Da Chicago a Los Angeles… life is a highway
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Bene, adesso possiamo partire!
26/8/2012 – Milano-Chicago
Atterriamo a O’Hare dopo un viaggio di circa 11 ore, con più due ore e mezzo di scalo a Madrid, e riusciamo a mettere il piede sul suolo americano solo dopo un’altra ora e mezza di estenuante coda alla dogana. Facciamo l’abbonamento per i mezzi per 3 giorni a 14 dollari, poi, con qualche difficoltà, riusciamo a raggiungere il terminal 3 e da lì prendiamo la metro fino al nostro hotel. Hotel Willows, zona nord di Chicago, metro Diversey più autobus, mi pare il 76. Percorriamo gli ultimi metri sotto una pioggia battente, e poi riusciamo finalmente a sdraiarci su un letto e farci una meritata doccia calda. Nonostante la stanchezza, per prendere subito dimestichezza con il nuovo orario usciamo a cena. Il diluvio universale sotto il quale ci troviamo non ci consente di spostarci, così ci buttiamo nella prima pizzeria che troviamo, tale Renaldi’s. Poco convinti a causa del terribile arredamento, ordiniamo una pizza che ci stupirà.
27/8/2012 – Chicago
Il primo impatto con la città l’abbiamo dall’alto della metro sopraelevata, un’esperienza suggestiva. Per prima cosa andiamo al centro visitatori, in un edificio storico accano al Millennium Park, dove ci riempiono di mappe e consigli. Usciti, visitiamo subito il parco, la cui principale attrattiva è The Bean, una struttura in metallo a forma di fagiolo, sulla quale si specchiano, orgogliosi, i bei grattacieli della città, e dove i turisti si divertono a fotografare i propri riflessi deformati. Lì vicino si trova la Crown Fountain, una coppia di grosse fontane rettangolari e speculari, sulle cui facciate vengono proiettati i volti di persone comuni. Da lì prendiamo l’autobus fino al Field Museum, il museo di storia naturale. Chicago è incredibilmente ricca di arte e di musei, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Purtroppo, il poco tempo a disposizione ci ha permesso di visitare un solo museo, e abbiamo scelto il Field. Il biglietto è caro, 29 usd, ma il museo è incredibilmente esteso, e occorrerebbe un’intera giornata per visitarlo con calma e attentamente. È ora di pranzo, e decidiamo di provare un’istituzione di Chicago e della Route 66: Lou Mitchell’s! Il posto è famoso per le colazioni superabbondanti, servite tutto il giorno, ma noi preferiamo un pranzo leggero: insalata di pollo con fiocchi di latte e un panino club sandwich con patate fritte. Il piano del pomeriggio prevede il tour a piedi del Loop, il centro di Chicago, ricchissimo di architettura e arte pubblica. Sul sito ufficiale di Chicago potrete trovare il tour auto guidato, da stampare o scaricare. Partiamo dalla Sears Tower, il grattacielo (per il momento) più alto degli Stati Uniti, poi proseguiamo per The Rookery, il Board of Trade, vediamo le sculture pubbliche di Pablo Picasso e Mirò, e il coloratissimo mosaico di Chagall. Facciamo un giro di shopping da Macy’s, e completiamo il tour lungo il fiume. Da qui vediamo il Wrigley Building e la bellissima Trump Tower. Dopo un breve pit stop in hotel usciamo per la cena e per la visita al John Hancock Observatory. Abbiamo prenotato i biglietti da casa, così saliamo subito. Arriviamo proprio al tramonto, e la vista sulla città è spettacolare. Da qui si vede anche l’immenso lago Michigan. A sole ormai tramontato, torniamo sulla terra e ceniamo al nostro ristorante preferito, il Cheesecake Factory! Una cremosa cheesecake al lime è proprio quello che ci vuole per recuperare le forze dopo la super camminata di oggi!
28/08/2012 – Chicago
Oggi facciamo la crociera fiume + lago, prenotata da casa con la compagnia Wendella. Ci sono diverse compagnie di navigazione a Chicago, basta scegliere quella più adatta a voi. Noi ci siamo trovati bene con la Wendella, la nostra guida era molto preparata e simpatica, e il panorama dal lago è uno dei più belli degli USA. Dopo la crociera percorriamo il Magnificient Mile, la via dello shopping e dell’architettura. Vediamo il bianchissimo Wrigley Building, e il particolare Tribune Building, alla cui base sono incastonati pezzi provenienti da edifici famosi di tutto il mondo: dal Colosseo alla muraglia cinese, dalla reggia di Versailles al Taj Mahal. Davanti ai nostri occhi passano le maggiori firme della moda, ma anche marchi alla portata di tutti, e infine, finalmente, arriviamo al John Hancock center. Da qui, dopo un giretto a Macy’s, prendiamo i due pullman che ci portano al Navy Pier, il molo turistico. Il molo è gigantesco, vi si trovano tantissimi negozi e ristoranti, e persino un cinema IMAX multi sala. Pranziamo al Bubba Gump, la catena di ristoranti ispirata al film Forrest Gump. Il locale è divertente, ma come cibo c’è di meglio. Alla fine del pranzo, il cameriere ci propone anche un breve quiz, per verificare quanto ne sappiamo di Forrest Gump. Facciamo una passeggiata lungo il molo, ma il gran caldo ci stanca molto, così ritorniamo al John Hancock center per fare un po’ di shopping culinario. Andiamo prima da Hershey’s, poi da Ghirardelli, e facciamo scorta di cioccolatini per il viaggio. Purtroppo adesso dobbiamo affrontare una lunga e noiosa missione: dobbiamo andare all’aeroporto per ritirare la macchina. Tra andare, ritirare la macchina, e tornare nel traffico cittadino, riusciamo ad arrivare in hotel che è già sera. Lasciamo l’auto in un parcheggio pubblico per 22€, e ci prepariamo per cena. Stasera assaggeremo la pizza Chicago style. È una pizza alta, più simile a una torta salata, perché ha i bordi rialzati ed è farcita. Quasi tutte le pizzerie di Chicago la propongono. Noi, basandoci sulle recensioni internet, scegliamo Lou Malnati’s. La pizza impiega circa 30 minuti a cuocere, ed è molto buona e saporita. Sembra proprio che il nostro soggiorno a Chicago sia terminato, domani si parte per il grande viaggio!
29/08/2012 Chicago – Springfield
Bene, è il momento di partire! Per praticità, e perché il primo tratto di Route 66 è stato praticamente inglobato da Chicago, decidiamo di prendere l’autostrada fino a Joliet, e poi imboccare da lì la strada madre. Arrivati a Joliet, visitiamo per prima cosa il Joliet Historical Museum, costo 7$. Qui abbiamo subito un assaggio dell’incredibile ospitalità americana. Tutti vogliono chiacchierare con noi, e darci dei consigli sul nostro viaggio. Appena sentono che siamo italiani, tutti tirano fuori qualche antenato italiano, loro o di qualcuno che conoscono. Qui la nostra “connazionale” è un’anziana signora di nome Gloria, che ci fa da guida all’interno del piccolo museo, che racchiude tanti piccoli tesori, oggetti di uso comune di tanti anni fa. Facciamo una passeggiata per il centro di Joliet, ma dobbiamo già ripartire: la tabella mi marcia è serrata! La nostra prossima tappa è la minuscola Wilmington, la cui principale attrazione è il Gemini Giant, la gigantesca statua di un uomo vestito da astronauta! Proseguiamo fino a Braidwood, dove ci fermiamo al Polk-a-dot drive in, nel cui parcheggio si trovano delle statue raffiguranti James Dean, Marylin, Betty Boop e l’immancabile Elvis. La Route 66 è ben segnalata, e a volte riusciamo a seguirla anche senza l’aiuto delle nostre preziose mappe. L’Illinois si srotola davanti ai nostri occhi, ed è un paesaggio molto simile a quello cui siamo abituati in pianura padana, solo parecchio più grande. Le fattorie sembrano quelle dei film, e i campi di granoturco si susseguono. La nostra sosta per il pranzo è a Dwight, al Route 66 Family Restaurant. Qui mio marito assaggia il pollo fritto, quattro pezzi giganteschi con patatine fritte! Vicino al ristorante troviamo una vecchia pompa di benzina restaurata, dove due simpatiche signore ci raccontano un po’ di storia e ci fanno mettere una puntina sull’enorme mappa appesa alla parete, per indicare la città da cui veniamo. Ogni visita a queste vecchie pompe di benzina nasconde un piccolo tesoro, con cimeli risalenti agli anni 50 e 60. Il tempo stringe e noi ci rimettiamo in marcia, attraversando Odell, con un’altra pompa di benzina restaurata, fino a fermarci un po’ nella bella Pontiac. Qui vale proprio la pena di fare un giretto: la città è disseminata di murales e di piccole macchinine pitturate. Particolarmente bello è il retro del museo, con dei murales che rappresentano un bar, un meccanico, e l’onnipresente pompa di benzina. Continuiamo la nostra marcia fino a Bloomington, dove facciamo scorta di noccioline al negozio della Beer Nuts, e arriviamo appena in tempo al negozio di Funks Grove, dove producono dell’ottimo sciroppo d’acero non zuccherato (anche questo finisce in borsa!). Arriviamo ad Atlanta e vediamo un’altra statua gigante, stavolta raffigurante un uomo con un hot dog, poi a Lincoln facciamo la foto a un carro gigante guidato da Lincoln. Giungiamo alla nostra meta, Springfield, a tramonto inoltrato. Meno male che il nostro hotel, lo State House Inn, è lì che ci aspetta. Il tempo di una doccia e usciamo per cena. È incredibile, sono le 8 e mezzo, e tutti i ristoranti sono già chiusi. Troviamo aperto il Maldaner’s, locale un po’ troppo raffinato ma dall’ottima cucina. In hotel, crolliamo a letto, distrutti dalla lunga giornata.
30/08/2012 Springfield – St. Louis
Oggi facciamo pochi km, ma ci dobbiamo comunque sbrigare, a St. Louis c’è moltissimo da fare! Dedichiamo un’oretta a Springfield, visitando la tomba di Lincoln e (solo da fuori) il vecchio e nuovo Campidoglio. Poi si parte. L’unica attrazione della Route 66 che visiteremo oggi è l’Harry’s Rabbit Ranch, a Staunton. In una vecchia pompa di benzina, circondato da insegne di motel, cartelli stradali e auto arrugginite, Harry raccoglie i conigli per strada e li tiene con sè, li cura e inventa storie mirabolanti sul loro conto. Sul bancone se ne sta sdraiato Big Red, un grosso coniglio rosso, che non aspetta altro che essere coccolato dai passanti. Harry è simpaticissimo ed è un gran chiacchierone. Ripartiamo e, tra fattorie e campi di mais, arriviamo in Missouri dove, con non poche difficoltà, troviamo il vecchio Chains of Rock Bridge, ponte ora non più percorribile in auto. St. Louis è una bella città, abitata soprattutto da neri. Il nostro hotel, il Pear Tree Inn, è abbastanza in centro, vicino alla Union Station. Ciononostante abbiamo bisogno l’auto per raggiungere la storica gelateria Ted Drewes Frozen Custard, dove pranziamo con i loro enormi e buonissimi gelati. La prossima visita è la fabbrica di birra della Budweiser. Partecipiamo al tour gratuito di un’ora, e vediamo con i nostri occhi quanto è grande questa fabbrica, e quante persone ci lavorano. Al termine del tour, dopo essere passati da stanze a 10 gradi, e stanze a 42, ci godiamo una bella birra gratuita, trovando così un po’ di sollievo da caldo e umidità. Sarà stata la birra, o forse il caldo, fatto sta che siamo cotti, così torniamo in hotel, per uscire in tempo per la visita al Gateway Arch, prenotata da casa. L’arco, in acciaio, si leva sottile e lucente come una lama, a simboleggiare l’espansione a ovest. Il museo alla base dell’arco è interessante, racconta l’espansione a Ovest, ma senza dimenticare la crudeltà con cui sono stati trattati i Nativi. La salita all’arco è assolutamente da evitare per chi soffre di claustrofobia, in quanto sarete trasportati a bordo di una capsula che si muove all’interno dell’arco stesso. Il panorama al tramonto ci ripaga del brutto viaggio. Una volta scesi, non ci facciamo mancare una passeggiata lungo il Mississippi, poi ceniamo al Burger Bar, all’interno del casinò Lumière. Il locale, che propone menù a base di hamburger, è di proprietà del famoso chef Hubert Keller.
31/08/2012 St Louis – Springfield
No, non siamo impazziti, non stiamo tornando indietro! Negli USA ci sono circa 20 città di nome Springfield, la nostra destinazione di oggi è nel Missouri. Partiamo di buon’ora. Come da previsioni, il cielo è plumbeo e piove. È lo strascico dell’uragano Isaac, che ha causato tanti danni in Louisiana, e adesso si sta spostando a nord. Arriviamo a Stanton, e visitiamo il Jesse James Wax Museum. Il prezzo è un po’ caro (7$), però racconta un’interessante versione alternativa della storia, secondo la quale il famoso bandito non sarebbe stato ucciso, ma sarebbe scappato, vissuto sotto un altro nome e morto a più di cent’anni. Sotto una pioggia sempre più incessante raggiungiamo le vicine Meramec Caverns, grotte con delle belle formazioni di calcare, simili alle nostre grotte di Frasassi, nelle Marche. Il tour costa 20$, e dura un’ora e mezzo, ad una temperatura costante di 15 gradi, portatevi una felpa! Queste sono le più famose, ma il Missouri è costellato di grotte e caverne varie, molte visitabili. Arriviamo alla nostra prossima meta, la piccola Cuba, e la pioggia ci concede una tregua. È una fortuna, perché l’attrattiva di Cuba sono i murales. Al centro visitatori recuperiamo una cartina, anche se in realtà è abbastanza semplice trovare i murales, visto che sono tutti sulla strada principale. Pranziamo al volo da Subway, una delle nostre catene preferite, perché ti crei il panino da zero, scegliendoti tutti gli ingredienti. Ripartiamo poi alla volta di Fanning, dove si trova la sedia a dondolo più grande del mondo. Proseguiamo per St. James, dove acquistiamo del buon vino rosé all’enoteca. Il paesaggio cambia, ora è più collinoso, e la strada si snoda attraverso boschi e un continuo su e giù. Attraversiamo Rolla e Arlington, il vecchio ponte di Devil’s Elbow, vediamo la roccia a forma di rana a Waynesville, e infine arriviamo a Lebanon. Qui non riusciamo a vedere il Route 66 Museum, perché è già chiuso. In compenso, vediamo lo storico Munger Moss Motel, e l’ex negozio Wrink’s Market, ora chiuso. Anche oggi abbiamo fatto tardi, perciò lasciamo la Route e prendiamo l’autostrada fino a Springfield. Una breve sosta al nostro hotel, il Greenstay Inn, e poi ceniamo allo Steak & Shake, un’economica catena specializzata in hamburger e milk-shake, in stile anni ’50. A Springfield c’è un negozio enorme, e molto famoso, dedicato interamente a caccia, pesca e campeggio. Anche se non siete interessati, vale la pena di andarci, se non altro per avere un’idea di come vivono e come passano il tempo libero da queste parti. Il posto è impressionante, gigantesco, sembra non finire mai. La sezione pesca ha esche e canne a non finire, nella sezione caccia si trovano tute mimetiche di ogni genere, ma la parte che ci è piaciuta di più è quella relativa al camping: kit di sopravvivenza, frigo da campeggio enormi, attrezzature come il friggi-tacchino e l’affumicatore portatile. Dalla quantità e varietà di salse barbecue, griglie e carbonella, si capisce che qui il barbecue, più che un hobby è una religione. Alle dieci il negozio chiude, e noi torniamo al nostro letto, a riposarci in vista della faticaccia di domani.
01/09/2012 Springfield – Oklahoma City
Ci aspetta una delle giornate più lunghe, dovremo macinare tanti km. Partiamo prima delle 8, e sta ancora piovendo. Grazie alle indicazioni delle mitiche mappe Here It Is, imbocchiamo facilmente la Route 66 attraverso paesini minuscoli come Phelps e Paris Springs. Attraversiamo anche città più grandi, come Webb City, Carthage e Joplin, dove diamo un’occhiata al centro, ed infine approdiamo in Kansas. Queste poche miglia (solo 13) di Kansas che attraversiamo sono per lo più zona mineraria. Aggiungiamo il cielo grigio, e l’atmosfera si fa proprio cupa. A colorarla ci pensa 4 Women on The Route, l’ennesima pompa di benzina “abitata” da niente meno che Cricchetto, il simpatico carro attrezzi del film Cars! Il carro attrezzi è effettivamente quello che ha ispirato la creazione del buffo personaggio, come non manca di sottolineare la signora che gestisce il locale. Attraversate Galena e Riverton, arriviamo a Baxter Springs. Al centro visitatori ci permettono di firmare, invece che sul solito libro degli ospiti, direttamente sul muro, e ci informano che il tempo dovrebbe migliorare nel pomeriggio. In effetti, iniziamo ad intravedere qualche timido raggio di sole. Il tempo di visitare la piccola città di Baxter Springs e l’Heritage Center & Museum, e siamo in Oklahoma. Il panorama cambia ancora: siamo nel regno delle praterie e degli immensi pascoli. Gli spazi sono davvero infiniti e non stupisce che la carne da queste parti sia eccezionale, visto come gli animali vivono in libertà, godendo di spazi che dalle nostre parti non esistono. L’Oklahoma, terra degli indiani, e della loro penosa deportazione verso le riserve dell’Ovest, mi riporta alla mente anche Furore, di John Steinbeck. Nel romanzo, un’intera famiglia di contadini dell’Oklahoma, impoverita dalla siccità, emigra a bordo una macchina sgangherata per trovare una vita migliore in California. Passate Quapaw e Miami, arriviamo a Vinita, dove pranziamo al Clanton’s Café, un locale molto famoso sulla Route 66. La specialità è la Chicken Fried Steak, una bistecca di manzo (si, di manzo!) impanata e condita con una salsina molto saporita. Ovviamente la proviamo! Finalmente il cielo si schiarisce. Tra fattorie in stile Hazzard e allevamenti di bestiame, approdiamo a Foyil. Qui si trova una curiosa attrazione: il Totem Pole Park, un giardino nel quale sono stati installati dei totem pseudo indiani. In effetti, le attrazioni per turisti lungo la Route 66 sono parecchio kitsch! Un aspetto che trovo divertente è che per giorni interi si vedono sempre le stesse facce: siamo tutti sixty-sixers, (come ci ha chiamati una signora), sempre le stesse persone, che percorriamo la stessa strada, con la stessa meta, condividendo le stesse esperienze. Nonostante l’attentata pianificazione, il tempo comincia a stringere, e ci rendiamo conto che dovremo rinunciare alla visita di Tulsa. Attraversiamo Claremore e il Will Rogers Museum, poi ci mettiamo alla ricerca della sorridente balena di Catoosa. Una volta era una specie di parco acquatico, adesso rimane solo la gigantesca statua della balena, in un acquitrino piuttosto sporco. Sempre all’insegna del kitsch, la visita è comunque divertente. A Tulsa, ci limitiamo a cercare il gigante dorato che fa da guardia alla International Petroleum Exibition. A questo punto imbocchiamo l’autostrada (costo 4$), direzione Oklahoma City. Usciamo all’altezza di Arcadia, dove vediamo il Round Barn, e facciamo scorta di bibite gasate da Pops, ex distributore di benzina adibito a supermercato di bibite gasate e snack di ogni genere. Le abbiamo viste addirittura al bacon. Approdiamo a OKC alle 20.30, facciamo il check-in all’Americas Best Value (l’unico hotel che mi sento di sconsigliare), e usciamo per cena al Cattlemen’s Steakhouse. La carne qui è fantastica, e anche la zona è carina, piena di negozi di abbigliamento da cowboy e altra paccottiglia western. Noi siamo sfortunati: a quest’ora sono tutti chiusi e domani, domenica, apriranno solo nel pomeriggio. Almeno il portafoglio sorride.
02/09/2012 Oklahoma City – Amarillo
Non avendo avuto modo di visitare OKC ieri, usciamo di buon’ora e andiamo subito all’Oklahoma City National Memorial. Qui, nel ’95, ci fu un gravissimo attentato, in cui morirono 168 persone. Ora, al posto dell’edificio dell’FBI distrutto dalla bomba, si trovano 168 vuote, ognuna recante il nome di una delle persone decedute. Ci spostiamo nel quartiere di Bricktown, zona di ex magazzini rivalutata alla grande. Adesso è piena di locali, e hanno anche organizzato delle gite sul canale. Infine, andiamo a cercare la bottiglia di latte gigante, che troviamo grazie al mio fedele librone. Purtroppo non abbiamo tempo per il National Cowboy & Western Heritage Museum, dobbiamo metterci in strada. Ancora una volta scegliamo la strada madre piuttosto che l’autostrada. Attraversiamo le piccole Bethany e Yukon, difficilmente distinguibili da OKC, e ci fermiamo a fare due passi a El Reno. È domenica mattina, e non c’è in giro nessuno. Siamo solo noi, edifici chiusi, e un semaforo parlante. Uno scenario apocalittico. Il nostro viaggio prosegue fino a Weatherford, attraverso un paesaggio che si fa via via più brullo, e con la compagnia di qualche motociclista. È tutto così incantevole da sembrare finto. A Weatherford scegliamo delle leggere insalate da Lucille’s Diner, dopodiché continuiamo per Clinton, e in seguito Elk City. A Elk City è interessante il museo all’aria aperta, gratuito, dove è riprodotta una specie di cittadina in stile anni ’50. Arriviamo a Erick, dove si trova il Sandhills Curiosity Shop. Ero molto interessata a conoscere i due proprietari, dei quali avevo letto su internet, ma sfortunatamente troviamo chiuso. Qui ci rendiamo conto per la prima volta di quanto siamo effettivamente lontani dal mondo. Una signora mi si avvicina, e tutta stupita mi chiede se sono del Michigan (la nostra auto è targata Michigan). Le spiego che no, siamo italiani, e l’auto è a noleggio. Lei non può credere alle sue orecchie, e mi chiede cosa porti due italiani in questo paesino sperduto. La Route 66, ovviamente! Siamo quasi al confine con il Texas. Manca solo una città, la minuscola Texola. Texola è una città quasi fantasma, scendiamo dalla macchina e ci troviamo immersi nel silenzio totale. Solo case diroccate, auto abbandonate. In lontananza, due cavalli che brucano e una casa abitata, con un bambino che gioca in giardino sul triciclo. Decidiamo che tutto questo è troppo inquietante e ce ne andiamo. Il saluto dell’Oklahoma è una bambola appoggiata su un tronco d’albero. Terrificante. Entrati in Texas, guidiamo paralleli all’autostrada fino ad incontrare Shamrock, città dalle origini irlandesi. Vediamo le due pompe di benzina Conoco (ripresa anche nel film Cars) e Magnolia, facciamo un giro lungo la via principale e ripartiamo. Arriviamo a Mc Lean, troviamo l’ennesima pompa di benzina e un’altra città semideserta. Lo stesso si può dire di Alanreed, che è anzi ancora meno viva. Mentre viaggiamo verso Groom, all’improvviso il panorama cambia. Siamo su un altopiano, e il terreno scende di fianco all’autostrada, creando un effetto di orizzonte infinito. A Groom troviamo il serbatoio d’acqua pendente e la croce più grande dell’emisfero nord. A questo punto la mia cara mappa mi avvisa che da qui la Route 66 non esiste praticamente più. Meglio prendere l’autostrada fino ad Amarillo. Anche perché il Big Texan non si può mancare. Col suo cowboy gigante, ci indica la strada dove girare. Se il kitsch è diffuso lungo tutta la 66, qui ne hanno fatto un culto. Il motel è fatto come se fosse la strada di una città, la nostra stanza inneggia al Texas in ogni angolo, dalle lampade, al letto, alla mappa appesa al muro, alla porta del bagno in stile saloon. Hanno persino una piscina a forma di Texas. Il ristorante accanto si presenta con una mucca e uno stivale giganti. Nel parcheggio si possono noleggiare le limousine con le corna sul cofano. All’interno, si trova un negozio di souvenir stipato di cianfrusaglie, un tiro al bersaglio fatto come un saloon, dei ritratti che se guardati da un’altra angolazione diventano zombie. Anche la sala ristorante non si smentisce, con teste di animali appese ovunque, i camerieri vestiti da cowboy e, soprattutto, il palco dove si siede a mangiare chi raccoglie la sfida della bistecca da due chili: se la si mangia tutta, compresi i contorni, in meno di un’ora, non si paga. I due ragazzi che ci stavano provando quella sera purtroppo hanno fallito.
03/09 Amarillo – Las Vegas
No, non stiamo andando a giocare al casinò! Poco ad ovest di Amarillo visitiamo il pazzesco Cadillac Ranch. Creato da un milionario nel 1974, consiste di 10 Cadillac piantate nel terreno. La particolarità è che su queste macchine si può scrivere: qualcuno lascia gentilmente dei sacchetti pieni di bombolette colorate, e tutti possono sfogare la propri vena artistica. Anche noi ci divertiamo a lasciare il segno, poi proseguiamo per la piccola Vega. La cosa pazzesca del Texas è che tutti ti salutano. Mentre siamo in strada a fare le foto, o al volante, o al ristorante, tutti vogliono fare due chiacchiere o anche solo accennare un saluto con la mano. Un breve giro in centro, e ci rimettiamo in marcia per Adrian. Siamo a metà della nostra corsa. Un cartello indica il punto del giro di boa, e, dall’altra parte della strada, il Midpoint Café da decenni rifocilla i viaggiatori con le sue crostate “brutte ma buone”. Il proprietario è nuovo di zecca e pieno di entusiasmo, essendo in attività da Marzo, ma il locale è quello di sempre. Noi scegliamo una tipica crostata di mele, che portiamo via e mangeremo dopo pranzo. Salutiamo il Texas a Glenrio, città fantasma ancora più inquietante di Texola: qui, oltre agli edifici fatiscenti, ci sono anche dei cani molto arrabbiati, che sentiamo abbaiare ma non riusciamo a vedere. Aggiungiamoci i cartelli con scritto “private property”, e capiamo subito che non è il caso di avvicinarci agli edifici. Non che ne avessimo intenzione, comunque. Il New Mexico si presenta subito come una regione più montagnosa e brulla rispetto alle praterie attraversate finora. Per pranzo ci fermiamo a Tucumcari, al Del’s Diner, dove mangio un burrito eccezionale. Tucumcari è una vera e propria miniera d’oro per gli amanti della Route, ricchissima com’è di vecchi motel, insegne e locali storici. Appena arrivati a Santa Rosa ci fermiamo per gustarci la crostata di mele… gnam! Poi visitiamo una piccola gemma, il Route 66 Auto Museum. Per soli 5$ avrete accesso a una piccola fortuna di auto d’epoca, una più bella dell’altra, nonché… in vendita! Se volete fare una follia… Altra attrazione imperdibile di Santa Rosa è il blue hole. È un po’ difficile da trovare, ma è un posto incantevole: un buco profondo 70 metri, la cui acqua ha una temperatura costante di 15 gradi, dove si possono fare immersioni ma anche fare il bagno. Sempre che non abbiate esagerato a pranzo, cosa che ovviamente noi abbiamo fatto. A questo punto lasciamo la nuova Route 66 e imbocchiamo un tratto ancora più vecchio, quello originario, che passava per Santa Fe. La strada sale, sale sempre di più, fino alla minuscola Las Vegas, che non potrebbe essere più diversa dalla sua omonima in Nevada. Niente casinò, niente motel eccessivi, nessun personaggio vestito da Elvis. In compenso, ci sono ben 880 edifici iscritti nel patrimonio storico e culturale americano. Praticamente tutto il centro, che effettivamente è molto caratteristico. Il nostro hotel è il Super 8 Las Vegas, leggermente decentrato. Per comodità, dopo un giro in centro scegliamo per cena il vicino Pino’s Family Restaurant (da lasciar perdere).
04/09 Las Vegas – Santa Fe
Oggi è il giorno dei Pueblos. Prendiamo la strada per Santa Fe, e ci fermiamo al pueblo di Pecos. Questo pueblo consiste nei resti di un villaggio abitato da prima che arrivassero i colonizzatori europei, e ora abbandonato. Il filmato introduttivo è molto interessante, soprattutto ci fa capire quanti danni abbiamo causato noi europei a questa gente, la cui unica colpa è stata quella di abitare la propria terra da secoli. Il villaggio è piccolo e lo visitiamo da soli con l’aiuto della guida fornitaci al centro visitatori. Guidiamo tra le montagne del Sangre de Cristo fino a Santa Fe, dove per prima cosa lasciamo i bagagli al nostro hotel, il Silver Saddle. Ripartiamo subito Los Alamos, patria delle ricerche in campo atomico, e del Bandelier National Monument. Immerso in un bosco e schiacciato nelle montagne, il villaggio, se così si può chiamare, era abitato in epoche antecedenti rispetto agli altri pueblo. Nella porosa parete di roccia a strapiombo si crearono delle caverne naturali, che la popolazione utilizzava come abitazioni. Alcune sono visitabili, anche se sono poco più che buchi nella roccia. La visita è limitata, perché nel 2011 un grave incendio e un’altrettanto grave alluvione hanno danneggiato parte del parco. Molti sentieri e percorsi escursionistici sono comunque ancora praticabili. Rientriamo a Santa Fe a metà pomeriggio, e dedichiamo il tempo che ci rimane al centro. Santa Fe ha un centro delizioso, con edifici in adobe e tante stradine ricche di negozietti, tutti da curiosare. Io acquisto della cioccolata calda al Kakawa Chocoate Shop, che crea le sue bevande in stile Maya. La città è inoltre famosa per lo splendido artigianato indiano e le gallerie d’arte. Un ottimo posto dove fare shopping! La chiesa di San Francesco d’Assisi è stupenda al tramonto, quando si tinge di rosso. Noi ceniamo all’elegante Plazuela, sulla via centrale, a pochi passi dalla chiesa. Mangiamo dell’ottimo cibo messicano, tacos e burrito.
05/09 Santa Fe – Gallup
Lasciamo Santa Fe e ci incamminiamo verso Albuquerque. C’è tanto traffico, e anche il tempo non è dei migliori. Avevo scaricato dal sito della città un percorso a piedi di circa 1 miglio che si chiama “Plaza to Plaza” dalla piazza nuova alla vecchia, e decidiamo di seguirlo. Ecco, non fatelo. Quello che conviene visitare ad Albuquerque è Nob Hill, dove si assapora la Route 66, la zona più moderna di Downtown, e la città vecchia. Seguendo invece il percorso scaricato, si passa da una zona di uffici non molto bella, e poi da una zona residenziale, nella quale c’è poco da vedere. La piazza vecchia è molto turistica, piena di negozi di souvenir e venditori di strada, ma comunque carina. Facciamo un po’ di acquisti per i parenti vari, e pranziamo al Red Feather Diner, niente di speciale. Rifacciamo la scarpinata fino alla macchina, parcheggiata in downtown, e lasciamo la città. Prendiamo l’autostrada, perché dobbiamo arrivare entro le 15.30 all’Acoma Pueblo. Soprannominato “città del cielo”, è un pueblo indiano costruito su una mesa, in mezzo al nulla. L’accesso è consentito solo in piccoli gruppi accompagnati dalle guide indiane, e, se si vogliono scattare fotografie, è necessario acquistare il permesso. Riusciamo ad incastrarci nell’ultimo tour, dal quale usciremo alle 17. Vale davvero la pena di visitare questo pueblo dal un fascino incredibile, per la su architettura ma soprattutto per la sua magica posizione, dalla quale si gode di un panorama meraviglioso. Le guide, poi, sono preparatissime e raccontano la loro storia con grande serietà e rispetto. Torniamo sulla Route, ma dobbiamo guidare ancora due ore per arrivare al nostro hotel a Gallup, al margine occidentale del New Mexico. Attraversiamo quindi velocemente Grants, Milan (io devo assolutamente fare una foto sotto al cartello!) e Continental Divide, fermandoci di tanto in tanto ad ammirare i colori cangianti del panorama al tramonto. Gallup è, in sostanza, una striscia di negozi, hotel e case ai lati della 66, che continua per 10 km e forse di più. Il nostro hotel, l’enorme Red Lion, è proprio in fondo alla città! Decidiamo che la visiteremo domani, e ceniamo al (pessimo) ristorante dell’hotel, il New Mexico Steakhouse.
06/09 Gallup – Flagstaff
Dedichiamo una mezz’ora al centro di Gallup, ricchissimo di ottimo artigianato indiano, e ci mettiamo in marcia: l’Arizona ci attende! Appena arrivati in Arizona, ritiro il passaporto della Route 66: creato dalla Route 66 Association, è un libretto che dovrò far timbrare presso vari musei e centri visitatori, per avere il mio certificato! Il paesaggio diventa sempre più roccioso, e si tinge di rosso. Siamo all’ingresso del Deserto Dipinto, un vero spettacolo della natura. Sicuramente il tramonto sarebbe il momento migliore, ma anche al mattino questo posto ha un suo perché. Nel deserto dipinto si segue un percorso in auto, fermandosi ai vari punti panoramici. Da alcuni punti partono anche alcuni sentieri escursionistici, di vari livelli di difficoltà. La vera bellezza del deserto è godibile soprattutto da questi ultimi. A piedi, anche se il percorso è lungo solo un miglio, ci si sente piccoli piccoli di fronte a quest’immensità, e si percepisce ogni sfumatura delle rocce e del terreno. Annessa al parco, a sud, si estende la particolarissima foresta pietrificata. Questi tronchi d’albero, strappati dal terreno da un’alluvione, sono rimasti sepolti per millenni sotto la cenere vulcanica, e si sono trasformati in pietra. È un fenomeno naturale stupefacente ma piuttosto raro, difatti la foresta è protetta, ed è assolutamente vietato prelevare anche la più piccola roccia. Il paesaggio è così incredibile che sembra di stare in un sogno: ovunque si guardi, un terreno dai colori lunari, tendente al viola, disseminato di pezzi di legno pietrificato. Lasciamo a malincuore la foresta pietrificata e torniamo sul nostro percorso. A Holbrook mangiamo velocemente al McDonald, poi visitiamo il centro. Sono contenta di aver fatto qualche deviazione, per visitare i Pueblos e il deserto, perché dopo un po’ queste pompe di benzina e queste insegne diroccate sembrano tutte uguali. A Holbrook, però, c’è anche il Wigwam Motel, altro luogo ispiratore di Cars. È il motel le cui camere hanno la forma di tenda indiana. Attraversiamo Winslow e il suo angolo “standing on a corner”, reso famoso dalla canzone degli Eagles “take it easy”, che ad un certo punto dice “I’m standing on a corner in Winslow Arizona”. Rimaniamo poco, perché si sta avvicinando un temporale, e dobbiamo ancora visitare il Meteor Crater. Il cratere è immenso, un miglio di diametro, eppure devo catalogarono come una visita molto deludente. Quando lo si ammira dalla terrazza panoramica, l’assoluta mancanza di punti di riferimento impedisce di rendersi conto delle dimensioni effettive di questo buco nel terreno. Solo quando si osservano alcuni punti specifici dai binocoli ci si accorge di quanto siano lontani. Il temporale si fa sempre più vicino, e noi ci prendiamo l’autostrada verso Flagstaff. Faccio guidare mio marito, perché io fatico a tenere il volante da quanto sono forti le raffiche di vento. All’improvviso tutto cambia: il cielo si apre, e senza accorgercene, ci ritroviamo in uno scenario alpino, con abeti e montagne. Flagstaff è a circa 2000 metri e, oltre ad essere la porta d’accesso al Grand Canyon, è un’importante destinazione per gli sport invernali. Lasciamo i bagagli in hotel, il Budget Inn, e visitiamo il centro. Flagstaff è stata una delle mie città preferite: finalmente una città, con un vero centro, dove si possa passeggiare a piedi! È di piccole dimensioni, e molto carina. Avvicinandoci al centro, sentiamo della musica, e svoltato l’angolo notiamo un gruppo che suona dal vivo. C fermiamo mezz’orettta con i locali ad ascolta questi ragazzi, e poi andiamo a cena. Su internet abbiamo letto di questa pizzeria di nome Pizzicletta, piccola e difficile da trovare, e vogliamo provarla. Mai avrei immaginato una pizza così buona, addirittura meglio di alcune assaggiate in Italia! Incredibilmente soddisfatti, andiamo a dormire presto, domani sarà una giornata lunghissima!
07/09 Flagstaff – Barstow
Oggi abbiamo la tappa più lunga in assoluto, quasi 600 km. Partiamo prima delle 8. La scelta più saggia sarebbe, probabilmente, prendere l’autostrada. Ma noi, che saggi non siamo, cerchiamo di nuovo la US 66. Qui, in mezzo a pascoli montani tinti del giallo dei girasoli, la strada è sterrata per lunghi tratti, per fortuna non piove! La prima cittadina che incontriamo è Williams, che avevamo già visto nel nostro primo viaggio made in USA. Si passa di qui soprattutto per andare a visitare il “vicino” Grand Canyon, ma noi oggi siamo qui per la strada madre. Passeggiamo tra negozi di souvenir indiani e bar in stile anni ’50, e vediamo come qui l’atmosfera sia molto diversa rispetto ad altre città della Route 66: qui hanno proprio capitalizzato sulla Strada Madre (poi vedremo grazie a chi). I vecchi locali e motel non si limitano ad esistere, sono molto più celebrati e messi in risalto rispetto agli altri stati. La marcia prosegue, in un paesaggio montagnoso e ancora abbastanza verde, e alla fine arriviamo a Seligman. Qui il mio obiettivo è solo uno: incontrare Angel Delgadillo. 85 anni e non sentirli, Angel ora è proprietario del negozio di souvenir ed ex parrucchiere “Wilma & Angel Barber Shop”. Ma lui è molto di più: insieme al defunto fratello Juan, Angel ha fondato la Route 66 Association, contribuendo in modo fondamentale al mantenimento delle vecchie glorie della 66. Ciò che mi fa molta tristezza è che oggi Seligman, città simbolo della Route, è letteralmente presa d’assalto dai turisti, che arrivano sui loro grandi pullman, con l’unico obiettivo di arraffare posacenere e magliette a tema. Li vedo passare davanti ad Angel senza neanche vederlo, senza neanche sapere che è solo grazie a lui che tutto questo esiste, ed è come mandare giù uno sciroppo amaro. Purtroppo Angel non ha molto tempo per noi, ma riusciamo comunque a fare due chiacchiere. Lui è stato testimone della costruzione della strada, della lunga e difficile marcia degli emigranti verso la California, del boom turistico degli anni 60 e, da ultimo, dello smantellamento progressivo della strada. E’ un onore sentire le sue storie! Dopo Seligman imbocchiamo quello che è il tratto di Route 66 più lungo che esista oggi: resteremo su questa strada fino alla California! Attraversiamo Grand Canyon Cavern, Peach Springs e Hackberry, con il suo affollatissimo e incredibile Hackberry General Store, dove troverete ogni genere di cimelio degli anni 50 e 60, tra cui una splendida Pontiac rossa. All’ora di pranzo siamo a Kingman. Un pranzo veloce da Subway, e poi devo fare una cosa importantissima: fiera del mio passaporto pieno di timbri (mi manca solo Oatman), vado al Route 66 Museum a ritirare il mio certificato! Con soli 8$, visitiamo sia questo, sia il Mojave Museum. A questo punto notiamo che sta per piovere, e mio marito mi dice: “Stai qui, vado a prendere la macchina”. Non fa in tempo a finire la frase, che si scatena il diluvio universale. Un bel temporalone in pieno stile americano, con fortissime raffiche di vento laterali e grandine. Ce ne stiamo quindi rintanati nel museo finché non smette, chiacchierando con altre persone bloccate dal maltempo. Quando la pioggia si fa meno intensa, ci mettiamo in cammino per Oatman. L’idea di percorrere tanta strada su sterrato non mi attira ma, come giustamente mi ricorda mio marito, è proprio per questo che abbiamo noleggiato una Jeep! Riusciamo senza fatica a percorrere i tornanti che salgono e scendono fino alla cittadina mineraria di Oatman. Abbiamo anche un pericoloso incontro ravvicinato con due stambecchi, ma per fortuna freniamo in tempo. Oatman è la tipica cittadina del far west, ed ha tutte le caratteristiche di una trappola per turisti: sparatorie a mezzogiorno, bare in cui farsi fotografare, un bar tappezzato di banconote da un dollaro (potrete lasciare uno anche voi) e, dulcis in fundo, asini che scorrazzano tranquillamente per strada, ai quali è possibile dare da mangiare! Dopo Oatman (il clima è cambiato e ora fa molto caldo) si apre davanti a noi il deserto. Lasciamo l’Arizona a Topock, e siamo in California, quasi alla fine del nostro viaggio. Una volta arrivati, per prima cosa penso ai disperati che fuggivano dalla siccità del Midwest, per recarsi nella fertile California. Che impressione deve aver fatto a loro arrivare fino a qui, e trovarsi a dover ancora affrontare tutto il deserto del Mojave! La seconda cosa che noto è che qui la benzina costa anche 1$ in più al gallone. Sempre la metà di quello che costa da noi, intendiamoci… Sono già le 6 di sera, e dobbiamo arrivare fino a Barstow! Così, a malincuore, siamo costretti a scegliere l’autostrada. Guido fino al tramonto, poi cedo il passo. Siamo al nostro hotel, il Quality Inn, che sono quasi le 9. Così, ancora una volta, ceniamo al ristorante dell’hotel, ma stavolta con successo. Si chiama Los Domingos, e la cucina messicana è buona.
08/09 Barstow – Los Angeles
Oggi compio 30 anni! Tanti auguri a me! Non visitiamo Barstow, e partiamo subito alla volta di Victorville. Qui, dopo aver visto un’inquietante foresta di bottiglie di vetro, e un Diner anni 50, abbandoniamo definitivamente la Route 66, che ritroveremo solo a Santa Monica. Il motivo è un mio capriccio: devo assolutamente andare a Lancaster, paesino sperduto nel bollente deserto della California, per vedere la chiesa resa famosa dal film Kill Bill. Da grande fan di Tarantino, sono disposta ad allungare un po’ la strada per LA pur di vedere questa location. Da qui, la strada è tutta in discesa fino a quel mostro di cemento che è Los Angeles. Pranziamo da Subway, facciamo un giro e poi andiamo a Long Beach, dove si trova il nostro b&b, il Beachrunner’s Inn. Gestito da una simpatica signora e dalla sua (pazza) famiglia, è particolarmente accogliente. Passiamo il pomeriggio in spiaggia in totale relax. Per la serata, invece, mi regalo una golosissima cheesecake al cioccolato nel mio ristorante preferito, il Cheesecake Factory! Davvero un compleanno coi fiocchi!
09/09 Los Angeles
Non è la nostra prima volta a LA, ma la città è così mostruosamente grande che ci sono ancora diverse cose da vedere. La mattina visitiamo il Griffith Observatory. Da qui è possibile vedere la scritta Hollywood e “godere” del panorama della città. Quello che si vede sempre nei film ambientati qui. Metto “godere” tra virgolette perché, per quando impressionante, l’inquinato e cementoso panorama offerto non è certo da sogno. Quando descrivo Los Angeles, il primo aggettivo che mi viene in mente è mostruoso, scusate se mi ripeto. È enorme, dispersiva, un unico groviglio di autostrade e svincoli, con un traffico da far rabbrividire anche due milanesi. Sicuramente non è tra le mie mete preferite. Poiché siamo nei paraggi, torniamo a Hollywood Boulevard, con le sue stelle e le sue impronte, e poi a Beverly Hills a scegliere il mio regalo di compleanno. Niente di eccessivo! It’s a Wrap è un negozio (anzi, due, uno a Beverly Hills e uno a Burbank), nel quale sono venduti, a prezzo scontato, gli abiti e gli accessori utilizzati nei film e serie tv di Hollywood. Esco con un semplice vestitino nero, utilizzato in una serie sconosciuta in Italia, e poi andiamo a Santa Monica per chiudere il cerchio, ovvero vedere la fine della Route 66. Arranchiamo nel traffico, davvero terrificante, impiegando un’infinità di tempo per fare qualsiasi cosa. In preda alla disperazione, parcheggiamo a tre isolati dal molo. Finisce che pranziamo alle 3 del pomeriggio, quindi finalmente riusciamo ad arrivare al molo e fotografare il fatidico cartello “end of the trail”. Una breve passeggiata, un po’ di spiaggia, e riattraversiamo la città per tornare in hotel. In effetti non è stata una buona idea pernottare a Long Beach. Ceniamo di nuovo al Cheesecake Factory, ma stavolta ad Anaheim, a due passi da Disneyland. Qui è decisamente meglio di ieri sera a Redondo Beach, e facciamo anche una lunga passeggiata dopo cena.
10/09 Los Angeles
È l’ultimo giorno di vacanza, che tristezza. Per evitare il traffico, scegliamo di passare tutta la giornata agli Universal Studios, e vedere i set dei film. Ci sono diversi Studios visitabili a Los Angeles, per esempio la Warner Bros e la Paramount. Noi scegliamo Universal perché è anche un parco a tema, e perché qui è stato girato Desperate Housewives,! Arriviamo per l’apertura, alle 10, e per prima cosa facciamo lo Studio Tour. Vediamo il set di Ritorno al Futuro, le facciate western, quelle per i film romantici e quelle in stile New York. Incontriamo King Kong, lo Squalo e Norman Bates. Attraversiamo lo scenario da favola del Grinch e quello apocalittico de La Guerra dei Mondi, per creare il quale hanno distrutto un vero Boeing 747. Ma soprattutto, vediamo le case di Wisteria Lane! Quella di Bree, Gabrielle e tutte le altre casalinghe. Non troviamo coda su nessuna attrazione, così riusciamo a fare più e più giri sulle divertenti giostre a tema: Transformers, Jurassic Park e La Mummia. Visitiamo l’area contenete costumi e accessori usati in film famosi, come La Mummia e Apollo 13, e impariamo qualcosa sugli effetti speciali assistendo allo show dedicato. Mangiamo una pizza tremenda e abbiamo anche il tempo di rifare lo Studio Tour. Prima di uscire, assistiamo al bellissimo spettacolo sull’acqua ispirato al film Waterworld. È uno spettacolare show eseguito da stuntman, con esplosioni, moto d’acqua e salti vertiginosi.
Torniamo in hotel abbastanza presto, perché dobbiamo fare le valigie. Impacchettiamo e imballiamo mestamente tutti i ricordi di questi meravigliosi 15 giorni negli States, ci concediamo un’ultima cheesecake e andiamo a letto presto.
Alle 4 suona la sveglia. Andiamo all’aeroporto, lasciamo la nostra fedele compagna di viaggio, la nostra Jeep, e poi via, pronti ad affrontare queste lunghissime 16 ore di viaggio fino a Milano.