In bici da Dobbiaco a Maribor
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01 07 2011
Ore 17:30 partenza da casa del nonno Piero con famiglia, le biciclette erano già state caricate. Abbiamo un po’ di preoccupazione per la possibilità di trovare la galleria di Santo Stefano di Cadore chiusa. La troviamo aperta, purtroppo però, più avanti, c’è una frana che ci costringe ad un off road. Piove! Arriviamo a Moso, hotel Stella Alpina alle 19:30. Fa freddo, ceniamo abbondantemente e poi mi accingo a preparare le borse.
02 07 2011
Sono le 6:30, esco per ricognizione meteorologica: c’è il sole ma fa freddo: 7,5 gradi. Colazione, felpa, k-way, saluti e baci. Sono le 8 30, partiti! Primo inconveniente il conta chilometri di Francesco non va. Neanche l’intervento meccanico di nonno Piero risolve il problema. ”Le istes via le e piagoade”. Ci fermiamo a San Candido per togliere le felpe e poi giù verso Sillian. Entriamo al parco del paese e Francesco, scendendo dal toboga, si procura un eczema da asfalto sul braccio sinistro. Qui ritroviamo, senza volerlo, gli altri membri della famiglia per alcune foto e un ultimo saluto. Alle 12:30 e 54 chilometri sulle gambe siamo a Lienz per un veloce spuntino, fast food da McDonald’s, fa caldo afoso, il cielo è coperto. Da qui inizia la vera avventura, fino a Lienz in bici eravamo stati più volte ma da qui in poi buio. Non è proprio semplice districarsi nella cittadina, ma seguendo le indicazioni stradali ” R1 Drauradweg” che contraddistinguono il percorso, ci buttiamo veloci verso Oberdrauburg con pausa gelato nel mezzo. A Oberdrauburg ci sentiamo in forma, il tempo tiene e decidiamo di proseguire per Berg in Drautal dove arriviamo alle 16:07 e 94,96 km. Siamo in un paese veramente piccolo in mezzo al verde, stanchi e affamati. Ci mettiamo alla ricerca della pensione che in comune accordo decidiamo essere la Ferienpark Waldpension Putz: un paradiso con piscina, sauna, campo da tennis e golf scelta per i 94 chilometri fatti e non si voleva rovinare questo numero da terno al lotto. Cena con mini antipasto e brodo bianco per primo, sembrava al latte ma speziato. Ordine di scuderia: ”Checco butta pan che la butta mal”. Per fortuna il secondo, una sostanziosa “meat with chips”, da me ordinata in perfetto inglese, ha riempito la pancia. Qui scambiamo due chiacchiere con i membri di una famiglia italiana con sette figli giunti pure loro lì in bici da Dobbiaco. Per la serie” co rivo rivo”, erano più avanti di noi avendo fatto il nostro stesso percorso, ma in due giorni e facendosi portare il bagaglio da un furgone.
03 07 2011
Domenica mattina, dopo un’abbondante colazione, partiamo verso le 9:00 con k-way e col solito tempo indeciso. La signorina Putz ha voluto 97,50 euro, non pienamente meritati per il brodo bianco. Subito in mezzo al bosco di Cappuccetto Rosso, lo so che è così perché così l’ho sempre immaginato, vediamo Bambi che con calma ci attraversa la strada a non più di dieci metri. Il percorso è un dolce saliscendi in mezzo ad una valle che si restringe, sempre con la Drava a tenerci compagnia. Alle 13 giungiamo a Spittal dopo deviazione faticosa per Millstatt. Fa caldo e pur essendo una grande città in giro non c’è anima e tutto tace, irreale. “Zentrum” è movimentato, cioè c’è traffico ma poca gente per strada, facciamo le foto e poi serve urgentemente Coca Cola per i neuroni di Checco; quindi viste le mie ampie capacità linguistiche e le notevoli disponibilità finanziarie, ci rechiamo al McDonald’s che si trova in periferia. Sosta giusta, al momento giusto, con due tazze per regalo avendo ordinato:” due ice cappuccini e due Sachertorte” (persino un tocco di cultura culinaria son riuscito a dare al viaggio). Non so dove mettere le tazze, tento di disimpegnarmi con la cameriera ma i tedeschi son precisi: “zwei ice cappuccini, zwei tasse”. L’unica cosa che potevo fare era scegliere il colore. Chiuso l’incidente, pedalando, pedalando arriviamo a Villach; nella cittadina c’è movimento; facciamo anche qui alcune foto, c’eravamo già stati, e vista la recente esperienza di fast food, decidiamo di continuare; non volevo tornare a casa “pien de scudee”. La periferia di Villach, nei presi della Drava è un bel parco frequentato dai residenti, ben curato e tranquillo. Arriviamo così al chilometro 100 (del giorno) ed immortalo l’evento fotografando la faccina di Francesco felice affianco del mio contachilometri. Pacca sulla spalla e attento consulto dell’oracolo-guida: per dormire bisogna proseguire e a Rosegg si deve arrivire. Chiediamo a dei pescatori che in inglese e con tre dita ci fanno intendere che la meta e vicina. Cari i miei tre chilometri, eravamo in riserva di energie e cominciava l’imbrunire e non si vedevano ”zimmer”. Abbiamo sbagliato strada, la tensione era alta, poi però rincuorati da un’anziana guida, abbiamo affrontato una salitona (Collalto su sterrato), ci siamo inoltrati in un bosco scuro e alla fine, in lontananza, il campanile della chiesa di Rosegg. Dieci case, alla prima Gasthof: stop. La Pension Roseggerhof, scelta con il solito metodo metrico decimale, offre campeggio, trattoria e hotel. Camera spartana, ambiente familiare e tanto verde rilassante. Sono le 18:30 doccia calda, due “haus pizza”, una radler, coca cola e a nanna. Quasi dimenticavo 112,5 km, 92 euro di disturbo.
04 07 2011
Ore 8:40 foto con degli ungheresi, che qui hanno campeggiato e sono arrivati con delle bici strane, e via direzione Volkermarkt. Questa tappa di 70 chilometri è stata lunga e psicologicamente faticosa: lunga perchè c’erano rettilinei su sterrato a filo della Drava in mezzo al nulla, sempre uguali; psicologicamente provante perchè dalle 11:30, quando abbiamo trovato la prima Gasthof chiusa, alle 14 30, quando siamo riusciti a pranzare è stata dura (era lunedì e lì chiudono di brutto i ristoranti). Comunque nei pressi del ponte di Volkermarkt, dopo salita di Collalto e più, abbiamo pranzato dominando la Drava, con due abbondanti grigliate miste una radler e una coca per 34 euro, ben spesi. Parlando con il giovane cameriere, che la settimana prima era stato a Burano, abbiamo stabilito in quale alloggio avremmo dormito la sera: l’hotel Al Parco, gestito da italiani e con piscina. Francesco aveva bisogno di una sana dose di cloro. Ore 15:56 arrivo all’albergo in centro al paese, che si trova, per nostra gioia, in cima ad una collina. Scopriamo che la piscina esiste ma è privata, muso lungo di Francesco, che sfiga! Riposo in camera, struscio per il paese alle 19, gelato, birra Marzen e a letto. Sono 72 km, preparo già i 68 euro concordati con il proprietario della pensione.
05 07 2011
Ore 7 alzabandiera. 7:45, dopo aver fatto una colazione spartana, partiamo. Il tempo è sempre incerto, iniziamo con una discesa corroborante verso la Drava seguita, in totale sottobosco buio, da una salita pari a quella di Collagù. Fa fresco e non sentirò parlare Frank per un’ora e mezzo. La lingua gli rispunta nei pressi del ponte ferroviario più alto d’Europa che dobbiamo attraversare, al bando le vertigini! Poco dopo è la volta di un ponte tibetano ad uso esclusivo di pedoni e bici, adrenalina traballante pura! Ci sono tanti capitelli e natura, sembrano però più poveri che nel resto della Carinzia. A Lavamund, ultimo avamposto austriaco, un crucco vede le nostre divise con scritta Conegliano. Ci spiega essere un pensionato della Sparkasse e conosce alcune località venete perchè la sua banca ha aperto lì delle filiali. Che stress gli dico: ”I’m on holliday for one week, no bank please! no sckei!”. Incrociamo, lungo la via, una casa privata piena di nanetti disseminati nel giardino, la lingua di Frank sta a mano a mano sciogliendosi: “Guarda papà, vieni qui, fai una foto, che bello!” Passiamo il confine tra Austria e Slovenia senza intoppi. Come qualche giorno prima, quando siamo passati dall’Italia all’Austria, non ci sono più controlli di frontiera, ma solo un cartello stradale ad indicare l’entrata in un altro stato della comunità europea. Dravogad è il primo paese sloveno, attraversato per lungo dalla statale e interessato, in questi giorni, da pesanti lavori stradali che ci costringono a gimcane fra camion, auto, scavatori e operai: una bolgia. Mi rivolgo al centro informazioni turistiche dove ottengo nome della “sobe” per la notte e nome ristorante per pranzo. La pizzeria è in riva alla Drava, persa nel nulla verde. Raggiunta, scopriamo che per assurdità apre alle 14, sono le 11:55, chiediamo indicazioni sulla concorrenza e come risposta ci dicono: ”Muta a 12 chilometri”. Con un senso di presa per il c… ci rimettiamo nella statale, avrei voglia di tornare dalla avvenente signorina delle informazioni turistiche, ma dovrei fare salita, salita è sudore, sudore, fatica e sono in ferie. Al semaforo, circondati da camion, attendiamo che scatti il verde in direzione Maribor, intanto consulto il navigatore cartaceo. Sentiamo una voce provenire dalla nostra sinistra… è uno sloveno su un suv che ha abbassato il finestrino dal nostro lato e ci sta chiedendo: ”Where are yuo going?” Gli rispondo: “Muta and then Maribor”. In perfetto inglese mi fa capire che siamo sulla strada giusta, ma la statale non è consigliabile e ci dà precise informazioni per riprendere la ciclabile. Non contento, pur non di strada, mette la freccia a destra, si prende alcuni insulti dagli altri automobilisti e ci scorta, con tanto di quattro frecce, verso la ciclabile togliendoci dal frastuono e dal pericolo. “Thank you!” E via su per il San Gallo su sterrato in mezzo al bosco del Cansiglio con brontolii sempre più frequenti provenienti dal cielo e dalle nostre pance vuote. Avanti, strada brutta e di più, tuoni, vento, scuro. Tre Magi, vestiti da forestali, parlano inglese: “a tre km, fuori dall’inferno verde, c’e’ una taverna”. Seguendo le indicazioni procediamo, scorgiamo la Drava, una certezza, una guida, la sicurezza. Piove ed invece di andare a destra, come dettato dai Magi, andiamo a sinistra perchè a 200 metri lungo il fiume si vedono corriere parcheggiate, ombrelloni aperti e dalla casa li vicino sale dal camino un fumo promettente. Piove! E’ una Gasthof! Ci asciughiamo, ci vestiamo, entriamo, non c’è nessuno, non c’è menù. Ordino una radler, e faccio centro, ordino una coca ed è un nuovo centro poi dico: “And there is something to eat?” (veo da magnar?) rispondono: “Gulasch”. Anche chiodi con un po’ d’olio, basta metter sotto i denti qualcosa. Ci portano una polenta gialla fumante con sopra un po’ di pancetta a mò di condimento e due piattoni di minestrone caldo. Ho impartito il seguente ordine: ”Checco metti mezza polenta nel piatto del minestrone, mescola bene e mangia”. Forse in cucina si saranno fatti sotto dal ridere, ma la pozione ottenuta era ottima, calda, saporita, rigenerante. Sono 15 euro e 60 chilometri, fuori piove… scambio due chiacchiere con le cameriere per fare il punto delle situazione. Bel paesaggio, belle figliole. Ci prepariamo alla doccia e via alla ricerca di un letto. Vurhed è un paesino-ino-ino dotato di pensione e quindi vale la pena visitarlo. In mezzo al traffico della statale, su falsa pista ciclabile, senza segnali stradali chiari, prendendo come oro le indicazioni di persone che sotto un torrente d’acqua si prodigano a mostrarci la via, riusciamo a raggiungere la nostra destinazione. Sono le 15:30 siamo zuppi, non bagnati, mescolati, non agitati. Qui, a differenza delle altre volte, vogliono subito 52 euro per camera e colazione, poi possiamo entrare in Penzion Markac. Alla sera gran grigliate, birra Union, acqua 34 euro e 75 km nelle gambe.
06 07 2011
Da Vurhed partiamo alle 8, fa freddo, c’è la nebbia, ma siamo vicini alla meta. Al cartello stradale Maribor siamo arrivati alle11:30 e 41,14 km non prima di aver fatto due saliscendi impegnativi sia nella salita che nella discesa, con curve strette e forte pendenza. Ore 12:11 fatti 49,30 km siamo in centro, da quello delle tazze, poi di corsa alla stazione dei treni per acquisto di biglietti fino a Nova Gorica, euro 34,31. Acquistiamo alcune cartoline e cerchiamo l’hotel Tabor per lasciare i bagagli. Alle 13:56 e 53,56 chilometri stiamo riposando in albergo, euro 70,99. Usciamo alle sei di pomeriggio per conoscere la città e rifocillarsi. Bella gente, visitiamo il quartiere Lent dove ceniamo vicino alla vite più antica d’Europa, fra uno spettacolo di strada ed un altro, arrivano le dieci ed è ora di andare sotto coperta.
07 07 2011
Il rientro a casa è un viaggio spazio temporale con inizio alle ore 5:30, disbrigo delle pratiche burocratiche alberghiere e via a prendere il treno delle 6:50. Imbuchiamo le cartoline, mangiamo la colazione al sacco dell’hotel, carichiamo le bici sull’IC 503 per Ljublijana. Siamo soli con i nostri mezzi in un vagone adattato al trasporto bici. 9:20 arrivo nella capitale slovena. 9:45 saliamo su treno all’ultimo grido per Jesenice R2418. Cambio alle 10:52 con treno ante guerra delle 11:15 R4205 per Nova Gorica. Con questo treno diesel attraversiamo posti di alta montagna dall’Austria giù fino a Gorizia. Scesi dal treno alle 13 usciamo dalla stazione in un clima torrido. Davanti a noi, a non più di cinque metri, vediamo una serie di fioriere poste l’una ad un metro dall’altra. Ci rendiamo conto essere il resto del confine di stato fra le due città e Francesco ne approfitta per passare in bici zigzagando fra Slovenia ed Italia. 14:24 trovata stazione di Gorizia, in bici, partiamo, col treno, per Udine. 15:29 cambio e arrivo a Conegliano alle 16:25 e 19 euro in meno in tasca.
L’esperienza è finita e il viaggio giunto al termine. Davanti ai nostri occhi è passata tanta natura, tanto verde, tanta operosità dell’uomo nel coltivare, seminare e accudire animali domestici. Siamo partiti dalle Dolomiti ancora innevate nei canaloni, accompagnati dal gorgoglio della Drava, piccolo torrente impetuoso, prepotente, per arrivare a Maribor con un fiume calmo, placido, maturato dall’esperienza del suo continuo fluire, ammansito dall’uomo che lungo il suo percorso ha costruito numerose dighe idroelettriche. Con il fiume siamo cresciuti spero anche noi per i profumi, i rumori, la gente conosciuta in totale balia dell’andare del pedalare, senza una meta giornaliera, alla ricerca di una Gasthof qualsiasi. Ad ogni curva della pista c’era un’incognita, ci aspetta uno strappo in salita, una rilassante discesa, un pascolo, una radura, oppure il bosco fitto? Il tempo tiene? Ci vestiamo, o ci spogliamo per il caldo? L’abitacolo del nostro mezzo non contemplava clima, aria condizionata, la condizione non era condizionabile, se piove sotto un riparo, lo stesso se il sole picchia duro e così via. Che dire, poi, delle persone che incontravamo… una cosa è sicura, l’inglese serve, unisce nella comunicazione genti diverse. Che bello comunque capirsi anche solo con un sorriso, un gesto. Lungo la strada bastava dire il nome del paese a cui si era destinati ed indicare con la mano quella che per noi era la direzione per ricevere un: ”Ja, ja” di risposta semplice, chiaro, rassicurante. Una sera, fatti 105 chilometri avevamo davanti a noi una salita molto impegnativa che portava in un bosco, fuori dal borgo di cinque case in cui eravamo arrivati. La freccia bianca su cartello verde era inequivocabilmente rivolta verso quello sforzo, ma sbagliare strada alle 18 in territorio sconosciuto non è consigliabile. In giro nessuno o meglio una anziana col sul cane di grossa taglia. Mi avvicino, inutile chiedere: “ Do you speak English?”. Calma fa rincasare il cane, si avvicina, ride, la direzione giusta è quella indicata dal cartello: ”Grun”. Vuole capire da dove veniamo e cosa facciamo lì in mezzo al niente, le spiego e con un sorriso dato dall’età, dall’esperienza ci da dei matti. Ed è giusto così! Ci sono sempre il buono e il cattivo, ma bastano alcuni buoni ad imprimere coraggio, fiducia. Chi te lo fa fare a stare sotto la pioggia che viene da sotto l’ombrello, a spiegare a due perfetti sconosciuti dov’è Vuhed? O chi te lo fa fare di cambiare strada, per farsi seguire, e assicurarsi anche di aver preso la strada giusta, un cenno di mano e via in mezzo al traffico? 412 chilometri in cinque giorni, “Co rivo rivo, sen rivadi!”
Nino