A zonzo per la România
(Giorni 1-2). INTRO
Dopo trenta ore di autobus (di cui cinque non preventivate) sono a Sibiu. Dato che è mezzanotte risolvo di aspettare l’alba sdraiato su una panchina dell’autogara, leggiucchiando Terry Pratchett. Fino a quando un autista della Atlassib, mosso a compassione, mi intrufola solidale nella sala d’aspetto. Ci stiracchiamo sui sedili con la ferrea intenzione di dormire, a dispetto del televisore che trasmette un poliziesco in Giapponese (con sottotitoli in Rumeno, casomai volessi seguirlo…).
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(Giorni 3-7 giorni). SIBIU – parte I (giorno)
Al risveglio un’occhiataccia del custode mi convince di avere abusato fin troppo dell’ospitalità e, visto che il mio amico autista si è già dileguato nottetempo, decido che è il caso di smontare le tende. Arrivo in centro a piedi, e trovo l’Old John Wheeler, unico ostello della città. Scambiate due chiacchiere con i gestori (Sebastian, Ramona ed il loro cucciolo Maddox), vado a recuperare un caffè in Piazza Grande. Sibiu è una vecchia cittadina sassone, molto curata, nominata capitale culturale Europea nel 2007 e con dei tetti inconfondibili (due finestrelle fra le tegole che sembrano un paio d’occhi). In queste giornate visiterò diversi posti, a cominciare dalla Turn Sfatului (Torre del consiglio) dalla cui sommità si cattura una panoramica della città. Poi il (modesto) museo Brukenthal, dove è esposta una splendida crocifissione di Antonello da Messina. Sempre in centro, nei pressi delle piazze Mică (Piccola) e Mare (Grande), si trova la bellissima Chiesa Evangelica, a cui si accede da una caratteristica scalinata. Ma il mio monumento preferito è di gran lunga Podul Minciunilor. Non tanto da un punto di vista architettonico, quanto e soprattutto per la storia che si porta dietro. “Il ponte delle menzogne” è così chiamato perché – vuole la leggenda – è qui che venivano le coppie di innamorati a scambiarsi promesse e giuramenti di eterna fedeltà. E i Rumeni, ironici e disincantati come un po’ tutti i loro vicini mittle-europei, non hanno tardato a trovargli un nome appropriato. In periferia visito il mercato in cui mi procuro formaggi e grappe locali, ed il parco dove un’associazione animalista smista cuccioli trovatelli, con risultati non molto soddisfacenti. Provano a regalarne uno anche a me, ma davvero non me la sento di fargli fare il periplo dell’Europa.
(Giorno 6). INTERMEZZO: in bici a casa di Cioran
Cosmin, che lavora nell’ufficio accanto all’ostello di Sebastian, Ramona e Maddox, mi consiglia di fare un salto a Cisnădie e a Răşinari. Il primo è il suo villaggio natale, il secondo quello dei – più famosi – Goga e Cioran. Affitto una bici in un’agenzia (alla cui impiegata, Cosmin, fa la posta da mesi, portandole clienti quasi ogni mattino), e pedalo in direzione Răşinari. Dopo un tratto nel parco e nella foresta Dumbrava, comincia la strada asfaltata lungo la quale incrocio altari votivi, carretti trainati da cavalli, binari in disuso e Dacia in panne ai bordi della strada. A Răşinari mi reco alla casa-museo dove visse il poeta Octavian Goga, alla scuola elementare Goga, e do un’occhiata alla targa commemorativa della casa natale del filosofo nichilista Emil Cioran. Poi mi dirigo verso la chiesa fortificata di Cisnădioara, a 2 Km. da Cisnădie, salendo lungo la strada asfaltata. Lascio la bici all’ingresso e salgo fino alla sommità dove trovo la chiesa fortificata di San Michele, un ammasso di pietre religiose-militari, contornata da un panorama splendido.
(Giorni 3-7). SIBIU – parte II (notte)
Di ritorno dall’escursione in bici trovo Sebastian che arrostisce pannocchie mentre Maddox pisola accucciato ai piedi degli ospiti. Parliamo di Romania, dei vecchi tempi (quelli di Ceauşescu) e dei tempi moderni. Le serate sono funzionali ad assaporare la cucina rumena e tutte le sue temibili birre (dalla Ciuc alla Ursus e fino alla terrificante Timişoreana). Insieme ad alcuni ragazzi francesi dell’ostello ci dirigiamo ad un locale un po’ periferico, estraneo al circuito turistico, dove assaggiamo sărmale (involtini di verza ripieni di carne e spezie), ciorbe (minestre) e papanaşi (ciambelloni di pasta fritta guarniti di formaggio dolce e marmellata di more). Giriamo fino a tarda notte per i locali tra piazza Mică e Mare, che diffondono una musica assordante (manele) : un misto di house coi testi di Gigi D’Alessio. Con Olivier, anche lui ospite dell’ostello, andiamo alla scoperta del gulaş (la celebre zuppa di carne e patate) e della mămăligă (equivalente alla nostra polenta), che non ci fanno minimamente rimpiangere la cucina italica o francese. Durante quella che doveva essere la mia ultima notte a Sibiu scopro che la mia carta bancomat non funziona. Fedele alla Guida galattica per autostoppisti non mi faccio prendere dal panico e mi siedo ad un bar a leggere In viaggio con Erodoto. Kapuściński mi rassicura sull’imprevedibilità degli eventi e sull’impotenza degli umani di fronte a fato e destino. L’imprevisto mi procura un incontro fortuito con una ragazza rumena che si spaccia per Cipriota. “Abbiamo una sola vita – dice, spegnendo la sigaretta nel posacenere – dobbiamo fumarla tutta”. E dopo questa massima decidiamo di trascorrere la giornata a zonzo per Sibiu.
(Giorno 8-9). TULCEA, la porta del delta
Il viaggio continua alla volta della foce del Danubio. La prima breve tappa è Bucureşti, dove arrivo dopo 6 ore di treno. La città è esattamente come l’ho lasciata anni fa: sporca, grigia e misantropica. Altrettante ore servono per percorrere in treno la distanza dalla capitale a Tulcea, dove arrivo la sera, desideroso di cercare un posto per dormire… La giornata di viaggio mi ha temprato nel fisico e nello spirito! Sulla banchina della stazione ferroviaria di Tulcea mi intercetta un ex-cuoco navale, Ionel. Mi propone una camera a casa sua per venti euro. Quando si rende conto che parlo Rumeno esclama soddisfatto “Ah! Vorbim amindoi limba lui Eminescu!” (Ah, parliamo entrambi la lingua di Eminescu, il quale viene considerato il padre della lingua rumena, ndr), e abbassa il prezzo della metà. Mentre mi conduce in autobus verso la sua abitazione, mi diffida dal visitare Kiev e l’Ucraina: oppure posso andarci, ma devo stare attento e non fidarmi del primo che passa (come un estraneo conosciuto in stazione, aggiungerei io…).
(Giorni 9-12). SULINA, villaggio alla fine dell’Europa
Tulcea è il punto in cui il Danubio comincia a pensare che sì, perbacco, sfocerà sul mar Nero a delta. Se vuoi andare alla foce del Danubio, dove finisce il fiume più grande d’Europa, devi passare da qua. Gironzolo per la città nella mattinata afosa, e mi accorgo che ricorrono note turche. Dal busto di Atatürk alla moschea ottocentesca. Qui imam e muezzin sono impegnati nella colazione. Uno di loro si convince a farmi entrare e a spiegarmi i rituali. Salgo a bordo del battello per Sulina, uno dei tre bracci (assieme a quelli di Sf. Gheorghe e Chilia) in cui si divide il Danubio. La navigazione delle ultime decine di km. del Danubio dura 4 ore. All’approdo del battello non si contano le anziane che offrono casare (alloggio) ai turisti. Mi faccio convincere dalla signora Vasile, e me ne pentirò discretamente. Nei quattro giorni seguenti mi immergo in questa città di frontiera, il cui cimitero accoglie le epigrafi di cinque religioni diverse e di ancor più nazionalità. Qui sono giunti uomini da ogni parte d’Europa, come da tutta l’Europa arrivano le acque che formano il Danubio fino a gettarsi nel Mar Nero. Lo si può cogliere distintamente dalla cima del faro, da dove contemplo l’entrata trionfale – o l’uscita di scena? – del fiume nelle acque salate. Un barcaiolo, Valentin, ci fa visitare i canali. In uno di questi si getta in acqua per fare un bagno, ed io lo seguo, ritrovandomi così a nuotare nelle stesse acque dei pellicani che stazionano qualche centinaio di metri più isolati. A Sulina c’è un programma musicale alternativo alla discoteca sulla spiaggia (un tendone circolare che trasmette manele a tutto spiano). Si esibiscono artisti locali di estrazione la più varia, dalle danze tradizionali agli artisti pop emergenti, ai cantautori nazionali (tra cui la mia preferita, Ada Milea). Qualche giorno prima del previsto, mi tocca ripartire per Tulcea. Alla signora Vasile ho pagato una settimana in anticipo ma lei, giudicando inadeguato il compenso, decide di metterci dentro qualcuno che le dà di più. Prendo la faccenda con ironia e, seguendo il consiglio datomi da uno dei suoi pigionanti, parto per Sf. Gheorghe.
(Giorni 13-19). SFÂNTU GHEORGHE, “più hippie…”
Per giungere a Sf. Gheorghe da Sulina devo tornare indietro a Tulcea, altre quattro rilassanti ore di traghetto. Qui rimango ancora qualche giorno, in attesa del battello per Sf. Gheorghe. Così colgo l’occasione per esplorare meglio la città. Che, in effetti, non ha molto da dire. Ne approfitto per assaggiare cosciotti di ranocchie fritte e riempire lo zaino dei libri e dei cd che mi sono appuntato nei taccuini. Ed è così che Eliade, Caragiale, Milea e Andrieş fanno la loro comparsa nel mio bagaglio. Per il resto, aspetto il battello. Il traghetto giunge a Sf. Gheorghe verso le sette. Al camping Delfinul trovo un posto letto in una casuţa (un mini bungalow a forma di capanna per due persone). La sera stessa conosco alcune studentesse di Cluj e Bucarest venute qui per il festival cinematografico e rimaste nel campeggio abusivamente. Con loro trascorrerò le notti di Sf. Gheorghe, bevendo Timişoreane pessime o la loro ţuică fatta in casa, una specie di grappa ammazzavampiri. L’indomani stabilisco di lasciare il camping, decisamente esoso (25 euro a notte per la casuţa), e provo a trovarmi un alloggio da privati. Per strada nessuno sa darmi indicazioni efficaci, e allora busso alle porte della basilica (vedi tu avessero un letto in sagrestia!). Parlando con la signora Dora, la donna delle pulizie, scopro che anche lei affitta camere e mi prende volentieri come ospite. In questa settimana ho modo di osservare il carattere di questo villaggio alla fine dell’Europa. Di giorno gironzolo per le vie sabbiose del paese, sostando per qualche ora nell’unico bar. Non c’è molto da “fare”, nell’accezione occidentale del vocabolo, quanto piuttosto da “stare”. Ed è forse questo il metodo migliore per immergersi nella realtà dei posti. Qualcosa accade di tanto in tanto, anche stando fermi. Come il cane degli ospiti della signora Dora, che muore perché il veterinario non fa in tempo ad arrivare con il battello da Tulcea. Una sera la signora Dora mi fa assaggiare (“gratuitamente!”, premette lei) la sua cucina, servendomi una minestra di miscugli eterogenei inclassificabili e dei peperoni ripieni di pesce. Al mattino, a offrirmi intere tazzone di caffè, è invece suo marito, un anziano con cui ragiono delle difficoltà della Romania e dei Rumeni in Italia. Ma, la cosa più complicata dell’intera faccenda, è il ritorno alla pensione a tarda notte, quando tutti i lampioni “periferici” sono spenti, disvelando così un cielo meraviglioso ma ascondendo al passeggiatore ignaro le vacche sdraiate al centro della strada.
(Giorni 19-23). RITORNO
E poi viene il tempo del ritorno. Spesi i soldi e accumulati i libri, bisogna riassettare lo zaino e riprendere il battello per Tulcea. Qui un autobus attraverserà tutta la nazione e le strade d’Europa sino a Pisa. In realtà sul molo di Sf. Gheorghe scopro che, per salire sul battello, era necessario prenotare. E, indovina un po’, io non l’ho fatto. Per fortuna la Romania è un paese che può riservare mille improbabilità, come un passaggio in barca da un padre e un figlio diciottenne, che devono arrivare a Mahmudia da dove, recuperata la macchina, partiranno per Tulcea. In serata esco per dare il saluto finale a questa città e a questa nazione che, ormai, mi sembrano quasi una seconda casa. L’indomani sono pronto per lasciare la Romania. Meno pronti, però, sono gli autisti della RoTur. Il bus arriva con tre ore di ritardo, sbaglia strada un paio di volte, così va a finire che per uscire dal Paese impieghiamo più di 24 ore. Termino l’ultimo libro di Pratchett e terminano pure le batterie del lettore mp3, per cui non ho più difese contro l’assalto assordante del manele che imperversa dalle casse dell’autobus (evidentemente gli autisti la catalogano come servizio comfort per i passeggeri). Dopo 48 ore di strada arriviamo a Genova. E qui mi lasciano perché, se anche il mio biglietto alla voce “Destinazione” riporta la scritta “Pisa”, loro, da Pisa, non ci passano proprio. Non ne faccio un problema. Zaino in spalla mi avvio a piedi in direzione Piazza Principe, facendo mentalmente un po’ di rendiconto del viaggio: 5 libri letti, 921 foto scattate, nuovi autori da studiare e cd da ascoltare, circa 700 euro spesi e due taccuini pieni di storie da raccontare agli amici quando staremo a casa o all’Orzo Bruno davanti a una birra fresca.