Da Marrakech a Fès passando per il Sahara
Febbraio 2011
Il mio viaggio verso le terre del Marocco ha inizio sabato 26 febbraio, in una calda giornata invernale. Abbandonato il centro di Madrid, dove ho soggiornato per un giorno, con la comoda ed efficentissima metro raggiungo il Terminal 4 dell’aeroporto Barajas. Arrivato in aeroporto, raggiungo il piano superiore e dato un occhiata ai voli in partenza, mi sorge un dubbio: dov’è il mio volo per Marrakech? Non esiste, cosi come non esistono compagnie low cost ma solo voli di linea. Ecco, lo sapevo, la Ryanair ha sicuramente base nel Terminal 1-2-3. Come ho fatto a dimenticarmene? Pazienza, rifaccio il biglietto metro da due euro per fare due stazioni prima di essere al Terminal1. Con il mio pesante bagaglio m’ avvio al gate 28, distante una decina di minuti di cammino dall’ ingresso. Quanto è grande Barajas…Arrivato al gate mi svacco in attesa dell’ imbarco, che avverrà qualche ora più tardi. Mi levo scarpe ( mond dieu…), maglia e polo, fa un caldo assurdo e sto sudorando a dismisura! Quando finalmente giungono le hostess ed il gate apre, mi prende un colpo: controllano i bagagli a mano, le misure, onde evitare persone che abbiano con se sull’ aereo valige troppo spaziose o comunque fuori dalle misure consentite. Cavolo, il mio zaino è un baule, ha assunto forme stranissime per via del carico. Sono allarmato, inizio a togliere tutto il possibile dal suo interno, a spostare di qua, di la, indosso una maglia in più ( sono vestito come un esquimese, peccato per gli oltre 25 gradi che mi fanno sembrar ridicolo…). Alucni viaggiatori sono costretti a pagare una sovrattassa di 35 euro a causa delle dimensioni delle loro valige, davvero ‘esorbitanti’. Converso con un giovane belga, che sorride a veder le persone rimbalzate alla cassa. Io, invece, rido un poco meno… La giovane hostess passa accanto ad ognuno di noi, osserva il bagaglio a mano e poi, a seconda della sua impressione, lo misura con uno di quei terribili aggeggi in dotazione della Ryan. Quando s’avvicina il mio turno inizio a sudare freddo, dovrei essere al limite. Eccola, si avvicina: osserva il mio bagaglio, una veloce occhiatina per poi passare al setaccio dello zaino della ragazza alle mie spalle (vestita come se fosse su una spiaggia delle Maldive: al confronto pare prendiamo voli opposti…invece!). Sono salvo, e felicemente m’ imbarco prendendo posizione sull’ aereo, rigorosamente accanto al finestrino. Partiamo con qualche minuto di ritardo, dovuto a questa serie di controlli, e dopo circa tre ore di volo siamo nel cielo sopra la città marocchina di Marrakech. Prima di atterrare però l’ aviomobile compie tre giri sulla città. Probabilmente l’ aeroporto era sovraffollato, ed aver ritardato la partenza ha creato qualche problema di ‘traffico’. Atterro a Marrakech quando ormai sono le ore sette ed il sole sta lentamente scomparendo dietro l’ orrizonte, lasciando intravedere un bellissimo cielo. Mi avvio verso l’uscita ma prima devo ancora sottostare ai controlli di dogana, e dopo una ventina di minuti in coda ad attendere il mio turno, posso finalmente lasciare all’ addetto il mio passaporto e il piccolo questionario che si è obbligati di compilare. Meno di venti minuti d’ attesa e il visto d’ingresso viene posto sulle pagine del mio passaporto, aprendomi cosi le porte al Marocco!
Indice dei contenuti
…Marrakech tra magia e realtà…
L’aeroporto della città è piuttosto piccolo ed una volta all’aria aperta inizio a cercare di capire come muovermi. Al centro informazioni dell’ aeroporto una giovane m’ aveva informato che è attivo un servizio bus che collega il centro Marrakech all’aeroporto. Ma quando domando ad un addetto-taxi, mi sento rispondere: ‘no, nesun bus per Marrakech’. Lo mollo immediatamente, falso impostore. Raggiungo un giovane che come il sottoscritto ha un grande zaino sulle spalle. Tra viaggiatori ci si capisce, ci si aiuta, come in poche altre situazioni di vita. E infatti mi informa che a poco dovrebbe sopraggiungere un bus diretto a Djemaa el-Fna. Pochi istanti di attesa, ed ecco il bus arrivare e che per una modica cifra mi consegna al cuore pulsante di Marrakech, la piazza che ha saputo attirare gli sguardi e gli interessi di migliaia di persone a questo mondo, dai Beatles ai Rolling Stones. Le vie della città sono affollatissime, il traffico nelle strade è fuori da ogni norma e regola: macchine pre-guerra, motorini che sfrecciano ovunque, calessi e asini…è una festa, tutti sono diretti al cuore della città, in quella piazza che nel corso dei decenni ha saputo mantenere inalterato il suo fascino e il suo carisma. Il bus sosta davanti ai giardini Arset el Bikl e lentamente, mischiandomi alla folla, cammino verso Jemaa el Fna attirato dal rumore dei tamburi e dalla musica Gnaoua. La piazza è vestita a festa, migliaia di persone passeggiano avanti e indietro mentre auto e motorini sfrecciano a tutta velocità tra i passanti. Dove andare? Consulto la mappa della mia Lonely Planet, giusto per capire come osservare la cartina. Mi avvio verso la zona dove ha inizio il souk di Marrakech, sbagliano ovviamente direzione. Ritorno sui miei passi e intravisto il caffè Argana (diventato punto di riferimento nei giorni a venire) lentamente procedo verso il souk Laksour. Il mio albergo sorge a pochi minuti dal cuore di Jemaa el-Fna, nella medina di Marrakech, ma scovarlo in questo dedalo di viette è impresa assai difficile. Cammino e cammino, e quando mi risolvo a domandare informazioni ad un giovane che si appresta a chiudere la sua bottega, questi mi fa cenno di seguirlo. ‘E il negozio, lo lasci incostudito?’ mi verrebbe da domandarli… Seguo, titubante, questo omone grande e grosso in un labirinto di vicoli. Gira a destra gira a sinistra e poi ancora a sinistra. Viette silenziose, affascinanti, illuminate da una fioca luce che intriga anche l’ animo più fermo. Dopo qualche minuto di passo, ecco finalmente davanti a me la porta dell’ Equity Point. Che grazia! Saluto cortesemente questo giovane, che si è impegnato ad aiutarmi quando avrebbe potuto semplicemente indicarmi la via e poi lasciarmi nelle mani della fortuna. Svolte le pratiche di assegnazione della camera per la nottata, vengo a conoscenza che il giorno seguente avrà vita il tour che tanto desideravo (da come avevo avuto modo di vedere su internet): gole del Todra, del Dadès e deserto del Sahara, per una tre giorni all’insegna dell’ avventura.
L’albergo è di una bellezza unica: un piccolo riad con piscina al suo interno, dotato di tutti i confort possibili ed immaginabili. Sono più tranquillo e sereno, arrivare la notte in una città a me sconosciuta, con uno stile di vita completamente diverso da quello occidentale e senza una vera e propria mappa della città, mi aveva inquietato un poco. Ora che finalmente sono davanti al mio letto, a svuotare il pesante bagaglio, la mia apprensione svanisce. Pochi minuti e sono pronto ad immergermi nella musica di Djemaa el-Fna, a vivere con questa gente e in mezzo a loro, a mischiarmi tra la folla lasciandomi allietare da ogni particolare e curiosità. Vago a caso in questo dedalo di vicoli scuri e silenziosi, che portano la mente ad un lontano passato. Imbocco rue Mouassine, più affollata, che porta dritto al cuore pulsante di Marrakech. Mentre mi avvicino sempre più alla piazza, lungo la stradina il rumore dei tamburi si ode sempre più forte nell’ aria, mentre sono avvolto dai profumi che si levano da Djemaa el-Fna. E poi, d’improvviso, aprirsi davanti a me un grandissima festa, migliaia di persone che vanno avanti e indietro alla ricerca di qualche attrazione suggestiva, mentre gli occidentali osservano dall’alto dei caffè la folla rumorosa. Rimango per alcuni istanti sbigottito, come preso da un vortice che mi impedisce di muovermi, di comprendere la situazione. Sono abbagliato da tale visione. Djemaa el-Fna è musica, spettacoli, profumi: è sito patrimonio dell’Unesco. Mi lascio preda delle emozioni e dell’istinto, vago a caso nella grande piazza, m’aggrego alle mille persone che osservano lo spettacolo del momento, ora un concerto di musica gnaoua, ora una commedia, ora un incontro di boxe… e tutt’attorno, mille donne che sedute su seggiole rendono le mani di giovani donne opere d’ arte con i tatuaggi all’ hennè. Poi lentamente, avvolto da mille pensieri, come inebriato da mille emozioni, da questo mondo al primo impatto cosi distante dal mio, e forse sotto certi aspetti decisamente migliore, cammino verso il minareto della moschea Koutoubia, illuminato a giorno. Una breve visita e poi nuovamente mi lascio travolgere da Djemaa el-Fna, attratto dai mille profumi che s’innalzano dai mille chioschetti.
Devo ancora cenare, quale migliore occasione per assaggiare la cucina marocchina? Passeggio tra i mille ‘ristorantini’ all’ aria aperta della piazza, lasciandomi guidare dai mille odori di spezie. Mi siedo davanti ‘alla cucina’ di uno di questi (si tratta di quattro panche in legno poste ai bordi della tavola dove vengono preparati i piatti dati poi ai clienti), ansioso di gustare qualche prelibatezza locale. Non ho idea di come comportarmi e seguo i movimenti delle persone accanto a me. Mi viene servito il pane e poi un piatto fumante di carne, o almeno, credo. Qual tipo di carne mi venga servita non è dato sapere, ma in fondo non me ne può fregar meno, l’ importante è se è buono oppure no. E si, è buono! Potrebbe trattarsi di cervella di cammello come di testicoli di scimma, non m’ importa e (meglio) non voglio sapere. La carne è accompagnata da un bicchierino di thè, quella preziosa e buonissima bevanda che per i marocchini è paragonabile al nostro caffè. Sembra davvero un giorno di festa, un giorno speciale, invece a Djemaa el-Fna è sempre cosi, ogni giorno dell’ anno. Un giorno dove ballare e divertirsi, dimenticando il presente. Rinfrancato dall’ aver messo qualcosa nello stomaco, riprendo il passo, immergendomi nuovamente nella vita della piazza, lasciandomi guidare dalla curiosità dei miei occhi. Rapito dalla bontà del thè che mi era stato servito poco prima, decido di riscaldare il mio animo (e la mia pelle, visto il fresco della sera) con un altro bicchierino, ordinandolo ad uno dei mille chioschetti presenti sulla piazza. Il bicchiere in cui mi viene servito oltre ad essere bollente, è colmo. Ma non di thè, o per lo meno non è la bevanda che avevo consumato poco istanti prima. Ha un sapore molto forte, è una bevanda speziata e a mio avviso alcolica, poichè pochi istanti e mi sento la testa spersa nel vuoto. Bevo fino all’ ultima goccia, è buonissima! Riprendo il passo per un altro giretto, osservando tutto quello che mi circonda, incuriosito da ogni cosa. Prima di andare a dormire mi concedo ancora un caffè al bar Argana, dall’alto della terrazza dalla quale si gode di una bellissima vista su Djemaa el-Fna. E poi, nuovamente in mezzo alla folla. Sono abbastanza infreddolito, il vento spira frescolino. Non pensavo di avvertire la sensazione del freddo in Marocco. Non immaginavo ovviamente che l’aria della sera fosse calda come al pomeriggio, ma neanche pensavo vi fossero dieci gradi. Ed invece, come ho avuto modo di constatare nei giorni a venire, l’escursione termica è molto elevata, con giornate molto calde e notti molto fredde. Come dicono da queste parti, il Marocco è una terra fredda con un sole caldo. Quando sono ormai le ore 23 decido di tornare in camera, ma mi assale un dubbio: riuscirò a non perdermi nella medina e a scovare il mio albergo? Ricordo solo che quando avevo svoltato dal vicoletto in rue Mouassine vi era un auto parcheggiata: prego che quell’auto non si sia mossa di li, altrimenti addio punti di riferimento! Ma la grazia di dio vuole che l’ autovettura sia ancora parcheggiata nello stesso punto del pomeriggio. Mi inoltro nel vicolo silenzioso e buio, con mille speranze. Inizialmente provo inquietudine a camminare nella medina di Marrakech (come di qualsiasi altra città marocchina) dove i passi risuonano tra le alte mura, dove la luce fioca e i mille vicoli che si diramano a ragnatela portano a sentirsi perduti dentro un labirinto. Ma poi subentra in me il sapore del magico, quella sensazione di essere e sentirsi in un luogo fantastico, dove la paura non esiste, dove tutto sembra creato ad arte, nei minimi particolari, per regalare emozioni gratuite ai passanti. Ed è cosi, per caso, che riesco a ritrovare la porta del mio albergo! Stanchissimo, dedico ancora del tempo ad una veloce lettura dei fatti quotidiani sul web, e successivamente alla stesura del mio piccolo diario di viaggio. Quando ormai è mezzanotte passata, torno in camera per un meritato riposo, visto che il giorno a venire inizierà prestissimo.
tour nel deserto
La mattina seguente mi sveglio quando ancora il sole deve sorgere. Preparo i miei bagagli e mi avvio alla reception, dove devo presentarmi entro le sei per iniziare il tour che mi porterà fino alle soglie del deserto. Attendo nella sala comune l’arrivo di una persona non ben identificata, come mi viene detto dal giovane titolare. Arrivano altri due ragazzi, che a quanto pare si aggregheranno a me. Dopo una ventina di minuti in attesa sopraggiunge un giovane molto alto, magro, che prende in consegna noi tre giovani turisti ed una volta in rue Mouassine, si dilegua con il suo motorino dandoci appuntamento al caffe Argana dieci minuti dopo. Non poniamo domande e iniziamo a percorrere la strada fino a giungere al bar, dove però della nostra guida non vi è traccia. Chiacchero con questi due giovani americani di Washington DC (perbacco!) e nel mentre faccio mia una bottiglia di acqua in uno dei chioschetti sulla piazza, rimanengo ‘fregato’ di qualche centesimo: pazienza. Djemaa el-Fna rispetto alla sera è tutt’ altra cosa: la piazza sembra molto più vasta, le bancarelle-ristoranti sono magicamente sparite, poche persone (ma in compenso molte più auto e motorini) si aggirano confusamente. Ma nonostante l’ora, in fondo sono solo le sette e venti di mattina, la piazza è viva. Dopo qualche minuto sopraggiunge il giovane marocchino, dividendo le strade di noi giovani turisti. I due americani parteciperanno al tour della durata di due giorni, mentre io mi aggrego ai partecipanti del ‘vaggio’ con durata tre giorni. Il giovane mi fa salire sul suo motorino e tra una macchina e l’ altra arriviamo dall’ altra parte della piazza dove un furgoncino attende a motore acceso. Salgo sul mezzo dove faccio conoscenza con i miei compagni di viaggio per i prossimi tre giorni: una giovane coppia brasiliana, tre indonesiani, due ragazze tedesche, una coppia di mezza età olandesi (ma di origini marocchine ), una coppia di sposini portoghesi ed un giovane inglese. Direi che siamo un gruppo molto disparato, proveniente dai quattro angoli di questo mondo…Alla guida lui, un personaggio unico e simpaticissimo, che con un misto di francese-inglese-arabo ci accompagna nelle lande marocchine. Partiamo a gran velocità lungo le strade di Marrakech, la meta della giornata è la valle del Todra, dove passeremo la nostra prima nottata lontano da Marrakech. Abbandoniamo il centro città, il caos e il traffico per subentrare nel territorio arido che circonda l’ anitca città imperiale.
Per le strade di Marrakech la vita è già iniziata, nonostante sia domenica mattina e sia ancora molto presto, neanche le ore otto. Lungo le strade moltissimi bambini giocano a pallone, in piccoli campi da calcio improvvisati. Un rituale che mi accompagnerà in questo viaggio nelle terre del Marocco: una terra di piccoli e grandi calciatori. E poi una palestra all’aperto, dove centinaia di persone seguono il ritmo del maestro, e poi ancora gente che corre, gente seduta all’ ombra degli alberi… insomma, una città viva con non mai. Pochi istanti di strada e rimango impietrito nel notare quanti campi da golf siano presenti alle porte di Marrakech, prati verdissimi in mezzo ad un territorio arido. Milioni di litri cubi di acqua sprecati per la ricchezza di ottusi occidentali, che neppure in Marocco riescono a far a meno di una mazza e pallina. Mentre al di fuori la gente fa salti mortali per riuscire a bagnare il loro orto. Che vergogna e che rabbia… Man mano che il tempo passa, la strada lentamente sale verso le prime colline, dove il nostro autista spesso si sofferma a darci la possibilità di ammirare panorami mozzafiato. La strada N9 che da Marrakech arriva a Ouarzazate attraversa le montagne dell’Alto Atlante passando da Tizi-n-Tichka, il più alto passo marocchino, a 2.260 metri di altezza. Da Marrakech si attraversa la pianura Hauoz per cominciare ad arrampicarsi per i boschi fino a raggiungere Taddert, l’ultimo villaggio prima del passo del Tichka. Da Tizi-n-Tichka la strada, originariamente una strada militare, è un susseguirsi di tornanti e panorami spettacolari fino a trasformarsi in un paesaggio desertico nei pressi della Valle del Draa e di Ouarzazade. I colori di questa strada sono assolutamente unici, il verde degli alberi e il rosso della terra sono uno spettacolo piacevolissimo per i miei occhi. Prima di giungere al Tizi-n-Tichka, sostiamo in un piccolo bar a fare colazione, dove da una terrazza panoramica si gode di uno spettacolo magnifico verso la valle dove s’ intravede, in lontananza, Marrakech.
Durante il tragitto che ci porta a Ouarzazate il nostro autista sosta molte volte, lasciandoci godere per alcuni istanti paesaggi di unica bellezza. Durante queste soste molti bambini del posto, vedendo sopraggiungere turisti, ci raggiungono velocemente nella speranza di avere in dono qualche spicciolo, o semplicemente per vendere qualche piccola pietra colorata. Mai insistenti, anzi, sono educatissimi. Inizio a capire in quali condizioni vive la gente del Marocco, quella dei piccoli centri, delle montagne. Spesso mi vergogno d’ avere con me attrezzature per migliaia di euro, quando a questi bambini gli si apre il cielo, con il loro sorriso, con poche monetine. Ma è il mondo, questo mondo ingiusto di cui io faccio parte. Attraversiamo la vetta senza però fermarci, senza quella foto di rito che mi avrebbe fatto piacere portare con me a fine del viaggio. Ma in fondo posso ritenermi fortunato: in questo periodo il Tizi-n-Tichka avrebbe potuto essere chiuso per neve, invece un bel sole caldo riscalda la nostra pelle. Attraversare l’ Atlante è stata un emozione unica, con i suoi panorami incredibili, con questi scenari che lasciano me ed i miei compari senza fiato. Sembra di essere sospesi nel vento quando ammiriamo la serie di tornanti che laggiù, sotto di noi, squarciano la valle permettendo l’attraversamento dei mezzi. Quasi duecentochilometri di montagna, in un sali e scendi ricco di sorprese, mille curve e tornanti che mettono a rischio il nostro stomaco anche per via della guida spericolata (ma molto sicura di se), del nostro autista. Pochi chilometri prima di arrivare a Ouarzazate, dalla N9 si dirama una piccola stradina che pochi chilometri più avanti apre alla vista di uno dei paesaggi più belli e magici che siamo andati incontro a questa avventura: Ait Ben Haddou.
Ci soffermiamo un chilometro prima di arrivare al paese, in un piazzale dove da lontano si può ammirare l’ antica città in tutta la sua bellezza, in tutto il suo splendore. Qual vista piacevole! Mentre osservo la cittadina mi imbatto in un signore anziano con un paio di serpenti gialli e verdi al collo che minacciosamente si avvicina a noi. Le sue intenzioni sono buone, si offre solo da fare come sfondo a qualche nostra foto. Accetto di buon grado, ma a patto che queste bestioline lungo un paio di metri stiano a debita distanza da me. Voleva prendessi in mano questi serpenti colorati… ma scherziamo? D’accordo che per queste popolazioni i serpenti sono usuali come per noi occidentali i cani, ma a me fanno senso ste cose lunghe e piatte! E’ ormai mezzogiorno passato e d’ accordo con l’ autista, prima di passare alla scoperta di Ait BenHaddou, pranziamo in un piccolo locale, seduti comodamente nel dehors che però viene messo sottosopra dal forte vento. Vado in totale confusione: ordino un tajine ed una zuppa, ma quando il cameriere arriva con le portate, prendo tutt’ altro. Ottimo! Con poco pranziamo ottimamente ma le due tedesche figlie dei fiori iniziano a brontolare… troppe spese, si spende troppo! Vero, cinque euro per un pasto sono roba da paperoni! Mah… Dopo un oretta, riposati e soprattutto sazi, partiamo alla scoperta di questa fantastica cittadina. Grande è il fascino di questa straordinaria costruzione di fango e argilla. E’ una felicità poter ammirare uno degli esempi mirabili di Kasbah fortificata, tanto magnifica da essere stata ultilizzata come set cinematografico più volte (In tempi più recenti segnaliamo “Il Gladiatore” (2000), diretto da Ridley Scott, e “Alexander” (2004), opera di Oliver Stone) e da essere inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco fin dal 1987.
Lo scenario è sicuramente uno dei più spettacolari dell’Atlante marocchino, un fiume ghiaioso (al momento in secca ) separa il parcheggio da questo complesso di case fortificate del colore del fango che s’addossano come fossero un grande presepe in modo confuso, ma spettacolare, sulla collina. Tecnicamente, Ait Benhaddou è un ksar, un raggruppamento di kasbas collettive (case famiglia), di altri edifici e zone comuni all’interno di mura difensive. Le mura sono rafforzate da torri angolari, ciascune con mattoni di fango ed elaborate decorazioni a zig-zag a forma di porta. Gli edifici all’interno comprendono una moschea, piccoli castelli, case modeste, stalle, granai e silos. Tutti sono collegati da un dedalo di tortuose e strette stradine. Attraversato l’alveo del fiume, siamo alle porte della piccola kasbah, quando le due ragazze tedesche si arrestano. Ma che succede? Non riesco a capire… e poi le vedo lentamente tornare indietro, mentre noi tutti restiamo immobili ad attendere…cosa? L’avvento del Messia? Improbabile. Chiedo al ragazzo inglese cosa sta succedendo, e mi spiega che…che le due ragazze sono andate dall’autista per informarsi se l’ ingresso alla ksar dovevamo pagarlo di tasca nostra o era compreso nel viaggio. Quanto costerà l’ ingresso in euro? Dieci, venti, quanto? Esattamente 10Dh, ovvero 90 centesimi. Non capisco, davvero…si sorbiscono un chilometro andare e uno a tornare, sotto il sole cocente, per novanta centesimi? Ma porca miseria…vabbè, cavoli loro in fondo. Io entro, e a ruota mi seguono tutti gli altri ragazzi. Vado un poco a caso in queste viuzze, dove ognuno di noi passeggia per proprio conto. E’ impressionante Ait BenHaddou, un dedalo di vicoli che salgono verso la collina anche se il più delle volte è facile sbagliarsi e finire in qualche cortile, qualche casa, qualche stradina senza uscita. Ed in questa piccola kasbah ancora vi vive qualcuno, con le sue caprette e asinelli, nella più totale pace del mondo. Solo mi domando come possano queste persone, per la maggior parte anziani, sopportare noi turisti, alcuni dei quali invadenti e maleducati che pur di vedere l’ interno di una casa sarebbero in grado di sparare al padrone. Dopo essermi perso arrampicandomi per un numero imprecisasato di stradine, scorgo la giusta via che porta alla vetta della collina sulla quale è arroccata Ait BenHaddou. Un vento fortissimo mi impedisce il passo, ma non demordo e raggiungo il punto più alto da dove la vista sulla valle circostante ripaga ampiamente la fatica. Qual posto stupendo! Qual magnifica vista si apre dinanzi i miei occhi! Dall’alto osservo la vita che circonda la kasbah, dal fiume in secca il cui letto si perde all’ orizzonte al piccolo borgo di case adagiato sulle sponde del fiume fino alle alte montagne dell’ Atlante, laggiù, proprio da dove siamo arrivati noi. Ridiscendo le viuzze della kasbah, esco dal sito e passeggio oltre le mura in modo da avere una prospettiva diversa di Ait BenHaddou. Scolpisco nella mia mente queste immagini, questi istanti, questo posto che mi ha regalato emozioni a non finire. Mentre mi appresto a scattare la milionesima fotografia, mi accorgo di essere rimasto indietro: sono l’ultimo del gruppo ancora qui. A passo veloce mi avvio verso il furgoncino, parcheggiato lungo la strada a meno di cinque minuti di cammino. Prima faccio ancora alcune compere nei negozietti lungo la via e quando giungo ai bordi della strada scorgo l’ autista sventolare le mani al vento: bene, sono salvo, non sono partiti senza di me! Il furgoncino riparte a tutta birra giungendo alle porte di Ouarzazate poco dopo. Sono alquanto stupito nel vedere il lungo e grande viale che porta nel centro città adornato da mille lampioni. Qual senso ha illuminare per un paio di chilometri una strada in mezzo al nulla, dove non c’è nulla, dove passano si e no dieci auto l’ora? Da quando il presidente del Marocco ha fatto visita, si è voluto abbellire di un poco Ouarzazate…forse esagerando. Arrivati alle porte della città, la strada si divide: una porta nel cuore di Ouarzazate, mentre l’altra, quella che imbocchiamo, si dirige verso la circonvallazione aggirarando il centro cittadino.
Oltrepassiamo i famosi studios dove sono stati girati molti film di fama internazionale. La strada che da Ouarzazate porta alla valle del Dadès è piuttosto anonima fin quando giungiamo nella valle delle rose, dove gli sforzi del popolo nel coltivarle, vengono premiati ogni anno con un’abbondante e miracolosa fioritura che delinea il contrasto color porpora con campi verdi di grano ed orzo. I petali vengono raccolti con pazienza, portati nei cortili delle casbah e lasciati asciugare lontani dai raggi di sole, nell’ombra dei cannicciati, prima che vengano pesati, insaccati e spediti nelle distillerie di El Kelaa. L’acqua di rose, oli ed essenze profumate sono l’orgoglio di questa valle, parte della tradizione secolare e motivo della Festa delle rose nel mese di maggio. E noi siamo a febbraio… Sostiamo per un caffè lungo la via, giusto il tempo per sgranchire un poco le gambe e poi ripartire per la valle del Dadès. Da Boulemane Dadès, la strada inizia ad arrampicarsi verso la montagna regalando alla nostra vista panorami suggestivi che neanche una mente fantasiosa saprebbe far di meglio. Sostiamo mille volte lungo la strada per la fortuna della nostre macchine fotografiche e poco prima di arrivare all’albergo dove trascorreremo la nottata, ci imbattiamo in un corteo di uomini e donne che camminano sulla via senza apparente motivo. Non urlano, non inneggiano a nulla, non hanno cartelli… insomma, non manifestano. Semplicemente camminano, silenziosi. Ma perchè? Non comprendo, ma quando dopo diversi minuti in coda oltrepassiamo il gruppo di persone a suon di clacson, mi sembra di capire si stia celebrando un matrimonio, o un rituale pre nozze. Come detto, a capo una giovane donna in abiti tradizionali…ma se continuano a camminare per ore, finiscono in Algeria… Ancora un ora di tortuosa strada e finalmente siamo in albergo, quando ormai la notte è calata sulla valle del Dades. Appena scendo dal furgoncino vengo avvolto da un aria gelida, freddissima. Sbrighiamo le formalità di assegnazione della stanza ed io sarò in compagnia del giovane inglese. Sistemo i bagagli in camera, mi riposo qualche minuto e poi vado in perlustrazione dell’ albergo. E molto molto bello, ben curato, vi è una terrazza panoramica da cui si gode di una vista fantastica sulla gola. A cena sediamo tutti insieme al grande tavolo nella sala al piano terra, discorrendo del più e del meno. Mangiamo ottimamente, anche se a fine pasto, dopo essermi spostato in altra sala a scrivere i miei appunti di viaggio, vedo servirmi il conto dal cameriere: ma non era inclusa la cena? Si, cena si, la bottiglia di acqua e il caffè no…e vabbè… Una volta nel mio lettino mi copro con due pesantissime coperte: posso finalmente spegnere la luce per un meritatissimo riposo!
Lunedì 28 febbraio
Il giorno seguente la sveglia suona nuovamente molto presto. Alle sei e mezza sono già vestito e pronto a partire, dopo una notte passata nuovamente insonne (la paura di essere abbandonato fa brutti scherzi…). Faccio velocemente colazione e dopo aver comprato qualche biscotto al negozietto a fianco l’albergo, ripartiamo per la nostra seconda giornata in tour. Ma anzichè proseguire per la valle del Dades, torniamo indietro in direzione Boulemane Dades. Io pensavo di percorrere tutta la strada della vallata fino a ricongiungerci con la gola del Todra e di qui proseguire per il Sahara. Ma probabilmente, come riportato sulla guida, la strada che congiunge le due gole si può percorrere solo con fuoristrada. Giunti a Boulemane, sostiamo per una visita ai campi di raccolta. La nostra guida al territorio è un giovane ragazzo che spiega in diverse lingue (parla inglese, portoghese, italiano e sicuramente francese…non male!) il metodo di coltivazione della terra, il vario tipo di vegetazione, le modalità di irrigazione… Camminiamo dietro a lui, in una interminabile fila indiana. Accompagnano la nostra visita dei bambini, sperando nella clemenza di noi uomini ‘ricchi’. Invano (che vergogna, sono ancora deluso del mio comportamento ora…vergogna). Terminata la visita ci avviamo verso la piccola medina fino a giungere all’ abitazione di un signore di mezza età. Seduti a terra su comodi cuscini, ci viene mostrato il metodo di lavorazione della lana e come vengono fabbricati i famosi tappeti marocchini, il tutto sorseggiando il solito, ottimo thè, offerto dal padrone di casa. Prima di terminare la visita saliamo al piano superiore dell’ abitazione, dove prende atto una vendita in diretta di tappeti di ogni tipo, genere e dimensione. Come è ovvio che sia, nessuno di noi compra nulla (dove li possiamo mettere? Le nostre valige sono ricolme, come metterli sull’ aereo?). Salutiamo cortesemente e raggiungiamo il nostro autista che è poco più avanti ad attendere il nostro arrivo.
Ripartiamo come sempre a tutta velocità, inoltrandoci nelle Gorges du Todra. La vallata è molto suggestiva, panorami di incredibile bellezza si aprono davanti a noi. E’ una giornata magnifica, la temperatura ottimale.. meglio è difficile chiedere. Attraversiamo la valle che porta alla gola mentre tutt’attorno a noi centinaia di bambini tornano alle loro case in bicicletta, con le loro cartelle enormi sulle spalle. Mi domando ancora oggi come il nostro autista sia riuscito a non schiacciarne un paio… Che guida, mammamia! Lungo la strada i campi da calcio improvvisati non si contano: giovani e meno giovani a rincorrere il pallone, a ridere, a scherzare. E’ incredibile quanto il pallone, il calcio, sia radicato in questo paese. Ad ogni chilometro percorso, un campo da calcio. E’ impressionante vedere due porte in mezzo al nulla, ad un territorio lunare, in mezzo al deserto. Arriviamo alle gole del Todra nel tardo pomeriggio. All’ imbocco del canyon continuiamo a piedi mentre l’autista ci aspetterà poco più avanti. Ci avviamo lungo la strada dove si apre una delle gole più famose e belle del Marocco, dove le altissime pareti rocciose nascondono i raggi del sole e dove a fianco scorre un ruscello dall’acqua limpidissima mentre noi, lentamente, raggiungiamo poco più avanti il furgoncino. La nostra avventura nella gola del Todra può dirsi conclusa, e siamo pronti a ripartire per raggiungere quel deserto che mille volte ho sognato: il Sahara.
Ripercorriamo la gola prima di affrontare enormi distese lunari, dove la vista si perde nel vuoto, dove non vi è nulla, niente, nessuno. Un territorio piatto, arido. Ma prima di arrivare a Merzouga dobbiamo mettere qualcosa nel nostro pancino, altrimenti arrivare fino a sera diventa impresa difficile. Sostiamo in uno dei soliti locali convenzionati con l’autista, ma quando prendiamo visione del menù le due figlie dei fiori storcono il naso: troppo caro a loro dire. Effettivamente cinque euro per pranzare bevande incluse, è troppo! Io prendo tempo: aspetto di vedere le intenzioni degli altri ragazzi, non voglio restare solo a mangiare, sarebbe tristissimo! Nel frattempo le due tedesche e l’inglese si allontanano dirigendosi in un locale poco distante. Al fine di non separarci, due di qua tre di la uno laggiù, raggiungiamo tutti insieme le ragazze e sediamo al tavolo di questo piccolo localino. Il proprietario va in totale panico: mai in vita sua, credo, ha avuto tanti clienti in una volta sola. Dopo qualche minuto, seduti al tavolino ai bordi della strada, notiamo un giovane arrivare con una borsa piena di pane. Cerchiamo di ordinare il pranzo, ma la discussione è tipica -nessuno capisce nessuno-. Il titolare è gentilissimo, vorrebbe addirittura mostrarci la cucina: meglio evitare. Una giovane donna con il bimbo appollaiato sulla schiena corre avanti e indietro, cucina e orto, orto e cucina. Mai verdura più genuina e fresca mi è stata servita, come dire, dal produttore al consumatore in meno di due metri. Ma per la carne… già, per la carne? Il lovale e la cucina sono sprovvisti di frigorifero, di un congelatore, quindi… quindi dove la prende la carne? mi spiace per quella povera bestiola che improvvisamente, per colpa di undici persone, sia finita sotto il coltello del proprietario…meglio non pensarci! Dobbiamo attendere una mezz’ora prima di mangiare, i piatti vengono preparati uno ad uno. Ma l’attesa non è vana, mangiamo ottimamente pagando una cifra ridicola. L’unico problema è che l’autista non la prende bene e si arrabbia molto con le due giovani tedesche… ha ragione. Eravamo d’accordo che la sosta sarebbe durata non più di un’ora, altrimenti sarebbero potute sorgere complicazioni lungo il viaggio. Continua a ripetere ‘one hour is one hour’. Mille volte, mentre io ridacchio…
L’autista inizia a discutere animatamente con le due figlie dei fiori, e quando noi siamo già seduti sul mezzo, osservo la ragazza brasiliana ancora al tavolo come se nulla fosse, mangiando tranquillamente… Mi domando: avrà compreso la situazione o semplicemente se ne fregava pensando con tutta calma al suo pranzo? L’autista riparte sgommando e borbottando sotto i suoi baffi, esattamente con una ventina di minuti di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Ma perché pochi minuti sono cosi importanti per la nostra guida? Penso e ripenso. Ma è facile: trovarsi nel deserto una volta che il sole è calato, vuol dire andare incontro a molte difficoltà quali il vento, che potrebbe rendere quasi impossibile proseguire e al freddo, dato che appena il sole scompare la temperatura scende vertiginosamente. Ecco spiegato perchè i minuti sono importantissimi. Ci sono meccanismi che noi europei non possiamo comprendere e stoltamente non vi prestiamo importanza, pensando di sapere tutto sempre e comunque. Comprendo l’autista aver pienamente ragione mentre noi poveri imbecilli, dall’ alto della nostra effimera superiorità, abbiamo completamente sbagliato atteggiamento. Sono il primo a voler risparmiare, a non spendere soldi inutilmente, ma se ragiono, risparmiare 1euro e80cent su di un pranzo da cinque, è davvero follia, o meglio, ignoranza. Le tedesche non si smentiranno mai durante tutto il viaggio, la loro stupidità è più grande dell’ intero deserto del Sahara. Dopo alcune ore di strada in lande desolate, un paesaggio privo di forme di vita, intravedo in lontananza dal mio finestrino le dune del Sahara. Che emozione cavolo… che emozione! Terra color rosso fuoco che s’innalza da questa pianura arida, quasi a toccare il cielo azzurro. Non vedo l’ora di arrivare, di affondare le mie mani nella sabbia bollente, in quei colori. Emozioni sempre più forti.
Dalla strada che porta a Merzouga, cittadina un paio di chilometri davanti a noi, l’autista abbandona la strada asfaltata per raggiungere il resort da dove avrà inizio la nostra avventura nel deserto. Dopo ore e ore di viaggio, siamo alle porte del Sahara. Quanta fatica, un viaggio lungo ed estenuante… ma ne è valsa la pena! Scendiamo dal furgoncino mentre sopraggiungono i ragazzi che ci faranno da guida nel deserto fino all’accampamento berbero. Prendo con me lo zaino e le due tedesche… vabbè, lasciamo perdere! L’autista è sempre più contrariato nel vedere il comportamento di queste due giovani… e come dar lui torto? Dobbiamo partire, subito. Dobbiamo evitare che il sole cali prima di essere arrivati all’ accampamento. Una volta oltrepassato le porte del resort, davanti a me si apre la vista sul Sahara: un brivido lungo una vita mi accarezza… Rimango impietrito per alcuni istanti di fronte a questo spettacolo, a queste dune di un color magico. Ma il tempo stringe sempre più ed io devo tornare alla realtà. Sono il primo a balzare in groppa al cammello… mammamia che bestiola pelosa! Siamo divisi in tre gruppi, ciascuno guidato a piedi dall’ uomo berbero. Partiamo immediatamente, è meglio non perdere altro tempo. La ‘passeggiata’ in cammello è molto divertente, anche se vi sono cose nella vita decisamente più comode. Su e giù per le dune, un mondo affascinante, un mondo di sola sabbia dove il vento scolpisce e modella opere d’ arte. Un mondo dove tutto attorno a noi, a perdita d’ occhio, è incredibilmente uguale, ma anche cosi terribilmente diverso. Un mondo a parte, incredibile, unico… questo è il deserto. Rosso fuoco, color oro, giallo tenue…la sabbia sembra mutar colore ad ogni istante, regalando alla mia vista immagini fantastiche. Mi è difficile comprendere come queste persone guidano la truppa nel deserto senza nessun punto di riferimento, senza bussola, senza nulla se non il loro istinto e senza mai perdersi. E così trascorre il tempo, un paio di ore, in sella a queste bestiole simpatiche tra continui sobbalzi. Il sole sta calando, la temperatura anche. Se al momento della partenza avvertivo un gran caldo, con il passar delle ore la temperatura scende vertiginosamente, mentre io inizio ad avvertire brividi. All’improvviso i berberi arrestano il passo, e a gesti ci fanno intendere di scendere dal quadrupede. Se vogliamo ammirare il tramonto ci conviene continuare a piedi fino alla sommità della duna poco distante. E di corsa, senza esitare e senza aspettare nessuno del mie amici, mi involo nella distesa sabbiosa ‘scalando’ la duna, dove pochi minuti dopo ne conquisto la vetta. Davanti a me uno spettacolo sensazionale: colline di sabbia, magistralmente modellate dal vento. E laggiù, all’orrizonte, il sole, che lentamente sta abbandonando questa magnifica scena. Pian piano giungono in vetta tutti i ragazzi, estasiati da questo incredibile spettacolo.
Nel silenzio più assoluto ammiriamo il tramonto, a questo sole color rosso fuoco che lentamente scompare dietro le dune di sabbia. Un silenzio irreale mi avvolge, si percepisce solo il vento che a tratti s’infrange sul mio viso. Rimarrei ore, giorni, mesi in questo silenzio, ad ammirare questo spettacolo gratuito che la natura mi offre. Per ultimo abbandono la vetta, prima di raggiungere gli altri ragazzi che nel frattempo si sono avviati verso l’accampamento, a una decina di minuti di passo. Il complesso di tende sorge ai piedi di un altrissima duna, che ha la funzione di far da paravento durante la notte. Posiamo i nostri zaini nelle tende, e a me tocca condividere la notte assieme agli sposini brasiliani. Con l’arrivo della sera la giornata si fa sempre più fredda, spira un aria gelida. Sediamo attorno ai tavoli a discorrere in attesa della cena, mentre cortesemente ci viene offerto un bicchierino del solito ottimo thè marocchino. Il buio si impossessa velocemente di questo giorno mentre al campo giungono altre persone, altri turisti. Dopo un’ora passata a chiaccherare viene servita cena: era l’ora! Un piatto grandissimo di cous cous, fumante! Mi avvento con il cucchiaio quasi fosse un mese di sciopero della fame, ma non ho lontanamente immaginato che la pietanza potesse essere bollente. Ormai è troppo tardi: la mia bocca è ustionata, qual dolore santo Dio! Mi agito vivamente ed il brasiliano, accanto a me, si accorge del misfatto e velocemente mi porge la bottiglia d’acqua. Me la cavo con una scottatura che avverto per i prossimi 3-4 giorni… che dolore! La serata trascorre ottimamente, mangiamo fino ad esser sazi mentre sopra noi un cielo stellato avvolge i nostri pensieri. Già, questo cielo stellato: ora capisco perchè si parla di miliardi di stelle nel firmamento. Alzo lo sguardo, la via lattea illumina questa nottata, una coperta di stelle vigila su di noi. Abbandono l’accampamento e mi avventuro nel buio del deserto per ammirare ancor meglio questo incredibile spettacolo. Vorrei trascorrere la nottata sulle dune, con gli occhi costantemente rivolti al cielo, addormentandomi sotto queste stelle che illuminano la mia vita. E passare una notte unica, cosi come unica era stata la notte sulle dune nel deserto del Wadi Rum in Giordania. Ma il vento gelido rende impossibile l’impresa, ahimè. Mille pensieri, mille sogni, una vita sola, lunga, bellissima, magnifica. Faccio ritorno al campo quando in lontananza avverto la musica berbera rompere il silenzio del deserto. E’ stato acceso un piccolo falò che riscalda per brevi istanti la nostra pelle semicongelata, mentre battiamo le mani al ritmo della musica. Che serata indimenticabile… peccato esser soli in questo paradiso, in questa realtà che supera la fantasia. Il freddo mette a dura prova le nostre forze, e stremati da una giornata lunghissima ci rintaniamo nelle tende. Mi avvolgo di mille coperte, pesantissime coperte, che incredibilmente mi tengono al calduccio per l’ intera nottata. Ed in pochi istanti, m’addormento felicemente. D’improvviso, nel cuore della notte, avverto il suono del bongobongo rimbombare nel silenzio: terremoto, va a fuoco l’accampamento o tsunami? Ma no, semplicemente è la sveglia del giorno nuovo! Alzo la coperta e con l’occhio sbircio fuori… ma è ancora buio… Aspetto che i brasileros escano dalle loro coperte, non vorrei essere l’unico la fuori, al freddo. Quando anche miss Brasile degna di alzarsi (immagino sia la penultima ad alzare il sedere, e quindi io l’ultimo… ) esco dalla tenda: boia faus che freddo!
Spira un vento gelido e siamo in pochi ad essere già in piedi: io, i due brasileros, la coppia di olandesi ed il ragazzo inglese. Se avessi saputo che la maggior parte dei miei compagni era ancora in preda al sonno, sarei rimasto sotto le coperte al calduccio! Guardo l’ora: ma perbacco, sono le 5.45 ed è ancora notte fonda! Il vento gelido consiglia a noi sopravvissuti di radunarci nella grande tenda dove pochi istanti dopo ci viene servita colazione. Il thè bollente risveglia la nostra pelle infreddolita, e pane e marmellata rincuorano il nostro stomaco. Nel frattempo sopraggiungono le due ragazze tedesche (se non c’è da spendere…) mentre lentamente il buio della notte lascia spazio a questo nuovo giorno. Ed ora, l’alba. Come nel Wadi, voglio conquistare un punto panoramico dove gustarmi l’avvento del nuova giornata. Io e il ragazzo inglese abbandoniamo la tenda e iniziamo la scalata dell’altissima duna dietro l’accampamento. Come al solito parto a mille, gasatissimo, correndo, felice come una pasqua. Ma quando sono a metà dell’impresa, le prime fatiche. I piedi affondano nella sabbia sempre più fine rendendo difficile ogni passo; il fiato viene meno, il freddo scombussola i piani e come se non bastasse il vento innalza la sabbia che s’ infrange sul mio viso. Arrivare in cima sarà un impresa quasi impossibile e lo capisco quando sento le gambe mollissime, il fiato sempre più corto mentre i battiti del cuore salgono vertiginosamente. Ogni due-tre passi sono costretto a fermarmi, devo riposare per qualche istante, sono privo di forze. E cosi anche il ragazzo inglese. La cima è lassù, a non più di 15-20 metri da noi. Metri che paiono chilometri… Tento il tutto per tutto, non voglio e non posso darmi per vinto. Ma ad un certo punto siamo entrambi costretti ad abdicare, a rinunciare all’impresa, fermandoci a pochi metri dalla sommità. Sono letteralmente distrutto: il cuore batte ai mille all’ora, avverto un freddo incredibile, respiro a fatica.
Ecco, una nuova Masada è all’orrizzonte. Resto immobile per una ventina di minuti, impietrito da tanta fatica. E poi, amaramente, siamo costretti a discendere e raggiungere nuovamente il campo base. Capisco, col senno di poi, che se anche fossi giunto in cima non avrei ammirato lo spettacolo dell’ alba, poiché urgeva ripartire velocemente. Infatti non appena a ‘terra’, riprendo il mio zaino e dopo aver salutato gli amici berberi risalgo sulle auto da deserto, vale a dire la brigata di cammelli posteggiata li accanto. Riprendiamo il passo e dopo una decina di minuti di viaggio in mezzo alle dune, sostiamo per ammirare l’alba, questo magnifico sole che illumina il Sahara e questa nuova giornata. Restiamo ad ammirare in silenzio, avvolti ciascuno di noi da mille pensieri. Lungo la via del ritorno mi sento triste, questa avventura sta pian piano volgendo al termine, ma dall’ altra parte mi sento pieno di vita, felice dei momenti vissuti, di questa esperienza unica ed irripetibile. Si può avere tutto dalla vita, ma le emozioni, queste emozioni, non hanno prezzo. Un’oretta di passeggiata tra le dune e siamo nuovamente al campo base dove il nostro autista ci sta aspettando. Ancora qualche foto alla sabbia del Sahara e ai simpatici cammelli che per un paio di giorni sono stati nostri amici sinceri. E poi prendere posizione sul furgoncino, con un velo di malinconia in viso. Sono appena le sette di mattina, e già siamo in viaggio verso Marrakech, distante centinaia di chilometri. Il viaggio di ritorno sarà lunghissimo, estenuante. sostiamo molte volte, per sgranchire le gambe, per prendere una boccata d’aria. Durante una di queste soste, l’autista notando il mio vagare senza meta nel bar, mi invita a sedermi al suo tavolo e mi offre del thè. Sopraggiunge poco dopo il signore olandese, di origini marocchine, e mi dona un bicchiere di latte e cioccolato fumante. Sono stupito, sorpreso. Ma che mai questa gentilezza? Mi fa l’occhiolino, e poi si porta il dito sulle labbra facendomi intendere ‘non dire nulla, non mi devi ringraziare’. Sono quasi commosso, tanta gentilezza in questi giorni non me l’aspettavo. Può darsi abbia fatto loro un po’ pena, tenerezza o chissà cosa, nel vedermi in disparte in questa mattinata, in silenzio, pensieroso, forse triste. Mi hanno fatto capire di non esser solo, mi hanno mostrato la loro vicinanza, mi hanno regalato sensazioni positive, ed anche gioia. Gioia nel sapere che a questo mondo esistono ancora persone di cuore, semplici, buone. Sono sempre più convinto che laddove non vi sono soldi, dove il denaro non è nella testa degli uomini 24ore su 24, le persone siano buone, meno egoiste ed insensibili. Il viaggio prosegue, le ore volano, la stanchezza si accumula. Per pranzo sostiamo in uno dei soliti locali ‘convenzionati’, ma questa volta nessuno di noi segue le due stupide tedesche. Ancora oggi mi torna in mente la ragazza, seduta accanto a me, osservare il listino prezzi e guardandomi con occhi tristissimi sentenziare ‘too expensive’. Questa volta mi viene voglia di riderle in faccia porca miseria: 4Euro 80 centesimi per un tajine grande come la sua testa (vuota). La vedo confabulare con l’amica di merende e poi allontanarsi velocemente. Noi tutti sediamo tranquilli nel ristorantino, sulla terrazza con splendida vista sulla vallata, al caldo di questo pomeriggio. Mangio tanto e benissimo, ci voleva! Una volta terminato il pranzo raggiungiamo il furgoncino parcheggiato ai bordi della strada e chi manca all’appello? Le due tedesche! L’autista borbotta ad altra voce mentre le raggiungiamo poco distante, sedute in un locale mentre ancora mangiano tranquille e beate…l’ autista se potesse le ucciderebbe, e pure io! Attendiamo altri dieci minuti e quando salgono sul mezzo si rivolgono al giovane inglese – “abbiamo speso solo tre euro”. Hanno risparmiato meno di due euro: mi prende voglia di armare l’autista e aiutarlo nella carneficina. Ma chiudo un occhio e continuo a vagare nei miei pensieri come se nulla fosse successo.
Il viaggio prosegue tranquillamente mentre osservo il mondo che scorre dal mio finestrino, un mondo fantastico, speciale, unico. Davanti ai miei occhi le immagini di paesi poveri, Tinehir, Boulemane Dades e mille altri paesini più piccoli, che neanche compaiono sulla mappa. Tanta, troppa povertà, alla faccia di questo nostro mondo occidentale fatto di sprechi e stupidità. Prima di affrontare l’impegnativa salita verso le vette dell’Atlante, sostiamo una mezz’oretta a Ouarzazate, davanti al Museo del Cinema e alla Casbah Taorirt. Scendo dal veicolo e mi sdraio su di un muretto al sole, in totale pace e relax. Dopo questa breve pausa ripartirtiamo per le strade del centro Ourzazate, città molto carina, rivista e ridisegnata dopo una visita del sovrano. La strada verso Marrakech è ancora lunghissima ma il mio sedere è ormai quasi piatto. Iniziamo la lunghissima salita verso la vetta dell’ Atlante, un centinaio di chilometri di strada di montagna, tra continue curve e tornanti che mettono a repentaglio lo stomaco di tutti noi. Spesso i miei occhi riluttano a crederci, eppure questi panorami che scorrono davanti alla mia vista sono reali. Spiegare la bellezza di questi paesaggi, di questa parte di mondo che fotogramma dopo fotogramma appare ai miei occhi, è impossibile a parole. Sì, il Marocco, questa parte di Marocco, è splendida. Il sole si è ormai nascosto dietro l’orrizonte e quando arriviamo alle porte di Marrakech è ormai notte. L’ autista arresta la corsa nei pressi di Djemaa el-Fna, dove dopo esserci salutati, ognuno di noi prende la sua strada.
Ho trascorso tre belle giornate con queste persone che sempre porterò nei miei pensieri. Il tempo è volato, tre giorni sono trascorsi in un secondo, ed ora mi tocca andare nuovamente alla ricerca di un albergo per la notte. Ricordo di aver con me un fogliettino dove ho scritto l’indirizzo di un albergo, nonché la mappa dove trovarlo. Armato di Lonely Planet parto alla ricerca dell’hotel, ma come sempre sbaglio vicolo (grazie anche alle errate informazioni delle polizia locale!). La fortuna mi assiste e nei pressi noto un alberghetto che potrebbe fare al caso mio. In questa stradina, a ridosso di Djemaa el-Fna, vi sono una decina di alberghi, uno accanto all’altro. Sono attirato da un hotel in particolare per via del suo nome, l’auberge de la jeunesse. Il titolare riposa in una stanza accanto all’ entrata, grande come il mio comodino di casa… vabbè! Sbrigate le formalità per avere la camera, posso finalmente svaccarmi sul comodo letto per un meritato riposo. La camera è molto spartana, ma quello che a me interessa è la pulizia e la vicinanza a Djemaa el-Fna: ambedue i punti sono soddisfatti appieno!
Dopo una necessaria doccia esco a zonzo per le vie di Marrakech, e come sempre questa è una serata di festa perché a Marrakech ogni sera è festa, gioia, musica. Sono ormai le nove e mezze passate e la mia fame è davvero tanta, tantissima! Lungo il perimetro di Djemaa el-Fna sorgono diversi ristoranti, da quello superlusso a quello più modesto. Ma non è la mia priorità avere le posate d’argento e i piatti in ceramica, io ho solo una gran fame! Mi siedo nel dehors di un locale molto carino e al momento poco affollato, che da sulla piazza. Il locale non avrà avuto i bicchieri in cristallo, ma mangio da dio ugualmente! Il viaggio di ritorno dal Sahara è stato lunghissimo, interminabile. Urgeva riprendere le forze e solo con una doccia e un pasto caldo sarebbe stato possibile. Messa a tacere la fame mi concedo ancora un giro tra le mille bancarelle di Djemaa el-Fna, osservando i mille strani personaggi che s’aggirano sulla piazza. Rispetto al fine settimana, le persone tornano alle loro case molto prima, in fondo il giorno seguente è di lavoro anche per loro, quindi… Io proseguo la mia passeggiata, osservando ogni cosa, ammirando la Kotoubia illuminata in fondo alla piazza ed i mille cavalli e carrozze in attesa di partire per chissà quali splendidi luoghi nascosti. Passeggio senza meta, senza destinazione, imboccando Rue Bab Agnaou, lunga arteria pedonale dove si aprono mille negozietti e caffè. La via è molto affollata, soprattutto da giovani. Giunto verso la fine della strada pedonale poso il mio sedere ormai stanco, stanchissimo, in un piccolo ma accogliente bar. Sorseggio il mio caffè espresso, mentre le persone vanno e vengono, sorridenti. Nonostante abbia il mio giubbotto avverto un grande freddo. Quando cala la notte, in Marocco la temperatura scende vistosamente ed un vento gelido s’ abbatte sulle città. Raggiungo velocemente la mia camera dove, una volta scritto i pensieri di viaggio sul mio inseparabile diario, posso finalmente andare a nanna. La mattina seguente la sveglia suona tardi rispetto ai precedenti giorni. Mi alzo intorno alle dieci, oggi sarà una giornata interamente dedicata alla scoperta delle bellezze di Marrakech. Mentre sto preparando la valigia una signora apre la porta della mia camera. Non appena mi vede si scusa, e richiude velocemente la porta. Ma chi è costei? Esco dalla stanza ed eccola ancora lì, sul terrazzo. E’ semplicemente la donna delle pulizie e pensava la stanza fosse vuota. La informo delle mie intenzioni, ovvero restare ancora una notte in città. Cerca di farmi capire di lasciare a lei i soldi perchè il padrone sta dormendo. Fidarsi? Ma sì, restiamo d’accordo in questo modo e tranquillamente raggiungo Djemaa el-Fna. Il centro nevralgico di Marrakech è vivo nonostante l’ora mattutina, moltissime persone si aggirano sulla piazza, per lo più turisti.
Scatto mille fotografie, la giornata è magnifica e un sole caldo riscalda la mia pelle ancora infreddolita. Alla mattina Djemaa el-Fna è popolata da tutt’altre persone rispetto alla sera, quando cala il buio sulla città. Nelle prime ore del giornata gli attori di questo teatro all’aria aperta chiamato Djemaa el-Fna, sono poveri cobra anzianotti e malandati, scimmiette il cui collo è lungo al pari di una giraffa a forza di essere tirato e stritolato, e mille donne maestre nell’arte dell’hennè. La piazza è frequentata da moltissimi turisti e pochi locali, mentre la sera è massiccia la presenza di marocchini, anche per via degli spettacoli di musica gnaoua, di incontri di boxe e semplici rappresentazioni teatrali cui gli abitanti di Marrakech e dintorni vanno pazzi… Sono molto curioso di ammirare da vicino questi poveri serpenti imbambolati. M’avvicino ad uno di questi loschi tipi che tenta di offrirmi un paio di queste bestiole da accudire tra le mie braccia. Rifiuto gentilmente, la sola idea di tenere tra le mani questi esseri viscidi, mi mette i brividi. Non provo paura nel vedere un serpente, ma mi fanno un gran senso! Scatto mille foto alle bestiole mentre il padrone cerca di scuoterle per farle alzare ancor più verso il cielo. Notando la mia curiosità, il losco tizio fruga nel suo sacco di tela, alla ricerca di qualche cosa che pare non trovare. Una decina di secondi con le mani nel sacco ed eccolo felice tirar fuori altre bestiole, una dopo l’ altra: serpenti lunghi, corti, blu, marroni…insomma, uno zoo all’ aria aperta. Sono affascinato da questo mondo, da queste povere creature che cercano di destreggiarsi tra motorini, auto, passanti… poveretti! Accanto, altro siparietto, altro spettacolo: questa volta le scimmiette sono le primedonne (si fa per dire…). Legate al collo da una lunga catena, vengono incitate dal loro padrone a far salti e capriole per stupire i passanti. Provo enorme pena davani a questo triste spettacolo. Le povere bestiole hanno sempre una mano alla catena, come per tenersi da eventuali strattoni del loro aguzzino che rischia di spaccar loro il collo. Certo, il 99% delle persone che ammirano questi animali sono entusiaste: mai visti cosi tanti serpenti e delle scimmiette acrobate! Ma, guardandola sotto un altro punto di vista, queste povere bestiole sono maltrattate ogni giorno, sempre. Ma di questo non si deve parlare, la gente è in vacanza è importa solo il divertirsi. E questi beceri spettacoli divertono eccome le menti ottuse e superficiali! Cammino avanti e indietro nella grande piazza e poi dilungo la mia passeggiata verso la moschea Koutoubia che campeggia nel cielo di Marrakech, poco distante.
Attraverso la caotica Mohammed V e poi, come per magia, sono immerso nella quiete del piazza antistante il minareto, 70 metri di altezza dove una volta, lungo i quattro lati di 12,5 metri, dipinti e decori differenti a zellij erano incisi sulla pietra rosa di Gueliz. Oggi, dopo i lavori di restauro degli Anni ’90, la torre è tornata a vestire il suo abito originale che ne esalta il fascino. L’armonica proporzione tra la larghezza e l’altezza è un capolavoro dell’arte ispano-moresca. Tanto che l’edificio fu ispiratore e prototipo architettonico della Giralda di Siviglia e della Tour Hassan di Rabat. Come da prassi l’ingresso agli ‘infedeli’ è vietato, e non mi resta che passeggiare nel bellissimo giardino verde che si apre alle sue spalle. Sono ammaliato dal verde rigoglioso degli alberi d’arancia: i frutti delle piante sono grandissimi, quasi come cocomeri. Con la mente volo lontano e mi immagino il passato, quando nel suo perimetro, il sultano Yacoub-el-Mansour radunò cento librai. Fu il loro mestiere a dare nome all’edificio che significa infatti la Moschea dei librai. Qui, tra il XII e XIII secolo sorsero botteghe di manoscritti antichi che circondavano le sedici navate e una mediana più larga da cui è sormontata la struttura. L’ornamentazione almoravide e il decoro andaluso fanno risaltare la purezza delle linee, creando così un capolavoro dell’arte almohade. Eppure quella che ho davanti è la seconda Moschea di Marrakech. La storia racconta che una prima venne costruita dopo il 1147 e poi abbattuta perché mal orientata verso la Mecca. Il sole rispende alto nel cielo, mentre un venticello fresco stempera il gran caldo. Giunto in Avenue Houmman el Fetouaki consulto la mappa in mio possesso: la prossima destinazione di questa giornata sono le tombee saadite. Solo un problema: non riesco ad orientarmi, a mio avviso le tombe si trovano ad est mentre la mappa mi indica l’ovest. Onde evitare errori, domando a una donna alla guida di un bus ‘drop in drop off’ che mi avvia sulla giusta strada. Passeggio tranquillo e beato in rue Sidi Mimoun, lunga strada costeggiata da un alto muro che impedisce la vista alla distesa verde circostante. Diversi ufficiali in divisa sono appostati lungo il perimetro, a guardia di chissà quale importante residenza. Sorrido al vedere uomini vestiti con tre divise differenti che spaziano dal colore blu al verde militare. Sono molte e distano le une dalle altre pochi metri.
Tratto dal mio sito web: www.osvaldoforastelli.it/Marocco.html