Viaggio on the road in Islanda

In giro senza vincoli o itinerario, self drive in campeggio
Scritto da: mononeurone
viaggio on the road in islanda
Partenza il: 27/08/2011
Ritorno il: 17/08/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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Quando siamo tornati ed abbiamo detto che l’Islanda non ci ha entusiasmati troppo abbiamo provocato sorpresa in molti amici ed anche fra i forum in internet abbiamo suscitato perplessità. Sarà che non siamo cultori del nord, sarà che abbiamo visto molto ma l’abbiamo trovata una meta un po’ sopravalutata. Non che non meriti, i suoi paesaggi singolari sono degni di essere visti almeno una volta nella vita. Considerando anche i costi, le perplessità però aumentano. Se il paese nell’insieme, non mi ha fatto strappare i capelli (battuta), il viaggio è stato molto bello. Tutto on the road e campeggio, spessissimo in solitaria, molte camminate ed immersioni nelle pozze termali. Per le condizioni climatiche sopratutto, è stato a volte anche duro, l’età avanza. E’ un paese che consiglio a chi voglia provare dell’avventura, dell’off road in un contesto europeo occidentale, cioè edulcorato dalle problematiche che si possono trovare ad esempio in Africa, quindi con una percezione di maggiore sicurezza, magari per farsi le ossa e provare, per poi successivamente tentare sentieri più arditi. A chi voglia accostarsi agli spazi aperti e non antropizzati. O per chi cerca l’estremo. Detto questo, ci sono anche bellezze notevoli che meritano un viaggio, magari non sono quelle più pubblicizzate. Purtroppo la soddisfazione dipende molto dal meteo, il quale in Islanda è un terno al lotto. Il consiglio che do è di prendersi tempo e camminare magari tralasciando qualche altra visita e vivere di più luoghi quali il Landmannalaugar ed i Kerlinga. D’estate, nonostante il clima spesso impietoso non ci sono difficoltà di rilievo che non possano essere superate con un minimo di buon senso, attenzione, ed una buona giacca a vento, a meno che non ci sia una eruzione o uno tsunami, quindi tenete a portata di mano la macchina fotografica. Gli islandesi sono molto educati, gentili ma sono una presenza eterea, quasi impalpabile. A me, che scrivo, questo lato “umano” è mancato molto.

Auto: Gran Cherokee in offerta Iceland 4×4 car rental. Bella, comoda, va dappertutto ma bisogna fare un mutuo per mantenerla per quanto beve (benzina, ma l’ho saputo tardi). La compagnia mi ha succhiato dalla carta di credito anche 300,00 euro dopo il rientro, senza motivazione. Euro che non ho ancora recuperato, quindi, pur non potendo lamentarmi del servizio non mi sento di consigliarla.

Attrezzatura (portata e non): Un sacco da spedizione Ferrino (40€), un borsone/zaino messo all’interno del sacco, tenda da due. Consigliata falda a terra, tipo alpinistico, due teli. Non è il freddo che dà dei problemi ma il vento e l’umidità che forma parecchia condensa all’interno. Un paio di metri quadri di plastica con le bolle d’aria da imballaggio. Vero toccasana sotto la tenda. Materassini gonfiabili. Fornellino bombole azzurre. Non abbiamo trovato delle bombole compatibili ed abbiamo acquistato fornello e bombole in loco. Pentole, piatti ed attrezzi per cucinare, compresa moka, pentolone per la pasta e scolapasta. Ottimi quelli in metallo dell’Hao Mai cinese, costano un decimo rispetto ai kit dei negozi specializzati, pesano poco, si ammaccano ma non si rompono. Sacco a pelo pesante, non artico. E’ freddo ma non si va mai sotto zero, una volta riparati dal vento in tenda si sta bene. Un kit vestizione pesante a cipolla, sottopile, pile e giacca a vento, guanti, berretto, sciarpa ecc. calze da trek, pantaloni K-way. Una tuta per dormire da tenere asciutta. Pochissimi cambi per risparmiare sul peso. Consiglio portarsi, se si possiedono, dei bei gore tex tipo scialpinismo, o pantaloni da trek antivento, insomma abbigliamento da montagna del genere. Io, i miei lasciati a casa, li ho rimpianti molto. Scarpe trek, infradito. L’asciugamano è indispensabile per le pozze. 5 fra thermos e borracce della coca cola, quelle omaggio all’autogrill, piene di alcolici, 2 barattoli caffé, nutella, pasta, minestroni e riso liofilizzato, polenta istantanea, salame, grana in abbondanza, cioccolato, zucchero in bustine rubato all’autogrill, ecc. Tot 21 kg. Olio Sasso trovato in loco.

Segue il primo e, probabilmente, unico diario scritto da me

Prologo: Io: Pronto? Lei (voce cane bastonato): Non trovo più il marsupio. Io (voce serafica): Cosa c’era dentro nel marsupio? Lei: (Voce 1800 mt sotto terra): Tutto… Io: (Voce calmo sforzata): Tutto? Lei: (Sibilo disperato) Carta di credito, carta d’identità, patente, bancomat, soldi…… Io: (Lampadina accesa): Non c’era vero il passaporto…… Lei: No… Cominciamo bene… borseggiato il marsupio già pronto per la partenza due ore prima di avviarsi a Malpensa e nemmeno posso dirle nulla essendomelo fatto fregare due anni prima il quel di Monticello, Utah, dai Mormoni come un… tutto il viaggio a scrocco allora… Grazie a Dio l’Islanda è in Europa e con il passaporto siamo partiti lo stesso, bloccate le carte, le denunce le faremo al ritorno. Naturalmente, bastardissimamente è stato un viaggio tutto: E anche questo lo pago io, Vuoi anche tu le sigarette? Cosa? Le askrok… fai la brava sennò non ti compro la cena, che bei maglioncini… peccato che non puoi comprarli… eh eh… essendo qui a scrivere e non bollito in un lago acido vuol dire che mi ama ancora…

Per la prima volta partiamo fuori peso, di poco, ma fuori. Viaggio free in campeggio con itinerario di massima ci portiamo dietro una buona scorta di viveri fondamentali quali: 5 borracce ed un thermos pieni di Porto, Whisky e Grappa come coadiuvante per il clima, nutella per uso personale, almeno un 1kg di grana, un salamino, scorta di minestre liofilizzate, olio, caffè, pentolame, moka oltre che materassini, tenda e quant’altro utile al camping. A priori è stata un’ottima scelta. A Reykiavik acquistiamo un fornellino del tipo che va con le bombole grosse islandesi, le bombole piccole per il mio non le troviamo.

Atterriamo a Keflavik di notte in un quasi buio, transfer via bus, a Rey ed a letto a giorno fatto, saran state le 4 di mattina. La Guesthouse 101 non è lo Sheraton ma è assolutamente adeguata, una delle meno care a €. 89,00 a notte breakfast incluso.

Reykyavik

Freddo e cielo plumbeo ci attendono l’indomani in città, la posizione della guesthouse è ottima, a due passi dal centro. Facciamo un bel giro a piedi e la capitale ci pare abbastanza anonima, liquido i negozi di maglioncini di lana velocemente con un bel: tanto non hai la carta di credito, memore di Ulan Bator dove ci hanno buttato fuori a calci a notte inoltrata ed ho dovuto noleggiare un muletto per portare in albergo gli acquisti. Ci infiliamo in un caffé, bellino, sulla via della cattedrale, se non fosse che il sottofondo musicale è quel jazz da ambient che fa venire il latte alle ginocchia. Caso vuole che c’è anche una chitarra, tipo cassetta della frutta senza una corda abbandonata su un divanetto, tutta sola, depressa. Io non ho il cuore da lasciarla lì e la consolo, prima così per provare, poi mi escono gli accordi mediterranean sundance ed arriva il padrone, “troppakky kasinstadur”, suscitando le proteste degli altri avventori che un attimo prima si stavano tagliando le vene a ritmo cool jazz. Beh, simpatici gli islandesi, compagnoni! Vabbè, prendiamo armi e bagagli e decidiamo di anticipare il pick up della macchina. Tribuliamo un po’ sui mezzi pubblici visitando circonvallazioni e quartieri dove stranieri mai misero piede per raggiungere l’Iceland Car, che ci attendeva molto dopo, ma se la cava bene. Col mio Cherokee bauscia ci dirigiamo al megacentrocommerciale Kringlan. Qui si trova, oltre alle boutique ed al supermercato un fornito negozio di attrezzature da campeggio e sportive, ottimo se si ha bisogno di integrare l’equipaggiamento. Compriamo bombole di gas, fornello, la retina antimosche da mettere sulla testa che non serve ad un tubo ma mi piaceva tanto. Prezzi convenienti rapportati al resto del paese, anche al supermarket dove integriamo la spesa. Organizziamo la macchina, sedili dietro giù, prima gli zaini che non si sposteranno più, poi pentole da una parte, cibarie divise per tipo un po’ di quà ed un po’ di là, ammenicoli vari sparsi, tenda a coprire il tutto, non la piegheremo mai e lasceremo dentro anche i materassini tutto in Nomine del Kaos, equilibrio supremo che regge l’Universo, quindi, perchè dannarsi nell’ordinare ed organizzare tutto? Seguendo i consigli Edt ci dirigiamo verso Heverangerdy lungo la costa sud est, paesino in una zona piena di fattorie e cavalli. Meta è la passeggiata al fiume caldo, il tempo è piovigginoso, il posto non esaltante, alla partenza del sentiero una turista tedesca incacchiatissima ci dice che il fiume è in realtà un rivolo che non permette di immergersi, così facciamo dietrofront e continuiamo per Eyrarbakki. Qui si trovano delle abitazioni del 1700/1800 delle quali la più antica è adibita a museo. Le case sono carine, gli arredamenti d’epoca e lo scialle di capelli umani rendono la visita interessante. Non è una meta imperdibile ma merita una veloce sosta. Passiamo per Stokkensery senza fermarci. Per la 305/308 raggiungiamo Selijalanfoss, cascata carina con visita a 360 gradi, posta all’imbocco della pista F 249. Essendo breve e diretta verso una località piuttosto battuta dai cittadini di Reykiavik pensavo che fosse una buona pista per il primo contatto con l’off road islandese ed avere un’idea delle prestazioni dell’auto. In effetti per almeno metà tragitto il fondo è piuttosto buono, solo del fastidioso gravel. La cartina segnava 3 guadi. Trovo subito un corso d’acqua di larghezza di un paio di metri, ho una jeep davanti che rallenta e passa senza problemi, così anch’io, un po’ d’apprensione, ridotte, entro ed esco. Apro una parentesi, all’atto della consegna dell’auto il titolare ci spiega un po’ come affrontare i famosi guadi, ribadisce con forza il concetto che l’assicurazione non copre i danni da guado, ci fornisce nutriti esempi di turisti inguaiati e dulcis in fundo ci comunica che l’acqua oltre il cofano entra nel motore causando un danno di circa 20 mila euro che qualche altro turista beota ha pagato di tasca sua. Capite che ‘sta storia dei 20 mila mi ha dato non pochi pensieri. Io sono una famosa crosta delle Orobie e limitrofi. Così, tenendo qualche altra auto davanti a far da lepre, di questi “guadi” ne affrontiamo diversi altri finché non me ne vado tranquillo senza usare più nemmeno le ridotte, inutili e dispendiose. Apro un’altra parentesi. La cosa più simpatica, non ero l’unico turista ad affrontare la pista, è stata la battaglia del vai prima tu. All’avvicinarsi al rivolo, come prima auto, ci si ferma, si fa finta di sgranchirsi le gambe o di fare fotografie generalmente a sassi o pietre, muschi e licheni come se si fosse in un paesaggio assolutamente grandioso ed imperdibile, si apre il portabagagli cercando chissà cosa o solamente si rallenta fino a velocità che farebbero incazzare anche il più probo autista, il tutto all’unico scopo di farsi sorpassare e vedere come attraversa l’altro. Scene veramente epiche, di gente che con espressione serafica, se ne stava lì parcheggiata a 100 mt dal fiume compiendo attività quali il taglio delle unghie dei piedi, l’origami, cucitura calzini, scaccolamento impellente, ecc per poi partire a chiodo non appena qualcuno attraversasse e seguirne le orme. Comunque, ormai ringalluzzito e sicuro procedo spedito fino a che la pista fa una curva decisa a sinistra. Qui un cartello indica un altero “per di là” verso il fiume, quello vero che scende dal ghiacciaio, acqua torbida e veloce, che non dà il metro della profondità. [ Acciderboli… vabbé, facciamo finta che ho detto così, esclamo…, questo è il guado. Anna, carina lei, si offre di attraversare a piedi e vedere la profondità, l’acqua sarà stata due gradi, le rispondo di non preoccuparsi, qualcuno arriverà, vediamo lui e decidiamo, così inizio a lucidare i sandali. Non avrei avuto grandi problemi a passare, abbiam fatto incoscientemente di peggio, ma mi si era innestato un disco nel cervello che ripeteva ab libtum: ventimila, ventimila, ventimila…. Infatti qualcuno arriva, vedo dove passa e lo seguo, l’acqua supera l’altezza delle gomme, il fondo fa un effetto strano, ma tutto fila via liscio. Proseguiamo ancora un po’ e c’è un’altro pure peggio, più stretto ma con l’acqua più veloce. Ormai ho fiducia nel mezzo e passiamo lisci, mi diverto un mondo. Più avanti ancora la pista passa direttamente nel fiume o viceversa per dei bei tratti, ma ormai non ci ferma più nessuno. Tanto clamore per nulla. Arriviamo al Bazar Hut nella valle di Thosmork, con il sole che fa capolino e l’arcobaleno. La zona è molto bella, chiusa fra montagne e ben tre ghiacciai, offre parecchie opportunità escursionistiche. Qui c’è un rifugio che opera anche da info/ranger e un campeggio molto bello con opportunità di cucina al chiuso, 1000 Ikr a testa. Un paio di Km oltre c’è un’altra possibilità di camp libero ma il luogo è meno attraente e la pista parecchio accidentata. In teoria si può proseguire oltre, ci dicono, con un guado estremo al momento “impassable”. Il giorno dopo il tempo è tornato nebbioso e piovigginoso, facciamo comunque un giretto a piedi ma purtroppo non abbiamo la vista dei ghiacciai e del panorama. E’ comunque una bella zona per camminare. Al ritorno al campo un gentilissimo autista ci chiede che strada vogliamo fare dopo Thosmork avvertendoci che le piste verso Skogar ed il Landmannalaugar hanno avuto un “flood” e ci sconsiglia vivamente il passaggio, rischiate di restare “stuck”, avendo avuto difficoltà lui con il carro armato, giuro, la sua non era un auto, era un mezzo blindato che l’Hummer al confronto faceva la figura della 500. Dopo un brainstorming ed un consulting con la partner decidiamo la mission… per una volta, (ventimila… ventimila…) opto per seguire un consiglio e torniamo dalla stessa via fiondandoci nel fiume come una foca nel mare. Anna però si rifiuta di attraversare a piedi per farmi la foto, nessuno è perfetto. Peccato perchè in zona ci sono molte cose da vedere. Ripresa la ring visitiamo un’altra cascata famosa, Skogarfoss, sempre sotto un cielo plumbeo e arriviamo a Dirholaey. La scogliera è molto scenografica con il faro sulla sommità, miracolo, spunta anche un po’ di sole. C’è un vento che porta via, ma facciamo comunque una bella passeggiata lungo i cliffs. Ad un certo punto vedo del movimento sotto la scogliera, è pieno di Puffins. Lasciando il faro alle spalle e tenendo il mare sulla sinistra, a qualche centinaio di metri di distanza c’è una traccia di sentiero verso il basso. Appena sotto si trova qualcosa di simile ad una cengia, nel senso che la scogliera non va giù a picco, erbosa, non molto esposta, la quale porta ad una specie di balconcino da cui si vedono piuttosto bene i puffini. Scendendo ulteriormente da un canalino e stando a filo delle rocce si guadagna un’altro ottimo punto d’osservazione o meglio, si è circondati dai puffini volanti, che vanno a posarsi un poco più sotto. Se qualcuno seguisse questa nota, occhio, che pur non essendo a filo dirupo si è sempre su ciuffi erbosi, se si scivola dagli stessi o dalle roccette si finisce giù dalla scogliera, sopratutto se è bagnato e scivoloso, e/o ventoso, con nulle possibilità di sopravvivere. Se non vi ammazzano le rocce sotto, lo fa la temperatura dell’acqua. Il giorno seguente completiamo la visita dei faraglioni, colonne e spiaggia nera. Passeggiata e divertente corsa in macchina sulla sabbia. Raggiungiamo dopo Skaftafell attraversando lo strano sandar costiero, che ha un suo fascino sperso fra polvere e nebbia. Tempo così così, salita alla cascata di Svartifoss sotto pioggierella e vento, ci facciamo anche un giro largo poi la nebbia ci sega. Peccato perché il Vatnajokull è veramente una forza della natura. Nella remotissima ipotesi che dovessi tornare mi concentrerei su questa zona con la mia attrezzatura, visto l’equipaggiamento ridicolo che appioppano ai turisti….. Decidiamo a malincuore di abbandonare il posto nel tentativo di anticipare il brutto tempo a Jokulsarlon. Ed in effetti riusciamo ad avere una vista buona nonostante sia piuttosto tardi quando arriviamo, speriamo domani… ‘spetta e spera! Sorge un problema, qua non si può campeggiare, oltretutto c’è vento forte e freddo becco, non c’è un camping a pagarlo fino ad Hofn e non esiste che si facciano 40 km in su e giù. Domattina voglio farmi un’altro giro in laguna. Andiamo un pochino più avanti e che ti troviamo? Una bellissima casupola in legno appena finita di costruire con tanto di tavolo e sedie da pic nic all’esterno. Probabilmente sarà una toilette in futuro ma per ora è vuota e pulita. Montiamo la tenda all’interno e si cucina sotto la tettoia. Ogni tanto si ferma un’auto ci guarda, passa e se ne va. Pernottamento in bungalow prezzo 0 Ikr. Alla notte si aprono le cateratte con Giove Pluvio in pompa magna, ma noi stiamo da Dio. Il giorno dopo è chiaramente pessimo, pioggia, nebbia e freddo. Peccato, ma devo dire che l’effetto nebbia è assolutamente affascinante. Jokularson è sicuramente una delle attrazioni migliori d’Islanda. Rinunciamo al giro in anfibio e ritorniamo in auto fradici e congelati. Con questo più il vento preso sulla scogliera sono bello che raffreddato, mal di gola e bronchite. Appena prima di Jokullsarlon con un paio di km di sterrato si raggiunge un’altra laguna, praticamente confinante chiamata Bréidàrlon, noi abbiamo visto poco o nulla ma con visibilità è consigliata, c’è poca gente ed è più vicina la fronte glaciale, per quanto più piccola e con meno iceberg. Proseguiamo fino ad Hofn, che, pur essendo veramente poco attraente merita una sosta per assaggiare le famose langostine, assolutamente consigliate. Peccato che questi barbari le anneghino nell’aglio oppure, orrore!, le friggano con la pancetta. Ci fermiamo a dormire nel camp di Djupivogur,, sempre 1000 Ikr come a Vik. Nulla di particolare da segnalare, nel senso che c’è proprio niente…. Il tempo è sempre pessimo, il traghetto, se mai avessimo voluto andare, per Papey non c’è. Decidiamo per dirigerci a Seydisfiordur. In origine c’era l’idea di fare un giro in kayak, in più l’Edt la descrive come località amena e “bohemienne”…. ma questa parte dei fiordi dell’est proprio ci dice proprio poco anche se qualche scorcio interessante si trova. Decidiamo quindi di andare verso l’interno dove, pare, che il tempo sia migliore rispetto alla costa saltando anche Husey. Beata illusione. Sosta all’ottimo punto di rifornimento di Egilstadir. Qui c’è un ottimo turist info dove prendiamo informazioni sulle piste per l’Askja e sopratutto sulle pompe benzina, visto che il Cherokee ha una autonomia ridicola. Costeggiamo il Lagarfijot con sosta ad Hengifoss, altra cascata famosa, ma decisamente meno attraente di quelle già viste. Imbocchiamo la F 910 che, senza grandi problemi, ci porta fino alla diga ed al lago di Hàlslòn, praticamente in mezzo al nulla assoluto, qui per un errore di lettura della carta imbocchiamo una pista segnata da un piccolo cartello di legno scritto a mano chiamata Hrafukesolalur, già il nome è un programma, la quale avrebbe dovuto portarci direttamente ad Atalbol, la direzione è giusta, nord. In teoria dovremmo incontrare il punto benzina dopo al massimo una 15ina di km. A 25 di saliscendi su una pista sempre più accidentata, poco chiara e visibile, piccoli guadi e montagne di sfasciumi nel più totale out of the wordl, spesso in mezzo alla nebbia, ci troviamo a costeggiare una valle che ci pare essere quella giusta, solo che noi siamo almeno 300 mt più in quota. Il Gps ci dice cortesemente che lui se ne lava le mani visualizzando un enigmatico: “percorrendo sentiero”. Discussioni accese nell’abitacolo, io sono dubbioso, Anna è assolutamente sicura della direzione manco fosse l’autodafé della Gelmini. Finalmente dopo almeno altri 15 km di guida a passo d’uomo fra sassi e rocce la strada scende a picco e si immette in una pista decisamente più larga, battuta e ben tenuta. Destra o sinistra? Tiriamo a caso, sinistra. Avanti ancora un po’ e finalmente ti troviamo ben due case, una metropoli, con un tizio che sta salendo su un auto al quale prontamente spariamo la domanda d’obbligo: -Sorry… where am I ? -I don’t know….. -Do you know where is Atalbolt petrol station? -I don’t know..I’m a tourist… -The pen is on the table -Mind the step – No more middle season… Entriamo allora in una delle casette a chiedere lumi agli indigeni. Qui troviamo due biondissime autoctone che, con aperto dibattito, consultazione di cartine, tarocchi, discussioni accese tipo anno zero, dopo un irragionevole lasso di tempo in cui mi chiedevo dove cippa ero finito e già mi immaginavo di restare a secco di benzina e morire di stenti vagando tra le ceneri vulcaniche con una tanica vuota in mano, mi indicano la Via: 3 km a valle, direzione opposta a quella presa inizialmente. Ciumbia! E ci voleva tanto! Saran gli unici vicini che avete nel raggio di 50 km… Per arrivare ad Atalbol, posto di rifornimento ed a questo punto sosta. Per chi seguisse le orme dalla 910. Quando la carreggiabile piega da direzione sud a ovest, dopo circa 10/15km trova una pista, sempre denominata 910 sulla carta, direzione nord che porta ad Atalbol. Pare, non avendola fatta non posso sindacare, piuttosto brutta con 4 guadi segnati. Da li la denominazione della pista è 923. Pista ottima che parte più comodamente dalla ring a nord. Il nostro giro panoramico tutto sommato è più lento che impegnativo a patto di sapere dove si va. C’è un distributore, (si fa per dire), nel senso di un grosso serbatoio con una pompa anteguerra (punica) ed un bell’hotel con un nostrano vikingo di poche parole a gestirlo. La febbre si fa fastidiosa, è tardi, fa un freddo boia, optiamo per la più economica sleeping bag accomodation nella depandance (semper crosta est). Ottima, calda, spaziosa sistemazione a 4500 Ikr. Siamo solo noi. Devo dire che decedere su di un letto morbido non mi fa nemmeno poi tanto schifo. Il giorno dopo, imbottito d’aspirine, si prosegue per l’Askja. La pista non dà problemi. Arriviamo al rifugio Dreki, bello ed accogliente, 4500 Ikr, cucina interna ottimamente attrezzata. Manco a dirlo piove, freddo e nebbia. Decidiamo di aspettare almeno il giorno seguente ma non migliora, anzi, la visibilità è veramente minima. Qualcuno prova ad andare al Viti ma torna in stato pietoso senza aver visto nulla causa nebbia, ho sempre un po’ di febbre e decido di non salire. Nonostantei frrequentatori del rifugio siano una compagnia simpatica, si impara sempre un modo diverso di seviziare gli spaghetti in questi frangenti, a malincuore ce ne andiamo, fa parte del viaggiare. Non andiamo nemmeno alle grotte di ghiaccio di Kverkfjoll, inutile data la visibilità nulla. Riprendiamo la 910. Deviamo poi sulla 905 passando per l’incredibile località di Modrudalur. E’ un villaggio perso nel nulla con 4 case dal tetto in torba, una chiesa, un bellissimo caffé ed una pompa di benzina che da sola merita il viaggio. E’ una delle stazioni più assurde che mi sia capitato d’incontrare. Quando esce la benzinaia l’Islanda balza ai primi posti d’indice di gradimento e Modrudalur in assoluto! Dopo essermi perso abbondantemente negli occhi di ghiaccio, e non solo, della bionda benzinaia, proseguiamo per l’imponente cascata di Dettifoss fino a giungere ad Asbirgy. Giro per il canyon, dopodiché optiamo per qualche ora di camminata a Hijotaklettas fra curiose formazioni laviche e colonne basaltiche fino ad un cocuzzolo sul bordo di un cratere estinto formato da sabbie rosse e nere. Uno strappettino ancora lungo la costa e dormiamo a Husavik. Camping piuttosto basico ma con molta erbetta morbida, soliti 1000 Isk. A Husavik, il giorno dopo, osserviamo uno straordinario fenomeno metafisico: un gigantesco globo di fuoco sospeso nel cielo emana calore e luce accecante, tanto da renderne impossibile l’osservazione ad occhio nudo! Siamo costretti a toglierci i 18 strati di indumenti protettivi a causa di una improvvisa e copiosa perdita di liquidi dai tessuti epidermici, presumibilmente provocata dalle radiazioni emanate dal misterioso oggetto fluttuante. Così, un po’ confusi, mentre già intravediamo le prime persone vagare autofustigandosi gridando “poenitentiam agite” ci incamminiamo per l’obbligatorio ueil uoccing rimandando l’eventuale invasione aliena al pomeriggio. Fra le città viste in Islanda Husavik è quella a mio giudizio più carina, pur se di dimensioni ridotte, offre un caratteristico fronte mare ed il porticciolo con sfondo di montagne innevate. Da qui partono i battelli per l’avvistamento balene che, grazie ad un mare particolarmente ricco di plancton, sono numerose. La gita non è indimenticabile ma tutto sommato piacevole, bel panorama della baia, passaggio alla rocca dei puffins, che non si vedono, e rincorsa al cetaceo in acque più aperte con caffè e dolcetto, manco a dirlo, ricco di burro. Le balene si vedono emergere un attimo e sbuffare ma nulla più, siamo fortunati, ne vediamo parecchie anche piuttosto da vicino. Le due compagnie che effettuano la gita sono assolutamente speculari sia nei costi che nei percorsi, variano solo leggermente gli orari. Visitiamo anche il museo fallologico che è, non posso esimermi dalla facile battuta altrimenti non sarei Mono-neurone, una gran minchiata, costa poco ma sono comunque soldi buttati a meno che non vogliate chiedere lumi riguardo al quarto giocatore di pallamano islandese contando da destra, tal Rokko Sigriedgusson. Non siamo annichiliti da raggi mortali, il mondo esiste ancora, manco un Et di seconda mano quindi si riparte verso il Myvatn. Ci fermiamo a Reykjahlid e ci piazziamo nel camp Bjarg in riva al lago, non grandissimo, non molto in piano, ma in posizione veramente felice, infatti è più caro: 1300 Isk. Consigliato. Pur essendo a pochi metri dall’acqua i famosi moscerini si vedono poco e non danno fastidio, un altro mito che cade. Il lago è paesaggisticamente molto bello, decisamente ameno. A due passi petrol station e supermercato. Molto comodo. Per prima cosa ci fiondiamo alle sorgenti calde. Il complesso è un po’ più spartano rispetto alla Blue Lagoon ma dire che è piacevole è poco. Ce ne stiamo in ammollo nelle calde acque termali fino a quando la pressione sanguigna scende a 2, discorrendo di ”hard life” con simpatici altri avventori, rinfrescandoci con copiose dosi di Viking… chiaramente ce l’ha consigliato il dottore. Entrtata circa 30,00 € spesi bene. Qui passiamo i due giorni seguenti con le nostre rilassate tempistiche visitando più o meno tutti i siti principali attorno al lago che non specifico trovandoli comodamente su ogni guida. Evitiamo solo di salire sul Hevfell a causa di ancora un po’ di malessere, ma penso che meriti. Tutta la zona del lago è interessante, seppur non indimenticabile. Dopo aver appena visto Yellowstone non mi entusiasma più di tanto. Imperdibile il caffé Vogafjòs, quello con le vacche, dove acquistiamo il prodotto tipico del lago, la trota affumicata del Myvatn Dop. A prima vista si presenta bene, dal colorito sembra quasi salmone, naturalmente si acquista con un panetto di burro. Sulla confezione c’è un warning bello grosso e delle istruzioni che mi faccio tradurre in loco, le riporto sperando di fare cosa gradita. Aprire il prodotto solo in locali ampi e ben areati. L’apertura in locali angusti e chiusi, quali tende, sgabuzzini, garage, bilocali ne può provocare l’inibizione all’uso con conseguente sepoltura sotto sarcofago di cemento modello Chernobil. Tempo decadimento effluvio fumigato: secoli due. Disinserire, ove esistano, impianti automatici antincendio, l’eventuale apertura della confezione può interagire con i sensori provocando l’innesco accidentale dello stesso. Evitare il contatto con la pelle. In caso di contatto fortuito rimuovere lo strato di epidermide contaminata con il metodo a voi più consono, abrasione, raggi uv, crioterapia, ecc. fino a che non scompaia completamente l’odore di fumo. Cioè mai. Evitare di baciare il proprio partner dopo l’ingestione, in seguito potrebbe lasciarvi per avervi confuso con un posacenere del Rick’s Café. Provaci ancora Olaf! Tenere a portata di mano un kit pronto soccorso comprensivo di: antispastico, bicarbonato o in caso d’emergenza estrema, Fernet caldo. Tempo stimato di digestione ore 18/24. Non disperdere la confezione nell’ambiente dopo l’uso o non ci sarà più ambiente. Non usare acqua in caso d’incendio. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Dirigiamo poi per Laufas.

Avendo saltato per errore le casette di tufo di Skogar, vogliamo vedere questo sito che, pare essere uno dei più interessanti e meglio conservati. Ed è vero, sono uno bellissimo spaccato di uno stile di vita a noi poco consono. La deviazione è minima e merita. Per arrivare: venendo dalla Ring direzione ovest, prima di finir nel fiordur, girare a nord, direzione opposta rispetto Akureyri, indicazione Grenivik, se non ricordo male sono una 15ina di km. Akueiry. Ci finiamo per forza, perchè si passa, perchè ci serviva una farmacia, perchè ha un buon turist information. Nel marasma della nostra disorganizzazione, si va di quà, di là, su o giù ci arriva all’orecchio che, dove non saremmo mai andati, c’è un festival del pesce: degustazioni gratuite al porto e festa di piazza, deciso, domani si va. Quindi si pernotta al camp di Aku, ampio, anonimo, sottovento, 1000 Ikr, cucina poco protetta ma ha la lavatrice (e chissenefrega, farò mica il bucato). Il peggiore trovato. Spendiamo anche un po’ di tempo in città, urka la città! Non è che ci sia molto da vedere o fare qui, a parte un paio di case rosse, è piuttosto anonima. Lascio però una nota. Nella bakeka del camping c’erano ottime opportunità a prezzi veramente buoni, per aggregarsi e fare dei tour, ad esempio all’Askja a 30,00 €. Se non si ha mezzo proprio vale la pena informarsi in loco. Dopo aver preso la nostra conforme dose notturna di pioggia lasciamo Akureyri per Dalvik costeggiando il fiordur. Sono circa 30 km direzione nord. Come si chiedeva il mai troppo compianto Asimov nel ciclo dei robot, Dove sono finiti i Solariani? Io per tutto il soggiorno in Islanda mi chiedevo, Dove sono gli islandesi? Risposta: a Dalvik, insignificante villaggio in bella posizione. Infatti sono tutti qui. All’arrivo una teoria di roulotte e camper parcheggiati in ogni dove comprese le aiuole. Al porto, già alla mattina, c’è un bel po’ di gente e pure noi ci infiliamo nella massa. La festa è una piccola strapaesana, qualche stand di degustazione, la bellissima macchina genera crocchette di pesce, un palco dove si alternano musica, sketch ed incomprensibili discorsi pieni di akky, ondur ed ardar! Nulla che giustifichi una simile partecipazione giudicando con metro conforme al nostro stile di vita. Mi iniziano a piacere ‘sti freddi. Per prima cosa ci strafoghiamo di sushi di salmone ed, ahimè, lo scopro dopo, balena, crudi, ottimi. L’Islanda è uno dei paesi che non aderisce alla moratoria sulla caccia ai cetacei. Pane e crocchette, pesce essiccato, zuppette e quantaltro, tutto buono tutto gratis. Incluse coche e bevande varie distribuite in diversi punti. Niente hakarl, questo per dire che non è che sia così tipico. La miglior mangiata effettuata in Islanda. Vedo poi un accrocchio di persone, è un recinto pieno di bambini biondi che guardano, indovinate cosa: le marionette, tutti accovacciati nel prato davanti ad uno spartano casoppino di legno. Sono una meraviglia, una teoria di chiome ed occhi quasi albini, inframmezzate da qualche testolina nera e qualche occhio a mandorla. Tutti rapiti, incantati dallo spettacolo. Tedio ulteriormente scrivendo tutto ciò perchè a me ha fatto piacere vedere dei pargoli divertirsi un mondo senza videogiochi, in modo semplice e fantasioso. Ho avuto la stessa percezione che si prova a volte in qualche villaggio afrikano. Questo per dire che tutto il mondo è paese e non ci sono più le mezze stagioni. Chiaramente, mi perdo in quella massa. In un amen finisce quella che sicuramente era una saga, si chiude il sipario e nemmeno riesco a fare una foto ai burattini. Pazienza. Ormai l’intaso è totale, non si gira più, siamo pieni come otri, allora via, verso l’interno. La strada che, nel nostro cervellotico itinerario, andiamo a prendere per raggiungere la Spregisandur è la F 821. Direzione sud, appena sotto Akureyri visitiamo una antica fattoria di cui, però, non ho segnato né nome né indicazioni. Proseguiamo lungo una bella valle punteggiata da piccole fattorie fino a che la strada diventa pista seguendo un fiume glaciale ed infine inizia ad inerpicarsi diventando decisamente off road. Tratti molto stretti, parzialmente franati, salite piuttosto ripide ed un fondo di rocce, buche e sassi che costringe ad una progressione molto lenta, un paio di guadi glaciali, ogni tanto ci si mette pure la nebbia. Non c’è un cane di nessuno e nessuno incontriamo per tutto il tragitto, soli, molto divertente. Dopo un paio d’ore di sconquasso gastrogluteale sbuchiamo su di un altipiano, un deserto sassoso quasi lunare, se non fosse per il fiume, abbastanza largo, che ogni tanto incrociamo, però si viaggia più veloce ed in breve arriviamo a Laugafell. Sui depliant che si trovano in giro viene etichettato come real out of the world, in verità non è distante dalla civiltà e nemmeno così difficilmente raggiungibile ma la sensazione di isolamento, data anche dalla particolarità del luogo, è notevole, out of the planet, direi. Sono 3 o 4 costruzioni, un rifugio architettonicamente uguale a tutti quelli islandesi, una piccola pozza d’acqua termale, della bella erbetta verde, il tutto collocato nel nulla più assoluto, un luogo onirico. Pernotto al confortevole rifugio, soliti 4500 Isr, ottima cucina interna. Nonostante la temperatura esterna decisamente rigida, siamo in quota, passiamo il rimanente della giornata a mollo, con relativo supporto d’alcolici, discorrendo più del meno che del più con altri avventori in una apoteosi dello svacco libero. Vediamo anche un tramonto, roba incredibile! Da Laugafell, via F 752, partiamo per l’attraversata dei sandar centrali attraverso la Sprengisanduro F 26, mitica pista che taglia l’Islanda da nord est a sud ovest. La pista non pone problemi di sorta se non qualche tratto gravel ed una polvere finissima. Avere un veicolo davanti è una sofferenza, quasi come essere nel Sahara, i pochi guadi che si incontrano sono semplici e c’è persino un ponte. Si viaggia a chiodo. Il paesaggio è quello tipico del sandar, sassi a iosa fra megalittici ghiacciai che chiudono l’orizzonte in lontananza. A volte dell’erbetta verde dà una macchia di colore che rompe la monocromia. A metà strada circa c’è il rifugio di Nyidalur dove, confermo, si trova anche carburante, bisogna chiedere. Non è un distributore ma una cisterna d’emergenza. La giornata è abbastanza serena ma il vento è terribile, a volte faccio fatica a tenere dritta l’auto sotto le folate, sopratutto freddo. Uscire a fare due foto è un impresa, non farle mosse è impossibile. Oltre tutto assistiamo ad un fenomeno di difficile spiegazione, la presenza contemporanea del vento e della nebbia, misteri d’Islanda. La facciamo tutta di un fiato in poche ore senza particolari entusiasmi per poi deviare sulla F 224 ed arrivare finalmente a Landmannalaugar. O meglio al centro della riserva di Fjallaback. La pista F 208 per raggiungere la riserva può essere percorsa, anche da auto normali, costeggiando il bellissimo lago del Frostastadvatn fino ad un colletto dove fra pinnacoli di riolite e crateri, si scende verso le montagne multicolori di Landmannalaugar. 500 mt prima del centro si incontrano due guadi, larghi ma semplici, c’è un park per chi non può attraversare. Naturalmente, come il più ignobile e cafone dei turisti, attraverso a manetta senza remore e non solo, costringo Anna ad andare a piedi sul ponticello e finalmente farmi qualche fotografia. Inutile dire che attraverso avanti e indietro almeno una dozzina di volte. La decisione d’averlo saltato all’inizio si rivela azzeccata. Riparato dal vento dei sandar, il land ci accoglie col bel tempo che si manterrà per diversi giorni. Il camp è piuttosto pieno e porta i segni delle piogge dei giorni precedenti, il rifugio, manco a dirlo è full, noi ci piazziamo in zona strategica a due passi dall’auto, soliti 1000 Isk, cucina riparata con dei bei tavoli di legno, docce calde a gettone. Spendiamo il resto della giornata facendo un primo giro a piedi nei dintorni per poi fiondarci nella piscina termale, situata a circa 300 mt dal rifugio. Bella, ampia, con tanto di rio caldo e freddo a seconda dei gusti, situata in un contesto spettacolare è un inno al fancazzismo più sfrenato, almeno finchè non bisogna uscire, generalmente con il sole calato ad una temperatura ambiente di 5 gradi. Il Landmannalaugar è una specie di tavolozza dove un pittore eccentrico ha sparso colori a caso, con una predilezione per il terra di Siena. Vivaci o pastello a seconda di come e quanto batte il sole, con qualche buco da dove escono fumi e vapori, bolle e spruzzi. Cosa c’entrano con il pittore? Che ne so, forse beve e fuma e gli si è incendiata una tela. Comunque è un paradiso per camminatori, oltre al famoso trek di più giorni per Thosmork che, se dovessi mai tornare metterei al primo posto, ci sono una serie di passeggiate da brevi a giornata intera in un contesto, come detto, splendido. Cartine e info si trovano comodamente presso l’ufficio dei ranger, sono comunque per lo più passeggiate semplici e ben segnate. Anche noi, per vivere al massimo, il più bel posto finora visitato in Islanda, da montanari consumati ci alziamo ad un orario prossimo alle 11, sarà stato il bagno termale a rilassarci? Ma tanto qui c’è luce fino a tardi, il giro lungo lo faremo domani e comunque siamo in vacanza. Bella camminata zona Stùtur e limitrofi. Si fa un pezzo del trek verso Thosmork con l’idea di arrivare al primo rifugio. Questa parte di trek è spettacolare, è piuttosto facile, c’è una salita all’inizio, poi procede fra saliscendi e salite tenui. La prima parte attraversa l’area geotermale di Storihver, per proseguire un po’ più in quota su monterozzi tondeggianti multicolori e sbucare in una distesa di ossidiana luccicante. 90 minuti (scarsi) all’area geotermale, 11 km, 4/5 ore al rifugio Hraftntinnusker. Imperdibile. Si cammina fra borgorigmi e fumarole fino alla tavolozza di cui sopra. Proseguendo si arriva ai campi di ossidiana di Hraftinnusker un po’ più in quota. Un deserto di sassi neri che luccicano controsole. A colpo d’occhio è affascinante, ma camminare a lungo sul falsopiano piuttosto monotono, decidiamo di tornare ed ampliare il giro senza toccare il rifugio. Abbandonando l’area geotermale il paesaggio cambia, diventa più ampio e selvaggio, oltre che quasi totalmente deserto. Incroceremo solo un gruppetto di onnipresenti francesi in tutto il pomeriggio. Per il resto cammineremo soli seguendo le balise. Sfruttiamo anche le docce a gettone, con le quali, già Annina aveva avuto un precedente rapporto conflittuale. In quest’ultima occasione sfocia in guerra aperta. Naturalmente vincono le docce, le quali, non ‘contente’ di mangiarsi i preziosi soldini, rifiutano di erogare acqua calda, lasciando la poverina bagnata ed al freddo, risultato: un bel raffreddore, così l’Islanda battezza anche lei. Si riparte! Via F 225, dietro il famigerato Hekla, fra distese di lava nera imploro invano per una spettacolare eruzione ma niente, calma piatta. Proseguiamo per zone più verdeggianti punteggiate di fattorie, per raggiungere infine Geysir, la madre di tutti i geyser. Lo spettacolo dell’eruzione è sempre affascinante ma il contesto in cui si trova piuttosto anonimo. Ha di bello che ogni 6/8 minuti getta, quindi in mezzora lo si può gustare per bene. Anche l’area geotermale vicina è poco attrattiva, quindi dopo esserci umidificati ben benino sottovento, veloce ripartenza per Gulfoss dove, finalmente, vediamo una cascata corredata da relativo arcobaleno come da contratto turistico islandese. Stavo già pensando di fare causa all’Alþingi. E’ un bello spettacolo, la fortuna, al momento, ci assiste. Via ancora, ma la direzione? Nord! Lo so, ha una logica tutta nostra ma se fossimo persone normali non viaggeremmo con uno struzzo di peluche a seguito. Prendiamo la F 35 per andare a vedere un luogo di cui non abbiamo trovato praticamente notizie, se non un’accattivante foto sull’EdT che, per altro, lo liquida in poche lacunose righe. Ma a noi ci ispira. La F 35 non è una pista ma un veloce sterrato buono per tutti i mezzi, paesaggisticamente mi è piaciuta più dello Spregisandur, è un po’ più chiusa e vicina ai ghiacciai. La consiglio a chi vuol vedere il sandar centrale senza problemi di 4wd e ci sono soste più interessanti. Segnalo anche una laguna con iceberg tipo Jokularson, con visite in battello, circa alle 13,00 ed alle 17,00, informatevi prima, sono andato a memoria. Noi arriviamo fuori orario e non andiamo ma la zona è molto selvaggia ed il ghiacciaio in lontananza imponente, probabilmente merita una visita e sarei curioso di sapere com’è. Arriviamo in vista dei Kerlinga, deviamo quindi sulla F 347 dove ci imbattiamo in una piccola ma pittoresca cascata d’acqua solforosa, con un fortissimo odore d’uova marce e relativo canyon. Iniziamo poi a salire ed addentrarci in quel piccolo nascosto gioiello chiamato Kerlingafjoll. Fino al rifugio lo sterrato non presenta difficoltà, oltre sale in modo piuttosto ripido ed il fondo è un poco più deteriorato ma percorribile da ogni mezzo. Dopo una prima esplorazione ci piazziamo al camping situato nel prato appena sotto il rifugio, non del tutto ma abbastanza riparato dal vento. 1300 soliti robi, uso cucina interna, docce e bagni al chiuso nel rifugio, barbecue libero. Molto confortevole nonostante la zona sia piuttosto fredda. Il rifugio è a gestione privata, ha un bel ristorante, non mi pare molto grande quindi presumo che in agosto sia meglio prenotare se si vuole pernottare qui. Ci sono anche dei bungalows. E’ servito dai mezzi pubblici della Trex, lo posso confermare perché ho parcheggiato nel posto riservato al pulmann e l’autista mi ha, molto cordialmente, spiegato che il park a me riservato, era in un luogo chiamato Stjukakssðn, toponimo che, a dire il vero, non ho trovato nemmeno sulla mappa. Ma lui aveva la faccia contrariata. La mattina dopo, presto, giuro, risaliamo lungo la strada fino al belvedere dove lasciamo l’ auto. Se ci fossero problemi a fare la salita si può anche partire direttamente a piedi dal rifugio, allungando di un 40 minuti il trek. Qui si parcheggia e si scende per un ripido sentiero e scalini verso l’area geotermale, punteggiata di fumarole fra montagne ocra e nevai. E’ decisamente molto suggestivo, forse meno colorato del Land ma decisamente più selvaggio ed aspro. Siamo anche fortunati, è una bella giornata, con il sole che esalta i colori e le atmosfere. Non abbiamo mappe, l’unica, molto sommaria, che abbiamo visto, è una grossa cartina appesa all’entrata del rifugio ma l’area geotermale è piuttosto evidente, racchiusa in una grossa conca fra una dorsale e le montagne. Scendiamo al primo ponticello dove si snodano diversi sentieri per poi risalire lungo una dorsale per quello che pare essere il principale, in direzione di due interessanti bocche fumanti poste sulla sommità che raggiungiamo dopo una bella salita fra paesaggi magnifici. Il sentiero prosegue verso la vetta di un monte, noi pieghiamo a sinistra seguendo un’altra balise colorata, scendendo attraverso un nevaio, nel mezzo della conca, con l’idea di rientrare al punto di partenza, giro ampio, ma che merita assolutamente lo sforzo. Infatti ad un certo punto ci troviamo a dover scendere in una valletta lungo uno di questi monterozzi piuttosto ripido senza vedere nessuna balise o riferimento. Il terreno che, in foto, sembra sabbioso, è in realtà duro e compatto con un sottile stato di sabbietta o sassolini che lo rendono oltremodo scivoloso. Io scendo con qualche difficoltà, attirato in primo luogo dai colori, Anna non si fida proprio e aspetta. E fa bene perchè dopo aver attraversato un fiume caldo bisogna risalire lungo un nevaio ed attraversare un pendio ghiacciato ed un poco esposto quindi retromarcia e ritorno fuori sentiero fra saliscendi, fumi e crateri vari, con qualche patema ogni tanto sull’effettiva consistenza del terreno. Raggiungiamo alla fine il ponticello lungo un’altra crestina che ci impegnerà in una “simpatica” discesa. Abbiamo camminato tutto il giorno, la stanchezza si fa sentire, ci rilassiamo sulla riva dove il torrente si allarga un pochino formando un microlaghetto. Ci sono delle assi di legno un po’ consunte messe apposta per sedersi ed infilare i piedi nell’acqua. Ma mica siamo sulle alpi qui, è bollente! Ma piacevole. Quindi tiriamo su i pantaloni e ci infiliamo i polpacci, mica male. Me li tolgo del tutto e ci infilo le gambe. Peccato non avere nè costume, nè salviette… ma si sta tanto bene. Uno sguardo d’intesa: e poi quando usciamo?… ci penseremo! Oltretutto non c’è anima viva. In un amen ci togliamo tutto e ci sdraiamo in quei 30 cm d’acqua caldissima, termale, sulfurea, leggermente frizzante, appoggiando la testa sulle assi di cui prima. Veramente uno schifo di vita…. Dopo un lasso di tempo, del quale non sono in grado di quantificare la durata, passato nel limbo della goduria pura, vedo sbucare un tizio, penso, arrivato direttamente da Woodstock. Dopo i convenevoli di rito,- Pace fratello, hare hare-, ed essersi informato riguardo la temperatura dell’acqua, probabilmente guardandoci in viso, bolliti totali, gli era venuto qualche dubbio, se ne esce con un bel: Naked? Look what’s floating my friend… io non mi sposto di una virgola manco se mi spari…. E si tuffa pure lui. E’ anche simpatico oltre che circonciso e crucco ma ci spezza l’Idilio ed a breve decidiamo d’uscire anche perchè non ce la facciamo più. Il sole è quasi andato, il tempo si sta guastando ma inizierò a percepire la reale temperatura esterna non prima di un paio d’ore, tanto che mi asciugo all’aria, cosa per me incredibile. Con la pressione sottozero la risalita al park sarà un vero calvario. Gli Islandesi pubblicizzano molto il triangolo d’oro, sinceramente lo salterei a pié pari e verrei qui, dovessi fare una scelta. Merita.C’è ancora un po’ di luce, adoro queste battute, diamo un veloce colpetto d’auto lungo la 35 sotto un cielo plumbeo fino ad Hveravellir dove piantiamo la tenda, riusciamo ancora a fare un giretto fra tramonto (si fa per dire) e tempesta poi decediamo. Soliti 1000 cemboli, spartano ma carino. Quest’area si trova in mezzo alla pianura ed ha una piccola, ma molto bellina zona geotermale con pozze colorate, sorgenti e soffioni attigua al camping. Qui si possono incontrare anche le famose pecore geotermiche islandesi, razza rarissima e iperprotetta. C’è una bella passeggiata fra singolari crateri a bolla, rocce e spaccature del terreno da cui escono vapori, in una quinta di montagne e ghiacciai. C’è la possibilità di fare trek anche piuttosto lunghi, ma le attrattive principali sono attorno al camp e se si vuole, si visitano in poco tempo, secondo me vale la pena venire e fermarsi, è un ottimo punto sosta. Abbiamo ancora qualche giorno davanti e nella nostra lucida follia decidiamo di fare un salto anche all’ovest. Dopo giorni passati perlopiù a piedi, optiamo per uno strappone in auto che allunghiamo con un paio di visite. Così, saltando anche una bella scorciatoia, la F 722, torniamo praticamente a due passi da Akureyri ed andiamo a visitare il museo di Glaumbaer. Il tempo è tornato quello consono ma il museo è interessante e merita sicuramente una visita. Ripresa la ring si viaggia velocemente, ma non vuoi fermarti a vedere le foche della penisola di Vatnes? Che non sia mai! Risaliamo quindi il fiordo fino al segnalato, non preoccupatevi se andate, i cartelli li vedete. Risaliamo la penisola per pochi km fino al punto d’osservazione. Le foche per esserci ci sono, addormentate e rimbambite nonchè piuttosto distanti, sinceramente è una deviazione che si può evitare. C’è la possibilità di fare escursioni in barca presso una riserva al momento vietata via terra, noi eravamo, e ti pareva, fuori orario. Proseguiamo verso occidente lungo la ring per ancora un pezzo poi la strada inizia a salire ed a inerpicarsi lungo i fiordi, così inizio a maledire l’idea avuta, il paesaggio è bello ma si viaggia piuttosto lentamente. La scoperta di un rifugio d’emergenza la dice lunga sulle condizioni che si possono trovare in questi luoghi sopratutto d’inverno. Arriviamo a Brjanslaekur piuttosto demoliti, c’è un campeggio posto su un poggio in pieno vento, fa un freddo cane e optiamo per l’unico albergo presente in paese poco prima dell’imbarco del traghetto, caldo, confortevole, costoso, ma in fondo non abbiamo ammazzato nessuno. La gentile proprietaria ci fornisce anche di abbondanti medicine per la ormai conclamata influenza di Anna. Noi come ringraziamento cuciniamo in stanza nonostante i divieti, ma di uscire non se ne parla proprio. Ritemprati la mattina dopo si parte ad esplorare. I fiordi dell’ovest paesaggisticamente sono decisamente più belli di quelli dell’est e, con uno spizzico di sole, il limpido mare è di un verde quasi caraibico. Anna si lamenta di non poter fare il bagno in un mare così bello. Cosa te lo impedisce? Che c’è il divieto? Ovviamente mi fanculizza a raffica. Dopo la doverosa sosta al relitto della nave raggiungiamo Latrabjarg, sulle scogliere i puffini, logicamente, se ne sono già andati, restano dei volgari gabbiani. Il luogo è da visitare prima della metà d’agosto visto che i puffini hanno la pessima abitudine di migrare. La passeggiata sui cliffs è comunque piacevole nonostante il vento, giriamo poi in zona fra la spiaggia d’oro ed altre calette. E’ ormai sera e, vicino ad una fattoria, in un luogo chiamato Melanes, ti troviamo un piccolo campeggio libero e solitario posto in un incantevole posizione. Tira un vento freddo e fastidioso ma è un peccato non fermarsi, così smonto la porta che chiude la zona lavabo del casoppino che funge da cucina del camp e la usiamo come protezione. Naturalmente la rimetterò a posto l’indomani, e ci godiamo una serata in solitaria totale, dimenticati dal mondo. 0 Isk ma molta fatica. Ormai siamo al termine, e meno male direte, quindi, dopo un ultimo giro per i fiordi torniamo a Brjansimpronunciabile per salire sul traghetto, direzione sud. A parte l’aria gelida la traversata è simpatica. Si tocca l’isola di Flatey, uno scoglio abitato, praticamente, ma molto frequentato da turisti e non. Una notte qui potrebbe essere un’esperienza. Arrivati sulla costa con il tempo costiero che ben conosciamo, ci dedichiamo alla visita della, molto pubblicizzata penisola di Snaefelness. Di vento ne abbiamo preso in Islanda, ma come qui oggi, mai. Campeggiare è un vero problema, così cerchiamo un’altra sistemazione che troviamo, lungo la 574, poco prima della cittadina di Arnastapi. Superati di qualche km i graziosi bungalow con il tetto di torba (full) e l’antipatico albergo del golf, c’è una stradina a destra che porta ad un piccolo gruppo di casette, delle quali una, azzurro/bianca: è una guest house, non c’è nessuna indicazione o segnalazione. La indico perchè è un’ottima sistemazione, 4500 Isk, uso superfornita cucina, docce calde, confortevole e pulita. La simpatica oversize proprietaria, in giro a mezze maniche con 4 gradi e vento almeno a 100 all’ora, ci spiega anche come aprire le portiere dell’auto e farle restare attaccate alla stessa, il che non è male. Purtroppo non ho indirizzo o tel, ma è facile da trovare. Consigliata. Facciamo una lunga passeggiata lungo le spiagge e le scogliere di Djupalon che sono la parte migliore della zona ammirando, nonostante il tempo inclemente, l’incredibile riflesso azzurro dell’acqua. Sempre nella zona sono state recentemente rese visitabili le grotte di lava. Sono tunnel scavati dal magma, percorribili a piedi con visite guidate. Le visitiamo per caso, incuriositi da un accrocchio di persone con gli elmetti in testa fermi a lato della strada. Chiediamo lumi e, pagando una cifra modesta per i canoni Islandesi, ci uniamo. Non sono Postumia essendo recenti, ma sono interessanti e meritevoli di una visita, se non altro per la singolarità. Eventualmente chiedete info dove pernottate per orari e prenotazioni. Alla nostra guest house c’era un opuscolo al quale non avevo dato peso. Sempre più a sud, ci avviciniamo all’aereo del ritorno.

Per l’ultima notte ci fermiamo al parco di Thingvellr, penultima tappa del tour ed ultima del triangolo d’oro. Ci accampiamo in uno dei camp non distante dal visitor center, quello che ci sembrava vagamente più riparato dal vento. Sembra che lo facciano apposta a fare i campeggi sottovento ‘sti islandesi, capisco che a loro, se non è almeno uragano forza 3 nemmeno ci fanno caso, ma i poveri turisti si. Infatti, nonostante ci accampiamo a 20 cm dall’auto, praticamente sulla strada la tenda non supera i 40 cm di altezza schiacciata dal vento, freddo, molto freddo. Thingvellir è anche interessante geologicamente parlando, a livello di paesaggio dice poco, con il senno di poi avrei pernottato da qualche altra parte. Oltretutto vedo sul tergi dell’auto un biglietto che ha tutta l’aria di essere una multa. Invece no, i simpatici ranger, i quali, cortesemente, alla mattina non hanno voluto svegliarci per incombenze quali il pagamento del camp, ci invitavano, per iscritto, a farlo prima di eclissarci. E io che credevo fosse gratuito. Ultimo giro, ultima corsa, veloce, fino a Blàa Lòmid, detta anche Laguna Blu. Ne avevo lette e sentite diverse sul luogo, non sempre positive. Turistico, caro, affollato. Sì, costa una 50ina di eurini! E’ molto turistico, giustamente perché è un centro termale con annessi e connessi, molto ben tenuto ed organizzato. Il termine affollato può essere relativo al contesto. Si, rispetto alla pozza di Laugafell è gremito, per il mio metro italiano ci si sta da Dio. Perché il mio fisico dopo 4/5 ore di acqua calda non ce la fa più, altrimenti sarei ancora lì a mollo, Anna peggio, ho dovuto tramortirla per portarla via. Assolutamente una meraviglia. Sopratutto la cascata calda. Tappa imperdibile. Molto caratteristico e fotogenico anche il laghetto esterno con l’acqua turchese e concrezioni bianche. Recuperato un minimo di pressione sanguigna lasciamo a malincuore la laguna direzione aeroporto. Ci fermiamo nel parcheggio di un supermercato chiuso e qui liberiamo l’auto da tutte le masserizie riuscendo a ricoprire quasi l’intera area. In qualche modo, non ben chiaro, ed in un onorevole lasso di tempo lungo un paio d’ore, riusciamo ad essere in condizione di prendere l’aereo, sotto lo sguardo incuriosito, divertito ed un po’ allibito di qualche passante indigeno. In Oman era arrivata la polizia, qui almeno si sono limitati a prenderci per scemi. Cortesi. Un ultimo hot dog ed a casa.

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