Samaria e Gerusalemme, in rotta su nuovi sentieri
Il nome del pellegrinaggio e` “In rotta su nuovi sentieri”. Andremo alla scoperta di nuovi itinerari, raramente o mai toccati dalle proposte di viaggio tradizionali.
Ascolteremo testimonianze e saremo ospitati per due giorni presso le famiglie palestinesi.
Il fulcro del viaggio, infatti, e` centrato sui due giorni che trascorreremo a Zabadbeh, paese nel Nord della Palestina, vicino a Jenin, dove domenica 12 sara` festeggiato il gemellaggio fra la parrocchia di questo paese e la Diocesi di Verona.
In quei due giorni ci ricongiungeremo a Zabadbeh con altri 80 veronesi e saremo tutti ospitati nelle famiglie con cui condivideremo due giorni ricchi di emozioni.
Meta` del gruppo e` gia` stata in Terrasanta, alcuni piu` di una volta, per l’altra meta` invece si tratta del primo viaggio ma tutti siamo curiosi e motivati nell’affrontare questa nuova esperienza che ci portera` a contatto con le “pietre vive” della Palestina.
Ho organizzato io questo viaggio in tutti i dettagli, e la cosa mi da’ soddisfazione ma anche un po’ di preoccupazione. E` la mia prima esperienza come organizzatore, sono fiducioso che tutto andra` bene ma gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo, per cui partiamo e speriamo nella provvidenza.
Si parte da Verona alle 11.00, e si arriva a Tel Aviv nel primo pomeriggio, il passaggio del controllo passaporti e` rapido. Nella hall degli arrivi incontriamo l’autista che ci accompagnera` per tutto il viaggio. SI chiama Ibrahim e il primo approccio e` assolutamente positivo. E` cordiale, simpatico, disponibile, parla un ottimo inglese e da subito si integra con il gruppo. Ci accompagna al pullman e li` c’e` la seconda piacevole sorpresa.
Avevo prenotato un pullman da 35 posti, ma l’agenzia locale, senza sovrapprezzo, ce ne assegna uno nuovissimo da 50 posti, cosi` abbiamo un sacco di spazio in abbondanza e siamo comodissimi. Come inizio non ci si poteva aspettare di meglio.
Partiamo alla volta di Betlemme, dove trascorreremo le prime due notti al Saint vincent Guest House, un grazioso albergo a circa 1 Km. dal centro citta`. Si arriva a Betlemme verso le 17.30.
All’albergo troviamo ad accoglierci Johnny, il manager, ha gia` preparato tutto per la nostra accoglienza.
Abbiamo con noi circa 17 Kg. di grana in tagli da ½ Kg. da portare alle famiglie come regalo per la serie “sapori di casa nostra”. Li piazziamo nei frigoriferi che Johnny ci ha messo a disposizione e poi si esce per una passeggiata verso il centro.
Io devo fermarmi in un negozio per acquistare una scheda SIM locale, il resto del gruppo, accompagnato da mia moglie e Don Sergio, si incammina attraverso il suk per immergersi nei colori e i profumi del mercato.
Don Sergio e` la nostra guida “biblica’ ed e` uno dei promotori del gemellaggio con Zabadbeh, ha vissuto a Betlemme per tre anni e conosce molto bene la citta` e la Terrasanta in generale. Accompagna il gruppo fino alla piazza della Basilica, attraverso il mercato dove, quando viveva li`, era solito fare la spesa. Purtroppo l’attivazione della SIM va un po’ per le lunghe e non riesco a raggiungere il gruppo, ci si ritrova all’albergo per ora di cena.
Dopo cena abbiamo il primo degli incontri con le pietre vive. Ci raggiunge in albergo il mio amico Abuna (Don) Ibrahim, parroco di Beit Jala, parla molto bene l’italiano ed e` un personaggio interessantissimo da ascoltare.
Parliamo con lui per piu` di un’ora spaziando a 360 gradi su tutti i temi che andremo ad approfondire nel corso della settimana, La situazione politica, i rapporti fra israeliani e palestinesi, fra musulmani e cristiani, gli effetti del muro di separazione, le prospettive di pace, il problema dell’emigrazione dei giovani palestinesi piu` preparati dovuto alla mancanza di lavoro e ad una situazione politica instabile e fragile .
Il colloquio con Ibrahim e` molto interessante e tutti sono presi dalle sue parole, ci sono molte domande, e l’Abuna risponde sempre con competenza e passione.
Il viaggio e` iniziato bene, siamo tutti contenti, autista simpatico, bell’ albergo, interessante l’incontro con l’Abuna, tutto perfetto. Andiamo a riposare perche` domani sara` una giornata intensa, andremo a Hebron e nelle South Hebron Hills per altre visite a altri incontri.
Al mattino alle 8.30 ci raggiunge in albergo la nostra guida per la giornata dedicata a Hebron, si chiama Samer, vive a Beit Saohur e lavora per l’Alternative Tourism Group, l’ho contattato mesi prima per mail e ha accettato di farci da guida.
E` una persona con cui si entra subito in sintonia, simpatico, gentile, parla un eccellente inglese. C’e` un altro gruppo di italiani in albergo che anche loro partono alla volta di Hebron con una guida di Gerusalemme, faremo la visita di Hebron assieme a questo gruppo con la loro guida, perche` Samer, essendo palestinese, non puo` entrare nella parte israeliana di Hebron, invece il suo collega, anche se palestinese, ha la carta d’identita` di Gerusalemme per cui puo entrarci.
E gia` da qui si entra nel vivo dellla difficile situazione politica della regione.
Durante la strada, Samer, con l’ausilio della mia traduzione in italiano, ci illustra la situazione di Hebron e cosa andremo a vedere. Ogni tanto, lungo la strada, ci mostra le colonie israeliane che sorgono in territorio palestinese e i realtivi problemi, considerando che i coloni installati in questa zona sono fra i piu` intransigenti da cio` nascono continue frizioni con gli abitanti dei villaggi palestinesi limitrofi alle colonie.
Dopo 45 minuti arriviamo a Hebron, entriamo attraverso il check point della colonia ebraica a poca distanza dalla tomba dei Patriarchi. Nessun controllo, meno male, altrimenti avremmo dovuto lasciare Samer al cancello.
Parcheggiamo e Samer ci attendera` in un negozio di souvenir, mentre con l’altro gruppo e la loro guida saliamo per visitare la Tomba dei Patriarchi, purtroppo e` venerdi` di Ramadan e l’accesso e permesso solo ai musulmani per la preghiera, peccato.
Il primo impato con Hebron e` shoccante, siamo nel centro della colonia ebraica, militari dappertutto, posti di controllo, le vie sono deserte, le case disabitate e con le porte sigillate, lo stesso per quelli che erano i negozi. I pochi palestinesi che hanno accesso alla zona per recarsi alla Tomba dei Patriachi possono percorrere solo un lato della strada, delimitato da transenne, siamo molto colpiti.
Per quanto uno si sia informato, la visone reale della citta` e` impressionante. Da una finestra ci salutano dei bambini palestinesi, sembrano in gabbia perche` la finestra ha delle grate metalliche di protezione.
Sapremo poi che quella casa ha accesso dalla parte palestinese, ma le finestre si affacciano sulla colonia e le grate sono state messe perche` i coloni usano tirare sassate contro le finestre dei palestinesi.
Mah, ci si chiede dove siamo capitati.
I militari ci guardano indifferenti, senza farci domande, proseguiamo la visita della colonia verso Shuhada Street.
Questa via una volta era la via principale della citta`, con il mercato e tutti i negozi brulicanti di vita, adesso sembra una citta` fantasma.
Dappertutto le porte sono sigillate, gli abitanti evacuait e le case stanno andando in rovina.
Dalle torrette i giovani militari israeliani ci osservano, hanno vent’anni e in mano dei fucili mitragliatori piu` grandi di loro, chissa` cosa gli passa per la testa, se anche loro non preferirebbero essere a centinaia di chilometri di distanza con la morosa invece che in quel posto triste e desolato. Sui muri delle case e sulle e` disegnata la Stella di David e scritte inneggianti al ritorno degli ebrei nella citta` dei patriarchi.
Una scritta in particolare mi turba molto, qualche mano ignota ha scritto “Gas the arabs” – arabi nelle camere a gas.
Se pensiamo a cosa hanno sofferto gli ebrei durante la Shoah ci si chiede se questa ignara persona ha capito qualcosa dalla storia.
La guida ci racconta del problema di Hebron, una citta` dove 500 coloni, protetti da duemila soldati, si sono installati nel centro della citta`, appropriandosi delle abitazioni e in perenne conflitto con i 150.000 arabi che vivono a Hebron.
Da un balcone che si affaccia su Shuhada Street ci saluta sorridendoci un’ anziana signora col suo vestito arabo tradizionale, anche il suo balcone e` circondato dalla rete di protezione, anche lei sembra in gabbia.
Arriviamo alla fine di Shuahada Street ed usciamo dalla colonia per entrare nella parte araba della citta`.
Attraversiamo il suk, i locali ci salutano amichevolmente.
A meta` del mercato una signora ci fa salire nella sua casa, sul tetto.
Anche la sua casa ha l’entrata dalla parte palestinese e il balcone sulla parte ebraica, anche lei ha le reti al balcone, per proteggersi dalle sassate.
Ci mostra una casa vicina, gli abitanti non possono entrarvi dalla porta perche, dando su Shuhada Street e` stata sigillata dai militari. Per andare a casa loro devono passare attraverso i tetti delle case vicine e calarsi da una porticina sul tetto nel loro appartamento.
Mah, ci chiediamo perplessi se e quando mai questa cosa avra` una fine.
Attraversiamo tutto il mercato, le strette vie del suk, in alto, sono protette da reti perche` qui le case sono divise in senso verticale, al secondo piano abitano gli ebrei, a piano terra i palestinesi.
Dal secondo piano gli ebrei lanciano sulla strada sottostante le immondizie, e poi bottiglie, sedie, di tutto, cosi` i militari hanno installato queste reti per proteggere i passanti.
Solleviamo lo sguardo, sulle nostre teste le reti con le immondizie e poi filo spinato dappertutto.
Mah, possibile che non si trovi un modo civile di convivenza pacifica?
Usciamo dal suk attraverso il check point a tornello che ci riporta alla Tomba dei Patriarchi, questo e` l’unico posto di accesso dei palestinesi per visitare la Tomba dei Patriarchi, si passa attraverso il tornello uno alla volta sotto lo sguardo dei militari di controllo.
Riprendiamo il pullman, chi di noi e` stato per la prima volta a Hebron e` fortemente impressionato, non si aspettava una cosa del genere, parleremo a lungo confrontandoci fra di noi sugli effetti che ci lascia la visita di questa citta`.
Si va verso At Tuwani, per incontrare i volontari italiani di Operazione Colomba.
At Tuwani e` un piccolo villaggio palestinese di qualche centinaio di persone a sud di Hebron.
Il problema di questo villaggio e` la vicinanza con una colonia di ebrei che si si sono insediatii sulla collina di fronte. Questi coloni sono particolarmente aggressivi e addirittura sono arrivati ad attaccare con sassate o con i bastoni i bambini che dai villaggi vicini si recano ad At Tuwani per andare a scuola e, purtroppo, devono passare in mezzo alla colonia perche` non ci sono altre strade. Cosi` un gruppo di volontari italiani, con l’appoggio di avvocati ebrei che non condvidono la politica dei coloni, hanno ottenuto da Israele che l’esercito mandi una camionetta di militari per accompagnare i bambini a scuola e proteggerli dagli attacchi dei coloni.
Tuttavia ci sono continui attacchi da parte dei coloni verso i pastori di At Tuwani quando portani gli animali al pascolo, cosi` questo gruppo di volontari – che cambiano ogni sei mesi circa – e` stabile ad At Tuwani da qualche anno per monitorare la situazione e denunciare soprusi o ostilita` da parte dei coloni.
Siamo accolti da due volontari, il pranzo ci e` preparato dalle donne del villaggio e consiste in due varieta` di minestra con pane e verdure offerto sotto il portico di una casa, seduti a terra su dei tappeti piuttosto polverosi. Non e` il grande ristorante ma e` quello che volevamo, immersi nella realta` locale, ci sentiamo quasi del posto.
I ragazzi di Operazione Colomba ci parlano del loro lavoro e di come la gente di At Tuwani abbia da molto tempo abbracciato una politica di resistenza nonviolenta contro i soprusi dei coloni.
Se mi uccidi la pecora me ne compro un’altra, se mi abbatti l’albero ne pianto un altro, non usero` contro di te la stessa violenza che hai nei miei confronti, fino a quando non troveremo una maniera di coesistere in pace.
Gli abitanti del villaggio sono persone semplici, miti e ospitali, pastori per lo piu`, che vorrebbero solo vivere in pace con le loro pecore magre magre che danno il minimo da vivere ma per loro va bene cosi` perche` quella e` la loro terra e non vogliono abbandonarla.
Purtroppo da qualche decennio la vicinanza della colonia ha reso la loro vita sempre piu` difficile, cosi` sono contenti nel ricevere visite perche` almeno qualcuno puo` far sentire la loro voce, far conoscere la loro situazione e portare una parola o un gesto di solidarieta`.
Dopo pranzo abbiamo un incontro con il rappresentante del movimento nonviolento del villaggio che ci racconta la sua storia e la storia passata e presente del villaggio, istruttivo e coinvolgente, poi, da lontano, visitiamo la colonia che, come constato dalla mia precedente visita dell’anno scorso e` in continua espansione.
Si sta facendo ormai tardi e dobbiamo andare, abbiamo solo il tempo di fare qualche acquisto alla Cooperative delle donne.
Il paese e` povero, cosi` per sostenere le famiglie le donne del villaggio si sono riunite in cooperativa e vendono i loro prodotti di ricamo, borsette, borsellini, copricapi, scialli.
Nessuno di noi tira sul prezzo, anzi, arrotondiamo in eccesso, chiedi 40 shekel? Facciamo 50 via.
E` l’unico posto dove un arabo mi dice un prezzo e invece di contrattare finisco per pagare di piu` del richiesto.
Vorremmo fermarci ancora un po’, giocare con i loro bambini, parlare con loro ma ormai e` tardi, abbiamo un’altra visita in programma, cosi` ringraziamo, salutiamo, risaliamo sul pullman e partiamo alla volta di Tent of Nations.Tent of Nations e` una fattoria su una collina a poca distanza da Betlemme. Sulle colline intorno sono spuntate colonie dappertutto, Tent of Nations e` un’isola ormai circondata. Addirittura i coloni hanno ostruito la via per accedervi con dei massi sulla strada, cosi` ci si deve andare a piedi.
Tent of Nations e` di proprieta della famiglia di Daoud da ormai 90 anni, l’ha comprata suo nonno nel 1916 e Daoud intende rimanervi nonostante tutte le pressioni lecite o illecite che sono fatte nei suoi confronti per convincerlo ad andarsene.
Al cancello di entrata ha posto una pietra, con scritto “We refuse to be enemies”- Ci rifiutiamo di essere nemici. E` rivolto a coloro che invece vorrebbero cacciarlo.
Daoud ci accoglie calorosamente, e` un uomo di grande cultura e di grande carisma, ci accomodiamo nella “sala riunioni”, in realta` una ampia grotta adattata con dei tavoli e delle sedie e dipinta a colori vivaci per accogliere visitatori e volontari.
Anche Daoud ha adottato una politica di resistenza non violenta e ha fatto della sua fattoria un punto di incontro per volontari internazionali, vengono ragazzi da tutto il mondo per lavorare con Daoud e per aiutarlo nelle sue attivita` culturali e sociali.
Cosi` questo posto e` diventato un laboratorio di cultura, lavoro e speranza.
Daoud ci racconta che da quando i coloni si sono insediati nelle colline attorno sta ricevendo continue pressioni e ordini di demolizione per lasciare questo suo pezzo di terra, ma lui resiste “Questa terra l’ha comprata mio nonno,abbiamo tutti i documenti in regola, mio padre, io e i miei figli siamo nati qui e qui abbiamo il diritto di stare, e vogliamo restare”.
Mentre intorno le colonie continuano ad ingrandirsi, Daoud non puo` costruire niente, cosi` ha riadattato le grotte, una volta usate come abitazioni, come alloggio per i volontari.
Anche la storia di Daoud e` coinvolgente e la sua passione e il suo impegno ci affascinano.
Dice che ha addirittura ricevuto un assegno in bianco dagli israeliani per vendere la sua terra, ma l’ha rifiutato. La sua dignita` non gli permette di accettare.
E `impressionante l’attaccamento alla terra e alle proprie radici che ha questa gente. Daoud non ha acqua, elettricita`, strade ma e` diventato un punto di riferimento per coloro che come lui cercano una soluzione di coesistenza pacifica con gli israeliani.
Parliamo a lungo con Daoud, poi visitiamo la sua fattoria e le grotte usate come abitazioni.
Grande Daoud, positivo, speranzoso, sorridente, carismatico, non rancoroso, piace a tutti.
Anche questa e` stata una visita che ci arricchisce tantissimo.
Lo salutiamo augurandogli buona fortuna, e lasciamo anche una parte del nostro cuore che rimarra` fra gli ulivi di Tent of Nations, ormai e` ora di rientrare per la cena.
E` stata una giornata molto intensa, abbiamo visto luoghi e situazioni di cui pochissimi sono a conoscenza e conosciuto persone semplici e dignitosissime, dotate di grande umanita`, pazienza e speranza per un futuro migliore. Ci vorra` del tempo per metabolizzare tutta la messe di informazioni ed emozioni che abbiamo assorbito in poche ore.
Ma e` gia` tempo del briefing serale per la giornata di domani, altri luoghi, altri volti, altre storie da farsi raccontare.
Si parte alla mattina di buon’ora e, attraverso il mercato, raggiungiamo la Basilica della Nativita` dove Don Sergio assieme ad un francescano di Betlemme celebra la Messa nella Grotta della Nativita`.
E` veramente emozionante celebrare il rito proprio nel luogo dove, secondo la tradizione, duemila anni fa e` nato Gesu`.
Dopo messa visitiamo la Basilica e la chiesa annessa, un po’ di tempo libero, poi tutti sul pullman per andare a trovare la mia cara amica Claire.
Claire Anastas vive con la sua famiglia e la famiglia della sorella in una casa a 500 metri dal check point.
Quando nel 2005 Israele ha costruito il muro, la sua casa era sul tracciato e adesso e` circondata dal muro su tre lati, in quella che una volta era la via principale fra Gerusalemme e Betlemme.
Un tempo brulicante di turisti e di attivita`, e ora deserta e devastata dal muro.
Ci dice che un giorno si e` trovata le ruspe sotto casa e dalla sera alla mattina la sua casa e` stata circondata.
Hanno avuto grossi problemi e gravi limitazioni agli spostamenti, lunghi giorni in cui non potevano portare i bambini a scuola o muoversi perche` sotto coprifuoco.
Ci racconta di come la sua attivita` (aveva ed ha un negozio di souvenir) sia stata quasi distrutta dalla costruzione del muro con relativi problemi economici.
Di quando i soldati israeliani irrompevano di notte nella sua casa, chiudendo tutti gli adulti in una stanza e svegliando i bambini puntando loro i mitra alla testa.
Di come i suoi figli abbiano sofferto grossi problemi psicologici a causa delle continue irruzioni notturne dei militari nella casa.
Di come per miracolo suo figlio abbia scampato la morte perche` , recitando la Bibbia, si sia chinato proprio nel momento in cui, una pallottola che i militari avevano sparato contro la loro casa lo stava per colpire alla testa.
Sono continuamente sorvegliati da telecamere piazzate sul muro, puntate contro le loro finestre, che fanno scempio dello loro intimita` e vita quotidiana e quindi costretti a vivere sempre nella penombra, e poi altre storie di sofferenza.
Claire ha una grande fede e questo le ha permesso di sopravvivere per tanti anni in condizioni che per qualsiasi altra persona sarebbero state inaccettabili.
Fra di noi c’e` chi prova rabbia, sdegno, chi ha gli occhi lucidi dalla commozione e non si riesce proprio a capire perche` questa famiglia, che non ha fatto niente di male, debba subire cosi` tante umiliazioni.
Claire vende oggetti in legno di ulivo, fra cui un presepio con il muro,che nasconde la Sacra Famiglia. Il muro pero` si puo` rimuovere, dice Claire, perche` un giorno tutto questo deve finire.
La sua casa non si vede dalla strada, il negozio non e` nei circuiti dei negozi di souvenir proposti dalle guide e dai tour, ci si va e la si conosce con il passaparola fra amici.
Ha trasformato alcune stanze in una guesthouse e un giorno mi piacerebbe tornare e fermarmi qualche giorno in questa casa.
“Grazie per la vostra visita” – ci dice – “voi siete la nostra voce per far sapere al mondo quello che succede qui. Quando tornate a casa raccontate quello che avete visto.”
Grazie a te Claire, per la tua forza e il tuo coraggio, non ti dimenticheremo e diremo a tutti cio` che abbiamo visto e come ci hai accolti con calore e simpatia.
Sono gia` le 11, e salutiamo Claire e suo marito, dobbiamo fare pero` solo un centinaio di metri perche` abbiamo un appuntamento al Caritas Baby Hospital.
Il Caritas Baby Hospital e` l’unico ospedale pediatrico della Palestina, fondato 60 anni fa.
Offre cure d’avanguardia a tutti i bambini di Betlemme, della Cisgiordania ed anche di Gerusalemme.
Troviamo ad accoglierci una brava suora italiana, Suor Donatella, che ha dedicato la sua vita a questa missione.
Il Caritas vive di offerte, cosi` anche noi diamo in nostro piccolo contributo. Abbiamo portato dall’Italia una buona quantita` di medicine pediatriche di cui l’ospedale ha sempre bisogno.
Tiriamo fuori le medicine dai nostri zaini, riempiendo un paio di tavoli, Suor Donatella e` contenta, foto di rito e poi visitiamo l’ospedale.
Purtroppo non possiamo visitare i reparti, quindi facciamo un giro negli ambulatori, l’ospedale e` moderno e con il contributo di donatori da tutto il mondo rimane un centro all’avanguardia e un fiore all’occhiello per l’assistenza sanitaria pediatrica in Palestina, cosa di cui questa gente ha estremamente bisogno.
Ormai pero` e` ora di andare a pranzo, e dove si va a mangiare ? Al ristorante del campo profughi Deheisheh ovviamente.
Al Caritas lavora un’infermiera che abita al campo profughi con marito e sei figli, ci ha prenotato il pranzo al ristorante del campo, anche se e` Ramadan apriranno il ristorante apposta per noi.
In pochi minuti di bus arriviamo al campo, saliamo al ristorante al terzo piano dell’edificio del Centro Culturale IBDAA del campo e li` troviamo la nostra ospite che ci aspetta.
Il ristorante e` pittoresco, una serie di divani tipo tenda beduina per sedersi in attesa del pranzo e dei tavoli molto semplici dove mangiare, ci piace, anche oggi niente ristoranti di lusso.
Ci intratteniamo un po’ con la nostra ospite poi viene servito il pranzo, pollo, riso e verdure un classico da queste parti.
Stranamente qui, come in altre parti, non usano coltello e forchetta ma solo il cucchiaio, cosi` con qualche difficolta` e ungendoci parecchio le mani riusciamo comunque a mangiare anche il pollo. Dopo pranzo ci raggiunge anche il marito della nostra ospite.
Con lui abbiamo una interessante conversazione con molte domande sulla storia dei campi profughi, perche` ci sono ancora, come si vive, quali prospettive ci sono.
Anche in questo caso una quantita` di informazioni e di storie di vita reale che non si troveranno mai sui libri o sentiranno mai alla televisione.
Il nostro ospite e` molto gentile e parla volentieri con noi rispondendo a tutte le domande. Vive da sempre nel campo profughi perche` i suoi genitori sono stati cacciati dalla loro casa durante la guerra del ’48 e da allora la sua famiglia non ha piu` potuto ritornare nella loro casa.
Dopo la conversazione ci accompagna per una visita del campo.
Le strade sono strette, come in tutti i campi profughi la densita` abitativa e` altissima, ci sono parecchi bambini.
Su molte case sono dipinti dei graffiti e dei murales con scritte in arabo che, ci dice la nostra guida, in qualche maniera ricordano la nostalgia dei profughi per i villaggi e le citta` che hanno lasciato e in cui un giorno vorrebbero tornare, e poi scritte della serie “Free Palestine” o simili.
La visita dura circa un’ora, poi ci dobbiamo salutare e lasciamo Betlemme, destinazione Zabadbeh, dove ci aspettano le famiglie.
Abbiamo visto un’altro dei luoghi sicuramente non turistici, ma estremamente interessanti per chi in queste terre vuole non solo visitare la storia e l’archeologia ma anche la quotidianita` nascosta.
Il viaggio verso Zabadbeh dura un paio di ore.
Zabadbeh e` un paese talmente conosciuto e frequentato che ogni tanto il nostro autista si ferma a chiedere indicazioni stradali alle persone che incontriamo per la via.
Finalmente arriviamo a Zabadbeh, dopo di noi arrivano anche gli altri due pullman dei veronesi, in totale 100 persone da smistare nelle famiglie he si sono rese disponibili ad ospitarci.
Ci si trova nella piazza della chiesa, a Zabadbeh infatti la maggior parte degli abitanti e` cristiana.
Il parroco e` gia` organizzato, ha le liste dei nostri nomi e ha gia` assegnato le famiglie, per cui si fa l’appello e Tizio e la moglie va con la famiglia Abdul, Caio con la famiglia Ghannim e cosi` via.
Ogni famiglia prende in carico i propri ospiti e dopo una breve presentazione ognuno verso la propria casa. Ci si rivede domani mattina per la Messa tutti assieme.
Noi ed un’altra coppia veniamo sistemati da Asmah, una signora vedova, molto gentile e socievole che vive con il figlio di vent’anni, l’altra figlia e` sposata a la conosceremo piu` tardi.
Le offriamo il nostro omaggio gastronomico, grana padano della nostra terra, sapori di casa nostra
Ovvio che dopo una giornata passata in giro si ha voglia di una doccia, cosi` dopo che Asmah ci mostra le camere chiediamo se possiamo fare una doccia prima di cena, ma non c’e` tempo dice, ci stanno aspettando per cena ad un matrimonio.
In realta` non e` un matrimonio, e` la festa che gli sposi celebrano a casa della sposa dopo il ritorno dal viaggio di nozze in cui tutti i parenti della sposa vengono presentati a tutti i parenti dello sposo, per suggellare l’unione delle due famiglie.
Scopriremo poi che da quelle parti si comincia a festeggiare il matrimonio mesi prima e si finisce mesi dopo.
Cosi` con solo il tempo di cambiarci partiamo per l casa della sposa. Li` tutti i parenti sono in fila e i parenti dello sposo sfilano stringendo la mano a quelli dell’altra famiglia.
Dato che da quelle parti le famiglie sono numerose, fra fratelli, zii e cugini ho contato circa un centinaio di persone.
Per cena viene servito il classico pollo e riso rigorosamente con il cucchiaio, vabbe’ abbiamo fatto pratica.
Sono tutti eleganti, solo noi ci presentiamo in pantaloni corti e maglietta, averlo saputo prima… ma quello e` il nostro abbigliamento da viaggio.
Ci presentano agli sposi, ringraziamenti e “Felici di avere ospiti dall’Italia”.
Stiamo li` un’ ora poi si torna a casa e finalmente meritata doccia.
Quando gia` si pensava di passare il tempo rimanente a discorrere con Asmah sul balcone bevendo il te`, ci dice che dobbiamo uscire di nuovo, questa volta per andare ad un matrimonio vero.
Ci infiliamo il meglio che possiamo trovare in valigia, cioe` un paio di pantaloni corti non spiegazzati e una maglietta decente e via per quella che sara` una delle esperienze piu` esilaranti del viaggio.
Da quelle parti alle feste di matrimonio ci sono dai 600 ai 1000 invitati, in pratica mezzo paese, cosi` raggiungiamo un luogo appena fuori dal centro abitato, organizzato tipo sagra paesana, un recinto grande piu` o meno come un campo di calcio, con banconi e panche per mangiare, in fondo un palco tutto addobbato di bianco dove staranno gli sposi, ci sono gia` a occhio e croce circa 800 persone.
Gli sposi arrivano e scendono dall’auto, salgono su una specie di grande vassoio bianco sollevato a spalla dalgi amici, partono i fuochi artificiali, parte la disco music araba a manetta e ca passo di danza gli sposi vengono portati verso il palco.
Tutti si mettono a ballare e andranno avanti fino a notte.
Noto che oltre al fotografo ufficiale ci sono due postazioni con telecamere ai lati del palco che riprendono tutta la cerimonia e una cabina di regia per le luci e la musica da fare invidia ad una discoteca, robe in grande.
Le signore e le ragazze sono elegantissime, con vestiti da sera e i signori con la cravatta, i paggetti e le damigelle hanno tutti il vestito uguale, da cerimonia.
Solo noi sfiguriamo con le nostre braghe corte.
Ci sediamo al nostro posto, i camerieri ci individuano subito e ci portano la cena, pollo e riso.
No grazie, abbiamo appena mangiato.
Incontriamo, tra i tanti invitati, alcuni dei veronesi, anche loro invitati dalle loro famiglie, ci si fa prendere dalla euforia e tutti a ballare, anche se per poco, siamo un po’ stanchi.
La festa va avanti per parecchio con gli sposi fra i piu` scatenati nel ballo, robe da matti.
Verso mezzanotte imploriamo Asmah di tornare a casa, non si sta piu` in piedi.
“Avete ballato poco” – ci sgrida – “Sai e` stata una giornata intensa, siamo un po’ stanchi…” “Vabbe` fa niente, domani sera vi rifarete, c’e` un altro matrimonio.” Arghh… a nanna per favore.
Il mattino dopo sveglia alle 8.30 perche` alle 9.30 c’e` la messa per la celebrazione del gemellaggio. Asmah sta gia` cucinando la colazione (ci ha preparato di tutto) e per fortuna non c’e` pollo e riso.
Facciamo una colazione abbondante lodando le doti culinarie della nostra ospite mentre mia moglie e l’altra signora con noi si fanno dare un po’ di ricette tipiche.
Alle 9.30 messa con tutti gli abitanti e i 100 veronesi per il gemellaggio. E` una cerimonia toccante, c’e` un grande sentimento di amicizia fra noi e questa gente. Loro cantano una strofa in arabo, noi una strofa in italiano, bellissimo.
Finita la messa con pochi discorsi di rito, si parte per la visita della mattinata all’Universita` di Jenin a pochi chilometri di distanza.
All’ Universita` siamo accolti nell’aula magna e un rappresentante dell’ateneo, ci racconta la storia ed i progetti dell’Universita`.
E` stata costruita 10 anni fa, molto moderna, tipo campus americano, con edifici separati fra di loro ed immersi nel verde.
Ci sono parecchi studenti musulmani oggi, perche` per loro non e` giorno di festa, quindi c’e` lezione. Le studentesse sono molto eleganti con i loro veli multicolori.
Dopo la spiegazione della storia e dei progetti dell’Universita` visitiamo qualche edificio, tutti moderni e bene organizzati.
Si torna a Zabadbeh per il pranzo con la famiglia, oltre ad Asmah ci sono anche alcuni dei suoi parenti con cui e` piacevole discorrere di tutto. Asmah e` un’ottima cuoca e ci ha preparato delle prelibatezze, assaggiamo la cucina palestinese tipica che piu` tipica non si puo`.
Dopo il caffe` sul terrazzo ci si ritrova con gli altri veronesi e alcuni dei locali per le visite del pomeriggio, adesso il pullman e` pieno perche con noi vengono anche alcuni dei (Zababdehsi, Zababdiani?) per una mezza giornata assieme.
Ci sono tre mete da vedere e i tre pullman percorrono itinerari diversi per non essere tutti assieme allo stesso posto nello stesso momento, cosi` da non invadere i luoghi.
Visitiamo due villaggi che non esistono neanche sulle carte, Burqin e Kfur Qud, dove ci sono piccole comunita` di cristiani di poche persone.
Veniamo accolti con grande simpatia, perdiamo qualcuno perche` non riesce a sottrarsi all’invito di entrare nelle case e bere un te`. Per queste persone, che non vedono mai visitatori, e` bello percepire che c’e` qualcuno che vive molto lontano da loro con cui ha qualcosa in comune da spartire.
La giornata poi finisce con la visita al Museo Palestinese di Jenin.
Rientro in famiglia e poi via per il secondo matrimonio. Questa volta il gruppo dei veronesi invitati e` piu` numeroso, ci siamo quasi tutti e ci scateniamo in danze e balli assieme ai nostri amici di Zabadbeh.
Non saremo cosi` eleganti come loro ma se c’e` da fare baldoria ci facciamo notare.
All’una a nanna.
Il mattino dopo colazione e poi salutiamo Asmah e suo figlio, baci, abbracci e tanta commozione, siamo stati assieme solo due giorni ma si e` creato un forte legame. Grazie Asmah, sarai sempre nei nostri cuori.
Stamattina ci aspetta la visita a Sebastia, dove avremo una guida eccezionale, Carla, l’archeologa che ha lavorato per il restauro del sito archeologico di Sebastia e della tomba di Giovannni Battista.
Sebastia e` un paesino a 10 Km. da Nablus.
Da alcuni anni, la Custodia di Terrasanta ha avviato un progetto di recupero e restauro dei siti archeologici del paese, fra cui l’acropoli con i resti della citta` romana, la Tomba di Giovanni Battista e i resti di un castello crociato.
Al recupero e restauro sta lavorando una storica dell’arte italiana, Carla, che con grande cortesia e disponibilita` e` partita stamattina da Gerusalemme proprio per farci da guida.
Anche Sebastia e` un luogo molto conosciuto e frequentato, tanto che il nostro autista la raggiunge tramite una strada secondaria, stretta e piena di buche invece che da quella principale.
Riusciamo comunque ad arrivare nel piazzale di accesso al sito.
Incontriamo Carla che, seduti all’ombra della tettoia di un bar e sorseggiando un buon caffe`, ci introduce alla scoperta del sito con una lunga e affascinante spiegazione del contesto storico in e` stata costruita l’antica citta` e la storia dei recenti scavi e opere di restauro.
Carla e` estremamente competente ed appassionata e ci coinvolge con la sua spiegazione. Quando ormai siamo pronti dal punto di vista teorico iniziamo la visita dell’acropoli.
E` un sito molto interessante collocato su una collina da cui si domina il paesaggio sottostante, sono visibili i resti dell’antica citta` tra cui il foro e la basilica, il teatro, il tempio ad Augusto, la strada colonnata e parte delle mura.
Finito il giro dell’acropoli ci incamminiamo verso il centro del paese per visitare la tomba di Giovanni Battista.
Anche qui e` stato fatto un notevole lavoro di restauro di un sito che fino a poco tempo fa era in un grave stato di abbandono e di declino. Attraverso un a ripida scaletta si accede ad una sala sotterranea sotto la moschea dove, secondo la tradizione e con buone probabilta` dal punto di vista prettamente storico-archeologico, si trova la tomba di Giovanni Battista.
Carla ci spiega che il lavoro di restauro e` stato importante anche per lo sviluppo del villaggio che si sta proponendo ora come meta per i viaggi in Terrasanta, dando quindi lavoro a molte famiglie impegnate sia nelle attivita` di restauro, sia nelle attivita` di ricezione dei visitatori, che, sempre piu`, decidono di visitare a Sebastia.
Ci sarebbero molte altre cose ancora da vedere, ma ormai e` ora di pranzo e poi dovremo proseguire per Gerusalemme.
Pranziamo in un bel ristorante all’ingresso dell’ acropoli. Siamo in Ramadan, per cui, essendo in un villaggio musulmano in teoria il ristorante dovrebbe essere chiuso, ma dato che il gestore e` amico di Carla lo ha tenuto aperto apposta per noi.
Mangiamo alla grande, c’e` ovviamente pollo e riso ma un’infinita` di altre portate eccezionali, ottime ed abbondanti, davvero di tutto e di piu`. Complimenti al cuoco. Ma la sorpresa piu` bella e` arrivata al momento del conto. Solo 10 Euro a testa per un pranzo che in Italia ne costerebbe minimo 60, incredibile.
Dopo il lauto pranzo salutiamo Carla e partiamo alla volta di Gerusalemme che dista due ore di viaggio, destinazione Gloria Hotel.
Il Gloria si trova alla Porta di Jaffa, dentro la Citta` Vecchia, e` un gioiellino di albergo in posizione strategica per visitare la citta`.
Dato che ho prenotato con largo anticipo, il manager dell’albergo ci assegna le camere al primo piano che sono state tutte rinnovate di recente, bene.
Arrivando nel tardo pomeriggio non c’e` molto tempo per visitare la citta`, anche perche` la visita guidata e` prevista fra due giorni, cosi` accompagno il gruppo ad una visita introduttiva alla Basilica del S. Sepolcro.
Il primo impatto con la Basilica e` frastornante per noi abituati alle nostre cattedrali medievali, gotiche o barocche costruite secondo schemi precisi e logici.
Il S. Sepolcro e` una cosa apparentemente senza capo ne’ coda. Buio, labirintico e colmo di gente, Costruito e ricostruito, ampliato e restaurato nel corso di secoli, effettivamente non risponde a quello che uno si aspetta di trovare in una Basilica secondo i nostri canoni.
Facciamo un giro fra le cappelle e le grotte, tanto per un assaggio iniziale, perche` la visita guidata e` prevista nei giorni successivi.
Torniamo in albergo per la cena e dopo cena andiamo al Muro del Pianto.
Il Muro del Pianto di sera ha un certamente un suo fascino particolare. Ci dividiamo in due gruppi, gli uomini da una parte e le donne nella loro parte, il Muro del Pianto infatti e` diviso in due sezioni ognuna riservata a uomini e donne.
Gli ebrei pregano nel loro modo particolare dondolando il corpo o la testa, recitando i versi della Bibbia ad alta voce o cantando ed esprimendo, attraverso anche il linguaggio corporeo, un messaggio di grande concentrazione e trasporto.
Restiamo al Muro per un’oretta, poi si ritorna in albergo, domani gita fuori porta ed un paio di incontri che si prospettano molto interessanti.
Oggi pomeriggio e` prevista la visita allo Yad Vashem, il Museo dell’olocausto, la mattinata invece la passiamo a Ein Kerem, una localita` alle porte di Gerusalemme, immersa nel verde dove visitiamo le chiese di San Giovanni Battista e la Chiesa della Visitazione.
Don Sergio ci offre una accurata e circostanziata chiave di lettura biblica dei luoghi cosi` da apprezzarne appieno il significato.
Purtroppo riceviamo una telefonata con una brutta notizia, il padre francescano che avremmo dovuto avere come guida per Gerusalemme ` indisponibile perche` all’ultimo momento ha dovuto partire per Nazareth.
Don Sergio e io dobbiamo preparare un piano B, cosi` si inizia a telefonare a tutti i nostri amici a Gerusalemme per cercare di trovare una guida. Il giorno dopo pero` e` ferragosto e sembra che non ci siano persone disponibili.
Peccato perche` avere una guida competente a Gerusalemme permetterebbe di vedere e capire la Citta` Vecchia in modo logico ed esaustivo, altrimenti ci dovremmo arrangiare in altro modo.
Non ci perdiamo comunque d’animo, e ad ora di pranzo ci dirigiamo allo Yad Vashem dove mangiamo ottimo cibo kosher alla caffetteria del Museo.
Ci raggiunge poi la guida che avevo contattato per lo Yad Vashem, Vivi, un’ebra di origine italiana che quindi parla molto bene la nostra lingua.
Sullo Yad Vashem e` stato detto e scritto di tutto.
Effettivamente e` una meta irrinunciabile in Israele, un viaggio atttraverso i meandri piu` malefici dell’animo umano e gli orrori della Shoah.
Vivi e` molto brava e ci conduce attraverso il museo soffermandosi sulle parti principali del percorso in modo da farci entrare nella tragedia dell’olocausto.
Ci sono parecchi cimeli, foto, lettere, supporti audio e video e, fra i piu` impressionanti, le divise di coloro che erano detenuti nei campi di concentramento nazisti.
Siamo di Verona, Vivi ci mostra un cimelio legato anche alla nostra citta`, e` una cartolina che un’ebrea veronese ha lanciato dal finestrino del treno che la stava portando verso i campi di concentramento, destinata a chi la avesse raccolta, portava il suo ultimo saluto alla famiglia.
Ci sono molte altre lettere o cartoliine come questa, gli ebrei le lanciavano dai treni durante la deportazione come ultimo disperato appello per far sapere cosa stava loro succedendo.
La visita dura tutto il pomeriggio attraverso i vari edifici dello Yad Vashem fra cui, famosissimo, quello della memoria dei bambini, un percorso al buio illuminato da fioche luci in cui una voce ripete il nome e l’eta` di tutti i bambini uccisi nei campi di concentramento.
Lo Yad Vashem e` sicuramente da vedere.
A pomeriggio inoltrato lasciamo lo Yad Vashem per Gerusalemme, alle 18.00 abbiamo un appuntamento al Patriarcato Latino con una persona molto importante, il Vescovo di Gerusalemme Mons. Shomali.
Attraverso un comune amico, ho ricevuto un invito per l’incontro con il Vescovo che molto gentilmente ha accettato di dedicare parte del suo tempo per un coloquio con i 23 veronesi.
Mons. Shomali e` un tipo affabile, parla benissimo italiano e ci intrattiene per un’ora spaziando a tutto campo sulla situazione della Terrasanta, sui rapporti fra cristiani ed ebrei e fra cristiani e musulmani, sull’ attuale quadro politico e sulle prospettive di pace.
Assorbiamo anche in questo caso una messe di informazioni che rendono il nostro viaggio sempre piu` arricchito di testimonianze reali e prezios e, soprattutto in questo caso, provenienti da persone di altissimo livello.
Ci congediamo d Mons. Shomali con un aperitivo offerto dal Patriarcato.
Poi a cena, dove ci attende un’altra ospite, Hana, con cui dopo cena avremo un altro interessante incontro.
Durante la cena mi suona il cellulare. Tramite un giro di telefonate via mezza Gerusalemme, una comune amica ci ha risolto il problema del giorno dopo. Mi passa il numero di telefono di Manuel, un ragazzo che lavora come guida professionista e che per di piu `parla benissimo l’italiano, siamo sollevati.
Lo chiamo subito e ci mettiamo d’accordo per il luogo dell’appuntamento del mattino successivo.
Non so cosa sia esattamente la provvidenza ma, se c’e`, e` una cosa di questo genere, oppure chiamiamola solo fortuna.
Hana e` un’ebrea che lavora nell’organizzazione che promuove il dialogo fra ebrei e cristiani in Israele. Infatti, ci dice, uno dei problemi principali dei luoghi e` la mancanza di dialogo e di conoscenza reciproca fra persone di culture, mentalita` e radici storiche diverse.
Cristiani con ebrei, ebrei con musulmani, israeliani con palestinesi e via andare, in un guazzabuglio di culture diverse che sono costrette a coabitare in un fazzoletto di terra.
Hana non parla italiano per cui devo fare da traduttore. Ci parla anche lei con competenza e coinvolgimento del suo lavoro e di come, con altre persone, promuove il dialogo continuo e la conoscenza reciproca fra gli ebrei e i cristiani israeliani per favorire un miglior rapporto fra le due culture.
Non si sottrae neanche alle domande piu` spinose sulla situazione politica e sulle prospettive di pace.
Dalle sue parole ho la percezione che uno dei principali problemi che ostacolano il processo di pace sia la mancanza di conoscenza reciproca fra israeliani e palestinesi.
Per i palestinesi gli israeliani sono visti o come i coloni che rubano le loro terre o come i soldati che li vessano ai check point. Mentre gli israeliani vedono i palestinesi come tutti potenziali terroristi e alla
Fine nessuno sa, o vuol sapere, cosa succede e come realmente sono le persone al di la` del muro di separazione.
Ci fa molto piacere parlare con Hana, che si dimostra di larghe vedute e rappresenta quella parte della societa` che si sforza di superare gli ostacoli della convivenza con il dialogo ed il rispetto reciproco.
L’incontro dura quasi due ore perche` ci sono molte domande a cui Hana da` sempre una risposta precisa e circostanziata. Poi viene ora di salutarci, ma chissa` che non ci si riveda.
Siamo giunti ormai verso la fine, oggi e` in programma la visita di Gerusalemme.
Si parte presto perche` alle 7.40 abbiamo la prenotazione per la visita al Tunnel del Muro Occidentale, dove alla bigliettria conosciamo di persona Manuel.
Il Tunnel del Muro e` uno scavo archeologico aperto recentemente che parte dal Muro del Pianto e, passando sotto le case del quartiere musulmano sbuca nella Via Dolorosa dopo un tratto di 600 metri. Vediamo i resti dell’antica citta` Erodiana, cisterne, cunicoli e la parte nascosta dell’imponente muro del tempio.
La cosa curiosa e` che a meta `circa del percorso vediamo alcune donne ebree in preghiera appoggiate ad un muro. La guida ci dice che gli ebrei vengono in quel posto a pregare perche` e` il luogo piu` vicino al Santo dei Santi e quindi per loro il luogo piu` sacro. Ovviamente pregano a turni, un turno per le donne ed un turno per gli uomini.
La visita dura piu` o meno un’ora e quando sbuchiamo all’esterno ci troviamo in pieno quartiere musulmano.
Da li` comincia la visita di Gerusalemme con Manuel, iniziando dall’Orto dei Getzemani.
Siamo fortunati con Manuel, e` bravo e preparato e vorrebbe farci vedere tutto, bussa e si fa aprire tutte le porte. E` appassionato del sul lavoro e, fosse per lui, staremmo ancora ad ascoltare la storia della seconda cappella a sinistra del S. Sepolcro, ma il tempo e` tiranno per cui ogni tanto,”Yalla, yalla” bisogna accelerare.
Camminiamo tutto il giorno attraverso i vari quartieri che compongono la Citta` Vecchia per concludere al Muro del Pianto.
Il tour e` andato bene, abbiamo avuto una chiave di lettura per capire la topografia e la storia dello sviluppo di Gerusalemme. Siamo stanchi ma contenti, salutiamo Manuel e ci avviamo all’albergo per il meritato riposo.
Domani si riparte per l’Italia.
L’aereo e` nel pomeriggio, per cui in mattinata c’e` tempo libero per gironzolare per il suk per gli ultimi acquisti, poi, verso mezzogiorno si ritirano le valigie e si parte destinazione aeroporto.
C’e` un’ultima tappa da fare lungo la strada per Tel Aviv, una sosta al Canda Park.
Il Canada Park e`un parco pubblico, una grande area verde a poca distanza da Gerusalemme, costruito sulle macerie di tre villaggi arabi distrutti durante la guerra del ’48.
Ci sono ancora, nel bosco, i resti di quello che era il cimitero arabo, con le tombe ormai in rovina.
Visitiamo questo luogo e mi viene alla mente il campo profughi che abbiamo visitato a Betlemme.
Forse qualcuno dei vecchi del campo abitava in questo luogo.
Qui c’era la sua casa di cui conserva ancora le chiavi.
Ora non c’e` piu` niente.
L’aereo parte alle 16.00, arriviamo all’aeroporto in perfetto orario, io e mia moglie salutiamo i compagni di viaggio, loro rientrano, noi ci fermiamo una settimana per un meritato riposo a Petra, in Giordania.
Il gruppo e` stato meraviglioso, 23 persone unite e curiose di vedere e capire.
Abbiamo visto luoghi noti, meno noti e sconosciuti.
Incontrato persone di tutti i tipi, dai volontari di At Tuwani al Vescovo di Gerusalemme.
Da Daoud a Claire che, ognuno circondato a modo suo, resistono e proclamano la loro richiesta di pace e liberta`.
Dalle famiglie che ci hanno ospitato con calore ed amicizia a Carla che ci ha guidati attraverso duemila anni di storia a Sebastia.
Ci vorrà del tempo per assimilare tutte le emozioni vissute.
Magari l’anno prossimo ci ritroveremo da queste parti.
Che bello sarebbe tornare da Claire e invece del muro trovare un giardino.
Insciallah.