Dal Mediterraneo all’Atlantico
Procurato tutto il materiale tecnico e informativo per affrontare questo viaggio, coinvolgo un mio caro amico, Ippolito, abruzzese di Opi e residente a Roma. Ippolito già l’anno prima sarebbe dovuto venire con me in Sicilia, poi per cause di forza maggiore non ha potuto. Stavolta si è lasciato coinvolgere e così il 7 agosto siamo partiti da Roma in aereo alla volta di Barcellona. Recuperate le biciclette, fuori all’aeroporto le rimontiamo, e dopo varie entrate ed uscite tra autopiste e autovie, con la dritta di un anziano ciclista siamo arrivati sulla Ramblas. Attraversiamo il villaggio olimpico e poi, spolverando i miei vecchi ricordi, la bellissima piazza di Spagna, arriviamo, così, ai piedi della colonna dove Cristoforo Colombo indica la via per le Americhe. Sulla Ramblas ci troviamo tra una marea di turisti, per la maggior parte italiani, alla ricerca di una camera. Trovata la camera con l’aiuto di un tunisino, ceniamo in uno dei tanti ristoranti con tavolini esterni sulla Ramblas e, dopo una buona paella, andiamo a letto. Alle 7 della mattina successiva, usciamo dall’albergo e piove a dirotto: per due ciclisti decisamente non è un buon inizio di giornata. Tuttavia copriamo le borse con il telo antipioggia e partiamo. Ippolito comincia ad avere con le borse i primi problemi, che ci accompagneranno per tutto il viaggio. Risolto un inconveniente al computerino della mia bici, con non poche difficoltà lasciamo Barcellona. Viaggiare in bicicletta, soprattutto nelle grandi città, non è per niente semplice infatti tutta la segnaletica è pensata per le auto e porta di solito su strade precluse alle bici. Superato questo incubo metropolitano, con l’aiuto del mio navigatore arriviamo alla periferia della città e solo dopo mezzogiorno esce un bel sole. Nel pomeriggio, dopo 120 km scanditi da salite feroci, arriviamo a Montblanc, un paesino molto grazioso che ricordo per degli ottimi dolci e le squisite confetture di cotogne.
La mattina ripartiamo e ci ritroviamo su una carretera cioè su una strada parallela all’autostrada, percorsa da numerosissimi camionisti per evitare il pedaggio. Lungo il tragitto notiamo una buona predisposizione nei nostri confronti da parte dei camionisti, che ci incoraggiano perché già ci riconoscono come pellegrini diretti a Santiago.
La strada costeggia colline assolate dominate dall’alto da un curioso ed enorme toro metallico. Il vento forte e contrario ci fa compagnia e nel pomeriggio inoltrato arriviamo a Bujaraloz. Il nome di una strada Calle de la luna, ci guida nella scelta dell’alloggio per la notte. Qui veniamo a sapere che ci sono le prime frecce gialle, che indicano la direzione da seguire a tutti i pellegrini, ed è come cominciare ad immergersi in quel fiume di varia umanità che il Cammino attira a sè.
La sera ceniamo insieme ad un professore di padre spagnolo e madre italiana, che insegna all’università di Cosenza, una persona simpaticissima e cordiale. Dopo Bujaraloz facciamo tappa a Tauste non prima di aver visitato Saragoza. La città è bellissima, con una piazza incantevole dove mi ha affascinato il contrasto tra il moderno della fontana futuristica e le forme antiche della cattedrale. Rimango seduto ad ammirare questa piazza costeggiata da un fiume in compagnia di un ragazzo di Pozzuoli, che da qualche mese si è stabilito in questa bella città. Nella tappa successiva arriviamo a Logrogno, una bella città da cui ci immetteremo finalmente sul Cammino di Santiago. Compriamo la conchiglia, antico simbolo dei pellegrini, che in questa città incontriamo per la prima volta. Siamo molto gasati e anche un po’ emozionati e non vediamo l’ora di percorrere il Cammino. Partiti di buon’ora, la mattina successiva vi arriviamo seguendo le frecce gialle. Ci dà il benvenuto, offrendoci della frutta, frate Marcellino, che, all’interno di una casetta di legno, registra i nostri nomi e la nazionalità e appone sulla nostra Credencial il suo sello. Ogni pellegrino ha la sua Credencial, una brochure che conserva tutti i timbri che attestano il passaggio sul cammino, all’arrivo a Santiago in un ufficio di lato alla cattedrale, mostrando la Credencial viene rilasciata la Compostela, una pergamena scritta in latino che comprova il pellegrinaggio sul Cammino di Santiago.
Sul Cammino incontriamo tanti pellegrini e tra questi molti ciclisti, provenienti da tutte le parti del mondo. Facciamo incontri molto interessanti, c’è persino una famiglia di peruviani con bimbi al seguito. Un ragazzo parigino, Roxy, viaggia con una curiosa bicicletta su cui si pedala stando distesi come in poltrona.
Incominciamo a conoscere le difficoltà del percorso, le vie sterrate, la fatica più pesante di chi procede a piedi, che cerchiamo sempre di non infastidire. Ci imbattiamo in un ragazzo di Torino in difficoltà per i piedi davvero malridotti. Ci fermiamo, così per due o tre Km camminiamo a piedi insieme per rincuorarlo. Si ha la sensazione di attraversare la storia su questo Cammino che da circa mille anni è stato percorso da milioni di pellegrini. Proprio qui è nato l’ordine dei Cavalieri Templari, che proteggevano dagli attacchi dei Musulmani i Cristiani, per i quali, allora, il cammino rivestiva un’importanza pari al significato che oggi ha andare a La Mecca nella religione islamica. I primi secoli del II millennio vedono perciò la fioritura di leggende e tradizioni che ancora oggi sopravvivono nei luoghi del pellegrinaggio. Risale a quel periodo, per esempio, la tradizione di tenere nella chiesa di S. Domenico de la Calzada, un gallo e una gallina vivi, in una teca ben visibile ai fedeli. Gli animali ricordano un miracolo che si verificò salvando da una ingiusta condanna a morte un pellegrino. La leggenda vuole che un giovane in viaggio per Santiago con i propri genitori, accusato ingiustamente di furto da una ragazza del luogo, venisse impiccato. I genitori proseguirono il pellegrinaggio. Di ritorno da Santiago, trovarono il ragazzo ancora vivo perché San Giacomo (Santiago) ne aveva impedito la morte sostenendogli i piedi. Si precipitarono, così, dal magistrato del luogo implorando la liberazione del figlio, di cui il miracolo proclamava l’innocenza. Al rifiuto dell’uomo che sosteneva, invece, che il giovane fosse morto così come i polli che stava mangiando, gli animali presero vita e la grazia venne concessa.
In zone sperdute ci sorprendono degli edifici bellissimi e suggestivi. Nella meseta spagnola si cammina per ore intere tra campi di grano a 800 metri s.l.m. e all’improvviso ecco l’albergo dei pellegrini S. Nicolàs (XII sec.). È un posto dove sembra che si sia fermato il tempo, non c’è né acqua corrente né luce, ed è gestito da hospetalieri italiani della Confraternita di San Jacopo di Perugia. È molto ben tenuto. Due coppie di italiani ci accolgono e volentieri si fermano a parlare con noi. Ci raccontano che in questo hospital accolgono tanti pellegrini, soprattutto quelli che camminano a piedi. Qui per loro la sera si ripete l’antico rito della lavanda dei piedi. Parlare con questi italiani, che raccontano l’esperienza che vivono insieme ad altri, per tenere aperto questo hospital, ci trasmette una forte carica spirituale. Chiacchieriamo tranquillamente, ci chiedono da dove veniamo, dove pensiamo di arrivare oggi. Prima di salutarci mi domandano perché io stia facendo il cammino e io rispondo che sono stato spinto dal desiderio di incontrare persone come loro.
Nel nostro viaggio attraversiamo varie regioni della Spagna settentrionale, la Catalogna, l’Aragona, la Navarra, La Rioja, la Castilla e la Galizia e diverse città. Mi colpiscono in modo particolare Leon, Logrogno, Burgos.
Una delle tappe più belle è stata quella attraverso Astorga. Arriviamo a Rabanal de Camino, a 1300 m s.l.m., stremati per la fatica. Saliti sotto un sole cocente senza sosta per 20 km, visitando tra l’altro una chiesa rupestre stupenda, l’unico lusso è un ghiacciolo in un bar in compagnia di due cicliste neozelandesi. Trovato il posto per dormire, siamo andati in un hospital gestito da frati londinesi per ascoltare la messa e ricevere la benedizione dei pellegrini.
La mattina ci svegliamo che è ancora buio ci prepariamo per la tappa più suggestiva che, a causa di un temporale, diventa anche quella più impegnativa. Partiamo alle 6,30, immersi in colori stupendi, perché incomincia ad albeggiare. Dobbiamo affrontare una salita di 10 km per arrivare alla Croce di ferro a 1600 m s.l.m. Questa tappa del Cammino è molto suggestiva perché ai piedi della croce ogni pellegrino lascia qualcosa di suo. In genere ci si porta dietro delle piccole pietre del proprio paese, così Ippolito ed io lasciamo quelle che ci avevano dato i nostri figli, tra migliaia di altre pietre, lettere e svariati oggetti. È come toccare la sofferenza, il dubbio, la speranza, l’amore e la fede di quelli che il Cammino chiama a sé.
Dopo le foto di rito ripartiamo. Il tempo minaccia pioggia e dopo una lunga discesa arriviamo a Ponteferrada, dove inizia una salita di circa 20 km fino a O Cebreiro. A metà strada inizia una pioggia torrenziale, che ci lascia solo a metà della discesa per Triacastella. Completamente bagnati, con la temperatura che scende di molto, a circa 1400 m s.l.m., affrontare una discesa di 20 km in bicicletta significa congelarsi. Per evitare il freddo pungente cerco di pedalare più intensamente. Mentre sorpasso Ippolito, che si affianca a tre cicliste venete per parlare, mi fermano gli agenti di polizia. Pretendono di multarmi perché vado troppo forte ed ho eseguito una manovra pericolosa. Dopo un quarto d’ora di discussione mi lasciano andare via, così, finalmente, arriviamo infreddoliti e stanchi a Triacastella. La sera a cena le ragazze venete mi prendono in giro per l’episodio con la polizia spagnola. A tavola conosciamo uno spagnolo innamorato dell’Italia che ha iniziato il Cammino a piedi dal O Cebreiro proprio oggi.
Perché il sacrificio del Cammino di Santiago de Compostela fosse valido, l’antica tradizione richiedeva di percorrere a piedi almeno gli ultimi 100 km, gli ultimi 200 km se si andava a cavallo. Ancora oggi si incontrano pellegrini a cavallo, ma si può ben pensare che oggi il posto dell’animale sia stato preso dalla bicicletta. Ormai siamo a poco più di 100 km da Santiago e potremmo arrivarci anche l’indomani.
Decidiamo, però, di assaporare con più calma quell’aria carica di emozioni che diventa sempre più intensa con l’avvicinarsi alla meta. Ci fermiamo, così, a Melide, a 50 km dalla destinazione del nostro viaggio. La città è graziosa e caratteristica. Ritroviamo l’aria tipica anche in un locale che serve solo pietanze a base di polpo e vino in tazza, anziché in bicchiere.
Il giorno seguente, di buon mattino, al momento della partenza è curioso osservare la gente intorno a noi. Sono molte le coppie di innamorati che vedo fuori dagli alberghi vicini dopo una notte d’amore mentre facciamo colazione tra tanti ragazzi stanchi e assonnati appena usciti da una discoteca nei paraggi.
Il paesaggio di quest’ultima tappa è veramente suggestivo, si attraversano boschi di eucalipti, il fondo stradale è spesso impraticabile e in alcuni tratti bisogna scendere necessariamente dalla bicicletta, come quando guadiamo un fiume. I pellegrini diventano sempre più numerosi e i loro volti, anche se affaticati, sono caratterizzati da un sorriso che infonde serenità. Si sentono parlare le lingue di tutto il mondo. Un gruppo di ragazzi parla in dialetto napoletano. Mi fermo e vengo a sapere che sono di Castellammare di Stabia. Affrontiamo l’ultima discesa del monte Gozo che ci porterà a Santiago. Già si intravedono le guglie della cattedrale. Così scendiamo lentamente, per goderci fino in fondo la gioia di arrivare dopo tanta fatica e tante emozioni là dove persone di tutto il mondo dopo tanto soffrire hanno desiderato arrivare. Appena arrivo davanti alla cattedrale mi viene in mente una frase letta prima di partire nel libro “Verso Santiago” di Cees Nooteboom, famoso viaggiatore olandese innamorato della Spagna: “Non è dimostrabile e pure io ci credo: nel mondo ci sono luoghi in cui un arrivo o una partenza vengono misteriosamente moltiplicati dai sentimenti di quanti nello stesso luogo sono arrivati o da là partiti…”. Si ha la sensazione di condividere con quella moltitudine di persone la gioia, la felicità di essere arrivato in quel luogo, i pellegrini a piedi, a cavallo, in bici, hanno scelto il Cammino con la speranza di tornare poi nella vita di tutti i giorni migliori di prima. Non mi sento di dire che il Cammino abbia migliorato anche me, ma certamente mi ha arricchito: il sorriso dei pellegrini stanchi, il ricordo dei miei genitori portato con me in un luogo sacro e la condivisione di un’esperienza con persone con dei valori.
Santiago è una bellissima città, ritiriamo subito la Compostela e dentro di me avverto una bella sensazione. Mi sento felice anche di aver coinvolto in questa esperienza il mio amico Ippolito che ne aveva proprio bisogno.
Il mio programma di viaggio prevede un’ultima tappa: l’arrivo sulle coste atlantiche. Pertanto il giorno seguente, domenica, decidiamo di andare a La Corugna. Al momento della partenza troviamo la ruota della bici di Ippolito forata, sostituiamo la camera d’aria e nel rimontarla si spezza lo sgancio rapido. Non ci diamo per vinti e, anche se in treno, raggiungiamo comunque l’oceano. Nonostante gli imprevisti, tutto sommato ci è andata bene perché per tutto il viaggio avremmo-dovuto-pedalare-sotto-la-pioggia. E se a Barcellona il mare lo abbiamo visto dall’aereo a La Corugna scendendo una scaletta nel porto turistico accarezzo con le mani l’oceano e in quel momento mi sento appagato perché ho realizzato-quello-che-ho-pensato-e-organizzato-per-tutto-l’inverno.
Tappa/Km
1. Aeroporto Barcellona – Barcellona centro 32
2. Barcellona – Montblanc 120
3. Montblanc – Bujaraloz 136.5
4. Bujaraloz – Tauste 120
5. Tauste – Logrogno 140
6. Logrogno – Burgos 121
7. Burgos – Sahagun 140.5
8. Sahagun – Rabanal de Cammino 138
9. Rabanal de Cammino – Triacastella 115
10. Triacastella – Melide 88
11. Melide – Santiago de Compostela 56
Totale chilometri 1207