Toscana delle meraviglie

Quattro giorni e 1/2 a spasso per una delle regioni più belle d'Italia
Scritto da: Bilbix
toscana delle meraviglie
Partenza il: 17/02/2012
Ritorno il: 21/02/2012
Viaggiatori: 3
Spesa: 500 €
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La Gastronomia

Più che un break carnevalesco, il nostro viaggio in Toscana è stato un vero e proprio tour enogastronomico, e la cucina locale l’ha fatta da padrona durante i quattro giorni spesi in terra etrusca, tra i più esilaranti e saporiti della nostra vita itinerante: tre cene ed un pranzo davvero memorabili.

Si parte allora da Pisa e dal ristorante Il Campano, consigliatoci dal receptionist dell’albergo la cui stazza significativa era già di per sé garanzia di assoluta qualità: non potevano cadere meglio! Siamo in pieno centro storico, in un locale le cui pareti son rivestite di stampe antiche, e le scansie traboccano di vini pregiati; la simpatia e la cordialità dello staff e dei gestori, fanno il resto, uniti ai sapori della tradizione: per cominciare proviamo la ribollita, una sorta di zuppa di verdure di stagione a base di legumi e cavolo nero, un po’ densa e straordinariamente ricca di gusto e buone calorie: una delizia. A seguire: controfiletto (di manzo) ai carciofi per i miei amici, e una cinta senese lavorata con mele al porto, per il sottoscritto, un piatto di carne di maiale, un’autentica gioia per il mio palato avvezzo ad apprezzare l’agrodolce in ogni sua forma e sostanza; tutti piatti dai gusti comunque delicati, anche se intensi, apparentemente elaborati, ma in realtà tesori di una secolare sapienza culinaria che parte dal basso, dalla campagna circostante, generosa d’ogni genuina primizia, spesso d.o.p.

Proseguiamo con una seconda serata dedicata al mare e ai suoi profumi e aromi: siamo a Livorno, al ristorante L’Ancora, nella zona detta La Venezia, grazie ai numerosi canaletti e ponticelli che la caratterizzano.

Esordiamo con un piatto di tagliatelle allo scoglio, ovvero condite coi più classici frutti di mare: cozze e arselle in primis, e rigorosamente in bianco, ricorda parecchio quella che facciamo anche in Sardegna. A seguire il famoso cacciucco, una zuppa di pesce semplice e saporitissima, completa di qualche fetta di pane imbevuta nel delizioso sugo, che riposava placida sul fondo del piatto come la più sfiziosa delle sorprese. Entrambe le pietanze abbondano di peperoncino, che accompagna e a tratti stravolge un po’ i gusti, specie per i palati più sensibili come quello di Jole, che infatti gradisce con riserva. Non ci facciamo mancare anche un assaggio di baccalà alla livornese: un’autentica goduria, buono, dal sapore sublime e morbidissimo, condito com’è coi pomodorini e la giusta quantità di sughetto rosso; un classico Chianti bianco completa il capolavoro, ben servito nel suo apposito ‘vestitino’ salva freschezza.

Per la terza e la quarta serata, invece, torniamo a Pisa e ci affidiamo al consiglio datoci dall’assistente dell’autonoleggio con la quale abbiamo sbrigato le pratiche di ritiro della vettura all’arrivo. Il ristorante ‘Da Antonio’ si trova nell’hinterland cittadino, in una frazione chiamata Arnaccio, nel comune di Navacchio. La prima serata la dedichiamo alla carne, prendendo tuttavia le distanze dalla pur invitante e famosissima regina della zona: la bistecca alla fiorentina, che io ricordavo terribilmente cruda e immangiabile, e i miei compagni di viaggio temevano, poiché amanti di carni ben cotte. Ci affidiamo allora al più amichevole galletto cotto al forno a legna, le cui braci e la cui fiamma potevamo ammirare anche dal nostro tavolo. Un’atmosfera casareccia, genuina, familiare; il personale sorridente e affabile, camerieri disponibili e gentili, e cuochi che all’occorrenza diventavano suggeritori e salutavano i nuovi arrivati come gente di casa. Persone certamente avvezze a trattare tanto col turista che col cliente abituale, tutti amici e benvenuti, nessuno escluso; trattamento ottimale e buon rapporto qualità/prezzo; non c’è che dire: stavolta ci hanno consigliato proprio bene, e noi abbiamo fatto altrettanto bene a fidarci.

Ma la fiorentina stava là, sdraiata su di un bel vassoio lucido, e attraeva i nostri sguardi, esposta com’era in bella vista coi suoi tanti centimetri di spessore: un portento misurabile in chili! Decidiamo dunque di prenderne una in tre, temendo sprechi e affidandoci ai consigli di chef e camerieri che ci tranquillizzavano quanto a morbidezza, bontà e qualità di una carne cotta al sangue che meritava davvero tutta la nostra attenzione e apprezzamento. E fiorentina sia, con tanto di patate arrosto d’accompagnamento: ottima, gustosa, tenera, sanguinolenta ma non troppo; per farla breve, l’abbiamo divorata tutta, un pezzo alla volta, un chilo e duecento grammi, circa, di autentica, verace bontà.

La serata successiva facciamo il bis quanto al ristorante, ma cambiamo decisamente menù. Vogliamo assaggiare il tagliere degli antipasti, salumi e formaggi della zona, dal gusto indescrivibile, e poi le tagliatelle al sugo di lepre che già dalla sera prima avevano solleticato le nostre papille gustative. La scelta si rivela vincente: tutto divinamente buono. Un pezzo di formaggio stagionato a fine pasto completa l’opera, ed il rosso Carmignano della zona annaffia il tutto con vivacità.

Concludiamo con l’ultimo lauto pasto toscano: il pranzo lucchese. Ci imbattiamo per caso, durante la nostra passeggiata esplorativa, nella trattoria Rusticanella 2, che si trova nel centro storico di Lucca, ad appena pochi passi dalla casa natale del grande compositore Giacomo Puccini. Il locale è accogliente e invitante, promette bene, e difatti non ci deluderà. Il cameriere, fors’anche gestore, ci tiene a sottolineare che ci troviamo in un luogo assai rinomato in quanto annoverato nella rosa dei locali gastronomici scelti e proposti da Vetrina Toscana, una guida ufficiale che promuove le eccellenze, non solo culinarie, della Regione Toscana (il cui simbolo era tra l’altro stampigliato, assieme a ulteriori dettagli e didascalie, sulle singole tovagliette di carta del coperto), perché utilizza prodotti certificati D.o.p., D.o.c.g. e I.g.t., e inoltre vanta una vasta gamma di etichette di vino, prevalentemente toscano, e naturalmente l’olio extravergine artigianale di Lucca: connubi di sicuro successo che rendono la trattoria famosa e ben frequentata, sia dai turisti che dagli estimatori locali del buon cibo.

Assaggiamo tre differenti primi piatti di pasta, affidandoci ai consigli dell’esperto cameriere; ne scegliamo uno a testa per poi dividerceli. E così passiamo in rassegna: le penne cacio e pepe, le lasagne gratinate ed i tortelli lucchesi; tutte prelibatezze. Come secondo ci sincronizziamo sul baccalà arrostito con ceci: un piatto di pesce gustoso ma un po’ asciutto, che però ci fanno ‘bagnare’ con dell’ottimo olio della zona, delicatissimo e assai digeribile, che esalta la pietanza senza alterarne l’essenza del sapore. Al termine, mentre Jole si tuffa su un tiramisù della casa, noi ci concediamo un dolce tipico: il buccellato di Lucca tostato con Vin Santo, una sorta di torta di pane dolce il cui composto è a base di semi di anice e lievito di birra; tagliato a striscioline rimane morbido, si intinge nel moscatello e va giù con incredibile facilità: la digestione sarà più rapida e gioiosa!

Insomma la Toscana ci ha preso per la gola, conquistandoci con la sua cucina, oltre che circondandoci di panorami mozzafiato frammisti d’arte, cultura e storia, ed immersi in ambienti e atmosfere magiche, uniche e, visto il periodo, un pochino fresche e spesso bagnate di una pioggia a tratti petulante.

E così, tra un piatto e l’altro, si dipanano le nostre visite turistiche, partendo proprio dalla città di Pisa e dal suo più celebre monumento: la torre pendente, che scaliamo appena un’ora dopo l’atterraggio.

Il Viaggio

L’albergo che abbiamo scelto fa parte di una nuova catena chiamata B&B Hotels che sta inaugurando strutture in tutta Italia; a dispetto del nome, è un albergo a tutti gli effetti la cui prossima apertura, pubblicizzata al momento, è quella di Torino, che avverrà proprio in questo mese di marzo 2012. L’edificio, moderno e dotato di comodo parcheggio clienti gratuito, è ubicato alle porte della città, in prossimità dell’aeroporto, nonché all’imbocco delle principali arterie interurbane; la posizione è dunque ottimale e il servizio buono, anche in rapporto al prezzo davvero eccezionale che abbiamo scovato tramite l’ormai collaudato sito booking.com. La colazione di tipo continentale, non compresa nella tariffa, l’abbiamo pagata in loco circa cinque euro a testa, e offriva dalle inglesissime uova strapazzate con bacon, alle torte più classiche, ottimo pane di diversi tipi, yogurt di vari gusti, spremute d’arancia e caffetteria automatica. La camera è molto confortevole, spaziosa e soprattutto caldissima; cosa non da poco, vista la temperatura esterna ancora decisamente invernale.

La ‘stortezza’ della torre di Pisa, ovvero del campanile della sua cattedrale, impressiona non appena se ne varca la soglia per prepararsi alla scalata. L’avevo già affrontata una trentina di anni fa al seguito di mia madre, e ben ne ricordavo i bislacchi effetti d’aria, in salita e in discesa, quando in base alla direzione ti sentivi sospinto all’interno o al contrario proiettato verso l’esterno dal vento che penetrava dalle svariate aperture posizionate lungo le scale. Ora invece l’effetto è stato quello d’esser come sballottati da una parte all’altra, mentre si progrediva circolarmente la verso l’alto; sensazione vieppiù intensificata dalla straordinaria umidità presente all’interno della vetusta costruzione, che bagnava i gradini e le pareti rendendo, tra l’altro, incerti i nostri passi e mal governabili gli appoggi. Tra i possibili ‘effetti collaterali’ di tale faticata si può annoverare qualche capogiro o senso di vertigine, che avvicina molto quest’esperienza ad una sorta di navigazione in mare aperto!.

La meravigliosa visuale che si gode da lassù ripaga però ogni sforzo; siamo in cima a uno dei monumenti simbolo d’Italia, e notoriamente tra i più conosciuti al mondo, che ha inoltre contribuito a far scrivere parte della nostra storia scientifica: proprio da qui infatti, leggenda vuole che Galileo sperimentò le leggi della gravità.

Il centro storico di Pisa è carino e ordinato, pur se non particolarmente interessante, eccezion fatta per alcuni tratti assai suggestivi del lungarno, sul quale si specchiano, su un’acqua apparentemente statica, palazzi d’epoca dalle facciate pulite e ristrutturate, davvero degne di ammirazione, specie se inquadrate dall’apice di uno dei diversi ponti che lo attraversano.

San gimignano, volterra e Livorno

Il giorno dopo è dedicato a una scampagnata in macchina verso San Gimignano, la New York del Medioevo che da anni desideravo vedere, e che non ha affatto deluso le grandi aspettative. Imbocchiamo la strada statale 439 dopo aver percorso un breve tratto della via di grande comunicazione che lega Pisa e Livorno al capoluogo. Superata la vicina Ponsacco, essa si snoda per colline infinite e silenziose, ancora bagnate d’inverno e di una neve che a tratti ne delinea risvolti, declivi e profili, tratteggiandoli di biancore splendente in un contorno verde e marrone che nell’insieme disegna uno spettacolare paesaggio che pare uscito da un quadro impressionista di rara fattura. San Gimignano è un autentico gioiello incastonato nel tempo, molto ben preservato e meravigliosamente pittoresco. La giriamo con calma, indugiando nei numerosi negozietti ridondanti di gustosi prodotti locali che spaziano dalle leccornie gastronomiche ai variopinti articoli in pelle. Colpisce in particolare l’abnorme gamma di pasta gigante e colorata racchiusa in alti sacchetti di cellophane per preservarne la qualità e la durata: penne, tortiglioni, fusilli, tagliatelle, pici, e chi più ne ha più ne metta; un vero eldorado per le buone forchette!. Siamo quasi tentati di farne scorta per poi divorarla coi sughi più vari e sfiziosi, ma lo spazio in valigia, e soprattutto il peso limite, ci obbligano a desistere. Facciamo però un po’ di sano shopping, e con somma sorpresa scopriamo che il gestore dell’esercizio dove compro una bella cinta in fantasie blu, è stato proprio nella nostra zona d’origine, Capo Teulada, e ce la descrive come un sogno, assai entusiasta della sua scelta turistica, ora diventata meta prediletta delle sue future ‘incursioni’ nella nostra bellissima isola. Altra chicca di questi luoghi sono le vivacissime ceramiche di cui mi innamoro all’istante; e visto che da tempo cercavo un bel ‘sole’ artistico dipinto a mano per la mia terrazza, ne approfitto subito, sperando che il suo peso non mi faccia eccedere il massimo consentito in aereo per il bagaglio a mano.

Tra le tante torri, la più alta, la torre grossa, quella del municipio, è visitabile, insieme ad alcune sale dell’edificio. Così decidiamo di inerpicarci per ammirare dall’alto il borgo e l’intera valle che esso domina: un paesaggio immenso, maestoso e sereno che si allunga fino al mare, dove una barchetta appena visibile oltre le ultime colline irradiate dal timido sole, scivola placida sottocosta. Ripeto: sembravamo immersi in un quadro d’autore! Non per niente buona parte del paesaggio toscano, già apprezzato e imitato in ogni dove, è divenuta patrimonio mondiale dell’umanità. La scala è agevole, moderna, in alluminio, addossata alle pareti della torre, e percorrendola ci si rende conto dell’altezza e dell’imponenza della struttura in cui ci si trova, una specie di enorme pozzo quadrato slanciato verso il cielo. A un certo punto si giunge a un piano, diciamo mediano, dal quale si procede la salita senza più poter vedere il gran vuoto sotto i piedi. E infine si giunge all’ultima rampa, più angusta delle altre, una sorta di scaletta a pioli in cui salire tenendosi ben saldi ai bordi e prestando maggior attenzione anche alla testa per via di uno stretto passaggio, tipo botola, da cui si accede finalmente alla terrazza, dove alloggia anche la campana; niente di trascendentale comunque, basta la giusta accortezza per superarla facilmente. È comunque sconsigliata, anche dai gestori, la salita a coloro che soffrono di vertigini, o temono il vuoto o l’altitudine, per ovvi motivi.

Lasciata la stupenda San Gimignano, la statale 68 ci guida verso Volterra, altra località rinomata per la sua intatta bellezza medievale, nonché patria dell’alabastro. Dopo aver attraversato qualche bosco e superato alcune verdi colline in un lento saliscendi di dolci tortuosità, giungiamo a destinazione e, lasciata la vettura in un parcheggio a pagamento situato proprio all’imbocco del centro storico, a ridosso delle mura di cinta, ci inoltriamo al suo interno, approfittando anche di una caffetteria viciniori per una pausa caffè rigenerante. Durante il nostro curiosare notiamo che i palazzi, gli arredi, i decori e i negozi possiedono lo stesso fascino e l’identico atavico spirito di San Gimignano; tuttavia le contrade bagnate da una pioggia incessante, con ai lati cumuli di neve ormai sporchi lasciati abbandonati, e qualche edificio trasandato ci rendono un’impressione piuttosto differente rispetto all’esaustiva magia vissuta in precedenza. Onestamente mi aspettavo di più da un paese che avevo quasi idealizzato, grazie anche al cinema: alcune scene della saga americana Twilight sono state infatti ambientate in questi luoghi densi di storia, un po’ gotici e quindi assai adatti al mistero ed a trame un po’ surreali. E devo dire che, nonostante gli sforzi, si faticava parecchio a rivivere, o meglio, a ricreare con la mente quell’incantesimo quasi leggendario; probabilmente però la presenza del sole avrebbe colmato in parte questa differenza di sensazioni che tutti e tre abbiamo condiviso. È comunque da sottolineare l’imponenza del vecchio castello, oggi adibito, purtroppo, a casa circondariale, che dall’esterno conserva tutta la sua magnificenza. Molto belle anche le esposizioni dei numerosi oggetti creati con la materia prima più importante della zona: l’alabastro, forgiato in ogni forma e dimensione, un vero sogno per gli amanti del genere. Abbiamo visitato un negozio direi specializzato e piuttosto grande, in cui ci siamo imbattuti per caso, appena messo piede nel centro urbano: davvero notevole.

Scendendo da Volterra, la medesima provinciale ci conduce dapprima alle saline di Volterra, ovvero il paese moderno che giace ai piedi dell’antico, appena qualche curva e qualche metro sotto, per poi proseguire diritta e spedita verso il mare. Noi sfioriamo Cecina per deviare in ultimo alla volta di Livorno, ultima tappa del giorno. Avevo visto di sfuggita Livorno qualche anno fa grazie ad una mia compaesana che abita in quei pressi, e a un suo amico del posto; mi ci avevano portato a cena, cosicché della città avevo visto poco o nulla; solo ricordavo molto bene il quartierino denominato La Venezia, dove stava il ristorante, per via dei canali che l’attraversano e sulle cui banchine stanno ormeggiate innumerevoli imbarcazioni: una peculiarità del tutto inaspettata.

Questa volta invece facciamo un bel giro per il centro storico, arriviamo al mercato e percorriamo vie e corsi pieni di negozi e di vita; come sottolinea Jole: anche l’aria, rispetto a Volterra, pare completamente diversa, più in linea, forse, con le nostre nuove esigenze, anch’esse sempre mutevoli, in continuo divenire.

Livorno si specchia su di un’ampia corsia d’acqua che, insieme a un dedalo di altri piccoli canali forma i cosiddetti fossi. Lungo i loro alti argini, si affacciano edifici portentosi, buona parte dei quali divenuti banche, rappresentanze commerciali o uffici di prestigio; la luce artificiale che li illumina, unita ai lampioni delle strade, protendendosi sulle acque immote, crea immaginifici mondi contigui, ma rovesciati, proprio sotto i nostri piedi, esaltando un paesaggio urbano di notevole suggestione. E pazienza se subito dopo cena ci coglie in pieno una pioggia torrenziale, dalla quale ci proteggono in parte alcuni portici che sfruttiamo mentre cerchiamo di orizzontarci per rientrare verso la grande piazza dove avevamo parcheggiato la macchina. In effetti proprio questi fossi mi avevan creato uno strano gioco ottico: ero straconvinto infatti che l’enorme piazza in questione fosse affacciata sul mare, e dunque cercavo il modo di tornarci, sbagliando ovviamente direzione ed allungando di molto il percorso, già di per sé faticoso. Fortuna vuole che incappiamo in alcuni volontari del soccorso vestiti con le omologate tute arancioni, e chiediamo loro come raccapezzarci, senza peraltro sapere il nome del luogo in cui eravamo diretti. Lo descrivo alla meglio, nominando l’immensità della piazza e la presenza di una statua imponente al centro, e anche la presenza delle giostre. Ridendo ci spiegano che è tardi per trovare aperti i giochi, dopodiché ci dicono che le statue sono due, e qui non insisto: la seconda proprio non la ricordavo, evidentemente mi era sfuggita del tutto. Comunque capiscono dove vogliamo approdare e ci indicano la via più breve, svelandoci infine l’arcano delle misteriose acque, la cui origine il sottoscritto aveva travisato, rischiando così di finire dritto dritto al porto, quasi all’altro capo della città! E se il viaggio è anche disavventura, allora benvenuti siano certi piccoli equivoci, che aiutano poi a ricordare meglio quanto vissuto durante una vacanza, seppur breve.

Viareggio

Ma il vero motivo, la ragione principale del nostro tour toscano è in realtà il carnevale di Viareggio, al quale partecipiamo da entusiasti spettatori la domenica appresso; non prima però d’aver fatto un salto a Torre del Lago, una frazione di Viareggio, per visitare la casa del grande compositore Puccini, un tuffo fantastico in un mondo musicale senza eguali, fatto di note, successi, melodie conosciutissime e di una vita vissuta veramente con passione, ed oggi riassunta in parte su cartelloni e gadgets di vario tipo.

Davvero evocativi gli arredi, lasciati intatti, dei vari ambienti in cui il grande maestro scrisse le più belle pagine della sua vita assieme alle sue opere più note; vedere il suo pianoforte e la scrivania sulla quale lavorava per ore, giorni e notti intere, angolata appositamente per permettergli di riportare sui fogli quanto gli dettava la sua mente geniale ispirata dal divino, è un’emozione notevole; l’audioguida descrive alla perfezione la stanza in un tranquillo pomeriggio di lavoro, con l’artista immerso nei suoi pentagrammi e gli amici, di cui amava circondarsi che, accoccolati vicino al fuoco del grande caminetto, chiacchieravano allegramente bevendo qualche drink, o si facevano una partitina a carte, contemplando nel mentre la nascita di quei capolavori che oggi tutto il mondo conosce e ci invidia, e scambiandosi le personali opinioni e valutazioni in merito.

La casa ospita anche la sua spoglia mortale e quelle dei suoi più stretti familiari, in una piccola cappella, un tempo soggiorno della villa. Altre stanze mostrano i suoi trofei di caccia, i fucili che usava (tra cui uno di grandezza impressionante), e ovviamente ritratti, lettere e numerosi riconoscimenti ed onorificenze ricevute durante i gloriosi anni della sua carriera, nonché tantissime foto di soprani e tenori che ne hanno magnificato le arie più celebri e che con lui hanno posato per scatti oramai divenuti storici. Ma, cosa ancor più interessante: in una teca sono raccolti i fogli contenenti le ultime parole ch’egli riuscì a vergare poco prima della sua dipartita, quando, a causa della malattia, non riusciva più a parlare: poche frasi toccanti dal tratto incerto, stanco, e da cui comunque trapela buona parte del suo essere.

Il lago di Massacciuccoli, poco lontano, è un ammasso di basse nebbie cariche di una pioggerella insistente che non ci permette di coglierne le belle vedute. Giusto per puntiglio ci concediamo una breve passeggiata, ma presto siamo costretti a riparare velocemente nell’auto, onde evitare di bagnarci come pulcini. Intravediamo però il grande palco che, su queste sponde, ospita ogni anno il festival pucciniano: un evento senz’altro imperdibile per gli amanti della lirica.

Arriviamo così a Viareggio, troviamo posteggio e ci infiliamo nel primo bar che troviamo sulla piazza, beviamo qualcosa e ci informiamo sulle sorti della sfilata, e dunque anche della nostra giornata, programmata da qualche mese!

Le notizie sono buone: tutto procederà regolarmente, nonostante la pioggia; pare ci vogliano delle vere e proprie calamità naturali per costringere un’organizzazione così massiccia alla rinuncia. Anche perché, come potremo notare a breve, questa manifestazione-evento è concepita e realizzata senza badare a spese; e l’ingresso nei due chilometri di lungomare bloccati al traffico e adibiti al carnevale costa ben quindici euro a cranio, proprio per recuperare in parte quanto speso con largo anticipo.

La ‘macchina’ della festa viene messa in moto svariati mesi prima, pare addirittura subito dopo l’estate, e può contare su un’intera cittadella, ribattezzata appunto città del carnevale, creata appositamente per ospitare tutta l’attrezzistica idonea a realizzare quegli enormi capolavori di cartapesta che ogni anno, puntualmente, sfilano, irriverenti e beffardi, per la gioia di grandi e piccini, facendo balzare questa località, per il resto prevalentemente balneare, agli onori della cronaca.

Prima di immergerci nell’ordinato caos carnevalesco, facciamo uno spuntino in macchina, accompagnati dal suono della pioggia battente e della radio. Il giorno prima, durante le nostre allegre peregrinazioni in quel di San Gimignano, avevamo infatti acquistato un salamino (dimostratosi poi non all’altezza delle aspettative, e soprattutto diverso da quanto tastato in loco) e un barattolino di salsetta (invece deliziosa), entrambi al tartufo, in uno dei tanti caratteristici e allettanti negozi traboccanti di ghiottonerie tipiche, proprio in previsione di questo momento, mentre l’ottimo pane ce lo siamo procurati durante la colazione mattutina. Un buon caffè presso un bar della via principale conclude il frugale pranzetto, ed eccoci alla biglietteria, situata a pochi metri dall’ingresso transennato all’area deputata alla più grande festa del villaggio. Paghiamo i quindici euro e via, ci tuffiamo nel marasma del carnevale, vera ragione e pretesto dell’intera gita, dopo esserci tra l’altro procurati dall’immigrato di turno, l’ennesimo ombrellino tascabile per limitare i danni di un acquazzone apparentemente senza soluzione di continuità.

I rumori si accentuano, la gente si raduna, la musica aumenta di volume e finalmente esplode la festa, la gioia impazza e carnevale sia! Arrivano i protagonisti, alteri come divi di Hollywood, s’intravedono in lontananza e all’improvviso ci sono addosso, ci travolgono: eccoci finalmente dinanzi ai carri di uno dei carnevali più famosi della nostra penisola; siamo proprio a ridosso di essi, possiamo toccarli, e ora ci soverchiano con la loro imperiosità e bellezza; le mani non smettono di agitarsi su telefonini ultramoderni o macchine fotografiche digitali i cui scatti pare non bastino mai a riprendere queste giganti meraviglie da ogni angolatura possibile. L’entusiasmo è alle stelle, misto a quell’incredulità tipica del vivere una situazione solitamente televisiva in prima persona. E per ogni nuovo arrivato il rito si ripete, spontaneo e disarmante: i volti s’illuminano, le bocche si riaprono e gli occhi si spalancano rinnovando il nostro fanciullesco stupore.

I carri sono venticinque, abnormi e maestosi in tutta la loro cartacea fragilità, un inno all’allegria nonostante tutto, e in tempi di crisi profonde e conflitti devastanti, essi rappresentano l’antidoto alla melanconia e alle angosce del quotidiano vivere. Queste grandiose macchine di gioia e spensieratezza ci riportano ai puerili tempi di puro benessere, scacciando quei demoni di paure e disastri che esse stesse rievocano solamente per puro diletto e dileggio, sferrando contro di essi un attacco senza precedenti con l’arma in assoluto più efficace che l’uomo possiede da tempi immemori: l’ironia. Ognuno con le sue canzoni, il suo arcobaleno di colori e soprattutto il suo tema, latore di un messaggio a volte dissimulato, più spesso molto schietto, essi incedono sovrani d’ogni spazio. È ovviamente la politica a dominare incontrastata, con un Berlusconi ancora sogghignante e immerso in improbabili bunga bunga, letteralmente avvolto da donne procaci; c’è poi Monti e la sua manovra, con tanto di via lacrime e sangue in bella vista; e poi la politica dello struzzo, chiaro riferimento all’atteggiamento di certi poteri forti di nascondersi sempre sotto la sabbia dell’indifferenza e dell’egoismo; c’è l’Europa dei grandi nomi in vesti episcopali, un carro davvero sorprendente quanto a perfezioni di fattezze e dimensioni dei personaggi, ovvero presidenti e primi ministri d’ogni nazione. C’è poi l’immancabile dragone cinese; e ancora, una grande statua di un Mosè che simboleggia l’esodo dei tanti cervelli in fuga, altra importante piaga della nostra imperfettissima società; ma uno dei più riusciti e divertenti è stato certamente quello dedicato al fisco, i cui bracci operativi, cioè l’Agenzia delle Entrate e l’Equitalia risiedono presso il castello della strega cattiva infestato da orrendi pipistrelli dai nomi certamente interessanti, e arcinoti a tutti: ecco quindi volare leggiadri e ad ali spiegate Irpef, Inail, Irap e Inps, mentre sulla terra un nugolo di roditori affamati di denaro e insaziabili, dai nomi ugualmente inquietanti: Tarsu (situato proprio sulla nostra isola), Imu, Tosap e via discorrendo, fa razzia di un’Italia devastata dalle tasse ed improvvisamente tramutatasi in un grosso e appetitoso Emmental con tanto di buchi; e che buchi!

E poi suore, vizi capitali inseriti in gironi danteschi, l’onnipresente tirannosauro gigante, che apre la sfilata; e ancora, il mio carro prediletto, un ‘napoleonico’ Sarkozy a cavallo dinanzi a una ricostruzione perfettamente riuscita del suo arco di trionfo, velato messaggio di un’odierna Europa a ventisette, dove pare comandino solo in due. E ancora la rabbia, la giustizia, l’urlo di Munch a rappresentare la parodia, o forse lo specchio, delle fobie e, più in generale, di tutti i sentimenti negativi che oggidì percorrono, attanagliano e dividono il nostro bellissimo Paese e con esso l’intero, civilissimo Occidente.

In mezzo a tutto questo bailamme sfilano poi bande musicali, majorettes, maschere varie e gente ‘normale’, tutti immersi nel comune spirito festaiolo che impregna l’intero villaggio assai umido di pioggia. Insomma, un coacervo di sacro e profano, condito qua e là di richiami letterari e di cronaca, che ballano fianco a fianco; non ultimo un accorato, toccante e, devo dire, inaspettato appello scritto per la liberazione di Rossella Urru, nostra conterranea, vigliaccamente rapita durante la sua volontaria e coraggiosa azione-missione di pace e aiuto umanitario in luoghi di ordinario martirio.

Ma Viareggio non è solo carnevale, anche se questo evento ne rappresenta sicuramente l’anima più autentica. Ha un bel lungomare, ampio e piatto, un’infinita battigia di sabbia castana che si dilunga fino alla Liguria, poco distante. E poi bei palazzi, qualcuno d’epoca, un lungo viale marino che va ben oltre i due chilometri appositamente recintati per gestire al meglio la colossale parata. Tra l’altro è da notare che, lungo questo percorso, persino balconi, ringhiere e balaustre sono ‘mascherate’ per l’occasione, contribuendo non poco a creare quell’atmosfera folcloristica ed ovattata, un po’ fuori dal tempo, che consente di vivere pienamente il carnevale più celebre e celebrato dello Stivale.

Unica nota dolente, il tempo balordo che ha praticamente ‘benedetto’ quasi ogni minuto della nostra permanenza. Tuttavia dobbiamo ammettere che per almeno due ore il cielo si è contenuto permettendoci così di godere con maggior serenità lo spettacolo. Dopodiché l’acqua ha ripreso a venir giù copiosamente, scrosciando più vigorosa che mai.

Si son fatte circa le sei della sera, son scese le tenebre e la frenesia lentamente si spegne. I carri si son ritirati poco alla volta, e ora un fiume di trattori della Same sfila a sua volta, ininterrotto, verso il proprio ricovero del dopo lavoro. La folla intanto è scemata, i cittadini son rientrati alle loro dimore e i turisti, noi compresi, si son rifugiati in una delle tante pasticcerie o bar del vialone; la festa, almeno per oggi, è finita. Dopo una sana, bollente e meravigliosa cioccolata riprendiamo la rotta verso Pisa, per concludere al meglio una giornata fortunatamente ben riuscita, nonostante i capricci meteorologici.

Firenze

Il lunedì successivo è dedicato alla città d’arte per eccellenza: Firenze. Sfortunatamente per noi, però, il maltempo imperversa. La giornata, uggiosa e pesante, comincia e si conclude all’insegna della pioggia; il cielo è carico d’acqua, che riversa con gioiosa abbondanza, e senza concedersi pause di sorta, lungo l’intero tratto di superstrada, un’ottantina di chilometri appena, che separa Pisa dal capoluogo toscano, dove le cose sembrano addirittura voler peggiorare. Lasciamo la vettura al parcheggio che sta proprio sotto la stazione centrale; è un po’ caro, ma dopotutto siamo nel cuore di Firenze. Per prima cosa entriamo quindi in Santa Maria Novella, la chiesa ovviamente, e lasciamo che la prima oretta voli via leggera, mentre noi, naso all’insù, ammiriamo intramontabili capolavori artistici, non proprio al caldo, ma perlomeno all’asciutto. La tappa successiva è un bar lungo il tragitto verso il duomo. Dopo la doverosa pausa caffè procediamo per Santa Maria del Fiore, fermandoci prima a Palazzo Strozzi, che avrei tanto voluto vedere, ma che purtroppo troviamo chiuso per dei lavori che dureranno ancora qualche settimana. Che iella! La cattedrale di Firenze è più sfarzosa fuori che all’interno. La sua facciata penso sia una delle attuali meraviglie del mondo, per lo meno per quanto mi riguarda. Il campanile di Giotto che si staglia al suo fianco completa un quadro di impareggiabile bellezza e maestria, anche se sotto la pioggia l’effetto visivo, per quanto sempre eccezionale, ne risente, specie per chi, come i miei amici, approda qui per la prima volta nella vita. Avendo già scalato diverse torri, consiglio loro di salire sulla cupola per ‘toccare con mano’ la genialità del Brunelleschi il quale, come ha ben spiegato Alberto Angela in una delle sue trasmissioni, innovando l’architettura del tempo, riuscì a costruire una cupola di straordinarie proporzioni senza utilizzare la classica chiave di volta, ma giocando, tra le altre cose, sul ‘montaggio’ dei singoli mattoncini, disposti alternativamente in senso orizzontale e verticale. La salita è impegnativa, ma vale ogni affanno o goccia di sudore versata, anche perché lungo il percorso si ha la possibilità di ammirare da vicino le grandiose pitture della volta interna della stessa, girandoci attorno sopra un’apposita balconata. Giungere in cima percorrendo le rotondità della costruzione, e infine calpestandone la concavità sull’ultima scala che conduce alla terrazza, è un’esperienza davvero esilarante, oltre che culturale. La visuale della città dall’alto è magnifica; Firenze è una distesa di tetti rossi e palazzi d’epoca che riempie un’ampia vallata coronata di splendide colline verdi, e che adesso riposa in un grigiore non particolarmente accattivante, benché, forse, più squisitamente romantico.

La passeggiata successiva per Via dei Calzaiuoli e il Corso ci porta a Santa Croce. E proprio in via del Corso scopriamo per caso uno dei bar più belli e ben frequentati della città, famoso soprattutto per le stratosferiche varietà di caffè serviti: trattasi del Bar Chiaroscuro, che solo dopo qualche settimana scopro essere una nuova catena di esercizi in franchising inaugurata proprio a Firenze per celebrare il sublime rituale in perfetto Italian Style, richiamato anche negli arredi interni, dal gusto classicheggiante e molto ben equilibrato, che rendono l’ambiente un accogliente luogo di ritrovo non solo per ideali pause caffè dal sapore vagamente letterario e retrò, ma anche per brunch sfiziosi di lavoratori a tempo pieno e turisti vagabondi. La mia pausa personale sposa l’aroma di un nocciolatino, ovvero una delle innumerevoli combinazioni di delizie offerte (nello specifico: un buon caffè sapientemente corretto con nocciola e cioccolato per un risultato decisamente esaltante), che tramutano la tradizionale bevanda in qualcosa di raro ed eccezionale, senza peraltro alterarne troppo l’oriundo carattere. Da notare che il vastissimo assortimento comprende anche la specialità della casa, ovvero una miscela di caffè ben confezionata in barattoli dal design unico, che richiama lo stile primo novecento (nulla è lasciato al caso!), studiato apposta per rendere il prodotto versatile, e dunque adatto tanto al consumo immediato quanto ad un’originalissima idea regalo, per sé o per gli amici. Ripresa la via, scopriamo in una traversa la casa di Dante con a fianco la piccola chiesa di Santa Margherita d’Antiochia o de’ Cerchi (dal nome della famiglia che ne detenne il patronato), detta anch’essa ‘di Dante’ poiché si ritiene che qui il sommo poeta sia convolato a nozze e abbia anche conosciuto la sua amata Beatrice. In piazza Santa Croce immortaliamo la facciata della celebre basilica sotto la pioggia, per poi riparare nell’ennesimo negozio di articoli in pelle, che giriamo per qualche minuto onde avere un po’ di requie da un tempo veramente tiranno. Proseguiamo velocemente verso Piazza della Signoria e Palazzo Vecchio. Nel mezzo facciamo ancora qualche fermata in boutiques alla moda, tutte devote alla pelle in ogni sua declinazione. Il diluvio nel frattempo s’intensifica, così ripariamo sotto la Loggia dei Lanzi per diversi minuti ammirandone i celeberrimi capolavori, prima di riprendere la faticosa marcia verso Ponte Vecchio, superando anche la Galleria degli Uffizi, chiusa il lunedì e dunque priva delle usuali file chilometriche all’entrata.

Il freddo adesso si fa più pungente, e presto comincia a penetrare nelle ossa e a solleticarmi fastidiosamente i piedi; il pericolo di influenzarci aumenta, insieme alla velocità della camminata. Giusto sul ponte rallentiamo un tantino per omaggiarne la vocazione orafa d’alto prestigio, e godere delle belle vedute di una città apparentemente triste durante un’ordinaria giornata di pioggia e di lavoro.

Raggiunto infine Palazzo Pitti, scattiamo celermente qualche altra foto e torniamo indietro, a questo punto verso la macchina. Deposta già da parecchio l’idea di salire verso Fiesole a osservare Firenze da una prospettiva anche a me ancora ignota, salta ora, giocoforza, anche l’intenzione originaria di cenare in loco a causa del tempo e della strada del rientro. Meglio avvicinarci all’hotel e consumare tranquillamente il pasto serale con la dovuta serenità; tanto più che sappiamo già a quale locale ‘votarci’, avendolo sperimentato la sera prima. Unico inconveniente: perderci proprio in prossimità dell’arrivo! L’uscita della superstrada, imboccata dalla direzione opposta, ci ha infatti disorientati facendoci perdere un’abbondante mezzora andando avanti e indietro per provinciali, incroci, rotatorie e paesi indistinguibili nel buio della notte. Morale della favola: per raccapezzarci abbiamo dovuto raggiungere l’albergo e ripercorre l’itinerario ab origine, come gli asini: obiettivo raggiunto!

In conclusione: ai miei amici Firenze è piaciuta molto, ma non come avrei voluto io. Spesso i capricci meteorologici fanno davvero la differenza, e un sole che occhieggia ogni tanto e illumina il cammino con qualche flebile raggio di luce in più, piuttosto che l’assenza di un vento sferzante o di una pioggia indefessa, e magari il rassicurante abbraccio di una temperatura mite, cambiano radicalmente il modo di fare, vedere e vivere le situazioni, creando impressioni o percezioni ben diverse, specie quando scaturiscono per una prima volta, esperienza che, nel bene o nel male, rimane comunque indelebile; come ad esempio il fatto che Jole se ne tornerà a casa senza l’ombrello, arresosi senza appello all’arrogante ponente fiorentino.

Ultimo giorno

L’ultimo giorno in Toscana è dedicato nuovamente a Pisa e al suo centro storico, finora visto solo in parte. Completiamo quindi il giro della Piazza dei Miracoli visitando il duomo, la cui facciata richiama quella, sebbene più modesta, della nostra cattedrale cagliaritana, poiché realizzata appunto durante la dominazione pisana; successivamente entriamo nel battistero dove, grazie a precise indicazioni dateci alla biglietteria, possiamo assistere alla dimostrazione d’acustica a porte chiuse che viene eseguita con cadenza oraria, per la gioia e la curiosità dei tanti visitatori. L’effetto sonoro che si sviluppa verso l’alto da un accordo cantato dai tre giovani di turno, posizionati in punti evidentemente chiave, è davvero sorprendente; la semplice melodia vibra e rimbalza tra le mura concave della struttura, con la stessa intensità e leggiadria di un volo di farfalle, creando una particolare suggestione. Infine, visitiamo il grande cimitero monumentale situato poco oltre, prima di lasciare definitivamente l’ex repubblica marinara toscana, alla volta di Lucca. Ulteriore considerazione per gli amanti della fotografia e dei paesaggi in generale: l’intero complesso monumentale della piazza è ancor più bello quando la rosea luce del tramonto vi appone la sua firma. La statale 12 è dapprima uno stretto serpentone alberato che si snoda nella campagna circostante, collegando Pisa alla ridente cittadina di San Giuliano Terme, località immersa nel verde, frequentata appunto per le sue benefiche risorse e dunque luogo ideale per rigenerare il corpo e lo spirito. Nell’attraversarlo notiamo quanto sia pulito, ordinato e ben predisposto all’accoglienza dei villeggianti: diversi i particolari che svelano questa sua vocazione turistica, a partire dalla presenza di parchi e percorsi pedonali, e dalla stessa atmosfera che vi si respira. Superata San Giuliano la strada si inerpica sulla collina e pochi tornanti ci conducono quasi alla cima dalla quale si domina l’intera piana sottostante in cui Pisa si adagia come una regina coronata di gioielli. Infine una breve galleria ci catapulta in pochi istanti verso un orizzonte spazio-temporale completamente diverso. All’estremità opposta ci si trova immersi in un altopiano fantastico attorniato di monti nevicati e casette stile nordico che richiamano panorami alpini, e in particolare certi sfondi del comasco, pur senza il lago!

Qualche altro chilometro ed ecco Lucca, un diamante incastonato nel verde, delimitato e protetto da alte e maestose mura di cinta; da lungi appare come un regno fatato tutto da conquistare e scoprire. Ed è quello che cerchiamo di fare col poco tempo rimastoci a disposizione, e che corre più di una lepre inseguita, non appena parcheggiamo l’auto a pochi passi dalla stazione centrale, di fronte al largo parco che delimita e immette ai bastioni, anch’essi alberati.

Ci immortaliamo a ridosso dei muraglioni prima di intraprenderne la breve scalata e varcare così le porte della città antica, uno scrigno pieno di tesori. Capitiamo proprio nel punto esatto in cui fu girata la scena dell’ultimo film di Pieraccioni, Finalmente la felicità, che aveva come protagonista Rocco Papaleo. Il duomo sta a due passi, poco sotto di noi col suo slanciato campanile che svetta sugli edifici dattorno. Visitata la cattedrale ci inoltriamo lento pede per il dedalo intricato di strade, slarghi e piazze che caratterizzano il quartiere storico, passiamo vicino al municipio e al teatro; ma ciò che più colpisce di Lucca è la straordinaria quantità di chiese che si concentrano in pochi metri quadri: una migliore dell’altra. Tra le tante visitiamo San Paolino, bella ma ghiacciata al suo interno e, come la maggior parte di questi edifici, immersa nel buio più totale. Poco oltre scopriamo per caso un palazzo nobiliare visitabile il cui ingresso è gratuito: trattasi di Palazzo Mansi. Decidiamo di entrare, su invito di Jole, attratta dalla grandiosità dell’atrio che, come richiamo, sfoggia una bella carrozza d’epoca, usata dai signorotti per le loro uscite di svago per la città. L’interno del palazzo è sfarzosissimo, e ospita inoltre un’importante pinacoteca. Ciò che però toglie il fiato sono gli stucchi e le decorazioni che ricoprono praticamente ogni centimetro quadrato delle pareti: un’opulenza barocca, sfrontata, eccessiva; noblesse oblige! Vorrei infine vedere la casa natale del grande Puccini, una costruzione semplice che delimita l’angolo di una piazzetta nella quale si staglia la statua che lo ritrae seduto su uno scranno, meditabondo. La casa però non è al momento visitabile, peccato! Concludiamo il rapido giro scoprendo, tra le altre cose, la torre dell’orologio e soffermandoci su alcune botteghe di antichi splendori, molto ben ristrutturate e valorizzate, avendo conservato le fattezze di una volta ma con rinnovato gusto estetico: eccellono ovviamente le farmacie, alcune erboristerie e qualche norcineria. A malincuore lasciamo Lucca, una città che ha ampiamente ripagato, e anzi, superato le nostre già alte aspettative nei suoi confronti, tanto da infonderci il desiderio di tornarci presto per assaporarne meglio l’essenza, magari sostandoci qualche notte. Riprendiamo la macchina alla volta dell’aeroporto Galileo Galilei di Pisa. Anticipiamo il rientro di una mezzoretta per paura del traffico, e anche di perderci tra i meandri di una città la cui cartellonistica stradale è alquanto confusionaria ed imprecisa; cosa che avviene puntualmente! All’uscita di Lucca facciamo il pieno di benzina, obbligatorio per la riconsegna della macchina, dopodiché cominciamo a provare l’usuale miscuglio di sensazioni contrastanti così tipico di una vacanza che volge al termine. Lasciamo la ‘nostra’ Lancia Ypsilon e percorriamo nuovamente a piedi e con trolley al seguito, ma in senso inverso, il tratto che dal terminal degli autonoleggi conduce a quello dei voli. L’aeroporto pullula di gente in partenza e la fila ai metal detectors è piuttosto lunga; fortuna che abbiamo guadagnato quella mezzora in più sulla tabella di marcia. Ci sono francesi che rimpatriano e turisti che volano a Parigi con gli occhi intrisi di gioia; c’è chi parte per svago e chi per affari; chi si dirige a Londra, a Milano, a Bruxelles, o magari in Sardegna per scoprire la magia del mare in inverno; e chi, infine, torna al proprio focolare domestico per riprendere la vita di tutti i giorni, bella o brutta che sia.

Arrivederci cara Toscana delle meraviglie; terra inebriante e godereccia, dolcissima culla dell’umanità.

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