Mosca, Cina e Tibet
20 AGOSTO 2011
A Mosca!
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Saluto a Malpensa i miei iperapprensivi genitori, stavolta preoccupati come non mai. La Cina li spaventa più di altri posti: hanno idea che lì ancora si giri per le strade con i carretti a pedali, ci si cibi di serpenti, insetti ed ogni altra cosa purchè fritta e ci siano in corso pandemie catastrofiche secretate dal governo cinese.
Li tranquillizzo. A dirla tutta però a questo giro ho anch’io il sospetto di dover affrontare un viaggio estremamente impegnativo. Temo soprattutto di non riuscire a farmi capire.
Ora però basta crucciarsi. Ci aspetta Mosca!!!!
Partiamo con quasi due ore di ritardo causa il difficile imbarco di un gruppo di 20 bresciani folli con mountan bike al seguito diretti ad Ulan Bator e determinati ad attraversare il Gobi pedalando.
Ad ognuno il suo trip personale …. fatto sta che ci laciamo alle spalle i 40° di Milano e atterriamo a Mosca alle 16.00 sotto ad una pioggia autunnale.
Al controllo passaporti siamo gli unici a non aver compilato il tagliandino dell’immigrazione (sul volo non ce l’hanno dato, ci avranno preso per russi!) ed è un serio problema, perché non ne hanno più!!!! Aspettiamo 20 minuti ed alla frontiera restiamo solo noi, finchè un solerte poliziottone russo non recupera un intero plico. Alleluia! Giusto in tempo per arrivare al ritiro bagagli prima che un altro poliziotto simil-Danko rimuova i bagagli incustoditi. “Aspetti, aspetti!” Mi guarda perplesso con l’occhio blu vacuo e sospettoso. Poi qualcosa lo convince e mi rende la valigia …. Uff, per un pelo! Cominciamo bene!
Usciamo dall’aerea arrivi e siamo immediatamente assaliti da un’orda di tassisti abusivi che sembrano parlare con lo stesso accento del doppiatore italiano di Ivan Drago: “Ciiiaao aamiiico, tu preendi miiio taaxi, taaxi moooolto buuono”. Siccome l’aspetto intimorisce tanto quanto la dizione, optiamo per il più sicuro e conveniente treno Aeroexpress. Prima però occorre dotarsi di pecunia: ritiriamo con facilità al bancomat 10.000 rubli.
La stazione ed il treno sono modernissimi, ma i binari, le linee e le altre stazioni no. Si viaggia a ritmo lumaca attraversando la cupa e grigia periferia di Mosca costruita secondo l’imperante modello sovietico anni ’50-‘60: palazzoni identici l’uno all’altro, enormi, grigi, scrostati, senza balconi, le finestre oscurate con carta adesiva blu o nera, condizionatori in facciata e cavi dell’elettricità che vanno da tetto a tetto perché i condomini fanno da pilone. Che tristezza! Oltretutto i palazzoni sono a ridosso della massicciata e tra boschetti di conifere dove, di tanto in tanto, si vedono gruppetti di persone malconce che accendono falò per scaldarsi. Russi lontani anni luce da quei Nouveau Riches che i charter riversano sulla riviera romagnola e a Sharm! Il comunismo è forse crollato, ma solo per pochi ….. qui sembra ancora di stare in pieno regime.
Per fortuna ogni tanto spunta qualche cupola dorata delle chiede ortodosse. Belle! Sembrano uscite da un libro di fiabe.
Arrivati alla stazione Belorusskaya per capire dove si trova la metro abbiamo un solo modo: seguire il flusso delle persone. Sì perché le stazioni sono in palazzine, anch’esse in stile sovietico primo 900, senza nessuna indicazione, se non il nome della fermata scolpito in cirillico al centro di una profusione di falce e martello!
La metro è vecchiotta, come alcune linee di quella di Parigi, e sa di gomma bruciata. I cartelli sono principalmente obsoleti e tutti in russo. Non c’è una biglietteria automatica, ma uno sportellino mignon con all’interno un’enorme babuska in grembiule e con fazzoletto da contadina in testa che fa i biglietti. A gesti e profusione di “pazhalsta” e “spasima” riesco a farmi dare due carnet da 10 corse.
Cambiamo linea a Polscha Revolyutsii dopo aver camminato per chilometri di meravigliosi corridoi con marmi, sculture (di eroi della rivoluzione), lampadari di cristallo e gli immancabili simboli della rivolta proletaria che fu. Più che nella metro sembra di stare in un museo.
La prima “missione metropolitana” non è affatto facile: il bagaglio pesa e dobbiamo interpretare il cirillico. Per orientarsi dobbiamo o riconoscere i simboli o contare le fermate (che sono lontanissime l’una dall’altra) fino alla nostra Partizanskaya.
All’uscita troviamo immediatamente il complesso dell’Izmailovo Hotel. Impossibile non notarlo poiché l’albergo, dei tempi d’oro del comunismo, è composto da 4 grattacieli che costituiscono un intero quartiere. Più difficile capire quale sia quello da noi prenotato tra alfa, beta, gamma, delta. Dopo un po’ lo trovo: delta. Il tipo alla reception è anche carino e facendomi l’occhiolino mi fa capire di avermi dato una stanza tra le più graziose al piano alto. In effetti è così. Alle 20.00, stanchi morti, siamo in una bella stanza al 37° piano dalla quale si vedono Mosca illuminata e l’immenso parco Izmailovo.
Ci riscaldiamo con una doccia bollente ed alle 21.30 cerchiamo un posto per mangiare qualcosa. Di fronte all’hotel c’è una specie di casetta in legno con tetto aguzzo tipo casa di Hansel e Gretel. Il problema è capire se è o non è un ristorante. L’insegna è in russo: ресторан. Mha!? Resta il fatto che star lì a guardare da fuori e bagnarci fin nelle mutande non è una buona idea, quindi decidiamo di provare. Apparentemente la casa di marzapane è deserta. Ad un certo punto la porta si spalanca ed esce una coppia di sposi con parenti festosi al seguito. Bello! Adoro i matrimoni! Sì ma ho fame …… Qui mi sa che è chiuso ….
Per fortuna, tra le varie persone uscite, ci deve essere anche il proprietario del posto che incomincia (in russo-vodka-strascicato) a raccontarsela con Sergio (in italiano-ho-una-fame-della-madonna). Dopo 2 minuti di discorso incomprensibile Sergio, deciso, mi dice: “Tranquilla, è aperto. Ci fa stare nella sala di sopra, dietro. Bisogna salire le scale. Arriva subito la cameriera”. (Ma da quando parla russo? Mi devo preoccupare? Nella mia vita potrebbe esserci una Irina sconosciuta?)
Non facciamo in tempo a sederci nella sala deserta che un donnone enorme in abito da contadinella ci raggiunge (speriamo non ci voglia trasformare nel suo pasto, come nella fiaba della casetta di marzapane). Ordiniamo carne di maiale con funghi, patate, pane e birra. Tutto squisito e ad un prezzo abbordabile.
Mentre aspettiamo non resisto: scendo al piano di sotto per sbirciare la festa! Appena apro la porta i festaioli mi cuccano subito. La sala è satura di vapori d’alcol e piena di palloncini. Appena apro entrambi scappano al piano superiore. Tutti stavano cantando e si interrompono di colpo. Mi fissano incerti. Per due secondi il silenzio. Poi giù un paio di bicchieri di vodka (credo siano tutti almeno oltre il trentesimo)…. E via! Ricominciano facendomi energicamente segno di unirmi a loro. Non so cantare dico. E Allora balla! Mi incitano ….. Dance! E un DJ, terribilmente rosso in viso, attacca con un pezzo truzzo-dance che coinvolge subito gli esagitati sposi. Che tamarri micidiali!
Bene! Per essere il primo giorno ci stiamo già divertendo da pazzi!
21 AGOSTO 2011
Le meringhe di San Basilio.
Oggi oltre che con la pioggia torrenziale dobbiamo convivere con un vento siberiano. Che palle! Che sfiga! Mi è già uscito l’herpes! In attesa che il tempo cambi facciamo due passi al mercato Izmailovo.
Forse a causa del meteo avverso, forse a causa dell’orario mattiniero il famoso mercato è quasi deserto. Qui pochi banchi aperti vendono cianfrusaglie di antiquariato, paccottiglie per nostalgici e i classici souvenir come matrioske, colbacchi e t-shirt: insomma un bel po’ di fuffa!
Più che le merci sono interessanti i soggetti che le vendono: vecchi omoni barbuti con aria di uomini di “frontiera” in divisa militare che arrivano al mercato trascinando enormi carrelli carichi orologi, piatti, medaglie e vecchi cimeli; babuske con fazzoletto d’ordinanza in testa che sollevano enormi valigie di cartone legate da spago consunto; iovani uomini con scarpe e giacche enormi sono molto simili a Frankenstein ed emettono gli stessi suoni gutturali del mostro per approcciare i clienti. Ok, questo mercato non mi piace.
Prendiamo la metro diretti al Cremlino ed arriviamo alla biglietteria attraversando i Giardini di Alessandro. Non passiamo dalla Piazza Rossa perché non vogliamo nemmeno vederla sotto l’acqua, mi rifiuto! Davvero, se becco la stronza (perché di sicuro è una lei) che tutti gli anni me la gufa (vedi Rio 2010) l’ammazzo a suon di ceffoni!
Per capire come fare il biglietto ci vuole una laurea in ingegneria gestionale. Occorre un biglietto per ogni parte del Cemlino: Armeria, Chiese, Torre di Ivan, esposizioni temporanee, ecc …. Bando all’avarizia chiediamo A+C+T, ma la solita donnona russa alla biglietteria sclera. Niet! Niet! Finish! Prima che si inkazzi di brutto riesco a comprendere che aveva esposto un cartello (in russo) che diceva che, per oggi, gli accessi numerati alla torre erano terminati. Ok! Calma! Prendiamo solo gli altri 2. Non è un problema, anzi! Risparmiamo sul prezzo che già così è esorbitante. Per poter entrare lì dove hanno vissuto gli Zar per poi far largo al Supremo Soviet, occorre sborsare 40 euro a persona!!!!! Alla faccia!
Benchè sia la zona del Cremlino il cui biglietto costa di più (700 rubli) e la Lonely Planet consiglia, eventualmente, di evitare, l’Armeria a nostro parere merita. Sarà perché è al chiuso e va il riscaldamento, sarà perché i tesori esposti sono favolosi, ne resto entusiasta. Tra l’altro ho scoperto che cos’è un uovo di Fabergè! E’ un uovo di Pasqua dal fasto reale con tanto di decorazioni in oro e diamanti e ricca sorpresa che gli zar si scambiavano ogni anno in barba alla gente che nelle campagne pativa la fame. Certo non mi stupisco della rivoluzione del 1917! Altrettanto sfarzosi i troni, gli abiti con rifiniture di pelliccia e le carrozze-slitte che venivano trainate da 30 cavalli. Romantico!
Mentre ci dirigiamo alle Cattedrali del Cremlino veniamo ripresi da solerti poliziotti: non è permesso camminare giù dai marciapiedi o attraversare lontano dalle strisce! Vuoi spostarti per fare una foto? Non puoi. Prima fischiano, se non obbedisci, ti randellano!
Le chiese e le icone sono magnifiche. Gli interni sono tutti di color rosso scuro o dorato, all’esterno decine di cupole e cupolette dorate. Foto di rito con lo Zar dei cannoni e la Zarina delle campane e sono le 14.00!
Ci dirigiamo ad Arbat, via che vanta la maggior concentrazione di locali …. Peccato che per arrivarci sbagliamo linea della metro: la blu e l’azzurra hanno entrambe la fermata Arbatskaya, ma sono distanti un chilometro l’una dell’altra! Noi abbiamo preso la linea azzurra e siamo usciti in un quartierino poco raccomandabile. Guardando la mappa cerco di orientarmi mantenendo come punto di riferimento il palazzo del Ministero, una delle architetture denominate sette sorelle di Stalin, ma devo attraversare una specie di autostrada a 10 corsie! Come faccio? Per fortuna ci aiuta un mendicante che ci fa strada verso un sottopassaggio, poi un altro. Scopriamo così che Mosca ha più tunnel che buchi in un groviera. Mimando inequivocabili riferimenti alla morte certa il nostro accompagnatore ci fa intendere che non è possibile attraversare senza finire sotto una macchina. I russi sui boulevard guidano come in un GP. Viaggiano alla velocità della luce sia con una fiammante Porsche sia con una vecchia Lada tenuta insieme dal fil di ferro.
Per quanto riguara le macchine di lusso Audi, Range Rover, BMW qui piacciono rosse. Forse perché di inverno spiccano nella neve?
Affamati ci fiondiamo da My-My (o Mu Mu all’italiana) self-service carino a base di pietanze russe assolutamente all’altezza delle ottime recensioni ricevute. Si mangia di tutto, buono a prezzi contenuti. L’ambiente simpatico è arredato con motvi muccosi. Mangiamo spiedini di carne, insalate, patate con varie salse. L’acqua minerale pare sia sconosciuta: o si beve birra (ottima), oppure va di moda una specie di bibita color Big-Babol con dentro inquietanti lamponi interi… Ok, la birra va benissimo! Unica nota negativa: pare che in Russia la cipolla sia ovunque. Mangiamo bene, ma per tre giorni ci resta l’alito del puma!
La pioggia persiste incessante. Abbandonata perciò l’idea di una passeggiata al Gorky park ed alla collina dei passeri ci avviamo comunque a piedi diretti alla Moscova.
Passiamo dalla Cattedrale di Cristo Salvatore ed una visita al suo interno ci sottrae per una mezz’ora alla pioggia. E’ una chiesa dalla mole impressionante nella quale i fedeli pregano picchiando la fronte contro le icone (??) ed il silenzio è assoluto nonostante sia terribilmente affollata.
Da lì attraversiamo il nuovo ponte pedonale che permette una vista magnifica sulla città. Nonostante la nebbiolina si vedono da un lato le antiche torri del Cremlino dall’altro, in lontananza, i moderni grattacieli di Moscow City e quasi tutti i palazzi staliniani.
Costeggiamo il fiume finché non si staglia in tutta la sua bellezza la magnifica San Basilio. Da questo lato poi la piazza è deserta ed è possibile fotografare senza gente. In realtà l’assenza di gente è dovuta ad una parata militare sulla Piazza Rossa. Per l’evento la via che conduce al fiume è chiusa e ai turisti non viene in mente di fare un lungo giro come abbiamo fatto noi.
Le cupole di San Basilio sembrano enormi meringhe o allegri lecca-lecca e contrastano con il microscopico interno austero e scarno.
Non possiamo però vedere tutta la maestosità della Piazza Rossa perché la stessa è transennata a causa della Parata. Si possono avere solo “piccoli spicchi”.
Sempre a piedi raggiungiamo il Bolshoi e Kitay Gorod, poi rientriamo in hotel dove ci concediamo una doccia bollente ed un cambio d’abito per essere di nuovo ad Arbat per la cena. Scegliamo il ristorante caucasico Shashlyk Mashlyk. Ottimi spiedini di carne, curiosi panini ai semini neri e divertente musica russa dal vivo. Le porzioni sono piccole e il prezzo altino quindi, avendo ancora un po’ di fame, ci facciamo tentare da un’americanissima ciambella di Donkin Donuts …. La cortina di ferro ha ceduto sotto il peso delle calorie!
Ritorniamo sulla Piazza Rossa per qualche foto in notturna.
Uscendo dalla metro mi insospettisco guardando un cartello in cirillico dal quale evinco solo 22.00 – 6.30 …. Cosa vorrà dire? La metro dovrebbe viaggiare sino all’1.00 del mattino …..
Il significato lo scopriamo al rientro, quando alle 23.30 troviamo tutto chiuso! Panico …. E adesso? La metro è chiusa, di un taxi (ora che serve) nemmeno l’ombra ….. Come ci torniamo in hotel?
Per fortuna sentiamo passare i treni sotto i nostri piedi! Giriamo, giriamo, giriamo finché arriviamo all’ingresso principale: wow! Aperto! Tra le 22.30 e le 6.00 chiudono gli accessi secondari.
Ben oltre la mezzanotte crolliamo esausti avvolti da un caldissimo e meritatissimo piumone.
22 AGOSTO 2011
From Moscow to Bejing.
Dormiamo a lungo consci che stanotte si soffrirà a causa del micro posticino in economy sul lungo volo notturno che ci porterà a Pechino.
Oggi è una giornata “cuscinetto” per cui possiamo prendercela comoda. Oltretutto il tempo è meraviglioso e fa quasi caldo …. Bhè caldo ….. Non esageriamo! C’è il sole, ma comunque 7 gradi.
Nella solita Via Arbat facciamo colazione da Starbucks con cappuccio e muffin (rito che accompagna spesso i nostri viaggi). La colazione è lenta: guardiamo la città che pian piano si sveglia riscaldati da un caminetto acceso che poco ci i invoglia ad uscire …. Diamine sembra Natale!
Quando il sole scalda le strade ci mischiamo ai moscoviti diretti in ufficio e passeggiamo sino in centro, un po’ di shopping, pranzo di nuovo a My-My, poi in hotel per recuperare il bagaglio e di nuovo in aeroporto.
Arrivare al check-in molto in anticipo è una buona idea. I controlli sono lunghi e meticolosi: body scan, metal detector, metti e togli le scarpe, questionario ….. alle 22.00 decollo e volo ordinario.
23 AGOSTO 2011
Stranieri disorientati dalla moltitudine chiassosa nell’immensa città.
Pechino, anzi Bejing. Ore 9.30.
Si comincia!!!!
Tutto ci sembra da subito enorme (tranne i cinesi, ovvio. Loro sono simili ai Puffi, ma molto più magri) a partire dall’aeroporto: efficiente, modernissimo, organizzato. Controllo passaporti in un minuto, con tanto di emoticon per votare seduta stante la qualità del servizio prestato dall’addetto tutto sorrisini. I bagagli sono lì 30 secondi dopo e poi, appena usciti, ecco il paradiso degli ATM point dai quali ritirare valuta. Alla faccia di chi mi ha detto che il bancomat in Cina è poco diffuso…. Forse intendeva nella Cina di qualche anno fa. Ora nelle grandi città gli sportelli pullulano e sono convenientissimi se paragonati agli sportelli cambio che applicano esose commissioni.
Un modernissimo treno collega l’aeroporto con la fermata Dongzhimen e da lì la linea circolare dell’altrettanto ipermoderna Metro ci porta ad Hepingmen. Durante il tragitto nei tunnel vengono proiettati futuristici spot pubblicitari, sui treni il Tg è costantemente trasmesso su TV al Plasma. Per accedere ai treni occorre passare attraverso il metal detector, non semplice con i nostri zainoni. Per fare i biglietti sono meglio i distributori automatici, altrimenti occorre darsi subito da fare e familiarizzare con i modi cafoni dei cinesi anti-coda. Sì perché per un cinese fare la fila (alla biglietteria, al check-in, alla cassa del market) è un insulto! Bisogna passare per primi, punto. Te li trovi tra le gambe, ti passano col carrello sui piedi, ti si pestano davanti e, se protesti, fanno finta di non capire…. Stavolta però non hanno intuito con chi hanno a che fare! Non sono la solita biondina occidentale ingenua …. Sono molto più alta di loro, decisamente più cafona, alzo la voce di brutto (spiazzandoli emotivamente) e come ruzzo io non ruzza nessuno. Chiaro? Risultato: in 3 secondi ho fatto i biglietti.
Mio marito esasperato: “Sei proprio una Tamarra!”
Alla fermata ogni uscita è identificata da una lettera sotto la quale sono indicate le vie ed i punti di interesse. La nostra è la C. Come faccio a saperlo? Culo! Il cartello indica Roast Duck Restaurant, ed io ricordo di averlo visualizzato su Google Maps! Credo così di essermela cavata? ….. Illusa!
Da lì’ dobbiamo raggiungere il Far East Youth Hostel. Ho mandato una mail e i gestori mi hanno detto che sono solo 5 minuti a piedi, basta percorrere la Nanxinhua Jie in direzione Sud e poi girare nell’Hutong e seguire i cartelli. Ma che cazzus di indicazione è??? Secondo voi giro con una bussola in tasca? (Non ditemi quella dell’IPhone perché sia chiaro, io ho ancora un Nokia da 29 euro e 90!) E poi, svoltare nell’hutong ??? …. Tanto vale dire entrate in un labirinto senza poter seminare molliche di pane lungo il percorso! Dulcis in fundo: quali cartelli? Ah quelli in cinese!!! Ma certo, che stupida!
Incominciamo ad incamminarci incerti lungo il vialone orientandoci indovinate un po’ come? Col sole! E come sennò? Il sole è leggermente oltre lo Zenith …lì è l’ovest… là est, nord …. Si va di là! Ecco il Sud!
L’entusiasmo da esploratrice di altri tempi si esaurisce 5 minuti (e una sudata da incubo) dopo. Dovremmo essere arrivati ma siamo nel nulla totale. Frastornati, fradici, assetati e senza un goccio d’acqua (Conoscendoci…. sai che novità!)
Metto in pratica il metodo “Ilaria” e chiedo lumi ad un tassista che sta mettendo benzina al mezzo. Mi avvicino, mostro la cartina e ….. scateno l’inferno! Questo butta la tanica e incomincia a muoversi come una scimmia impazzita ondeggiando violentemente il capo in evidenti segni di diniego. Per ultimo tuffa la testa nel bagagliaio e lì resta sbuffando.
Ok, non mi aiuta.
Metodo Ilaria = zeru tituli!
Niente Panico! Non devo temere…… Sono con sono con mio marito …. O no?
Posso vantare al mio fianco un perfetto esemplare di Homo Orientus italiano. Come ogni esemplare della sua specie, cresciuto a pane e punti GPS, discendente di Colombo, Polo e cugino di terzo grado di Indiana Pipps, l’Homo Orientus, non ha dubbi. Seppur sradicato dal suo habitat e smarrito, nel Mondo Sconosciuto, all’Homo Orientus basta una mappa precisa come la bussola di Jack Sparrow, e la strada ve la trova ….. Per ustinto naturale!
L’Homo Orientus guarda la cartina, fa ragionamenti che ad una mente femminile geneticamente sfuggono ed arriva ad una conclusione geniale: “ Ah! Ah! E’ chiaro! Dobbiamo trovare la strada piccola che ripiega all’insù!”
Ma certo! Che stupida! Sto camminando da un quarto d’ora basandomi su un disegno la cui scala è decisamente toppata, ho lo zaino che mi sega le spalle, fra un po’ bevo la mia pipì, avremo passato 25mila traverse microscopiche di una via lunga come l’A4 in una città grande come il Belgio, e tu mi dici ……Cosa?
La strada piccola all’insù? Ma S.C. è piccolo all’insù, non la strada!
Stavo per dar fuori di matto quando, incredibile ma vero, dopo pochi minuti di zig-zag in vecchie stradine ….. ecco un cartello scolorito: FEYH (Far EastYouth Hostel! Eccoci! Metodo Sergio = vince tutto!
Ma come ha fatto?
L’ Homo Orientus Sergio è geniale!
(PS. Ritito tutto sul coso all’insù)
Sono distrutta. Lo smarrimento nell’hutong è poi uno schiaffo in pieno viso: dal moderno vialone a 6 corsie si passa a stretti vicoli (che le ruspe del progresso a tutti i costi stanno spazzando via di giorno in giorno, a ritmo esagerato, per edificare i nuovi avveniristici quartieri del Popolo Cinese).
La differenza è abissale. Si torna indietro di 50 anni tutti in una volta! Ecco i famosi carretti stipati all’inverosimile, i risciò a pedali, decine di bici scassate, negozietti con merce accatastata ovunque, cani (pechinesi), nonnetti magrissimi in canotta e pantaloni tenuti su con lo spago che giocano al Ma-Jong, odore di cibo fritto, aglio e cipolla, noodles che bollono insieme ad altri ortaggi in enormi pentoloni mentre la gente mangia seduta per strada su sgabelli tipo casa delle bambole.
Il nostro Hotel è proprio nel bel mezzo dell’hutong: carino, piuttosto pulito e a poche pedalate da Piazza Tiananmen.
Il quartiere tradizionale è praticamente inglobato nella nuova zona commerciale di Quianmen. Si tratta di una nuova area a Sud di Piazza Tiananmen, edificata sulle macerie delle antiche case rase al suolo dal progetto di modernizzazione del Goveno.
Del vecchio hutong resta solo lo stile.
La città sta cambiando ad un ritmo impressionante: dalla sera alla mattina spariscono interi quartieri rimpiazzati da nuovi condomini e zone commerciali. Come un domino che parte da Tiananmen vengono abbattuti i disordinati quartieri e subito edificati i nuovi precisi e moderni.
Abbiamo ancora tutto il pomeriggio davanti e raggiungiamo a piedi Piazza Tiananmen che è mostruosamente immensa. Per attraversarla tutta da Sud a Nord ci vuole mezz’ora! Oltretutto è controllata da centinaia di militari e affollatissima da migliaia di cinesi. Una bolgia ululante, chiassosa ed euforica. Intere famiglie con frigoriferi da campeggio per il pranzo al sacco, nonni con la seggiola per le soste sempre appresso, bambini di ogni età che sventolano felici le bandierine della Cina e genitori con macchine fotografiche dai teleobiettivi pazzeschi che scattano foto ad ogni metro.
Una calca così non l’avevamo mai vissuta nemmeno ai concerti di Vasco! E’ semplicemente inumana! L’impressione che si ha è di essere entrati in un formicaio dove i cinesi sono migliaia di brulicanti formiche operaie industriose e sempre attive.
Ogni tanto incrociamo lo sguardo disperato di qualche altro uomo dagli “occhi tondi” che come noi si sta domandando quale atroce peccato debba aver commesso per essere finito in questo infernale girone dantesco.
Quella della Città Proibita non può perciò essere considerata una visita, ma l’esperienza diretta di appartenenza ad un fiume di persone che, come la corrente, ti acchiappa e ti spinge lungo il percorso. Veniamo risucchiati sotto al ritratto di Mao Zedong e trascinati lungo un ponte all’interno della città Proibita passando dal varco della Porta della Pace Celeste. La Città Proibita è un intrico di palazzi e padiglioni dai soffitti finemente decorati, ornati da marmi intagliati, draghi, leoni, elefanti, ideogrammi ……Nonostante l’ausilio delle ricche spiegazioni dell’audiogiuda, fatichiamo ad apprezzare al meglio il sito. Siamo infastiditi dagli ombrellini parasole delle formichine cinesi, che issati sopra le loro teste, sono esattamente all’altezza di nostri occhi pronti a condannarci alla perenne cecità.
Ritroviamo un po’ di serenità e ci concediamo un meraviglioso tramonto sui tetti della Città Proibita solo dopo essere saliti sulla sommità della collina del Parco Jingshan. Una fatica ben premiata!
Stanchi morti, una volta scesi dalla collina, senza nemmeno badare al prezzo accettiamo la proposta di un conducente di risciò che ci dovrebbe portare sino a Wanfujing Dajie. Non facciamo nemmeno in tempo a rilassarci un secondo che veniamo scaricati in malo modo e lasciati a piedi. Il tizio pensiamo sia un abusivo (da come se l’è fatta sotto quando ha visto la polizia per poi scappare …. ). Non ci resta, a malincuore, che camminare ancora per (soli!!!) tre chilometri sino a Wanfujing Dajie, la famosa via dello shopping pechinese, dove incominciamo a prendere le misure del sistema prezzi-qualità cinese.
I primi acquisti sono quelli più incauti, poi scopriamo necessario ed impariamo a trattare sino allo sfinimento, come fossimo in un souq. Iniziando con piccoli sconti affiniamo poi la tecnica arrivando a concludere trattative al mercato delle Perle con prezzi finali 10 volte meno della prima proposta!!
Il primo giorno abbiamo pagato una batteria per la nostra macchina fotografica Sony 200 RMB …. Il giorno dopo saremmo strati in grado di pagarla 100 RMB!
Rientriamo in hotel in metro, anche se arrivare a prendere il treno è letteralmente un’impresa! La fermata è ubicata nel mezzo di un enorme centro commerciale, un dedalo di gallerie e vetrine attraverso il quale occorre tassativamente passare. Come a Las Vegas nei casinò prima delle stanze d’albergo, la sosta viene indotta se non obbligata. Sergio è attratto dallo sfavillio dello Store Sony come dal mellifluo canto delle sirene. Per fortuna lo convinco a non spendere 1000 euro in obiettivi, spiegando che siamo solo all’inizio della vacanza e non sappiamo quali spese ci riserverà il futuro ….. Distrutti dalla lunghissima ed infinita giornata, siamo in hotel alle 21.00!!!!! Per fortuna proprio di fronte all’albergo c’è un grazioso ristorante che cucina ottimi piatti. Io assaggio noodles e pollo sperimentando per la prima volta le bacchette! L’approccio è un po’ traumatico e fatichiamo ad afferrare tutti i bocconi …. Troppo affamati e demoliti dalla giornata intensa chiediamo, imbarazzati, la forchetta …. Ma da domani ci ripromettiamo di imparare!
Prima di nanna cerchiamo di mandare alcune mail funzionali al proseguimento del viaggio, ma la connessione internet del FEYH, seppur presente, è lentissima. Da incubo!
24 AGOSTO 2011
We climbed the Great Wall!
Ebbene sì.
Annoverata spesso tra le 101 cose da fare almeno una volta nella vita e tra i luoghi del Mondo che devono essere visti, eccoci all’appuntamento con la Grande Muraglia.
Realizzo anche un sogno che ho nel cassetto dall’infanzia, quando il massimo del viaggio esotico che mi concedevano i miei era andare con l’Alfetta a passare l’estate da Don Mimmo a Soverato. Ho passato anni incollata alle vetrine delle agenzie di viaggio sognando posti lontani….. Ricordo ancora una delle prime uscite con Sergio. Imbambolati davanti alla foto di un atollo maldiviano, con tanti sogni e pochi soldi, ci chiedevamo se mai avremmo messo i nostri piedi su una spiaggia così. E ora, meno di 20 anni dopo, con la Grande Muraglia completiamo il puzzle delle 7 meraviglie del mondo moderno! Incredibile le abbiamo viste tutte!!!
Partecipiamo ad un’escursione organizzata dall’ostello. Evitiamo l’inflazionata Badaling preferendole Jinshanlig dove è possibile fare un bel trekking. Da lì però non è possibile raggiungere Simatai causa per restauri.
Di prima mattina sperimentiamo anche cosa significhi sovvertire l’ordine e non rispettare i programmi in Cina. Alle 6.00 complici stanchezza, fuso orario, e sveglia che non suona, manchiamo all’appuntamento per l’escursione….. Per tutta risposta la nostra guida, in apparenza calma, ma il cui tono di voce tradiva l’assoluto disgusto per il nostro ritardo, ci viene a svegliare direttamente in camera accompagnata dalla receptionist e ce la troviamo davanti aprendo gli occhi. Uno shock! Siamo ancora intontiti, senza sapere esattamente dove ci troviamo (Milano, Mosca, l’aereo, Pechino?) che questa sta già snocciolando nozioni, indicazioni, consigli a 200 vocaboli al secondo urlati enfatizzando ogni frase alla cinese con ripetizione dell’ultima parte e rafforzativo soffio “unf”!
Nemmeno fosse partito l’allarme antiaereo veniamo buttati giù dal letto così: “You are late, late, unf! Today, Grat Wall, Great wall, Unf! We have to join big bus, big bus, unf! You can eat breakfast in the bus, in the bus, umf! Bring with you sun protection, sun protection, unf! Leave passport and bring your ID, ID, unf!
A parte il metodo da gerarca nazista e l’invasione della privacy (è comunque piombata nella nostra stanza e si muove come se stesse ispezionando le truppe!), già sufficientemente irritanti, cosa cazzo è sta storia dell’ID? Noi nemmeno l’abbiamo! Questa va in panico totale incominciando a parlare di polizia, ispezioni, sequestro del passaporto ….. Vorrebbe che per evitare spiacevoli situazioni lasciassimo il passaporto e ci identificassimo, eventualmente, con la carta di identità. “Senti carina”, le dico, di allarmisti assurdi ne ho già conosciuti a sufficienza. E’ l’alba, ho sonno, quindi adesso ti calmi, respiri, che per 5 minuti di ritardo la muraglia non si sposta e del passaporto ho la fotocopia. E credimi, andrà tutto bene!
Partiamo intruppati (cosa assolutamente inevitabile per i cinesi) con l’aspettativa di trovare la Grande Muraglia affollata come la città proibita e trasformata in una specie di Disneyland cinese……E invece: sorpresa! Il sito di Jinshanlig è praticamente deserto. Oltre al nostro, solo un altro paio di bus. Dopo essere saliti con una seggiovia dal parcheggio alla sommità dei colli percorsi dalla muraglia ci allontaniamo in fretta dall’altra gente e spesso siamo soli a goderci questa Meraviglia.
Ovviamente non ci accontentiamo di una toccata e fuga. Accesi dallo spirito di competizione con una famiglia di fanatici di Boston (gli unici americani non grassi e sanissimi incontrati sino ad ora!) dobbiamo arrivare al punto più lontano possibile e più incontaminato nemmeno la visita fossa un allenamento da Marines U.S.!
Abbiamo 4 ore a disposizione per cui decidiamo di avventurarci per due ore verso sinistra rispetto alla Cableway in direzione di Simatai e poi ritornare.
La “passeggiata” è in realtà un trek impegnativo. In alcuni punti si tratta letteralmente di scalare verticalmente i gradini. Oltretutto le condizioni climatiche sono equiparabili a quelle di un bagno turco.
Ogni torre ha un nome. Le passiamo tutte fino all’ultima indicata dalla mappa riportata sul retro del biglietto di ingresso. L’emozione è forte, gli scorci via via sempre più entusiasmanti. L’ultimo torrione permette di avere una visione di insieme della Grande Muraglia in un punto dove si biforca: impareggiabile!
Siamo sudati da fare schifo, ma soddisfatti.
Per quanto il trek possa essere solitario e nonostante l’andatura da alpino, durante tutto il tragitto si deve sopportare la presenza silenziosa e discreta degli ambulanti locali pronti all’occasione a: reggere l’ombrellino per il sole, scattare una fotografia, vendervi bibite e birra (Birra???? Sotto al sole a picco?! C’è da morire!) e far materializzare dal nulla ogni tipo di gadget, dall’imperdibile maglietta ad improponibili muraglie in miniatura. Una signora mi ha seguita a distanza di tre metri per 4 ore come se fosse stata la mia valletta personale. Mi indicava ogni scalino, ogni passaggio angusto. Le facevo intendere che non era necessario, di non camminare con me per nulla, ma questa ha perseverato. Alla fine ho comprato solo una maglietta per 20 RMB e mi sono sentita una merda….. Però abbiamo felicemente condiviso un pacchetto di biscotti. Lei li sbocconcellava tenendoli con due mani come un cricetino. Gli occhi le brillavano per questa piccola gioia, sincera. Io stavo seduta lassù a guardare la muraglia perdersi all’infinito ….. Mio marito al mio fianco ….. Anche i miei occhi brillavano di gioia.
Dopo tutta questa meraviglia ed un pranzo al volo in ristorante simil mensa aziendale ci tocca rientrare a Pechino. L’autista è matto come un cavallo e dà il meglio di sé esibendosi in sorpassi di file di camion su ponti mentre dall’altro lato arrivano altri veicoli a manetta. Non so come mai sono qui a raccontarlo.
Credo che la fretta fosse dettata dall’esigenza di arrivare a Pechino prima dell’ora di punta, ma non ce la facciamo. Alle 18.00 siamo imbottigliati in un ingorgo da film apocalittico. La tangenziale est di Milano alle 8.00 del mattino del mercoledì ed in pieno periodo natalizio a confronto è il Sahara. I veicoli sono migliaia, ovunque, ma non scorrono, sono immobili. L’ordine è un concetto difficile. Non ci sono file ma bolle di auto incastrate come mattoncini del Tetris. C’è stato anche un incidente, ma la gente se ne fotte. C’è chi si infila tra il ferito e l’ambulanza con la speranza di guadagnare un metro. Gli agenti del traffico sembrano inutili statue di cera nel mezzo del caos, sposi di zucchero su una torta nuziale ammosciata. La coltre di smog è talmente spessa che si può tagliare e anche se la giornata è in realtà stupenda sembra sia grigio.
Disperati ed in cerca di una via di fuga guardiamo la cartina …. In qualche modo intuiamo di essere vicino alla fermata di Dongzhimen. Beata metrò! Chiediamo di scendere ed in pochi minuti siamo in centro a Wanfungjing Dajie! (Forse gli altri sono ancora ora sul bus)
Oltretutto è l’ora giusta. Arriviamo proprio quando si stanno accendendo le lanterne rosse del mercato serale di Dongcheng, quanto di più vicino possa esserci allo stereotipo della Cina per una italiano. In questo stretto vicolo, stipato di banchetti e bancarelle, si frigge tutto ciò che è commestibile: cavallette, cavallucci e stelle marine, scorpioni neri, spiedini di scorpioni bianchi (cotti vivi sulla brace come aragoste), bacherozzi vari. I venditori indossano abiti tradizionali ed cappelli a punta, la gente mangia in piedi o accoccolata a fianco di tavolini che da noi sarebbero piccoli anche come sgabelli da bambola. Qualche bicicletta stracarica cerca di farsi strada tra la folla compatta mentre ovunque si sente musica plin-plin gniu-gnao. Putroppo il mercato è piccino, soffocato dai giganteschi e moderni centri commerciali. Sul finire della via la luce rossastra delle lanterne si mischia, per poi lasciare il passo, a coloratissimi neon intermittenti. La musichetta plin-plin soccombe alla tamarro-china-discodance sparata da casse dimensione rave installate fuori da ogni negozio di moderna pacottaglia.
Il mercato tradizionale scema nella fiera del kitsch dove però, tra magliette con iphone incorporato e pupazzi luccicanti, trovo l’oggetto del desiderio, l’icona dei souvenir, il non plus ultra dei must have China 2011! Il mitico gatto portafortuna dorato che saluta con la zampa (a batteria). Lo voglio! Lo voglio!!! Lo voglio! E’ il celebre gattino chiamato Maneki Neko che pare essere famoso anche in Giappone quale portatore di salute e denaro ed è venduto in ogni dimensione, dal mignon a quello a grandezza uomo, per essere piazzato negli ingressi di case e ristoranti.
Attenzione però! Vi potrebbe capitare di incontrarne uno, di notte, in un ingresso scuro….. magari quello a dimensione umana con uno sbarluccicante sorriso da stregatto e l’inquietante tac-tac del movimento del braccio ….. state pronti a soffocare le urla da film dell’orrore, non è il buttadentro dell’inferno, è solo un gatto!
Macinata anche oggi la solita quantità di chilometri a piedi, ripetiamo la cenetta nel ristorante vicino all’ostello e nanna. Unica variante odierna: abbiamo usato le bacchette!!!!
25 AGOSTO 2011
CIppo, cippo! Lukko, lukko!
Ovvero: come due gocce d’acqua possono trasformare la giornata “a spasso in bici” in un’orgia di shopping.
Finora non ci state capendo niente? Normale, è la Cina.
Le biciclette, da veri comunisti, si noleggiano di fronte all’hotel per 10 Rmb al giorno. Sono compresi gli utilissimi accessori: cestino per gli acquisti, campanello per chiedere strada e lucchetto per evitare i furti delle bici che, pare, siano frequentissimi.
Soltanto io, che sono naturalmente ingenua, ho potuto sostenere che nel 2011 non si rubano più le biciclette …. Infatti me ne hanno fregata una nuova ed appena comprata a Milano. Davanti alla Banca!
Nonostante la presenza di numerose piste ciclabili, muoversi in bicicletta non è per nulla semplice. Le auto si prendono comunque la precedenza, anche se avete voi il verde, ed il più grande dilemma sono gli incroci. A volte capita che, per fare una svolta a sinistra, dobbiate percorrere più di due chilometri….. ma nella direzione opposta! L’attraversamento diagonale è vietato, per cui occorre procedere diritto, attraversare dove previsto, e ritornare indietro sul lato destro. Vi stanca? Per comodità vi infilate in una ciclabile contromano? Potete, certo, ma è come essere proiettati in un videogame dove per sopravvivere bisogna schivare motorini, tricicli a motore, biciclette…. E siccome avete torto marcio, i cinesi non vi evitano ma, imprecando, vi punteranno come se foste voi i birilli del bowling e loro la palla. Sta a voi schivarli (se ci riuscite!) o rimettervi il prima possibile nella corsia giusta.
Tra mille acrobazie nel traffico attraversiamo l’hutong e sbuchiamo in piazza Tienanmen dove, da bravi italiani, parcheggiamo proprio sotto al ritratto di Mao. Pessima idea. Armati di fischietto, indigati per un atto che considerano un affronto, una decina di esagitati poliziotti ci intima di spostarci immediatamente e portare le biciclette al parcheggio ….. solo 2 chilometri più in là. Eh no! Calma ragazzi! Dopo tutto sto sbattimento, ora che non c’ è gente, prima faccio le sacrosante fotografie, poi parcheggio. E sia chiaro, poliziottini belli che ci spostate la transenna così da evitarci il giro dell’oca per andare a parcheggiare!!
Anche sistemare la bici è un casino. Non c’è un buco. Si hanno due sole soluzioni: o si vaga disperati per cercare un posto, oppure si crea il pertugio spostando le altre bici (stesso metodo che si usa a Milano per infilare l’auto dove prima c’era un cassonetto ….. abilmente rimosso). Adottiamo la seconda strategia ma, con molteplici mormorii, i cinesi comunicano il loro dissenso. Bhè, ce ne freghiamo altamente! La bici è a posto, e questo era lo scopo. Peccato solo l’abbiamo sistemata fra migliaia di velocipedi assolutamente identici ai nostri! Come fare allora per riconoscerla? Occore un segno distintivo, ma non ho nulla a portata di mano da poter lasciare lì. Ah ecco! Lampo di genio! Passa un ambulante che mi vende per due soldi una bandierina cinese. La lego in bella vista al manubrio come se fosse il pennone di una nave e ne farò il nostro portafortuna pedalando a tutta velocità per Pechino suonando il campanello e sventolando all’impazzata.
Saliamo sulla terrazza della Porta della Pace celeste. Il colpo d’occhio su Piazza Tienanmen è pazzesco. Lo spazio è enorme, tanto quanto la megalomania dei cinesi (sarà che devono compensare qualcosa?). All’interno sono esposte foto della Piazza nei momenti cardine della storia Moderna del Paese, dalla Rivoluzione ad oggi. Parate, Capi di stato, coreografie…… , ma com’è che non c’è traccia della foto simbolo di Tienanmen? Forse perché, a vent’anni dal giugno 1989, la parola d’ordine è ancora il silenzio? La censura cataloga l’episodio come incidente e il Governo sostiene che nulla sia accaduto. Qui in Cina quella foto dell’anonimo ragazzo che blocca la fila di tank e tutte le altre testimonianze semplicemente non esistono.
La cosa non mi sorprende, ma mi spaventa e disgusta. Come possiamo nel 2011 dipendere economicamente da un Paese che nega la sua Storia? Che nega le libertà di stampa e comunicazione? Non solo la Cina, ma il è il Mondo intero che considera la vicenda tabù. In occidente tutti sanno, ma ci si lamenta solo marginalmente. Più comodo attendere momenti migliori e passarci sopra senza fare nulla. Non è forse stato così con altri regimi? Eliminati quando non restava alcun interesse economico a mantenerli o rimossi per interesse economico. Lo stesso processo di insabbiamento sta avendo luogo oggi nei confronti dei massacri in Tibet. Passi Piazza Tienanmen, roba di vent’anni fa, ma il Tibet è adesso! E’ stato anche nell’anno dell’Olimpiade, manifestazione che per definizione dovrebbe essere simbolo della Pace. Eppure i Giochi ci sono stati lo stesso, si sono vinte centinaia di medaglie, i media hanno invaso Pechino…. Ma in merito al Tibet solo sporadici doverosi cenni ma nessuna azione concreta. Perciò ora che vedo con i miei occhi e tocco con mano cosa vuol dire negare la libertà, occultare le prove, nascondere la verità per imporre un regime, non temo di affermare che la Cina è un Paese Terribile. Quello che finora era stato solo un sentito dire ha oggi due testimoni in più: la Cina deve cambiare! Il Viaggio è anche questo, sorprende e sconvolge. Cercheremo comunque di trascorrere i prossimi giorni divertendoci, ma porteremo a casa consapevolezze pesanti per una vacanza.
Con una bella pedalata siamo al Tempio del Cielo. Purtroppo però attacca a diluviare. Niente ombrello? No problem! Dopo 2-3 gocce si materializza dal nulla il solito ambulante con ombrellini e mantelle per la pioggia al costo di un soldo. La mantella è una figata per pedalare, peccato solo sia rosa Piggy. Lunga fino alle caviglie e con il cappuccio fa di me una copia identica del Tenerone…..
Nei giardini del Tempio, nonostante l’acqua a secchiate, una nutrita tribù di anziani balla qualcosa sulle note dell’ormai stranota musica plin-plin-gnau-gnao. Ma cos’è: liscio? Tango? Bachata? Flamenco? Bho! Sono carini, tutti convinti, tirati a lucido (alcune sciùre con lustrini e paillettes) e… assolutamente fuori tempo! La musica è altissima, ma i vecchietti stanno ballando sulle note di qualcosa che, probabilmente, è solo nella loro testa…. Allora ho un dubbio: ma non è che i cinesi, tra le varie stranezze, sentono gli ultrasuoni?!
L’onnipresente ressa e la pioggia torrenziale non ci permettono di apprezzare a dovere questa meraviglia dell’architettura Ming. Purtroppo i tempi tirati del viaggio e la scelta di adottare ritmi rilassati (quando possibile colazione con calma e niente levatacce) rendono impossibile le visite in solitaria. Per essere in pochi occorre arrivare presto al mattino.
Nel pomeriggio avevamo previsto di visitare il Palazzo d’Estate, ma il meteo peggiora ancora.
Con la convinzione di restarci solo un po’, in attesa che le condizioni del tempo migliorino, ed in cerca di un boccone, ci rifugiamo al Mercato coperto delle Perle. Non lo avessimo mai fatto! Ne siamo riemersi solo dopo ore, carichi come degli Sherpa di ogni bendidio e con i borsellini vuoti! I piani di visita sono andati completamente a ramengo… Ovviamente ho dato la colpa alla pioggia e non alla mia malattia da shopping!
E pensare che all’inizio sono stata brava. Ho dedicato prima di tutto tempo al pranzo cavandomela benissimo, in un vero fast food cinese, con pietanze, ordinazioni e bacchette. Con la pancia che brontolava dalla fame ho dichiarato guerra alle bacchette: o loro o io! Per apprendere velocemente la tecnica mi sono seduta al tavolo con una famiglia di cinesi, così da poterli copiare nei movimenti studiandoli sia di fronte che di lato. Dunque: appoggiano le bacchette nella U tra pollice ed indice, tenendole separate a 3-4 cm dal basso con il dito medio, per afferrare stringono il boccone tra la bacchetta interna e quella esterna che viene manovrata dall’indice. Ok, ora metto in pratica e… Eureka! Si mangia!
Dopo però la situazione è precipitata: la sbirciatina diventa un assalto alle bancarelle dove comperiamo di tutto, ma non le perle. Dei tarocchi siamo consapevoli, ma non ci va di acquistare brutti gioielli seppur a poco prezzo.
Entrare lì è come un tunnel, le commesse ti assalgono, ti buttano nel loro banchetto. Sergio era costantemente, braccato, assaltato, abbracciato (anche toccato, con mio estemo disappunto!!!! E che C…o! Lo sai come si dice? Tén giù i màn da la mùbilia! Saranno gli occhioni blu che le cinesine fissavano estasiate, ma sono gelosa!) da 2, 3 , 4 commesse che la roba ancora un po’ gliela tiravano dietro: borse, scarpe, giacche, cinture, cellulari, orologi…. Insomma: tutto! Tutto rigorosamente falso.
Furbe come delle faine, se intuiscono che non stai guardando l’oggetto del tuo desiderio, le super commesse esibiscono cataloghi aggiornati di ogni brand. Vuoi una cosa? Tu La scegli sul catalogo e loro scompaiono sotto al banchetto (doppio fondo nel pavimento?) facendo materializzare nelle loro manine ciò che cercavi.
Se riesci a schivarle fisicamente, ti assalgono verbalmente al grido: lukka, lukka!! (traduzione chinglish di look look).
Una volta braccati e sedotti parte la fase di estenuante trattativa sul prezzo.
Al grido battagliero lukka lukka! si sostituisce la lamentosa cantilena del cippa cippa!! (chinglish: cheap) ovvero la richiesta di un prezzo mooooolto più basso (anche 10 volte meno).
Dopo decine di lukka e cippa rientriamo distrutti in hotel.
Ci riprendiamo però con una fantastica cenetta. Al nostro ristorantino ci aspetta la specialità pechinese (prenotata la sera prima): anatra laccata all’arancia!!! Gnam!
26 AGOSTO 2011
Tempesta tropicale.
Fortuna.
Altro non si può dire perché davvero, col senno di poi, possiamo sostenere che ci è andata di lusso.
La nostra sveglia suona alle 5.00. Dobbiamo alzarci, vestirci, caricarci gli zaini in spalla, prendere metro e treno per andare in aeroporto dove alle 9.30 abbiamo il volo per Xi’an.
Stavolta però la sveglia non ha bisogno di suonare, ci svegliano i lampi ed i tuoni di un temporale pazzesco.
Pensiamo ad un taxi per arrivare alla metro ma, data l’ora e data la difficoltà per le auto di muoversi nell’hutong, lasciamo stare e ci prepariamo in assetto da pioggia: zaini in doppio sacco della munnezza, fuori solo gli spallacci, k-way, cappuccio, mantella e sacchetti sulle scarpe. Usciamo e smette. Smette così da farci arrivare alla metro, ma è come se fosse l’occhio del ciclone, poi si scatena l’inferno. Dal treno espresso che ci riporta all’aeroporto osserviamo la città in tilt. Per fortuna c’è il treno, pensiamo, ed arriviamo puntuali all’aeroporto dove facciamo il check-in.
Ci concediamo una pausa colazione in quello che diventerà il nostro punto di riferimento per un cappuccino e scalzerà Starbucks: Costa Coffe! Cappuccino Massimo e Double chocolate Muffin ci aiuteranno a mantenere un po’ del peso che la cucina cinese ci farà perdere.
Ci rilassiamo e ci togliamo di dosso un po’ di umidità, ma il piacere dura poco.
Tutto l’aereoporto incomincia ad agitarsi, i messaggi che gli altoparlanti trasmettono hanno un tono poco sereno …. Presto attenzione ai messaggi in inglese e comprendo che a causa di una violenta tempesta tropicale l’aeroporto è stato momentaneamente chiuso e molti voli cancellati o ritardati. Bene! Ci voleva proprio!
Per fortuna, stante la situazione di difficoltà, l’aeroporto si anima di assistenti ai passeggeri in grado di dare in tempo reale informazioni sui singoli voli. Il nostro per fortuna è stato solo ritardato di circa 3 ora e non cancellato. Guardando fuori mi viene da dire Wow! Meno male che è stato ritardato e che non ci hanno imbarcati. Fuori ci sono decine di aerei allineati in attesa di decollare (altri saranno in cielo in attesa di atterrare e deve essere ancora peggio) mentre si abbatte la tempesta. Sulla pista continua a cadere una serie pazzesca di fulmini, c’è davvero da aver paura! Una cosa così non l’ho mai vista.
Nel frattempo alcuni televisori trasmettono immagini di Pechino città: quartieri allagati, strade trasformate in fiumi, fermate della metro chiuse, auto sommerse nei sottopassi, strade bloccate, gente che cammina in un metro d’acqua.
Considerando che sino a poche ore fa eravamo anche noi là, ci è davvero andata benone!
L’unico problema è il transfer prenotato a Xi’an, di certo il tassista non ci aspetterà tre ore! Provo a mandare una mail, ma il WI-fi dell’aereoporto e KO.
Dopo diversi tentativi riesco a chiamare. Mi dicono che ci aspetteranno.
Alle 14.00 siamo a Xi’an ed il tassista è li.
La strada dall’aeroporto al centro è impressionante: nuova e deserta. La periferia è un enorme cantiere in cui strade nuove e gigantesche attraversano infiniti quartieri di palazzoni a 15-20 piani, tutti appena costruiti e in attesa di abitanti che lascino le campagne per urbanizzarsi. Se già la città è la terza della Cina per numero di abitanti, che dimensione avrà quando l’edificazione sarà completata e i giganteschi quartieri abitati? Ho contato circa 1000 palazzi da 70 appartamenti circa. Se ipotizziamo 4 abitanti per appartamento fanno 280.000 ……e in un solo quartiere!
L’hostel Shuyuan è in centro, appena sotto le belle mura Ming, ed offre con professionalità e cortesia tutti i servizi dei quali un viaggiatore necessita. Ci sistemiamo in pochi minuti, organizziamo la visita di domani, ed usciamo per una passeggiata.
A pochi passi, in Shuyuan Xiang, a ridosso delle mura, si trova un caratteristico mercato di antichità e calligrafie.
Da lì decidiamo di andare alla pagoda della Grande Oca. Per fortuna Sergio non mi ascolta ( e opta per farsi dare un passaggio da un mototrabicolo tipo ape anziché dar seguito alla mia idea di andare a piedi ….. Sulla cartina sembrava vicino, ma saranno 10 chilometri! Oltretutto è l’ora di punta ed il traffico è in tilt.
Il mototrabicolo guidato da un ragazzino che avrà avuto sì e no 15 anni avanza su e giù dai marciapiedi, infilandosi a fatica in ogni pertugio. Arriviamo che il conducente è sudato e quasi svenuto. Gli diciamo di riposare, gli offriamo una bibita dal colore improbabile e, con un piccolo supplemento prezzo, prenotiamo la corsa anche per il ritorno.
Il posto è carino, abbellito da enormi fontane dove numerosi ragazzini cercano refrigerio. E’ l’ora del tramonto e sono numerose le famiglie a passeggio.
Tanto per cambiare divento presto oggetto dell’interesse collettivo, non risparmiandomi nell’esibizione di alcune scene del tipico Ilaria’s disaster show. Primo atto: il bagnetto. Fa un caldo atroce e mi unisco ai più per sguazzare tra i getti d’acqua delle fontane, ma un poliziotto mi fischia contro e mi intima di uscire. Ovviamente mi sta prendendo per il culo. E lo fa in modo davvero ironico perché entra anche lui nella fontana con un cartello enorme (tipo quello wet floor delle donne delle pulizie) con scritto “pericolo di scossa elettrica!” (in effetti ci sono parecchia faretti sott’acqua) e me lo piazza davanti. Se io mi sposto lui mi segue e mi riposiziona il cartello. Dopo 3 minuti di balletto scoppiamo entrambi a ridere ….. In pochi secondi, attirati dalla risata, si crea il classico capannello di persone che ci fotografa, mi fa domande in un timido inglese, si improvvisa guida …… Secondo atto: gli abiti dell’imperatrice. Egocentrica e vanitosa come sono, potrei mai resistere a posare davanti alla macchina fotografica in abito da imperatrice della Cina? Infatti non resisto e mi metto in fila con numerose bambine e ragazzine per farmi vestire a mo’ di carnevale e scattare le classiche foto finte che qui vanno per la maggiore. Affollatissimo, il baracchino in legno del noleggio vestiti improvvisamente si svuota e tutti gli addetti, accertato che non sto affatto scherzando, si precipitano vivaci ad aiutarmi dandomi consigli sulla postura: abito kimono rosso e oro così, maniche a campana cosà, strascico di qui , ventaglio di là, copricapo gioiello portato con mento in su ….. E ancora clic clic clic tutti i cinesi a fotografare, nemmeno fossi la Shiffer! Mi sembra davvero di essere la Regina d’Oriente! Peccato solo che la leggiadria del costume sia rovinata dalle inadatte scarpe da trekking che spuntano ad ogni passo suscitando l’ilarità e lo stupore generali. D’altronde sono sì magrolina, tanto da poter indossare le taglie cinesi, ma ho un piede misura 40 che qui è una sorta di mostruosità da guinnes! Nessuno dei sandali a disposizione per i costumi superava il 37!
Oltre ai travestimenti imperiali, un altro passatempo locale è giocare a far girare una specie di trottola a colpi di fruste di 5 metri. I partecipanti alla gara sono abilissimi, ma fanno una fatica bestia!
Ritorniamo nel cuore della città e, dopo un breve giro sulle mura, cerchiamo un posticino per cenare. Purtroppo però, la maggior parte dei locali nei pressi della porta sud sono Pub all’occidentale o ristoranti tipo Pizza Hut. Non abbiamo voglia di vagare e ci sediamo da Pizza Hut. Appena buttato un occhio al menu, però, ce ne andiamo di corsa! Non sono tanto le pizza all’ananas o alla bistecca a spaventarci, ma le bevande. Non ci sono né acqua né birra, ma a listino solo strani bibitoni multicolor più adatti ad un fumetto che alla mia pancia! A proposito di pancia: ora si è fatto tardi, non abbiamo mangiato nulla. Che si fa? Speriamo nella cucina dell’ostello e siamo fortunati. E’ ancora aperta e in un ambiente amichevole serve delle ottime pietanze tra le quali anche una fantastica pizza.
Ben oltre la mezzanotte, nonostante nel bar sotto la stanza suonino dal vivo musica rock, crolliamo.
27 AGOSTO 2011
Ah bhé! Se lo dice il Governo…
Constatato che in termini organizzativi i cinesi sono precisi come gli svizzeri, alle 8.00 partiamo puntuali per la nostra escursione all’Esercito di Terracotta ed alle Tombe Ming.
Tre i capannoni da vedere, in crescente ordine di interesse: n. 2, solo scavi una delusione totale, n. 3, poche statue, n. 1 un impressionante esercito in scala 1:1 sembra pronto a sferrare immediatamente un attacco. Impressionante ed avvincente così come la sua storia. Esercito di uomini carri e cavalli a difesa del defunto imperatore, esso non riesce a sconfiggere la barbarie delle tribù del nord e viene travolto dal nemico e dal tempo. Così fino al 1974 quando un contadino, per caso, lo scopre. Questo contadino tra l’altro è ancora qui, beffato 2 volte dallo Stato cinese. La prima perché per la sua scoperta non ha ottenuto dal governo che pochi yuan, la seconda perché, alla veneranda età di 82 anni, deve stare seduto a lavorare 12 ore al giorno per firmare autografi e far vendere a beneficio dello Paese copie del libro fotografico del sito. Bella vita, ma forse sarebbe stato meglio continuare a fare il contadino!
A proposito di governo …. Dopo la visita dei capannoni la nostra guida ci conduce alle tombe Ming. Una persona si aspetta, come minimo, un sepolcro, uno scavo, una grotta ….. Niente di tutto questo. Nella polvere totale siamo condotti lungo una strada che conduce nel nulla. Alla fine, in fondo, solo un’altura. “?????” Perplessi chiediamo lumi alla guida che, placida, risponde: “Le tombe sono sotto la collina, ma devono ancora essere scoperte!”. Va bene, dico, ma se non c’è niente da vedere, perché siamo qui?
Risposta piccata (di persona per la quale rompere uno schema, ribellarsi ad una regola è impensabile, non solo impossibile): “E’ compreso nel biglietto no? E se il Governo dice che ci si deve andare, si va!”
Ah bhé ……. Allora ……
Per il pranzo ci viene concessa mezz’ora. Per noi forse è poco ma, per un cinese che lavora d’abitudine 12 ore per 7 giorni (le banche sono aperte anche la domenica!!!!) e mangia in 15 minuti, la pausa di trenta minuti è un lusso.
Con i ragazzi dell’ostello mangiamo in un tipico ristorante cinese con tavolo tondo e piatto centrale girevole. Tutto ottimo tranne il tofu che per me è davvero immangiabile!
Per alcuni mangiare i noodles con le bacchette è davvero un’impresa. Fortunatamente, ironizziamo noi, ci sono 2 italiani nel gruppo cresciuti a pasta, mafia e mandolino! Riusciamo così a dare dimostrazione di come si possano arrotolare i noodles con le bacchette come gli spaghetti.
Torniamo a Xi’an da dove , in taxi, raggiungeremo l’aeroporto per il volo delle 23.00 che ci porterà a Chengdu.
E’ ancora presto per cui possiamo fare un giretto al mercato dei calligrafi.
Il loro lavoro mi piace, ma non è che posso comprare una scritta a caso, così!
Voglio sapere cosa c’è scritto!
Di fronte alla mia cocciutaggine ecco concentrarsi la solita folla di curiosi. I più coraggiosi cercano di comunicare, facendomi segno di scrivere e allungandomi un pezzo di carta. Sì, ma cosa scrivo? Indico il mio nome in caratteri latini, convinta che si possa tradurre ogni carattere come fingono di fare gli egiziani per rifilarti i papiri ….. Questi mi guardano allibiti come se avessi tre occhi e la pelle verde a squame. Ok, non capiscono.
Nel gruppetto dei meno coraggiosi un ragazzino viene spinto avanti dagli amici perché è l’unico che sa parlare inglese. Gli chiedo di farmi da interprete e tradurre ma, nonostante capisca benissimo, arossisce come un pomodoro e si nasconde dalla vergogna ….. Ma Uffa! Cosa ti mandano a scuola a fare! Io voglio il quadro!
E’ pazzesco! Voglio una scritta, sono circondata da gente che scrive, ma non la posso avere.
Per fortuna ad un certo punto vedo una coppia lui dagli occhi tondi, lei cinese. Sento la donna parlare prima in cinese, poi in inglese ….. Allora capisce! Li fermo subito chiedendo loro di aiutarmi. La donna mi segue subito e andiamo dal calligrafo più abile, mentre il tipo (che è australiano) fa subito comunella con Sergio apostrofandolo con: “Your Wife? …. Ah! Big, big, big problem!”
Sì, va bene, ok. Ironizzate pure tanto il problema è un altro ….. La donna cinese sostiene che quelle scritte non significhino nulla, o meglio che non si possano leggere perché scritte in lingua antica che, personalmente, non padroneggia. Sono ideogrammi davvero complessi, li sanno leggere solo in pochi, ma fanno parecchio figo ….. La signora sostiene che i cinesi portino frasi, articoli, ecc.. scritti in ideogrammi semplici (post riforma) per farli ricopiare in ideogrammi complessi.
Mi propone perciò di non tradurre nulla dall’italiano, ma di far scrivere un vecchio adagio di buon auspicio. Siccome penso di mettere la stampa in salotto il calligrafo non ha dubbi: pace, amicizia e prosperità per tutti i commensali! Mi piace ….. Peccato che, causa la avversione alla cucina, sarà difficile avere molti commensali a tavola….. a meno che il piatto del giorno non sia pizza, busta 4 salti o mozzarella. Forse sarebbe stato meglio riportare: speriamo che ad Ilaria venga l’allergia ai surgelati e debba (almeno ogni tanto) spadellare!!
Così, scelte anche forma e carta, il pittore si mette all’opera apponendo per ultimi i sigilli in cera disposti secondo i principi Yin Yang affinchè il potere del messaggio possa essere ampliato.
Direi che sono soddisfatta. Speriamo non abbia scritto: siete delle tdc!
Corsa in aeroporto, volo e all’1.00 del mattino, stanchi morti, eccoci a Chengdu. Vediamo ad aspettarci il nostro contatto che ci appare come una visione ….. Evvai pensiamo, ancora qualche minuto e poi letto!
Per conto dell’ostello Sim’s Cozy Guest House, ci aspetta una ragazza tacco 12, tutta in tiro…. Mi da un po’ poca fiducia, sembra scappata da una festa ….. In effetti qualcosa che non va c’è perché è tutta agitata e non parla inglese. Che fosse il nostro contatto lo dimostra il cartello, per il resto ……. Ci fa fare un sacco di strada a piedi con gli zaini al seguito, sale al primo piano delle partenze, suda. Arrivati in uno spiazzo (non c’è nessuna macchina) estrae il cellulare e me lo passa (?)
Ma cos’è un film di spionaggio?
Per favore non è sera, sono esausta, mi si chiudono gli occhi e non sono in vena di scherzi.
Dall’altro capo della linea parla la Guest House (almeno una certezza c’è), ma non capisco un cazzo di quello che mi dice.
Anche questa, come a Pechino, sta vaneggiando su qualcosa che a ha che fare con Driver, Problems, Police (ancora?).
Anche questa merita lo stesso trattamento. “Senti carina, le strillo al cellulare, se non mi levi da sto cazzo d’aeroporto e non mi trovi un letto entro 15 minuti la polizia la chiamo io!”
Devo essere stata parecchio convincente perché in 3 nanosecondi la Barbie taccata dagli occhi a mandorla spunta con un mega macchinone e correndo per strade buie e senza traffico (sono quasi le 2.00) come in Need For speed 2 in 15’ esatti siamo all’ostello.
Lì arrivati finalmente capiamo: agli ostelli (non so se solo a Chengdu o in tutta la Cina) è ora vietato dare passaggi da/per l’aeroporto per non fare concorrenza ai tassisti. La polizia, soprattutto la notte, ferma le auto con a bordo turisti e punisce severamente i driver. Ecco perché mi hanno passato il telefono. Siccome la barbie non parlava inglese non poteva avvisarmi e suggerirmi di dire, in caso di controllo della polizia, che il transfer era a titolo di amicizia!
Ok, questi cinesi sono davvero strani, ma almeno si spiega la corsa depistaggio, l’abbigliamento da vecchia amica, la telefonata.
Per oggi però ne ho avuto abbastanza. La camera è confortevole e ci concediamo il giusto riposo.
28 AGOSTO 2011
Panda!
Sveglia ore 7.00. Ahinoi, questa viaggio sta diventando sempre più un tour de force che ci sta facendo accumulare un ingente debito di sonno.
La levataccia però è ampiamente compensata dalla visita alla Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding. Si tratta di un ampio parco naturale finalizzato alla conservazione e riproduzione del Panda gigante, animale fantastico, coccoloso, giocherellone, ma in via di estinzione.
Riusciamo a vedere alcune decine di esemplari, dai teneri cuccioli nelle incubatrici ai più grandicelli intenti a sgranocchiare chili di bamboo.
Già simpatici per i loro musoni dagli occhi neri e per le posture assunte, i panda sono ancora più divertenti quando corrono capottandosi e facendo capriole.
I ricercatori sostengono che l’ambiente sempre più inquinato limiti il desiderio riproduttivo nei panda…. In pratica si stanno estinguendo perché non fanno più bunga bunga……. Ma perché non provare a portarli in ferie da Silvio ad Arcore?
Purtroppo verso mezzogiorno dobbiamo rientrare. La visita è stata comunque eccezionale nonostante abbia piovuto tutto il tempo.
Non avendo fatto colazione ci concediamo una ricca pranzolazione all’ostello a base di yougurt, muesli, salsicce uva e spiedini di frutta.
Come concordato via mail alle 13.00 abbiamo appuntamento al travel desk dell’ostello con Joy, l’agente che avrebbe dovuto organizzare per noi il tour in Tibet e l’escursione di domani a Leshan.
Riceviamo però una brutta sorpresa. All’ora concordata non si presenta nessuno. Chiediamo informazioni alla reception e ci sentiamo rispondere che Joy è in ferie per alcuni giorni. Ma come?! Manifesto il nostro disappunto e le ragazze alla reception contattano telefonicamente un fantomatico sostituto di Joy che arriva dopo circa un’ora. Si tratta di un ragazzo giovanissimo, impreparato, non sa dove mettere le mani ….. ma è la nostra unica possibilità.
Pensiamo di essere in un bel casino. E adesso? Per fortuna ho con me tutto lo scambio mail degli ultimi mesi e data la nostra insistenza il ragazzo riesce anche a chiamare Joy al telefono.
Per un lunghissimo quarto d’ora abbiamo temuto di dover rinunciare al Tibet.
Sergio ed io stavamo già pensando di passare al piano B quando, ta-da, ecco saltare fuori da una cartellina i biglietti aerei per Lhasha ed il permesso per il Tibet a nostro nome.
Prima di tirare un respiro di sollievo cerchiamo di definire ogni aspetto. Non si sa mai ….. prima di arrivare a Lhasa e trovarci nella cacca.
Primo: facciamo chiamare la guida di Lhasa dando conferma del nostro arrivo. E fin qui ok.
Secondo: gli hotel. Non sono stati compresi nel prezzo, e fin qui lo saspevo. Ero però altrettanto convinta del fatto che fossero comunque riservati e da saldare in loco, invece no….. Anzi! Il ragazzino si stupisce: “Ma come!!! (ci dice) Dovevate prenotarli voi! E’ anche alta stagione!”
Colti alla sprovvista ci prendiamo un’oretta per cercare in rete e sulla Lonely qualche hotel carino e poi passiamo i n. di telefono al ragazzino che chiama. Siamo fortunati e c’è posto!
Saldiamo e chiudiamo il discorso Tibet, ma Leshan?
Joy ci aveva rassicurato via mail che tutto sarebbe stato ok, ma non ha fatto nulla.
A questo punto, dato che picchiarla non possiamo, non ci resta che maledirla e inventarci una soluzione alternativa.
Alla reception mi dicono che c’è la possibilità di noleggiare un minibus per 700RMB al giorno.
Ok, si può fare se si divide la spesa …… Non ci resta che affiggere un bel cartello all’ostello “cercasi compagni per gita” e sperare che qualcuno aderisca …… In attesa di riscontro, dato che il pomeriggio è ormai andato, facciamo un giro nel vicino centro commerciale per prelevare (il saldo del Tibet ha prosciugato la cassa!) e poi ci rilassiamo nel giardino.
All’ora di cena scopriamo che la nostra iniziativa ha avuto successo: a Lhesan andremo in 6!
29 AGOSTO 2011
Ci sono 3 italiani, 1 tedesco, 2 spagnoli e 1 cinese ……
Questo è l’equipaggio che, come in una barzelletta, parte in minibus per Leshan.
E meno male! Il tragitto è di circa 3 ore all’andata e 4 al ritorno. Se non avessimo avuto compagnia saremmo morti dalla noia.
Per Sergio invece sembra una barzelletta il fatto che io di Milano e Roberto di Roma ci parliamo in inglese!
Lo so, fa ridere sentire l’inglisbauscia ed il buringlish, ma è per integrarsi e coinvolgere tutti!
Siamo tutti ragazzi tra i 30 ed i 40, accomunati dallo stesso problema: in Europa stiamo diventando sempre più poveri. Siamo tutti laureati ma con lavori non redditizi, gli spagnoli sono ricercatori ed i loro stipendi sono stati addirittura ridotti del 20% a causa della crisi ….. Si lamenta anche il tedesco!
Siamo tutti ugualmente preoccupati dalla crescita esponenziale dell’economia cinese, convinti che un dittatura di mercato nelle mani di un Popolo che pensa di stare al centro dell’Universo sia davvero pericolosa.
Pur non capendo nemmeno una lettera l’autista cinese pare intendere e gradisce zittire ciò che stiamo dicendo. Per farlo ah un metodo infallibile: piazza un bel CD di truzzochinadisco e lo spara a manetta fino a che non arriviamo. Impossibile chiedere di abbassare: finge di non capire.
Arrivati a Leshan ci facciamo lasciare al nord gate in modo da arrivare velocemente alla sommità del Buddha con un solo biglietto. Entrando da Sud occorrerebbe fare una lunga camminata oltre a dover pagare anche il biglietto per il parco.
Dall’ingresso salendo una ripida scalinata si arriva in pochi minuti ad una terrazza che domina dall’alto la gigantesca statua del Buddha. Prima però ci accoglie un grazioso tempio con numerose statue della divinità: Buddha grassi, Buddha di un centimetro, Buddha nelle campane, Buddha che ballano ….. Ma il Buddha che si pulisce le orecchie con il cotton fioc ci fa venire il mal di pancia dal ridere. Dalla terrazza al livello delle orecchie della statua scendiamo lungo una scaletta aggrappata alla montagna fino ai piedi di questo colosso. Mani e piedi sono impressionanti: un dito del piede è alto tre volte me!
La risalita è faticosa a causa del caldo indecente. Rinunciamo al giro in barca ai piedi della statua, anche perché con questa nebbia grigia di umidità non si vedrebbe nulla, e ci facciamo tentare prima da un gelato, poi da un pranzo in un ristorantino locale…… Abbiamo però la pessima idea di voler andare a lavarci le mani nel retrobottega e passiamo per le cucine. Aiuto! Le pietanze cuociono in enormi pentoloni anneriti. Sono solo due e si usano sempre quelli. Il cuoco lavora accovacciato per terra e taglia la roba su un cartone che funge da tavolo. Il puzzo d’aglio è micidiale e dappertutto trasuda unto.
Quando le pietanze sono servite non penso e mangio concentrandomi sulla fame. Sarà terribile il posto, ma il cibo è buono!
Dopo una dose di traffico da incubo alle 19.00 siamo a Chengdu e …… indovina chi trovo alle reception? La mitica Joy! (ma non era in ferie?)
Quando le chiedo come mai non mi abbia prenotato gli hotel dopo mesi di mail rassicuranti mi risponde fresca come una rosa: “Non me lo hai chiesto!” Ma come? Ma se mi scrivi che dormire costa circa 20 euro in alberghetti, e io ti dico che va bene, cosa pensi??????
Le chiedo poi come mai non mi abbia detto che dall’aeroporto di Lhasa dovremo uscire soli perché le guide non possono entrare (ce lo hanno detto oggi gli spagnoli)…. Stessa risposta: “non me lo avete chiesto!”.
Ma caspita! Se devo chiedere tutto io, a che cosa servi tu!
Comunque sia ormai è fatta, dobbiamo solo sperare.
Ceniamo in ostello con una simpatica coppia di palermitani che, con il loro bimbo di 2 anni (!!!!) hanno intrapreso un lungo viaggio in Cina da coach-surfers! Caspita, dico loro, siete davvero mitici! Un esempio per mettere a tacere quei benpensanti che gufano: “Eeeeeh, vorremmo fare tante cose, ma sai ….. col bambino!”. E’ una scusa! Se si ama viaggiare o fare sport o uscire, ma non si ha voglia di organizzarsi anche per un piccolo è solo pigrizia! Se
Si ha veramente voglia si fa tutto anche con un bimbo!
30 AGOSTO 2011
Blu sky!
Oltre alla levataccia oggi mi tocca dare la sveglia con una bella litigata di prima mattino.
(Cactus! Per essere la prima della mia vita la mia sfuriata in inglese è una favola! Sono più cattiva che in italiano!!).
Oggetto del contendere, il mancato pick-up per l’aeroporto. Alle 5.00 orario concordato: nessuno.
La tipa della reception mi dice che divideremo il minibus con altri ….. alle 6.00!
Le dico: “ma sei fuori di testa?! Uno, mi fai alzare alle 4 per niente! Due, ho il volo alle 8.00. Come c…o ci arrivo se parto alle 6.00 da qui con ‘sto traffico cinese infernale?! Tre, l’errore è tuo e vorresti farmi aspettare un’ora e rischiare di far tardi?…….. Ma io ti appendo al muro! Vedi di trovarmi immediatamente un taxi o ti mangio viva! E per il disturbo il taxi lo paghi tu!”
Devo aver talmente turbato l’armonia della receptionist che, dopo una timida resistenza, ha fatto esattamente come le ho indicato. Pagando di tasca sua.
Per fortuna che abbiamo preteso il nostro transfer presto. Al check-in c’è una coda chilometrica ed il volo parte con 20 minuti d’anticipo!
L’arrivo in Tibet è emozionante. Il piccolo aeroporto di Lasha è abbracciato dalle vette. Sembra quasi di non essere atterrati da tanto siamo in alto. Il cielo è di un meraviglioso blu cobalto ed il sole abbagliante. Finalmente! Dopo tutto il grigio cinese.
Veniamo accolti da Tenzin, la nostra guida, con la tradizionale kata bianca in segno di buon auspicio.
Durante il periodo che passeremo insieme Tenzin si dimostrerà professionale, disponibile, simpatico e padrone di un ottimo inglese. Nonostante i limiti e le imposizioni cercherà di trasmetterci quante più informazioni possibili circa il suo Paese (inteso il Tibet) e la sua drammatica situazione.
Sarà l’emozione o molto più probabilmente l’aria rarefatta a toglierci il fiato. Appena atterrati ci accorgiamo di dover fare respiri molto lunghi e profondi. Dopo pochi minuti dall’arrivo siamo vittime di un leggero mal di testa. La conferma definitiva del sopraggiunto mal di montagna l’abbiamo in hotel: con gli zaini in spalla dobbiamo salire una rampa di scale…… Ci sembra di morire, lo sforzo peggiore della nostra vita.
Nonostante tutto restiamo fedeli alla nostra scelta di non assumere farmaci. Decidiamo di seguire solo una dieta leggera, niente alcol e di concederci un pomeriggio molto molto tranquillo per acclimatarci.
In poche ore il malessere iniziale passa e nei giorni successivi ci sentiamo come in Pianura Padana. Solo con molto meno smog!
Il nostro Dood Gu Hotel è nel cuore della città vecchia di Lhasa, a due passi dal Barkor. Le camere sono affreschi in stile tibetano e dalla terrazza si ha una vista imperdibile del Potala, delle montagne e della città. L’atmosfera è mistica, unica. Quasi non vogliamo scendere più: il nostro angolo personale del tetto del Mondo …..
Passiamo l’ultima parte della mattinata a spasso tra le viuzze della città vecchia dove tutto ci affascina: portoni di legno intagliato, finestre multicolore, bandiere e ruote di preghiera, artigianato locale. Senza accorgercene siamo in Barkor street e veniamo avvolti dalla processione costante di fedeli in pellegrinaggio e preghiera: volti bruciati dal sole, capelli nerissimi, trecce, serenità dei volti, costumi tradizionali, odore acre di burro di yak, mulinelli di preghiera.
Siamo davvero estasiati, felici, curiosi di mischiarci tra queste persone squisite, cordiali, sorridenti e rispettose che ci sembrano distanti anni luce dai cinesi . Un esperienza da vivere e molto difficile da descrivere.
Il sole picchia e abbiamo bisogno di un po’ d’ombra.
La terrazza del New Mandala Restaurant è l’ideale: coperta da tende leggere permette di concedersi una pausa ristoratrice senza staccare gli occhi dallo splendore della città.
La cucina tibetana è più simile all’indiana e nepalese che a quella cinese, quindi niente più bacchette e ottimo pane naan! Mi sa che riprenderò presto i chili persi in Cina.
Mentre aspettiamo il pranzo ci guardiamo intorno e notiamo come la deliziosa città vecchia sia schiacciata dalla nuova città cinese che sembra voglia stritolare l’antico centro avanzando con i suoi chiassosi negozi di paccottaglie, migliaia di autovetture ed il progresso a tutti i costi.
Altro elemento del quale prendiamo tristemente coscienza è la massiccia presenza dell’esercito cinese che fa dell’area del Barkor una specie di carcere a cielo aperto. Le vie d’accesso sono controllate da posti di blocco, sui tetti sono appostate decine di cecchini (dalla strada non si vedevano!), nei lampioni sono incorporate telecamere e ogni 10 minuti passa marciando una ronda composta da 20 militari in mimetica. Restiamo sconcertati. Sembra ci sia in corso una guerra silenziosa. Tutto questo stride drammaticamente con la spiritualità tibetana …… Lo sappiamo bene cos’è: la repressione.
Anche i monaci sono una minoranza senza più potere. Alcuni, soprattutto giovani, sono arrivati a darsi fuoco quale ultima, disperata protesta e tentativo per riportare in primo piano la questione tibetana.
Nel pomeriggio camminiamo sino a raggiungere la base del Potala. Immenso e meraviglioso anch’esso pare schiacciato da questa città sempre più cinese. La piazza della rivoluzione che gli si trova proprio di fronte pare come un insulto. Il monumento ai caduti che vi si trova celebra infatti i caduti del popolo nella battaglia per la LIBERAZIONE del Tibet!!! Allucinante!
Ceniamo al Kyichu Hotel che offre un’ottima (anche se non troppo varia) cucina in un grazioso giardino interno piacevole anche di sera, quando la temperatura scende. La specialità è la bistecca di Yak. Il posto è altresì ideale per sorseggiare un drink sfruttando la connessione Wi-fi gratuita che pochi hotel di Lhasa hanno.
Mandiamo quindi alcune mail propedeutiche alla parte successiva del viaggio, quando poi il freddo incomincia a farsi sentire ci infiliamo nel piumone.
31 AGOSTO – 1 SETTEMBRE 2011
Sul tetto del mondo.
Durante queste due giornate Tenzin non ci molla un attimo. Il programma “culturale” è intenso e serrato.
Alle 9.00 è già attivissimo, noi un po’ meno …… durante la notte il mal di testa è passato, ma il risveglio a basse temperature deve essere lento.
1 tappa – il tempio Jokhang. Restiamo affascinati dalla moltitudine di fedeli che pregano prostrandosi davanti al tempio. Essi si piegano ritmicamente come se stessero facendo le flessioni: si inginocchiano, poggiano le mani a terra ai lati facendole scorrere in avanti sul pavimento avvolte in delle specie di pattine, le congiungono in preghiera, si rialzano e ripetono il movimento sempre recitando le preghiere. Una fatica!
Le litanie e il fruscio delle pattine saranno il sottofondo costante di tutta la nostra permanenza in Tibet.
All’interno il tempio è di legno, reso resistente dallo strato di burro di Yak che evapora dalle centinaia di candele e bracieri che i fedeli alimentano. Anche il pavimento è reso terribilmente scivoloso dal burro.
Le statue di Buddha sono decine e sotto ad ognuna arde un fuoco al quale ogni fedele, che cammina con un enorme thermos pieno, contribuisce alimentando la fiamma con un po’ di burro fuso.
La calca è pazzesca. L’odore un po’ di stalla. Per fortuna saliamo sulla terrazza dove si respira e ci si scalda al sole.
Tenzin non fa mai pause. L’occasione è buona per spiegarci dettagliatamente le basi del Buddismo tibetano, molto più articolato di quello di altri paesi asiatici. Oltre ai crismi del Buddhismo molteplici sono le contaminazioni induiste, soprattutto le divinità “collaterali” a Buddha. Lo stesso Buddha non è uno, ma trino (come Dio del resto!). Come ne “Il Canto di Natale” ci sono il Natale passato, presente e futuro, qui in Tibet abbiamo il Buddha passato, presente e futuro.
Adorati quali divinità sono anche i Lama, ma è fatto divieto pronunciare il nome e lo stesso termine Dalai Lama. Bisogna ricorrere quindi a giri di parole come “colui di cui non si dice il nome” o “l’uomo che adesso è in India”.
Pongo parecchie domande e Tenzin mi prega di essere prudente poiché, mi dice, non tutto può essere spiegato, specialmente qui dove anche i muri sanno vedere ed ascoltare!
2 tappa – Potala Palace. Il numero di visitatori è severamente controllato e limitato. Occorre prenotare la visita in un certo orario e compiere il percorso imposto (che è minimo se si considera l’ampiezza del palazzo) in un tempo prestabilito: non di più e non di meno ……
Particolarmente imponenti le sepolture dei Lama.
3 tappa – Sera Monastery
4 tappa – Drepung Monastery
Per quanto essi siano meravigliosi, sono oggi la testimonianza di qualcosa che è esistito, che è stato, ma la cui essenza non è più qui. I monaci che in passato erano decine di migliaia ora sono soltanto poche centinaia, per lo più molto anziani. Gli enormi monasteri appaiono vuoti ed abbandonati. Lo sguardo dei pochi monaci è triste e rassegnato. Anche i fedeli in pellegrinaggio sono prevalentemente anziani. I militari e la polizia cinesi sono ovunque e controllano ogni attività.
Visitiamo le varie cappelle, i refettori, le cucine, poi ho la brillante idea di arrampicarmi fin sulla costa del colle di fronte affascinata dalle migliaia di bandiere di preghiera che sventolano. Entusiasmante, ma resto esausta e senza fiato.
Svengo distrutta nel taxi che ci riporta verso Lhasa.
5 tappa – Norbulingka –
Il parco di Norbulingka ha ospitato la residenza estiva dal del Dalai Lama sino l959. Ora si tratta solo di un palazzo-museo in cui gli oggetti esposti appartenuti al Dalai lama danno l’idea di un uomo dalla vita ordinaria e dallo spirito straordinario. Tutti gli arredi, seppur sfoltiti dai cinesi, sembrano in attesa, come implorassero silenziosamente di far ritornare il Dalai lama.
Rispetto all’austero Potala che da proprio la sensazione di “freddo ed austero” il palazzo d’estate è arioso, meno formale ed immerso in un enorme giardino.
L’atmosfera che si respira nel parco è tutt’altro che mistica. In questi giorni si sta svolgendo il festival tibetano dell’adorazione del Buddha ed il prato è diventato una sorta di camping per famiglie tibetane che giungono qui da ogni regione. Quando Tenzin ci rivela, divertito, che la maggior parte dei partecipanti non è di certo per concerti e spettacoli teatrali lo esortiamo per spiegarci il vero motivo. La guida ci lascia sulle spine invitandoci a seguirlo fino ad una fila di tendoni stile Ocktober Fest. Il paragone è azzeccatissimo dato che uno degli “sport” nazionali e competizione clou del festival è la gara dei bevitori di birra!!!! Con superpremio finale per il miglior rutto offerto dal locale brand Lhasa Beer. Tutto ciò è tremendo!!!!!!!! Sono basita. Ai piedi dell’Everest, mi sarei aspettata piuttosto la sfida all’ultima Levissima!
Improvvisiamo anche noi un pranzo pic-nic acquistando stuzzichini vari dalle numerose bancarelle che vendono strani intingoli. Ormai i nostri anticorpi sono a dimensione pantegana!
Troviamo posto su una panchina è osserviamo questo concentrato di tibetani in festa, una rarità considerando il ritmo con il quale la Cina invade il Tibet con popolazioni Han.
Sia uomini che donne indossano abiti tradizionali. I primi sono simili a Cow boys, mentre le signore hanno colorati ed eleganti abiti i cui colori sono spesso richiamati dai nastri che adornano le trecce nere. I bambini indossano abiti normali ma con un accorgimento che solo qui mi è capitato di vedere: il pantalone pronto cacca e pipì! Si tratta di calzoni apparentemente uguali a quelli che portano anche i nostri bimbi, ma che al posto della cucitura del cavallo hanno una fessura. All’occorrenza la mamma fa appollaiare il piccolo (o se troppo piccolo lo tiene in equilibrio su un tombino, un cestino, un fiumiciattolo), apre il pantalone da sotto e via: pronto cacca! Senza dover calare calzoni, aprir bottoni, spogliare poppanti. Via! Via! Tutto subito ….. E sai quanti soldi in meno di pannolini!
Tenzin ci lascia liberi nelle prime ore del pomeriggio e noi siamo ben felici di riprenderci dagli impegnativi tour de force culturali salendo sulla terrazza del Dood Gu Hotel a prendere il sole. La terrazza sembra abbandonata e non gradita agli ospiti dell’hotel (forse perché bisogna salire le scale a piedi!) ed i proprietari ci tengono un enorme cane legato. Sarà …. ma a noi qui piace e ci riteniamo gli unici ospiti in grado di potersi concedere questo lusso con tanto di sdraio, tavolino con ombrellone e vista privata sul Potala, la città vecchia e la cornice delle cime innevate. Una meraviglia!
Abbiamo inconsapevolmente rubato il posto alle inservienti dell’hotel che salgono in terrazza dopo la doccia per asciugare al sole i lunghissimi capelli. Quando ci vedono fanno per andarsene, ma le invito a restare. Si siedono timide in fondo al tavolo. Ogni tanto qualcuna butta l’occhio ai curiosi turisti italiani e non riesce a trattenere le risate. In effetti con costume da bagno, piedi sul tavolo, libro in una mano e frutta fresca nell’altra siamo piuttosto comici, una caricatura del classico romano ozioso adagiato sul triclinium.
Tutto avrei pensato di fare in Tibet tranne che fare vita da spiaggia!
Mancherebbe solo un po’ di musica …….
Come se mi avessero letto nel pensiero le cameriere diventano il nostro juke-box ed incominciano a cantare stendendo i panni. Wow!
Ben brasati dal sole verso sera scendiamo nuovamente in Barkor Street. All’ora del tramonto il cuore di Lhasa è ancor più animato da folla, contrattazioni e traffici.
I banchetti del mercato sono mignon ma vi si trova di tutto, dalle paccottiglie fatte in serie ad antiquariato di pregio. Noi ci innamoriamo di alcune staffe antiche per cavallo: enormi, intagliate con dragoni e disegni ornamentali, sono una favola! L’idea è quella di dargli una ripulita dalla ruggine e trasformarle in reggilibro. Penso di poterle portare via per due soldi, ma non è così. Parrebbe si tratti di pezzi rari ed esclusivi. In effetti ce ne sono pochi ed il paio identico è introvabile. Prezzo base? 1400 Rmb, 140 Euro!!! Alla faccia dei pochi spiccioli!
Le trattative, una volta avviate, sono estenuanti. Giriamo tutti i banchetti e contrattiamo per ore.
Io non ho fretta e da ogni venditore mi accomodo sul mini sgabello che questi sempre mi porge. Mi siedo, guardo, chiacchiero, bevo tè ed intanto aspetto che il mercante man mano abbassi il prezzo. La scena è abbastanza curiosa tanto che i tibetani fanno le foto a me! In effetti seduta su quei seggiolini sembro il gigante Golia. Quando voglio so essere logorante, anche con i pazienti tibetani. Dopo circa 4 ore ripongo sorridente l’imballo con le mie nuove staffe in valigia. Valore di scambio di 200 RMB!!
Sono tutta eccitata per l’acquisto, ma lo sarò un po’ meno al check-in dei prossimi voli. Oltre ai 3 chili oltre la franchigia massima, da far passare inosservati, il metal detector impazzirà ogni volta e dovrò aprire tutto, spiegare di cosa si tratta ….. Che palle! Ma come nello spot Montenegro: “ le antiche staffe dovevano essere recuperate!”
2 SETTEMBRE 2011
Yak, Yak, Yak!!!
Lungo la Friendship highway lasciamo Lhasa diretti a Shigatse. Il viaggio è oggetto di monitoraggio costante da parte della polizia, una sorta di grande fratello.
Tutti i visitatori sono obbligati a percorrere l’itinerario in Jeep o Bus accompagnati da guida, seguendo solo una possibile strada e percorrendola ad un andatura stabilita di 80 Km/h di media che in alcuni punti diventa 40 Km/h. Per evitare che qualcuno vada oltre il limite si devono passare numerosi check point, ma non prima e non dopo un certo intervallo di tempo. Un viaggio da incubo! Inoltre benché la strada si snodi tra vallate e montagne brulle e disabitate ci sono dappertutto telecamere ed autovelox!
In ogni caso, e per fortuna, il paesaggio rapisce subito i nostri sensi e dimentichiamo questi vincoli.
Prima ammiriamo lo Yamdrok Lake, con il suo blu cangiante ed il sole accecante, poi il ghiacciaio Kharola il cui fronte a 5500 metri di altezza lambisce la strada diretta a Gyangtse. Ci fermiamo a fare le foto alle cime che svettano ancora più su a 6,7 8 mila metri! E mentre cerchiamo con lo sguardo il tetto del mondo all’improvviso una nuvola ci avvolge e …… nevica!!!!!
Apparentemente insensibili al freddo pungente ed ai fiocchi che gelano la faccia ad ogni sosta pastorelli con i volti bruciati dal gelo e dal sole si avvicinano con i loro cani enormi, tipo san bernardo, o con giganteschi yak bardati. In cambio di pochi yuan propongono di posare in consuete foto di rito.
Cedo alla proposta “da turista” e salgo in groppa ad en enorme yak. Nonostante la somiglianza con l’abominevole yeti l’animale è mansueto ed il pelo talmente morbido da non riuscire a smettere di accarezzarlo!
Salvo le soste obbligate, lungo il percorso ci si immerge nel Tibet più rurale. Uomini e donne nei campi o sui trattori in abito tradizionale, centinaia di yak, casette con finestre intagliate e variopinte (in tipico stile tibetano), ma con pareti esterne interamente ricoperte da pizze di sterco ad essiccare per diventare combustibile in inverno ….. e finalmente sono lontani i cinesi e le città cinesi!!
Quando lo stomaco brontola faremmo volentieri una sosta pranzo, ma Tenzin insiste per arrivare fino a Gyangtse da una sua “amica” allo Zhuang Yuan Restaurant. Spero almeno che la ragazza sia stata ben disposta verso Tenzin (che per un oretta buona è sparito) perché il pranzo era terribile: cipolla dappertutto!
Dopo pranzo cerco di indagare sull’amicizia di Tenzin, ma il ragazzo è timido, non cede al gossip, e reindossa immediatamente la sua veste professionale. Sghignazzando soddisfatto, attacca a parlare dell’antico monastero di Pelkor Chode nostra tappa nel pomeriggio.
Gyantse è famosa per il Kumbum posto entro le mura del monastero, uno stupa contenente 108 cappelle su quattro piani, tutte finemente illustrate da migliaia di dipinti e centinaia di statue. Lo stupa bianco è poi decorato con gli occhi del Buddha e mi piace un sacco! Per visitare le cappelle occorre una torcia e ciascuna ha la sua statua a sorpresa: un Buddha, una divinità, un discepolo, un tara ….. alcune stupende altre talmente brutte da far paura.
Propongo un diversivo a Tenzin: fare indovinare a noi cosa rappresentano le statue e le illustrazioni, soprattutto mi devo specializzare nel Buddha passato (senza fronzoli) , presente (dipende) e futuro (posizione delle mani), ma è un casino….. tra l’altro è da 4 giorni che sto scambiando un venerabilissimo Lama per una donna! (quando ho indicato la foto indicando “that women” Tenzin si è ribaltato dal ridere! In effetti è come definire “quella signora” il Vescovo di Milano …..)
Al Pelkor Chode siamo fortunati, arriviamo all’ora della preghiera quando i monaci si radunano nella sala assembleare per la cena (ore 16!!!!) e la preghiera. Ci permettono di restare ed è affascinante assistere. Ognuno si sistema a gambe incrociate sul suo sgabello, con i testi sacri, la scodella, il copricapo a corno …… Le preghiere non smettono mai come un mantra. Solo il gong crea una sorta di pausa, di interruzione, poi ricomincia la liturgia senza che nessuno si distragga.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Shigatse. La prima impressione è di città polverosa e piena di mosche.
Pernottiamo all’hotel Tenzin raccomandato dalla Lonely Planet. Forse 5 anni fa valeva, ora è davvero molto sciatto e in stato di abbandono. Il ristorante è addirittura chiuso.
Vorremmo fare due passi nel mercato ai piedi della città vecchia ma Tenzin ce lo proibisce. Anche l’uscita a cena in autonomia ci viene cautamente interdetta. Veniamo così scortati in un ristorante tibetano di sua conoscenza, il peggiore di tutto il viaggio. Ordiniamo carne e patate, per tutta risposta ci vengono servite piccole patate lessate e pezzi d’osso. Tenzin è imbarazzato e noi più di lui anche perché, invitatolo ad unirsi a noi per la cena, ha consumato solo un bicchiere di acqua calda (!?!) e ci ha guardato a vista per tutto il tempo.
Insoddisfatti, col buco allo stomaco e a disagio, rientriamo presto in camera. L’atmosfera nella città è davvero cupa, col buio inquietante. Tenzin insiste per accompagnarci sino alla stanza come se fossimo prigionieri. Mi sento davvero oppressa.
3 SETTEMBRE 2011
Quale Tibet?
A Shigatse il monastero di Tashilhunpo è praticamente una città nella città. Il Palazzo del Panchen Lama, seconda carica del Buddhismo Tibetano, è anch’esso un palazzo vuoto. In questo caso più che mai poiché il Panchen Lama designato dai tibetani è ad oggi il più giovane prigioniero politico del mondo! A soli 6 anni, nel 1995, è stato “messo al sicuro” dai cinesi e da allora non si hanno sue notizie, tranne una: la nomina di un nuovo Panchen Lama fedele a Pechino.
Che tristezza! E dire che è un palazzo così bello caratterizzato dalla più grande statua in oro del Buddha e dai monaci che, anche in estate, portano stivali tipici simili a moon boot.
Avviliti, tanto da domandarci se il nostro viaggio non sia addirittura offensivo per i tibetani, ci riavviamo verso Lhasha dove arriviamo a tarda sera per concederci la pace del Kyichu hotel e l’ultima bistecca di Yak.
4 SETTEMBRE 2011
Aeroport day!
Il nostro itinerario finora è riuscito, ma non abbiamo avuto modo di sottrarci ad interminabili giornate di trasferimento, come quella odierna.
Salutiamo Il Tibet e Tenzin che si merita, per averci sopportato 6 giorni, una bella mancia.
Addii con sciarpine tibetane di rito e: ….. alle 8.00 lasciamo Lhasa, alle 10.00 volo per Chengdu. …
Arrivo alle 13.00 e sosta forzata nel lounge bar dell’ aeroporto fino alle 20.00, ora del volo per Guilin. Atterraggio alle 23.00, trasferimento in hotel e frastornati come non mai all’ 1.00 siamo a letto.
Per fortuna i lounge bar sono dotati di connessione Wi-fi gratuita e comode poltrone dove restare sprofondati a leggere tutto il pomeriggio. Si ammazza il tempo sorseggiando tè verde free-refill in compagnia di ragazzi cinesi che bevono con “risucchio”. Ogni tanto guardo cosa fanno: molti giocano con videogames o guardano film trucidi….. Spio anche per una mezz’oretta Resident Evil in cinese sul tablet del ragazzo della poltrona accanto, tanto i dialoghi potrebbero benissimo non esserci.
Ci concediamo per pranzo un piatto di tagliolini in brodo serviti in ciotole tipo cartoon scoprendo che il risucchio è obbligatorio per riuscire a mangiarli!
Benché sia un aeroporto la diffusione della lingua inglese qui è prossima allo zero. Ci metto un po’ a far capire che voglio una bottiglia d’acqua (Water è un vocabolo sconosciuto, meglio a gesti). Quando finalmente la più sveglia delle cameriere cinesine mi capisce parte decisa al ritmo di sonori “Water water Mmh-Mmh!” Yes! Yes! Mmh-Mmh!!” …… Non vi dico la mia faccia quando al posto che con l’attesa bottiglia d’acqua la vedo tornare con un enorme bicchiere di acqua bollente!
Ok. Ho comunque sete per cui, pur di non sembrare scortese, ringrazio e …… aspetto che si freddi!
Dopo un sonnolento pomeriggio d’ozio per ripigliarci ci vuole proprio un bell’incontro di wrestling al chek-in! Qui a Chengdu più che in tutti gli altri aeroporti se vuoi arrivare al banco e imbarcarti devi combattere. Sono ammesse gomitate, spinte, schivate, colpi di carrello, calci e affondi laterali. Dopo un’ora di incontro ce la facciamo a fare il check-in.
Dopo la pasta in brodo a pranzo anche a cena ci va male: prendiamo del pollo, ma ci arrivano praticamente solo le ossa …. E pensare che in aereo abbiamo letto un articolo che prevedeva come, nel 2020, la Cina dovrà affrontare il problema dell’obesità! Per prevenire il rischi sin d’ora i bambini grassi seguono un programma di allenamento ….. in caserma!
Ma come??? Noi siamo dimagriti già di 2 o 3 chili in 2 settimane! Altro che caserma!
Atterrati a Guilin troviamo puntuale in nostro transfer che ci porta al piccolo Lakeside Inn Hotel, solo 3 camere nel pieno centro della città, ma tranquillissimo nonostante sia proprio sopra una birreria.
Siamo stravolti ma abbiamo ancora le forze per organizzare grazie al simpatico personale dell’hotel le ecursioni dei prossimi giorni: crociera sul fiume Li e Longsheng Terrace.
5 SETTEMBRE 2011
Capelli biondi contro capelli neri.
Tappa di oggi i villaggi attorno a Longsheng dove si trova la zona delle famose “terrazze della spina dorsale del drago”, risaie terrazzate particolarmente spettacolari abitate dall’etnia Yao. Le donne Yao sono una minoranza in Cina, usano gonne nere, camicie sgargianti, ma sono note soprattutto per i loro lunghissimi capelli che possono misurare anche fino due metri!
Optiamo per un’escursione in giornata, ma è possibile e consigliato trascorrere qui un paio di giorni (pernottando nei villaggi di Ping’a, Dazhai o Tiantouzhai) per godersi con calma la quiete rurale e i numerosi sentieri che collegano i villaggi immergendosi nelle risaie o dominandole dall’alto delle colline.
Restiamo intruppati nel gruppo gita per tutta la mattina: prima un’auto ci viene a prendere all’hotel, poi bus grande, dopo veniamo divisi su autobus più piccolini che possano risalire le strette stradine che conducono ai villaggi. Sosta tristissima nel primo villaggio con spettacolo (finto) delle donne dai lunghi capelli e mercatino.
Per fortuna riusciamo a liberarci all’ora di pranzo e dedichiamo il pomeriggio al trekking nei villaggi.
Ci dirigiamo alla sommità della collina detta “7 sorelle con la luna” dalla quale si ha una vista eccezionale.
Il periodo migliore per visitare le terrazze è la primavera quando sono piene d’acqua.
In un ristorantino assaggiamo una specialità locale: risotto cotto alla brace all’interno del bambù. Davvero buono.
Durante il nostro trekking su e giù per le colline incontriamo diverse “donne dai capelli lunghi”. Insistono per fare delle foto con i miei capelli biondi intrecciati ai loro. Per me va bene ….. ma osservandole da così vicino, noto a malincuore che alcune di loro hanno una specie di extension, ovvero la coda dei capelli lunghi attaccata a quelli che, evidentemente, hanno tagliato. Cosa non si fa per il business!!!!
Al tramonto rientriamo a Guilin che, pur inserita in una bella zona di colline verdeggianti, è avvolta dalla consueta cappa di smog cinese il cui effetto è amplificato dalla percentuale di umidità al 90%
Prima di cena facciamo una passeggiata lungo il lago e raggiungiamo le Pagode, mentre alle 20.30 ci troviamo per caso di fronte al Lijiang Waterfall Hotel che vanta la più alta e grande cascata artificiale del mondo. L’acqua cade per 45 metri dal tetto sulla facciata a vetri dell’hotel andando ad alimentare un’immensa fontana. Effettivamente il colpo d’occhio e pazzesco (e lo è anche la megalomania dei cinesi!!!! Costantemente a caccia di record!) Ceniamo al Lake Side Inn, facendo 4 chiacchiere con un chiassoso gruppo di Taiwan in viaggio d’affari (che sta festeggiando in birreria !!) Mi sembra di vedere Sergio quando va a mangiare con i suoi colleghi, fanno lo stesso casino!
6 SETTEMBRE 2011
Una tachipirina e via! Arrampicarsi!
Dormire sotto al condizionatore ha i suoi pregi: si sfugge ai 42° gradi di Guilin ….. Ed i suoi difetti: ci svegliamo entrambi con un mal di gola pazzesco!
Appena possibile scendiamo a far colazione e chiediamo un bel latte caldo lenitivo, sperando ci faccia passare il bruciore.
Da lì a un’ora dovrebbe arrivare la nostra macchina che ci porterà al porto fluviale per la crociera sul fiume Li con tappa finale Yangshuo.
Seduti all’aperto vediamo la città che si risveglia …..col Thai Chi! Man mano si radunano decine di persone, qualcuno porta uno stereo che suona musica gniu-gnao e ognuno si dedica al suo risveglio muscolare: chi balla, chi fa streching, chi usa una specie di bastone in bambù. La giornata cinese incomincia tardi (sono le 7.30) ed in maniera estremamente rilassata, non come da noi che alle 7.00 sei già nel traffico della Tangenziale!
Il porto fluviale dista circa 1 ora di bus dalla città, mente la crociera dura circa 4 ore.
Passiamo quasi tutto il tempo sulla terrazza al ponte superiore, tranne i pochi minuti dedicati al pranzo.
Incontriamo un gruppo di Piemontesi che come noi, da giorni, si pone il medesimo interrogativo: “Ma in Cina il sole lo si vede mai????”
Lungo il fiume il panorama è davvero piacevole, tanto da essere immortalato sulle banconote da 20 Yuan!
Questa zona, unica nel suo genere, è una vasta pianura lungo il fiume caratterizzata da centinaia di verdi picchi calcarei che, alti circa 100 metri, sembrano inspiegabilmente uscire dalla terra.
Sbarchiamo a Yangshuo che pensiamo essere il paese più turistico di tutta la Cina: una bancarella unica.
Per fortuna il caos si concentra quando arrivano le barche delle crociere in giornata da Guilin, dopo un paio d’ore le barche ripartono e regna la tranquillità.
Il nostro hotel, il Li-River, affaccia sul fiume e ha un ampia terrazza dove riposarsi un po’ ammirando il panorama.
Ma siccome non so strare ferma più di 5 minuti d’orologio, dato che sono le tre del pomeriggio e fa un caldo bestia, e penso di avere solo la tonsillite …… perché non salire sulla vetta del Lotus Peak????
Sergio mi guarda inorridito e in silenzio si domanda: “ma perché l’ho sposata?” E soprattutto: “Ma perché se c’è pianura tutto attorno deve SEMPRE trovare una scalata da fare?”……
Non ha però il coraggio di rifiutare la proposta e si aggrega alla salita del picco.
Prima però mi chiede di dargli un’aspirina per alleviare i sintomi del mal di gola……
Arriviamo in cima in mezz’ora saltando come caprette, io sono addirittura in ciabatte!
Il panorama dall’alto non ha prezzo, vorrei restare fino al tramonto ma Sergio è praticamente disidratato: ha sudato 2 magliette e ancora sta svaporando …… mi sembra strano, per cui meglio scendere. Oltretutto siamo, come sempre direi, senz’acqua!
Ad un certo punto, preoccupata per Sergio sempre più sudato nonostante la discesa e l’ombra ho un flash. Cazzo! Non gli ho mica dato l’aspirina …. Gli ho dato la tachipirina 1000!!! Oddio! Ecco perché suda così. Oltretutto con sto caldo, e st’umidità, lo volevo far secco?!!
Lo avviso dell’errore …. Ho rischiato di finire giù dal dirupo!
Al tramonto ci sono diversi pescatori con i tipici cormorani e una passeggiata sul lungofiume è carina.
Ceniamo in uno dei tanti ristorantini con ottime melanzane e poi ci godiamo la bella serata in terrazza. In ultimo nanna….. A proposito: la sudata è servita. Niente più mal di gola!
7 SETTEMBRE 2011
Pedalando in bicicletta ….. mai fidarsi dei cinesi!
Noleggiate due biciclette per pochi yuan, armati di nuova e dettagliata (uff!!) mappa venduta dall’hotel, certi che la sfacchinata di ieri non possa avere eguali, oggi partiamo con l’idea di fare SOLO un piccolo giretto in bici tra le risaie ……
Illusi.
Come al solito la sera ci ritroviamo sfatti, con più di 60 Km nelle gambe, il culo in fiamme ed il sistema nervoso incapace di trasmettere l’ordine di pedalare agli arti inferiori.
E meno male che ad un certo punto ci hanno caricati su una barca per ritornare indietro! Giusto poco prima che le gambe si trasformassero in due tronchi inamovibili.
Perché, si sa com’è: un chilometro tira l’altro, ….. già che siamo qui, …. ma non era di lì la strada? (e ritorna indietro).
Il tutto considerato il clima locale che richiede un consumo medio di 1 litro (d’acqua) per 8 chilometri (Cribbio ‘sta bici ciuccia come una Porsche!). La cosa assurda è che bevi come un cammello ed evapori senza mai fare pipì.
Sergio, dopo il terzo cambio di maglietta causa sudore, si è rassegnato. Ha proseguito a torso nudo destando l’interesse di tutti i contadini cinesi. Incrociati lungo il percorso, questi rimanevano basiti non tanto per il nude look, ma a causa dei peli sul petto ….. Così abbiamo osservato a nostra volta gli uomini nei campi: sono completamente glabri!
Partiamo di primo mattino riempiendo per bene i nostri cestini con acqua, costume ed asciugamano, macchina fotografica. Tappe pianificate: Moon Hill, Dragon Bridge, Fuli Town. Risultato: punti raggiunti, ma con itinerario completamente diverso rispetto a quanto pianificato.
Una cosa l’abbiamo imparata: mai, ripeto mai, chiedere informazioni ai cinesi. Di certo sarete mandati dalla parte opposta! Alla peggio il cinese di turno interpellato vi farà segno di proseguire diritto. Attenzione! Non sa dove siete diretti (perchè non ha capito), ma piuttosto che negarvi una risposta (il “no” altera la loro armonia!) vi dirà che la vostra strada va bene!!!!!
Un esempio? Abbiamo chiesto la strada per il Dragon Bridge e siamo arrivati a Moon Hill….. esattamente dalla parte opposta. Per fortuna che era comunque in programma, ma abbiamo poi dovuto ritornare sulle nostre pedalate!
Per il sentiero che porta a Moon Hill occorre un biglietto. Inutile. La collina si vede benissimo dal bar appena oltre la sede stradale. Oltretutto fanno delle ottime spremute d’arancia: vi reidratate in modo sano, alla metà del costo del biglietto!
Lasciamo perdere il Big baniano e le varie grotte (che ci sanno di boiata per turisti) e fidandoci del nostro senso dell’orientamento ci godiamo una bella pedalata tra picchi calcarei, risaie, bufali, fiumi, contadini e villaggi antichi.
L’unica strada è un sentiero sconnesso.
Come fare a non perdersi? E’ sufficiente seguire il corso del fiume (Yulong River) e mantenerlo come punto di riferimento. Bene o male i sentieri, anche se si addentrano nella campagna, tendono sempre ad essere paralleli al fiume stesso. In caso di dubbio, ritornate all’acqua.
Spesso la strada si interrompe proprio al fiume ed occorre attraversare per proseguire sull’altra riva.
Ad ogni guado troverete sempre delle bamboo boat che imbarcano passeggeri e bici. L’operazione di imbarco e sbarco è complicata quando l’argine è alto ( a volte anche una decina di metri). Qui far scendere le bici è un bel casino!
Lungo i sentieri incontriamo ogni tanto altri “occhi grandi” dispersi con i quali cerchiamo di rimappare la zona e capire dove/da dove siete diretti/state arrivando.
Siete sicuramente sulla strada giusta se, in media ogni 3 chilometri, trovate una vecchina cinese con un cestino (alla Cappuccetto Rosso) che vende coroncine di fiori tipo Cicciolina.
Ne compro una coloratissima per 5 Yuan, anche se pedalare con le foglie davanti agli occhi non è proprio il massimo, ma vuoi mettere quanto fa bucolico!
Per arrivare al Dragon Bridge impieghiamo 4 ore, ma lo scorcio di Cina che ci si presenta è davvero carino. Il ponte ad arco,vecchio di quasi 600 anni, è il cuore di un pittoresco borgo. Qui facciamo un tuffo ristoratore, in un acqua che pare pulitissima, in compagnia di un divertito gruppo di bimbi. Siamo invitati a tuffaci con loro dalle bamboo boat, ma non vorremmo rovinare il perfetto set fotografico di una coppia di novelli sposi (lei in abito bianco) che si sta facendo immortalare proprio sotto al ponte. La sposa ha già mezzo abito a bagno maria e non vorrei mai rovesciarla del tutto ….. Che romantici! Sembra di stare a Venezia!
Raggiungere Fuli Town è invece più complicato. Occorre ritornare a Yangshou (circa 10 KM) ed e già è un’impresa. Non trovando il sentiero seguiamo la strada asfaltata …. E ad un certo punto, nei pressi di Baishazen, ci troviamo ad un casello!!!!! Rido ancora adesso perché mai nella mia vita avrei pensato di passare un casello in bicicletta!
Da Yangshuo dobbiamo poi procedere verso Dutou, dove dovrebbe esserci l’imbarcadero per Fuli. La Lonely Planet stima 1 ora di bici. Dopo aver pedalato per quasi 2 ore e non aver trovato nemmeno l’ombra di un imbarcadero, i soliti cinesi continuano a sostenere di andare avanti….. Ok, siamo certi di aver sbagliato strada. O meglio siamo ben oltre la nostra meta.
In un punto impreciso del fiume, ormai stanchi, fermiamo una bamboo boat e ci facciamo portare dapprima a Fuli per una breve visita del villaggio e poi a Yangshuo.
Quest’ultimo tratto in bamboo boat è davvero magnifico. E’ l’ora del tamonto e, finalmente, si vede il sole nitido e non più offuscato dalla cappa di umidità. La grossa palla arancione tramonta proprio sul fiume mentre, tutto attorno, il verdeggiante paesaggio scorre placido.
Arriviamo all’imbarcadero di Yangshuo col buio dopo una giornata a dir poco intensa ed appagante.
Ci meriteremmo un bel massaggio ai piedi, ma ……. Nel primo centro il sedicente massaggiatore, che ci accoglie smangiucchiando con le mani qualcosa di decisamente unto, sembra la variante orientale del Mago Oronzo. Nel secondo le massaggiatrici sono in catalessi davanti alla tv, sprofondate in poltrona, e non fanno caso a noi nemmeno se urliamo. Forse sono state criogenizzate dal condizionatore che mantiene l’ambiente a -30°!
Alla fine desistiamo a causa dell’evidente scarso livello del personale e dell’igiene e rientriamo al nostro hotel.
8 SETTEMBRE 2011
Shanghai, un passo nel futuro.
Finalmente abbiamo a diposizione una mattina di relax.
Troviamo lungo Main Road una caffetteria-pasticceria dove recuperare un po’ di peso dopo le varie sfacchinate.
Credo di essere dimagrita di brutto in questi giorni.
Ne ho la prova anche in un negozietto di abiti cinesi dove compro un bellissimo tubino in seta nera.
La commessa è incredula: di solito le taglie cinesi non vanno alle occidentali. Sostiene di trovarmi davvero magra. Sarà. (In effetti tornata a Milano peserò 49 chili, 4 meno rispetto alla partenza).
Sono davvero contenta del mio acquisto, lo sfoggerò le ultime sere nella sfavillante Shanghai, con tacco alto e braccialetti etnici. Wow!!
Alle 14.30 piccolo inconveniente: mi fregano il taxi che ci deve portare all’aereoporto!
Non faccio in tempo ad alzare il braccio e a farmi vedere che una stronza cinese ci si infila dentro con tutta la famiglia. C….o!
Siccome a Yangshuo i taxi non pullulano e sono in ritardo ….. le corro dietro. Nel traffico della via pedonale lo raggiungo subito e come una pazza incomincio a picchiar pugni sul bagagliaio.
Fermati ! Fermati, ladra cinese di taxi!
Fermati! Fermati stupido tassista che hai sbagliato cliente!
Bene, dopo 5 minuti di imprecazioni si ferma!
D’altronde strillo come un’ossessa e vivo nel TERRORE di perdere gli aerei.
Non le parole, ma il tono, hanno pio indotto la dolce famigliola a sloggiare immediatamente dal MIO taxi!!!
Inconveniente archiviato. In un’oretta siamo di nuovo all’aeroporto di Guilin. Ci resta anche qualche minuto per provare le poltrone massaggianti a 1 RMB al minuto. Divertenti, e tutto sommato efficaci, sembra che ci sia dentro un essere umano che massaggia ….. L’unica cosa che il meccanismo massaggiante mi fa il solletico. Già tutti ci fissano, se poi rido da sola come i pazzi è la fine …..
Arriviamo al Pudong International si Shangai alle 22.00, e non ci sono mezzi pubblici attivi. Metro e Maglev sono chiusi dalle 21.00 (davvero questo orario mi pare assurdo in una metropoli). Anche l’aeroporto pur essendo enorme e modernissimo, con corridoi infiniti e Rolex come orologi, è praticamente deserto. Di notte partono/arrivano pochissimi voli.
Per raggiungere il centro non ci resta che il taxi. Incredibile, ma vero, a Shanghai esiste una regolare FILA per il taxi con tanto di addetti che traducono (capiscono l’inglese!!!!) all’autista la vostra destinazione finale. Oltretutto qui i taxi sono equipaggiati con monitor LCD Touch-screen nei poggiatesta dei sedili anteriori sui quali, da dietro, potete digitare la destinazione o il luogo di interesse da visitare. All’autista uscirà la meta tradotta in cinese e lì sarete condotti. Durante il tragitto si può consultare la guida on line della città …..
Qui sono davvero avanti! (merito dell’Expo!)
L’aspetto che mi fa sorridere è che l’auto è davvero vecchissima, con tutta sta tecnologia installata sembra la macchina di Ritorno al Futuro! Oltretutto il cinesino al volante corre come fosse in formula 1 ….. Tra poco decolla!
Sfrecciamo percorrendo modernissimi vialoni, sopraelevate, svincoli alla L.A. Avvicinandoci al centro tutto diviene uno scintillio di grattacieli, giochi di luci, insegne pubblicitarie enormi. Shanghai fa quasi ombra a Time Square e Las Vegas.
Improvvisamente la strada si immette sul Bund e ….. restiamo senza fiato!. La città ci sembra intrigante, ricca, affascinante. Separate dal fiume Huangpu compaiono: a sinistra la Shanghai coloniale con meravigliosi palazzi Art Deco e neoclassici, boutique di moda, vetrine di designers; a destra la lo skyline futurista di Pudong, la NY d’oriente, con tanto di grattacielo illuminato dalla scritta I♥ SH, l’enorme Pearl tower e le immense SWFC, e Jin Mao Tower.
La Cina vista sinora è lontana anni luce, Pechino è preistoria.
Seguendo il consiglio di molti viaggiatori abbiamo riservato una stanza all’hotel Astor House, uno dei più antichi, se non il più antico della città. Si tratta di un gioiello coloniale, nobile, austero, a due passi dal bund ed in pieno centro. Il parquet e gli alti soffitti dominano tutti gli ambienti abbastanza chiccosi. Dalla Shanghai futurista siamo catapultati indietro nel tempo (il taxi??) al 1800-1900 quando qui soggiornavano personaggi del calibro di Charlie Chaplin, Einstein, ecc….
Sto letteralmente sognando ad occhi aperti, eroina di romanzi d’avventura di un’altra epoca, quando improvvisamente vengo richiamata alla realtà da ……. Un sonoro rutto! Ma come!???? Dopo tutta questa poesia!?? La receptionist, tutta carina e precisetti se l’è proprio fatto scappare con incredibile naturalezza e nonchalance. Ecco, bentornati nella Cina moderna!
La nostra camera è immensa, il bagno grande come il mio appartamento a Milano, i letti altissimi ed imponenti, talmente distanti che per parlare con Sergio devo alzare la voce e si sente addirittura l’eco!
Nel cuore di questa città che già mi sembra una meraviglia crolliamo in un meritato sonno.
9 SETTEMBRE 2011
Indistruttibile.
Nonostante sia il simbolo della nuova e potente economia del Drago cinese, Shanghai ha ritmi comunque rilassanti (o siamo noi Milanesi abituati male?). La giornata incomincia con calma e prima delle 9.00 del mattino si vede in giro poca gente. I vialoni sono deserti e son pochi anche i fautori del Tai Chi. Alcuni sembrano “belle statuine” altri ondeggiano come se avessero ai fianchi l’hula hop ….. Bhè, io rinuncio a capire il tai chi! Come a Guilin mi limito a fissarli.
Colazione da Costa Coffee con consolidata formula Muffin + cappuccino “massimo”. I camerieri disapprovano. Per loro è IMPOSSIBILE dare un cappuccino con due cucchiaini! Poi ci fissano stralunati perché mangiamo col cucchiaino la schiuma ….
Smaltiamo la super colazione con una bellissima passeggiata lungo il Bund, lungofiume curatissimo dominato da straordinarie architetture, fino a raggiungere Old Street il cuore antico della città.
In questo quartiere tradizionale le case sono piccolissime, le botteghe microscopiche tanto che l’attività quotidiana (mangiare, fumare, chiacchierae, lavorare) si svolge prevalentemente per strada. Numerose sono le attività commerciali che preparano Jiaozi, gli squisiti ravioli cinesi a forma di mezzaluna. In stanzette grandi pochi metri quadri si concentrano centinaia e centinaia di vassoi di ravioli ….. non so come facciano gli operai a muoversi!
Il passaggio dalla Cina moderna alla vecchia Cina è denotato anche dall’abbigliamento e dai mezzi di trasporto: via i businessman fighi, ritornano gli uomini in canotta e le biciclette!
Nel vecchio bazar si trova in vendita ogni genere di paccottiglia. Io non riesco a resistere al supertrash gatto dorato che saluta, in moto perpetuo, con la zampa (lo trovate di solito all’uscita dei ristoranti ed è considerato di buon auspicio). Sembra una sorta di stegatto …. E potrebbe essere inquietante la sera al buio …..
Dal Bazar si accede al giardino del mandarino Yu: pagode, laghetti con enormi pesci rossi, ponticelli, grotte, baffuti dragoni ornamentali, sale da thé. Si tratta di un angolo ancora piuttosto tranquillo nella caotica città.
Sempre a zonzo nella città vecchia arriviamo al tempio di Confucio quando, purtroppo, attacca a diluviare.
Decidiamo quindi di raggiungere con la modernissima metro il museo della scienza e della tecnologia. Nel vicino centro commerciale (vi ci trovate scendendo dalla metro) mangiamo un boccone in uno dei tanti ristorantini a buon mercato. Io sono fortunata e scelgo degli ottimi noodles, Sergio opta per del pollo (bai Zhan Ji), ma non gli va bene …. E’ servito gelato e fa tanto pollo da obitorio …… Anzi, puzza anche un po’ di cadavere. Oltretutto deve essere una specialità di Shanghai perché lo vediamo spesso sui menù e nei ristoranti….. Specialità o no, meglio ripiegare sui noodles.
Ma che cosa ci facciamo al museo della scienza e della tecnologia? Siamo vittime di un’improvvisa febbre da conoscenza? Macchè! Piove ….. Quindi shopping tarocco! E questo centro commerciale, è uno dei luoghi topici di Shanghai.
Il pomeriggio è il solito inferno delle botteghe del tutto tarocco, dove compri decine di articoli perché, in effetti, costano niente …… Oltretutto dobbiamo soddisfare una lunga lista dei desideri che parenti e amici ci hanno lasciato prima di partire. Ci tocca anche comprare uno zaino (rigorosamente North face) per farci stare tutto!!!
Notiamo che alcuni articoli “di marca” ma finti sono venduti tranquillamente. Per altri invece il metodo operativo è sempre lo stesso: entri in un anonimo negozio di borse, orolgi, ecc … fingi poco interesse, ma resti lì’. Quando si resta soli scattano due commesse che si piazzano a mo’ di vedetta fuori dal negozio, mente altre due fanno scattare un “meccanismo segreto” (parete mobile, doppio fondo, ecc …) che sblocca l’accesso al retrobottega dove si trovano gli oggetti “proibiti”. Questo perché solo alcune note aziende hanno siglato accordi commerciali con il governo cinese per la protezione del brand, se l’accordo non c’è il tarocco viene venduto liberamente. Sono protetti ad esempio: Vuitton,Prada, Gucci, Rolex, Nike, ecc …. Sono “liberi”: Apple, Moncler, Ray-Ban, New Balance, ecc…
Non contenti (purtroppo di alcuni articoli mancano le ns. taglie) siamo pronti per il secondo round di acquisti che combattiamo sul ring del Fenshine market all’incrocio tra West Nanjing e Chengdu Road.
Questo centro non è facile da identificare. Se avete dubbi sulla direzione da seguire identificate turiste bianche e bionde, con enormi sacchetti di plastica neri e cercate di capire da dove arrivano. Nei sacchetti sono certamente occultate le Vuitton e la scia dei sacchetti neri conduce al Fengshine.
Una volta entrati in questo tempio del tarocco di 4 piani ne uscirete solo alla chiusura o quando non vi resterà in tasca più nulla….. E’ peggio di un Casinò! Occorre perciò portare solo gli Yuan che si sono messi in budget, altimenti si rischia il crak finanziario! Anche i soldi per il taxi sono da riporre in luogo sicuro, altimenti potrebbero trasformarsi nell’ennesimo paio di scarpe (che saranno consumate per ritornare a piedi all’hotel!!!)
Il tassista che ci carica fuori dal Fenshine market è allibito: con le borse riempiamo completamente l’abitacolo! Nemmeno Julia Roberts in pretti Woman aveva tanti sacchetti!
Il vero dramma è far stare tutto nello zaino per ritornare a casa.
Riusciamo a trovare spazio per ogni cosa recitando il mantra del vecchio amico CR: “Ci Sta! Ci Sta!!! Ci Sta! Ci Sta!!!”
Ed in effetti, compressi e sottovuoto, tutti gli articoli trovano il loro spazio in uno zaino che, partito di 12 Kg, torna di 24!!! Quasi non lo sollevo dal pavimento ….. (Domattina chiamerò il facchino, che inizialmente gentilissimo, cambierà immediatamente espressione assaggiato il peso del collo. Il suo sguardo inequivocabilmente significherà: “Ma vaffa….. !!!!”)
Per l’ultima sera e le foto notturne sul Bund sfoggio il mio nuovo abitino. Pessima scelta!
Sarà per i tempi lunghi di posa, sarà perché devo fare le foto anche con decine di cinesi, sarà che nel frattempo si è alzato un vento polare, sarà perché fuori dal ristorante diluvia e (come sempre) non abbiamo l’ombrello (e ci rifiutiamo di comprare il 4° della vacanza) e torniamo in hotel lavati …. che mi vengono un mal di gola dell’accidenti e la febbre!
Ma che vuoi che sia! Dopo aver disinfettato l’organismo con una cena a base di melanzane all’aglio, carne al peperoncino e stemperato il piccante con due litri di birra ….. il fisico è ora indistruttibile. Pronto per una doppia dose di tachipirina ed aspirina (ormai avremo sicuramente l’alito del puma e la corazzata tempra cinese. Mmh-Mmh!!!)
10 SETTEMBRE 2011
Last day!
Ci svegliamo entrambi di pessimo umore. 1 – E’ l’ultimo giorno di vacanza. 2 – Piove. 3 – Il nostro volo è in piena notte, quindi ci aspetta una due giorni di viaggio infinita.
Il solito Cappuccino di Costa ridà un po’ di gioia alla giornata che decidiamo di trascorrere a Pudong.
Appena fuori dal caffè si trova l’accesso al Sightseen Tunnel che porta a Pudomg. Segnalato come “luogo di interesse turistico” è la solita, costosa (50 RMB a persona!) pacchianata cinese.
Il tunnel è stato trasformato in un’attrazione tipo Gardaland: sala giochi, soffitto con acqua e pesci tropicali, scala mobile con luci e canto degli uccellini (ma cosa c’entra???) fino ad arrivare ad un carrello-uovo che sui binari vi fa attraversare i tunnel tra luci laser e suoni ….. Una c…. pazzesca! Meglio usare il metrò.
E io che pensavo fosse un tunnel pedonale!!!!!
Nel modernissimo e pulitissimo (Si può fare un esercizio: provate a gettare qualsiasi cosa per terra. In meno di 20’’ si materializza un ominospazzino a pulire!!!) quartiere di Pudong si cammina a testa in su (sarà per evitare che la gente pesti qualcosa che lo tengono così pulito?)
Uscendo dal tunnel si è dominati da grattacieli e marciapiedi pensili. Tutto molto bello, ma per attraversare una strada al posto che cento metri al centro della carreggiata si deve fare un giro su passerelle di due chilometri!
Caspita. E’ tutto preciso. Quasi mi sembra di non essere in Cina!
Non faccio in tempo a pensarlo che zac….. ecco la cinesata del giorno. Dopo il bambino tibetano dal pantalone “pronto cacca” ecco la bambina “pronto pipì”. Come funziona? Bhè …. Prendi una famigliola cinese a spasso il sabato pomeriggio sulle avveniristiche piattaforme pedonali di Pudong. Tutto bello, tutto preciso e … Ops! L’armonia è turbata da: “Mamm!! Pipì!!!!”. E cosa si fa qui? Niente bar dove trangugiare un espresso con il solo scopo di farsi dare la chiave, niente Mac o Spizzico, niente bagno (perché stona) se non a 3 km di passerelle ….. Quindi??? Con nonchalance la bimba viene spogliata (in mezzo a 2000 persone!!!) e posizionata sopra il buco di un tombino! E via! Micidiale!
Lasciate alle nostre spalle le bollicine della Pearl Tower eccoci alla base degli altri due grattacieli simbolo: SWFC Tower (il cavatappi!) e la Jinmao Tower (la bottiglia). Ma gli architetti di Pudong sono inconsapevolmente alcolisti?
Salire sulle piattaforme di osservazione di entrambe è costoso. In una giornata nuvolosa come oggi, poi, anche inutile. Sergio però insiste perciò, in un momento in cui le nubi paiono diradarsi, optiamo per la piattaforma della SWFC.
Anche qui, prima di arrivare in cima, cerimonia dell’orgoglio cinese per chi ce l’ha più lungo tra SH, NY, Tokio …. Ops! Intendevo alto. Chi ce l’ha più alto! Alla fine della proiezione (obbligatoria prima di salire in ascensore) il record spetta ovviamente alla Cina con tanto di applausi (registrati). Ok, dovrei intervenire ricordando che esiste nel mondo anche una città chiamata Dubai che ad oggi ce l’ha + lungo, ma …… lascio perdere. Forse se sto zitta è meglio!!! Mi devo ricordare dove sono.
Per salire al 97° piano ci impieghiamo pochi secondi. Scesi dall’ascensore siamo letteralmente sospesi sopra le nuvole, come fossimo su un aereo. Dalle nuvole spuntano solo i grattacieli più alti come candeline su panna montata. Carino!
Ci prendiamo un caffè al bar in attesa che le nubi si aprano ancora, ma non riusciamo mai a godere della bella vista a 360° sulla città, solo a sprazzi.
Nel pomeriggio pranzo (tardi) in Nanjing road, poi recuperato il pesante bagaglio in hotel ci facciamo accompagnare in taxi sino alla partenza del Maglev (troppo pesanti le valigie per le scale della metro ….) che proviamo più per curiosità che per necessità (il taxi insisteva per portarci direttamente all’aereoporto …. Ci sarebbe costato meno!).
Il treno sembra uscito da un film di fantascienza. Viaggia senza binari. Praticamente vola sospeso pochi centimetri sopra ad un enorme magnete. Quando si ferma si abbassa e tocca terra.
Peccato il tragitto duri solo pochi minuti. Si viaggia a 300 km/h e in curva il treno piega come le moto!!!
Per poter prendere il Maglev (ultima corsa alle 21.00) siamo in aereoporto con larghissimo anticipo sul nostro volo che sarà alle 2.30 del mattino.
Trascorriamo così le ultime ore nell’ormai consueto lounge bar con Wi-fi ed iniziamo a pregustare il ritorno a casa spendendo tutti gli ultimi RMB in …. Pizza!!!!
Conserviamo solo una banconota da 20….. la più bella ….. quella con l’immagine della Cina che più ci è stata cara ….. l’immagine di Yangshuo.
11 SETTEMBRE 2011
Shanghai – Mosca – Milano
Volo, fuso, scalo, bambini che strillano in aereo , a Mosca è inverno …..
La sera sono nel mio letto.
Sto già pensando al prossimo viaggio…… Forse la Patagonia. Sicuramente per un bel po’ niente oriente!