Tangeri, oggi e per sempre

Alla scoperta di una città tra i cui vicoli riecheggia ancora l'eco distinto e ribelle dei passi di centinaia di artisti
Scritto da: Emanuelitanordk
tangeri, oggi e per sempre
Partenza il: 14/08/2011
Ritorno il: 16/08/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Non troppo lontano da qui, esiste una città, affacciata in parte sull’Atlantico, in parte sul Mediterraneo, tra i cui vicoli riecheggia ancora l’eco distinto e ribelle dei passi di centinaia di artisti, intellettuali e poeti europei che in questo luogo e per gran parte del XX secolo, dimoravano, realizzavano i propri sogni, si incontravano nei numerosi Café o circoli culturali a discorrere di arti e contribuivano a creare l’atmosfera magica di cui Tangeri è tutt’ora intrisa.

Tale è la suggestione che ci coglie, impreparati e nel contempo affascinati, quando atterriamo all’aeroporto Ibn Battouta, in un caldo e immobile pomeriggio di metà agosto. Non vi sono particolari formalità doganali, ma è curioso notare che gran parte del personale addetto al controllo passaporti è costituita da donne; Usciamo e nel piazzale antistante l’aeroporto cerchiamo un taxi disposto a condurci sino all’hotel Rembrandt per pochi dirham. Un individuo in jeans e camicia color sabbia, probabilmente un autista, sta seduto all’ombra di una palma, sul ciglio di un marciapiede; siamo in pieno Ramadan e forse quella è l’ultima chance che gli rimane per riposarsi un poco e non disperdere ulteriori energie, visto che, suo malgrado, il tramonto è ancora lontano ed egli dovrà attendere ancora parecchie ore prima rifocillarsi con un buon pasto e una bevanda. Ci avviciniamo; lui ci vede e ci fa un cenno. Ci indica il suo taxi: una vecchia Meredes beige. Non esitiamo e concordiamo subito il prezzo. Una buona mezz’ora di folle corsa, schivando motorette antidiluviane e pedoni scalzi che non esitano a circolare nel bel mezzo della carreggiata, è quanto occorre per raggiungere l’hotel; Hotel Rembrandt, centrale, 3 Stelle. Non sarà il massimo della pulizia ma lo spirito di adattamento ha la meglio. Non può, e non deve, essere altrimenti in certi casi. Dispone inoltre di una bella piscina. Abbiamo con noi solo due zaini. Niente valigie da riempire, soltanto il cuore da colmare di emozioni e impressioni. Il sole è ancora alto in cielo, ma ora soffia una leggera brezza; il “chergui” solleva granelli di sabbia e ci invita a scendere verso il mare. Tangeri è una città “in forte pendenza”. Ci inoltriamo giù per un viottolo colmo di fiori viola (probabilmente “volubilis”, come li chiamano qui… nomenclatura floreale condivisa con un importante nucleo archeologico romano sito tra Fes e Meknes…ma questa è un’altra storia) e raggiungiamo il mare. Numerose imbarcazioni stanno rientrando al porto; altrettante ne salperanno da lì a poco per ricondurre in patria i turisti spagnoli che scelgono Tangeri per una breve visita. La luce del sole si riflette sul manto d’acqua; i bambini giocano a pallone, mentre le donne, rigorosamente con velo e djellabia, li osservano poco più in là. Stendiamo un improvvisato telo-mare e ci sediamo anche noi sulla sabbia rovente a contemplare lo spazio che si estende a perdita d’occhio dinnanzi a noi. La quiete non perdura, un paio di ragazzetti in calzoncini corti ci viene incontro, implorando qualche dirham “a sostegno della numerosa famiglia senza un soldo” ; che sia vero o no, facciamo comunque ciò che possiamo per accontentare quella richiesta. Dopotutto siamo ospiti e vogliamo creare un rapporto di fiducia col prossimo. Scambiamo due chiacchiere, in un melange di francese e spagnolo, ma l’insistenza si fa pesante e così li invitiamo a procedere verso altri turisti più benestanti di noi. Il tempo vola in certe situazioni e l’ora di cena si approssima. Rientriamo in albergo ma la cucina non propone nulla di sensazionale (cosa che farà invece il dì seguente, con una ricca offerta di tajines, cous cous vegetale, harira e olive) così ci accontentiamo di una pseudo pizzetta un poco abbrustolita e di un bicchiere d’acqua. Intanto cala anche la sera e le prime stelle appaiano in quel cielo sereno e limpido che volge verso la notte. La preghiera del tramonto segna l’interruzione del diguino e una lunga nottata di sollazzi si apre per Tangeri e il suo popolo.

La mattina seguente gli occhi si aprono su una giornata particolarmente calda; consumiamo una rapida colazione, qualche dolcetto marocchino e un caffé, e ci incamminiamo verso il Boulevard Pesteur, il viale più noto di Tangeri, con i suoi cannoni puntati verso la costa. Con l’arrivo della bella stagione e’ qui che ogni sera, ragazzi e meno giovani si ritrovano dopo inverni piovosi e umidi trascorsi rintanati nei café a fumare shisha.

E’ ancora presto. Alcuni uomini leggono un quotidiano al di fuori di un bar. E’ difficile trovarne aperti a quest’ora. Oltretutto il Ramadan scoraggia i più a farvi una puntatina. Diventa allora di primario interesse visitare la Medina; lasciamo il viale e seguiamo le indicazioni. Man mano che le forme architettoniche mutano le loro geometrie, e le strutture moderne cedono il passo a costruzioni meno recenti, giungiamo in prossimità di una terrazza dalla quale una vista superba si apre. Osserviamo il mare, piatto come una tavola, e il cielo sgombro da nubi. La luminosità, qui a Tangeri, è sorprendente: abbaglia come in pochi altri posti al mondo. Matisse avera ragione, allora, a voler optare per questo luogo per compiere esperimenti pittorici volti alla cattura della più sublime tra le luci. Mentre la mente vaga e lo sguardo si perde, ci vediamo raggiungere da un omino magro e baffuto, in djellabya biancha rigata di blu, che porta appesa alla veste un cartellino di riconoscimento. Si chiama Mohamed e lavora come guida turistica. Si propone di accompagnarci, scortandoci tra le vie della kashba; vogliamo credere all’autentiticità del sue badge, dopotutto ci serve una guida, qualcuno che ci consenta di conoscere la storia di questi luoghi, e che sia o meno riconosciuta dall’Ente poco ci importa. Non sbagliamo. Mohamed si rivela colto, preparato e per nulla invadente. Ci invita a seguirlo. E così facciamo.

In sua compagnia ci perdiamo tra le colorate abitazioni della medina, tra labirintici viuzze e vicoletti, tra antiche moschee, minareti e hammam tradizionali….giallo, azzurro, rosso, viola… una profusione di colori cattura lo sguardo; qui non è come a Fes o a Marrakeck; qui è il tono pastello a farla da padrone; anche l’atmosfera è molto più europea che altrove, in memoria dei tempi in cui gli inglesi serrarono la morsa sulla città, fino all’Indipendenza. (Tracce di questo passato sono riscontrabili nelle antiche case coloniche, dal gusto e dall’architettura inconfondibile, spesso riconvertirte di dimore estive di stilisti o uomini del jet-set contemporaneo). Vaghiamo per un paio d’ore, senza meta, semplicemente scambiano due parole e facendoci raccontare tutto ciò che ci è dato sapere.

Alcune donne appaiono fugacemente per poi riscomparire all’interno di buie botteghe: molto probabilmente sono venute a portare il pane al forno, affinché venga cotto, per poi deviare verso Il Socco, l’antico mercato dove tutt’ora è abitudine ritrovarsi per acquistare ingredienti da impiegare in cucina, mentre gli uomini si arrabattano vendendo cianfrusaglie di poco valore.

Il nostro amico-guida Mohamed ci conduce sino all’ipotetico luogo di sepoltura di Ibn Battouta, viaggiatore geografo del XIV Secolo. Non essendovi nulla di visitabile( solo un’insegna indica la presenza della tomba), Mohamed ci dirotta verso “la bottega di un suo amico”, scherzetto tattico e decisamente noto per condurre turisti in negozi di souvenir…. Il proprietario ci offre, come consuetudine, il thé alla menta, bollente; siccome ci fa anche un po’ pena, visto lo scarso numero di acquirenti interessati presenti in loco, decidiamo di acquistare un tappetino blu (nb , in finta seta), “ricamato dalle migliori maestranze di Tangeri “… è così che funziona, è questa la legge non scritta che regolamenta il rapporto tra noi, viggiatori e loro, commercianti locali. Ci siamo abituati e non sentiamo nemmeno più il peso della fregatura; stiamo, moderatamente, al gioco, senza eccessi. Ormai si è fatto mezzogiorno, il caldo si è fatto oramai opprimente e diventa indipensabile congedare il nostro amico, con una lauta mancia e rientrare in albergo per una breve siesta, comprensiva di pranzo e bagno rigenerante in piscina.

Nel tardo pomeriggio la tentazione di visitare il Socco, questa volta sprovvisti della guida, diventa irresistibile. Tangeri si presta molto ad essere visitata a piedi, gironzolando, incorciando gli sguardi della gente del posto, scambiando due chiacchiere con qualche anziano commerciante…. E così facciamo: il quartiere, raggiunto agevolmente in 15 minuti, è particolarmente animato. Uomini e donne affollano strade e marciapiedi: c’è chi vende “babouches”, “shisha”, copricapo e vesti che seguono la moda del luogo. Acquietare souvenirs è di rito. Qualche ristoratore attende, nel retro, il camion dei viveri… quantità immani di carne vengono scaricate dal mezzo, subito prese d’assalto dalle mosche. La visione non è piacevole ma si rende solo palese ciò che avviene comunque anche in altri posti al mondo, magari persino da noi, in locali insospettabili per igiene e pulizia. Più in là, al di fuori della Moschea, un personaggio bizzarro intona col megafono incomprensibili discorsi in arabo; attorno a lui si accalca in breve tempo un incredibile numero di persone; speriamo vivamente di non essere capitati nel bel mezzo di una protesta o di una rivolta popolare.

La strada del rientro verso l’Hotel prevede una sosta da “Madini”. Madini è una famosa profumeria, sita sul Boulevard Pasteur (e con una succursale anche nella kasbha), il cui nome compare in molte guide turistiche dedicate al Marocco, e per gli amanti del genere, è un passaggio obbligato. Essenze, olii, fragranze di ogni tipo, dalle tradizionali alle più moderne, sono stipate all’interno del negozio, accuratamente disposte in vetrine. La clientela europea qui residente ha contribuito a forgiarne il prestigio, rendendone noto il nome tra i connazionali vacanzieri, occasionali o abituali.

Sono le 19; tra pochi minuti il muezzin chiamerà alla preghiera, il digiuno verrà rotto nuovamente, e un’altra giornata volgerà, lentamente e inesorabilmente, al termine, così come la nostra breve visita giungerà al capolinea. Da una terrazza del centro ammiriamo il sole scomparire dietro l’orizzonte; i profumi dei tempi andati sembrano ora riempire le strade, un brivido ci fa sobbalzare, e ci sembra di avvertire un canto nostalgico che si leva dal mare, in lontananza. Ma forse non è suggestione, è solo la voce di tutti coloro che nei secoli hanno contribuito a fare di Tangeri quel prezioso gioiello incastonato tra terra e oceano e che si rende udibile ogni qualvolta ci riscopriamo in grado di riconoscerne anche noi il misterioso fascino.



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