo fatto una pausa per bere e mangiare qualcosa ma nel scendere la gamba affonda di 30 cm nella sabbia, effetto sabbia mobile, e bisogna fare un bello sforzo per liberare il piede.

Che dire? ci siamo divertiti un mondo, queste sono signore rapide, il canotto schizza in aria e poi ripiomba nel fiume, mentre un muro d’acqua si riversa dall’alto e dai lati. Nessuno di noi è stato sbalzato fuori, ci sono state tante urla, ma anche risate. Il percorso è meraviglioso come natura, si svolge lungo una rigogliosa gola e si intravvedono dei cottage che, ci spiega Mattew, vengono affittati ( pare siano molto carini )per chi è alla ricerca di un luogo solitario. Vediamo un monaco in riva al fiume e pochi metri più in là un occidentale che tenta inutilmente di mettersi in verticale. Sforbicia le gambe freneticamente, ma ricade come piombo sulla rena. L’arrivo del rafting è in centro a Rishkikesh. Dopo il rafting andiamo a vedere il Ponte Ram Jhula e alle 18 al gat per assistere alla lunga preghiera induista, dura circa due ore. Siamo da poco seduti sulla gradinata di fronte al tempio quando sentiamo un vociare alle spalle, è in arrivo un gruppo di 20 connazionali, tutti di bianco vestiti e di mezza età. In un battibaleno ci ritroviamo circondati. Inizia la cerimonia, gli italiani sono tutti molto presi , c’è chi si commuove e piange, chi prega a occhi chiusi, chi ondeggia avanti e indietro come un cobra. Il mio vicino filma tutto e c’è un uomo che si avvicina al fuoco sacro incurante di sfiorare il sacerdote che sta pregando. Dopo mezz’ora la commozione lascia spazio alla noia e il gruppo di italiani comincia a rumoreggiare, si chiamano e parlano. La preghiera si blocca di colpo e si ode chiara e forte la conversazione di due donne che si mostrano gli incensi appena comperati al bazar. La folla si gira di colpo, le italiane hanno lo sguardo nel vuoto, la preghiera ricomincia e anche loro riprendono a parlare. La cerimonia prosegue, ci sono canti e riconosco il motivo “Hari Krisna” che gli arancioni cantavano nelle nostre strade 30 anni fa e che chiude la funzione. Arriva a questo punto un guru, la sua presenza in città è pubblicizzata da uno striscione con la sua foto, le date e gli orari dei suoi sermoni. Canta per 15 minuti e poi si gira seguito da un codazzo di adepti adoranti tra due ali di folla che si aprono al suo passaggio. A questo punto schizza in piedi il tour leader degli italiani e con fare concitato dice: Mi raccomando state tutti vicini, non perdetevi, ora si va a sentire il guru, fate cordata come un corpo unico!!!. Detto e fatto. La catena umana parte col piglio di un panzer all’attacco , incurante di dividere famiglie e intralciare il cammino di anziani e bambini. Le immacolate tute bianche indossate dagli italiani sono trasparenti e offrono uno spettacolo di mutande, slip, boxer e reggiseni. La cordata guadagna l’uscita sempre tutti allacciati, ma si sa il pericolo di perdersi è tanto….dove devono andare i nostri amici ? Di fronte all’uscita del Tempio!!!cinque metri più in là, il Guru entra e loro seguono tra uno svolazzare di abiti… Noi ce ne torniamo al parcheggio saltellando , cercando di evitare le fumose torte lasciate sul campo dalle numerose paciose vacche che pascolano beate nella zona del bazar.

Rishikesh divenuta famosa dopo il soggiorno dei Beatles è meta di tante gente che vengono qui per praticare yoga e meditazione. In città si respira questa aria meditativa, ci sono persone che vagano con lo sguardo perso nel vuoto. Abbiamo visto un ragazzone americano, look alla Gandhi , abito bianco e spalla nuda, capello rasta lunghissimo, intrecciato a formare una fiamma che svettava verso l’alto, facendogli raggiungere, con questa scultura in testa, la ragguardevole altezza di due metri.

7 ottobre

Alle 8 partiamo per Shimla, alle 10,20 arriviamo a Port Saib dove c’è un tempio Sick, la città è bella su un fiume. Dopo un’altra ora di viaggio siamo a 130 km dalla meta su strade da incubo. La strada è sterrata, tutta una buca e una curva, sobbalziamo avanti e indietro, è impossibile fotografare perché una fermata significherebbe un tamponamento assicurato… Da un lato c’è la montagna e dall’altro, il nostro ( la guida è a sinistra e stiamo viaggiando da est verso ovest ) c’è il vuoto, un salto nella gola sottostante, un verde intricato di cui non si vede la fine… Per le donne è un problema trovare una toilette naturale, non c’è ombra di uno spiazzo dove avere un minimo di privacy, devo attendere due ore prima di arrivare a uno spiazzo corredato da cespuglio. Facciamo una brusca frenata , dobbiamo fare passare un pedone: un bel serpente e poco più avanti vediamo un animaletto. Oh, che strano scoiattolo! dico io e Sattu che sa qualche parola di italiano: Nooo, no scoiattolo, mangusta ! Faccio due più due: Mangusta = serpente. La conferma che in India le serpi sono ovunque e infatti vedremo altre manguste durante il nostro viaggio. Percorriamo le strade con una velocità di crociera di circa 20 km all’ora….

Alle due foriamo una gomma. Per fortuna siamo vicini a un villaggio e c’è un gommista , viste le condizioni delle strade deve avere molto lavoro. Non sappiamo di preciso dove siamo e di quanti km manchino a Shimla. La certezza è che dobbiamo raggiungere Dagsai e da qui si riprende la Highway , cioè la solita strada a due corsie, ma almeno è asfaltata…Alle 15 ci siamo…la highway è raggiunta e iniziamo la caccia al ristorante, abbiamo fame . Lungo queste strade non mancano i posti di ristoro, ma sono delle semplici tettoie di ferro che fanno ombra a un tavolaccio dove ci sono fumiganti pentoloni di cibo non ben identificato. Il retrobottega è una caverna nera….Viaggiamo e finalmente all’orizzonte vediamo una bella insegna Restaurant, la casa è dipinta di fresco , il tutto è invitante. Il parcheggio del ristorante consiste in un intricato intreccio di tubi nel vuoto….!!! , ma comunque entriamo. Con grande delusione vediamo che il locale è in ristrutturazione e mentre stiamo guadagnando l’uscita veniamo rincorsi dal proprietario. Ci mostra una saletta con due tavoli a disposizione dei clienti. Decidiamo di fermarci, consumiamo un pasto economico ( 7,50 euro in tre) mentre ci sono persone che trapanano cercando di sistemare i pannelli del controsoffitto.

A Shimla arriviamo alle 17, il nostro lussuoso Hotel Radisson è su tre livelli, la piscina è a sbalzo nel vuoto. Il panorama di sera è mozzafiato, sembra un presepe. Shimla si estende per 12 km lungo i crinali della montagna ed è a 2500 mt di altitudine. Il Mall, la strada dei negozi è lunga 6 km. Per gli indiani è la loro Cortina.

8 ottobre

Stamattina decidiamo di visitare la città e di noleggiare un’auto con autista del posto. Shimla ha le strade strettissime e tutte a doppio senso, gli ingorghi si formano appena si incrociano due auto. Siamo in bassa stagione, l’alta è a giugno/ luglio, e il caos è micidiale, non so immaginare come siano le strade in estate. In hotel ci chiedono 1500 rupie per mezza giornata di noleggio auto con driver, ma Sattu parla con altri autisti, si fa dare un numero di telefono e risparmiamo 500 rupie!. La macchinetta ha un interno leopardato di pelliccia, è tutta scassata, ma l’autista balza sempre a terra per aprirci la portiera. In questa città gli abitanti hanno tutti city car proprio per via delle strade strette, con un mezzo grande c’è il rischio continuo di fare qualche danno. Andiamo a visitare il tempio delle scimmie: qui c’è il noleggiatore di bastone. Serve ad allontanare le scimmie che sono ovunque e hanno una spiccata attrazione per gli occhiali e siamo in tre a portarli. Visitiamo la sede del Viceré inglese, non aveva badato a spese, ora biblioteca per studenti di dottorato e poi andiamo a mangiare in una tipica trattoria, vitto ottimo e la solita ridicola spesa di 7,50 euro in tre. Mentre stiamo passeggiando arriva un temporale, il cielo diventa nero in un istante e ci rifugiamo sotto un albero cosi’ grande che accoglie sotto le sue fronde non meno di trenta persone , penso tra me: se cade un fulmine fa una strage… Siamo bagnati, ma non cosi’ tanto nonostante la pioggia, durata una ventina di minuti, sia stata pesante. Torniamo in hotel per cambiarci e poi usciamo di nuovo. Al bazar finalmente troviamo una coperta di lana da regalare a Sattu, cosi’ potrà dormire al caldo.

La città è invasa dalle scimmie che scorrazzano ovunque, si lanciano di ramo in ramo, notiamo una infinità di tetti delle auto ovalizzati, gli animali li usano come pista di atterraggio…Pare che l’unico sistema per scoraggiare le scimmie sia quello di mettere sul tetto della macchina un telo e poi ricoprirlo di rami.

9 ottobre

Alle 7 e 30 siamo pronti per partire, siamo diretti a Dharamshala . La prima ora e mezza si snoda tra meravigliose colline verdi, una catena che si perde una dietro l’altra fino all’orizzonte. La strada è polverosa, c’è solo una corsia asfaltata e quando si incrociano i veicoli o ci si deve fermare o si finisce nello sterrato sollevando un nuvolone rosso che ricopre ogni cosa. Strade, case , auto, tutto è ricoperto da questa cipria che forse scompare solo con le piogge monsoniche. Arriviamo ad Arki. Da qui comincia l’autostrada, cioè la solita semplice strada gialla a due corsie che corre tutta a curve, superiamo ogni tanto torrenti e fiumi con un’acqua limpidissima e incontaminata. Poi le curve si fanno più strette e ininterrotte , più ci avviciniamo a Dharamshala più si intravede la catena Himalajana. Alle 14,30 siamo al nostro hotel, somiglia più a un B&B; di stampo britannico (Hotel White Haven). I padroni di casa sono nobili Sick e sono presenti al nostro arrivo. Loro vivono nella villa padronale , al primo piano mentre a piano terra ci sono due salotti per gli ospiti, una bella biblioteca con caminetto e una grande sala da pranzo. I turisti vengono alloggiati in un cottage nel giardino di casa, siamo gli unici ospiti e ci danno la stanza migliore con un bel bow window che si affaccia sul verde. I mobili sono un po’ vecchiotti, ma la bellezza del posto rende la cosa irrilevante. Il silenzio e la privacy sono impagabili, quando si sta stesi sul letto sembra di essere sospesi tra le fronde degli alberi. Facciamo un giro nella proprietà e alla sera ceniamo li. La cucina definita casalinga è deliziosa ! Sbircio un po’ di foto dei padroni di casa, ci sono gli antenati, ma anche una recente foto di loro col Carletto e la Camilla d’Inghilterra.

10 ottobre

Ci svegliamo al canto degli uccelli, facciamo colazione e cominciamo la giornata vistando un minuscolo laghetto che si chiama Dal a 1800 metri di altitudine. Sopra di noi volano cinque meravigliose aquile dal collo bianco, tipiche della zona himalajana, una si tuffa nel lago e quando emerge ha in bocca un pesce. Lo mangia in volo. Questo laghetto quando c’è il monsone si alza di parecchi metri e deve diventare un paradiso per i bambini. E’ stata creata una piscina con gradinata che scende verso il fondale e c’è una barca a forma di dragone parcheggiata sul prato. Poi ci dirigiamo al Mc Leod, che posto di pace, meraviglioso. Sembra proprio di essere in Tibet, è pieno di monaci allegri, sorridono a tutti e mettono di buon umore. Sono monaci moderni, orologio al polso, Nike ai piedi e cellulare, solo quelli più anziani indossano i sandali e non hanno tecnologia con loro. Facciamo tutti gli acquisti per noi e famigliari in questi banchetti, gestiti per lo più da donne che lavorano a ferri maglioni, calzettoni, sciarpe, cappelli, babbucce, borse , di tutto , si spende pochissimo : un plaid in pura lana, caldissimo 400 rupie, 100 rupie per i paraorecchi, 150 per le calze, tshirt 200 rupie, portapenne 100 rupie e un diario con carta fatta a mano 150 rupie. Tanto per avere una idea.

La posta del paese è assurda, per accedere al locale bisogna saltare un canaletto e poi c’è un gradino altissimo che va scalato per forza, mio marito aiuta una anziana signora inglese, da sola non ce l’avrebbe mai fatta. L’ufficio postale è nel caos più totale, ci sono pacchi piccoli ed enormi, pile di lettere e cartoline, schedari e tre impiegati che lavorano senza battere ciglio.

Fuori dall’ufficio postale veniamo fermati da una minuscola donna e qui ci ritroviamo in India. Non vuole soldi, ma latte, ci indica un fagottino che contiene il neonato più scheletrico che io abbia mai visto nella mia vita. Siamo scioccati, la donna ci porta a un negozio nella vietta principale, indica col dito un pacco di latte in polvere di una nota casa svizzera, è molto grande e penso possa bastarle per una decina di giorni. Lo paghiamo 350 rupie , una cifra ridicola. Poi la donna col suo pacchetto corre via .

Qui il posto è pieno di turisti di tutte le nazionalità, incontriamo una ragazza italiana. Concludiamo la visita vedendo il Tempio buddista Tsuglakhang che è di fronte alla residenza del Dalai Lama. All’ingresso c’è un manifesto con le foto, raccapriccianti di tutti i ragazzi che si sono suicidati, dandosi fuoco per la libertà del Tibet. Questo manifesto viene aggiornato continuamente perché, le morti continuano anche adesso….Alle due il cielo diventa nero e corriamo in macchina. Il pomeriggio lo passiamo a passeggiare e fare foto nei dintorni.

11 ottobre

Partiamo alle 8 da Dharamshala verso Shampur, la strada anche qui è tutta una buca e si va a rilento, la velocità è sempre bassissima dopo circa un’ora siamo in Punjab, terra di pianura, coltivata a grano. Ci sono camion caricati fino all’inverosimile di sacchi che arrancano in salita. Cominciamo a vedere i turbanti colorati dei sick coi loro lunghi mustachi e barbe fluenti. Alle 12 e mezza siamo ad Amritsar, l’hotel Ritz Plaza è in zona semi centrale, ma la strada è trafficata e dopo l’oasi e il silenzio di Dharamshala ci sentiamo frastornati. Mangiamo benissimo al Ristorante Narula’s spendendo 5 euro a testa. Il locale è senza troppe pretese ma pulito, il servizio è rapido e il menù ha un’ampia scelta di piatti sia di carne che vegetariani del Punjab e non solo. Noi mangiamo : pollo tandori, riso fritto con pollo, kebab di pollo in pastella, riso piccante vegetale, pane di grano fritto, acqua e bibite.

Alle 16 partiamo per il confine indo pachistano che dista circa mezz’oretta per assistere alla cerimonia di chiusura ; per i turisti c’è un’ala a parte. Gli indiani sono divisi, le donne da una parte e gli uomini da un’altra. Consiglio di sedersi sul muretto sotto la gradinata perché è il posto migliore non solo per fotografare ( non permettono di alzarsi in piedi), ma soprattutto per vedere lo spettacolo offerto dai due plotoni di soldati che si sfidano bonariamente con gesti e parole. La cerimonia comincia con un bel numero di persone che corrono sventolando la bandiera indiana e ovvio in Pachistan succede la stessa cosa. Possono fare la sfilata patriottica anche gli stranieri se ne hanno voglia. I volontari non mancano. Poi c’è una bella mezz’ora di balli al ritmo di musica bolliwood, in pista scendono per lo più le donne di tutte le età , le straniere sono tutte over 50. Ci sono diversi “animatori” che dirigono il pubblico incitando ad applaudire, alzarsi ecc. Poi comincia la sfilata militare che è a dir poco comica per l’andatura dei soldati , non si può definire una camminata né una corsa. E’ una via di mezzo, si muovono sgambettando , ogni tanto lanciano la gamba per aria con passo dell’oca, il mento è in alto, si fermano davanti ai cancelli di confine sfidando il nemico. Mostrano il pugno, digrignano i denti, guardano verso il Pachistan con fare sdegnoso. I due eserciti hanno divise simili, cappello con pennacchio rosso per gli indiani, verde per i pachistani. Poi i due comandanti si stringono la mano, i cancelli si chiudono e tutto il pubblico torna a casa. Arrivano qui intere famiglie e scolaresche, tutti si divertono un mondo! Noi stranieri possiamo partecipare poco a questo spettacolo , l’ostacolo della lingua è insormontabile. Si entra gratis.

12 ottobre

Oggi si visita il Tempio d’oro che dista una decina di minuti di auto dal nostro hotel. L’acceso al Tempio è aperto a tutti , bisogna solo rispettare le loro regole cioè lavarsi le mani, i piedi ( in una vasca con acqua corrente, per fortuna) e toccare con la punta delle dita l’ingresso al Tempio. Amritsar è fuori dalle rotte del turismo di massa, bisogna venire apposta, ma il posto vale la tanta strada . Non incontriamo ombra di occidentale. Per la visita indosso uno dei mie completini indiani, pantalone lungo e largo, casacca al ginocchio con manica lunga, velo in testa , obbligatorio. Gli uomini devono anche loro coprirsi il capo, io mi porto dietro un cappello per mio marito che va bene per stare nell’area antistante il tempio, ma per entrare deve mettersi un triangolo di stoffa allacciato dietro la nuca . Un sacerdote sta all’ingresso con un bidone pieno di bandane e offre a mio marito un bel triangolo rosa bebè a fiorellini…nessuno ci bada…Il Tempio è spettacolare e scattiamo le foto più belle di questo viaggio. Ci sono tantissimi induisti oltre ai Sick, ma nessun musulmano. Rimaniamo qui per due ore. Non è consentito scattare foto all’interno del Tempio.

Poco distante dal Tempio c’è un museo che ricorda la strage dei sick perpetrata dagli inglesi nel 1919, ci sono foto da incubo. Una fiamma perenne brucia a ricordo dei martiri. Alla una torniamo a mangiare al ristorante del giorno prima, a fine pasto ci offrono oltre ai semi di anice, tipico di tutti i locali indiani anche dei confettini colorati identici a quelli usati a Napoli per decorare gli struffoli.

Alle 17 e 30 torniamo al Tempio per fotografare il tramonto, è consentito sedersi ma solo a gambe incrociate. Alzandoci da terra, e qui rubo le parole a una scrittrice di cui ho dimenticato il nome, ” caviglie, ginocchia e anche hanno scrocchiato producendo una non atletica melodia urbana di mezza età”…. Ci consentono di scattare le foto col cavalletto, ma senza allungarlo, mio marito lo tiene tra le ginocchia e scatta foto davvero belle.

Il centro città è pieno di negozi di scarpe, deve esserci una produzione locale, di negozi di articoli religiosi sick, di frutta secca. Per lo più sono botteghe polverose , stipate di merci fino al soffitto e col pavimento in terra battuta. Qua e là ci sono negozi che realizzano sari stupendi, con ricami in oro o argento , rossi ma sono per le spose indiane. La cosa stupefacente sono le agenzie di viaggio, numerosissime, mah forse in Punjab sono viaggiatori .

13 ottobre

Partiamo alle 8 per Kurukshetra, nello stato della Haryana. Le strade sono belle, ci sono oleandri che fanno da spartitraffico, ma bisogna stare attenti ai pedoni e motociclisti che sbucano tra i rami pronti a balzare nella corsia, la nostra….E’ sabato e c’è poco traffico. La campagna si alterna a fabbriche, ma più viaggiamo verso sud più il traffico aumenta. Passiamo Jalandhar e Ludhiana, sono città inquinatissime. Poco dopo Ambala ci fermiamo a mangiare in un grill, il posto è pulito e il pasto ottimo. Arriviamo a Kurukshetra alle 14,30 e qui arriva il bello: il nostro hotel Saffron , il migliore della città. Appena varchiamo la soglia della hall veniamo investiti da un rumore assordante, nella sala da pranzo ci sono 150 ragazzini che mangiano, sono in gita scolastica. Saliamo al primo piano , due porte più in là della nostra stanza è in corso una festa di universitari. Lo schiamazzo è assordante, sbircio da una porta semiaperta e vedo tre ragazzi che si dimenano al ritmo della musica bollywood sparata da casse tipo quelle delle giostre. La nostra camera è un incubo. Il letto non è stato fatto , le federe dei cuscini hanno l’aria usata, il copriletto è piegato sul fondo, non c’è ombra di lenzuola. Il bagno è una piazza d’armi desolatamente vuoto; c’è un wc, un lavandino e un tubo con un microfono doccia monumentale, dall’alto pende un minuscolo boiler rugginoso. Non ci sono mensole o altro per appoggiare il nostro beauty. La luce della stanza è sepolcrale perciò decido di alzare la tenda scorrevole e mi sfilano davanti due ragazzi del party studentesco! La finestra da sul corridoio. Abbasso la tenda e chiamo la reception, chiedo gentilmente di fare il letto. Dopo dieci minuti arriva un inserviente con due grigie lenzuola rattoppate, ci sono evidenti macchie di unto vecchio e uno strappo. Le federe sono identiche a quelle già in dotazione, il verbo stirare non esiste. Col frastuono del party non riesco a riposare, ma mio marito si appisola. Nella luce cimiteriale della stanza il mio sguardo si blocca sul muro, c’è una animale che sgambetta, sveglio mio marito . Accendiamo la luce ed è un geko. Oh, non fa nulla di male, fa il marito e quando torniamo alla sera il geko è scomparso, penso dall’unico sfiato di aria fresca della nostra stanza, un buco nel bagno dove gracchia una rugginosa ventola. In bagno ci sono 7 interruttori ( li ho contati), ma ne servono solo due, uno per la luce e uno per il boiler.

Nel tardo pomeriggio usciamo e andiamo a vedere il tempio induista davanti a un minuscolo lago, è l’unica attrazione della città. Fa già buio. Il Tempio merita una visita, è suggestivo, c’è un porticato che corre lungo tutto il perimetro del lago. Intravedo delle ombre sotto i portici, ci sono molti religiosi, ma anche intere famiglie che vivono li. C’è chi cucina, chi vende fiori da mettere nell’acqua durante la preghiera. Tanti anziani vendono immagini sacre, ma molti tendono la mano: vivono di carità. I religiosi sono vestiti di arancione. Nelle adiacenze del lago c’è un vasto mercato o meglio gli ambulanti vendono le loro merci mettendole su un telo. I giocattoli in vendita sono miseri, brutti, niente a che vedere coi nostri balocchi ben fatti. Gli altri oggetti sono il trionfo del kitsch.

Rientriamo in hotel che è sera, abbiamo da poco messo piede nella stanza che il pavimento trema…inizia la disco dance . Eh si proprio sotto la nostra stanza c’è la discoteca e non si dorme fino alla una anzi si trema. Alle tre il portiere decide di vedere un bel film in tv , a tutto volume e alle 5 arrivano gli inservienti ed è una musica di porte sbattute, richiami e urla.

14 ottobre

Ci alziamo più stanchi della sera precedente. Vado in bagno, uno di noi due ha spento per sbaglio, durante la notte, l’interruttore del boiler. Cosi’ dal monumentale microfono doccia esce un getto freddo degno delle cascate del Niagara che allaga il bagno in un battibaleno… Scendiamo a fare colazione, il locale disco dance è in condizioni pietose, la sporcizia trionfa ovunque, ma un cameriere ci invita cerimoniosamente ad accomodarci al ristorante. Le luci sono soffuse da night club, ma forse è meglio cosi’, non vediamo l’unto sul tovagliato. A dare un tocco di colore c’è solo un bell’acquario. Siamo li in attesa della nostra colazione che qualcuno dalla cucina aziona un condizionatore cosi’ violento che mi spara per aria i capelli, sembro Mafalda ! Chiedo cortesemente al cameriere di spegnere l’aria condizionata, non lo fa, ma ci accende laTv! La soluzione migliore è cambiare tavolo, fuori portata della gelida bora. La colazione è pessima tanto per non smentire l’alto standard dell’hotel. Arrivano quattro toast chiusi nell’argento, la crosta è bruciata e l’interno gommoso. La marmellata è cosi’ poca che basta per dare una spalmatina a sole due fette di pane. Prendiamo i bagagli e via più veloci della luce verso Delhi. Consiglio : se andate ad Amritsar è meglio viaggiare fino a Delhi (dista da Kurukshetra solo due ore di auto), noi, sbagliando, abbiamo chiesto all’agenzia indiana di prenotarci un hoteli a Kukurshetra, il nostro era il migliore della città, immagino gli altri!

Il viaggio verso Delhi è velato dalla foschia, Sattu ci dice che spesso in inverno in questa zona c’è una fitta nebbia cosi’ come in Uttar Pradesh e Madhya Pradesh. E’ domenica , il traffico è limitato, ma ci sono continui rilevatori di velocità e successivi posti di blocco. Prima di entrare in città Sattu si mette il distintivo identificativo di autista. Mi colpisce che nome e cognome sia un sigla SN mentre per esteso leggo Meena cioè la sua casta. Questo la dice lunga di quanto sia ancora importante al giorno d’oggi l’appartenenza di ogni individuo indiano alla casta. Ci racconta che i driver devono vestirsi in modo conforme al loro ruolo cioè completo preferibilmente beige, la camicia deve avere i taschini e le mostrine. E’ concesso anche il pantalone scuro con camicia bianca o blu. Se vengono fermati dalla polizia mentre sono al lavoro e non sono vestiti a norma e non hanno la targhetta identificativa, possono essere multati.

Alle 10 siamo in città e decidiamo di visitare il Forte Rosso, lo scorso marzo lo avevamo visto solo da fuori. Da li raggiungiamo il Humayun Tomb, patrimonio Unesco dal ’93. Pranziamo in zona, qui spendiamo la folle cifra di 10 euro a testa per il pasto, ma si sa, siamo nella città più cara dell’India. Quando arriviamo al nostro piccolo, pulitissimo hotel Florence Inn ci sembra di stare a Buckingham Palace, abbiamo una bella stanza grande con ogni confort. Siamo vicini a una lunghissima via di negozi e scopriamo un fornito negozio di spezie, incensi e tè dove facciamo gli ultimi acquisti prima del rientro in Italia. La via deve essere nota per i negozi che vendono abiti da cerimonia molto di lusso, sia per uomini che per donne. Ma ci sono anche le catene internazionali di jeans, anche del nostro paese. Andiamo a letto presto , domani ci dobbiamo alzare alle cinque.

15 ottobre

E’ l’ora dei saluti, Sattu ha rappresentato per noi un compagno di viaggio impagabile. All’aeroporto ci abbracciamo e salutiamo commossi. Sul nostro volo ci sono una ventina di monaci, chissà forse arrivano da Dharamshala. In attesa dell’imbarco qualcuno sgrana il rosario, i giovani chiacchierano tra di loro, sono di tutte le età. Decolliamo e dopo un’oretta sbircio i sedili davanti al mio dove stanno i monaci. Sono tutti avvolti nella coperta della compagnia area, un ragazzo più freddoloso se l’è messa anche sulla testa. Dal primo all’ultimo hanno le cuffie sulle orecchie e come tutti i passeggeri guardano un film. Li perdiamo di vista a Monaco, si avviano timidi verso l’uscita, il cielo è bigio e fa freddo, con le loro tuniche di cotone spero non si siano ammalati. Noi proseguiamo per Malpensa. Il filo che ci lega all’India è solo temporaneamente staccato, ci auguriamo di riannodarlo il prossimo anno. Sogniamo un viaggio in Guyarat. Termino con le parole di una poesia di Tagore che ben rappresenta quello che mi lega a questo straordinario paese che è l’India:

Hai fatto prigioniero il mio cuore nelle infinite reti della tua musica.



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