Sul tetto del mondo
Sono partita per questo importante viaggio verso questa terra per me tanto lontana quanto ignota senza sapere esattamente cosa aspettarmi ma certamente con molta voglia di assaporare e vivere appieno quest’esperienza nuova. E’ stato senza dubbio tutto molto più intenso di quanto mi aspettassi.
Il giorno 29 giugno 2009 in tre amiche abbiamo lasciato Venezia con molte aspettative ma soprattutto con dubbi e timori, lasciandoci alle spalle le certezze e le comodità del nostro mondo occidentale. Dopo uno scalo notturno a Dubai, ci siamo imbarcate per Shanghai, dove dopo 9 ore di viaggio, siamo arrivate stanche per il lungo viaggio e disorientate per trovarci in un paese così diverso dal nostro. La surreale Shanghai con le sue strade sopraelevate e i suoi altissimi grattacieli ci ha accolto con un cielo grigissimo e tanta pioggia. Abbiamo passato la notte in un singolare e caotico albergo in centro e ci siamo imbarcate il mattino dopo per Lhasa, facendo l’ennesimo scalo a Xi’an prima di raggiungere finalmente la tanto attesa capitale tibetana. Lhasa ci attende con un’aria limpidissima e un cielo azzurro che rimarrà una costante di tutto il viaggio, e già dall’aereo osserviamo emozionate il paesaggio sotto di noi che si presenta con infinite distese di montagne brulle prive di vegetazione. E’ il 31 giugno!! Siamo sul tetto del mondo…
L’arrivo a Lhasa con i suoi 3650 metri comporta immediatamente una strana sensazione di mancanza d’aria e di stordimento, come d’altronde avevamo letto sarebbe stato. Arriviamo nel nostro accogliente alberghetto nella parte tibetana di Lhasa e ci accorgiamo immediatamente che la città ha purtroppo anche una parte molto “cinese” e moderna. Ci colpiscono subito i militari cinesi che presidiano la città; ci viene spiegato dalla guida che ci ha accolto in aeroporto, che sono lì in conseguenza agli scontri avvenuti nel marzo 2008 per il tentativo da parte di alcuni tibetani di ribellarsi alla politica cinese; rivolta che ha purtroppo comportato molti morti di civili e una pressione cinese ancora più massiccia e presente. Non ci abitueremo mai alla presenza ingiustificata dell’esercito, in un paese che appare ai nostri occhi come assolutamente mite e pacifico.
Day 1: Dopo essere arrivate nel nostro albergo (Oh Dan Hotel), che si trova in una animatissima e coloratissima stradina fatta di bancarelle e bazar locali, il pomeriggio ci riposiamo per permettere al nostro corpo di acclimatarsi e abituarsi a questa strana sensazione dovuta all’alta quota. A Lhasa incontriamo gli altri nostri due compagni di viaggio che hanno da un paio di giorni raggiunto Lhasa via treno da Shanghai, partendo con una settimana di anticipo rispetto a noi tre.
Day 2: Dopo una colazione all’occidentale in albergo a base di pane tostato con marmellata, uova e tè, ci dirigiamo a piedi verso il cuore della città. Visitiamo il Jokhang, il tempio Buddista più venerato dell’intero Tibet, paragonabile come sacralità alla nostra Basilica di S.Pietro o alla Mecca per i mussulmani. Immediatamente ci appaiono centinaia di pellegrini tibetani che si prostrano davanti al tempio con una devozione commovente, immagine che ritroveremo in tutto il viaggio. Ci colpisce la loro fede immensa, la bellezza dei loro volti scuri e dei loro colorati costumi tradizionali. Il monastero è molto bello, buio nel suo interno, illuminato dai volti dei Buddha e dalle numerose candele alimentate da burro di yak. In sottofondo le preghiere dei monaci che incantano con i loro mantra. Torniamo in albergo nel pomeriggio per riposare ancora un po’, perché ancora non siamo del tutto acclimatate e qualsiasi spostamento ci sembra estremamente faticoso. Ceniamo in un grazioso ristorante tibetano (Tashi I) con menù vario scritto anche in inglese (cucina tibetana, indiana, nepalese), e ci stupiamo quando paghiamo il conto pari ad una spesa di circa 2€ a testa!
Day 3: Visitiamo il maestoso Potala, un tempo sede del potere politico e religioso tibetano, oggi invece disabitato, da quando l’attuale Dalai Lama nel 1959 è stato costretto ad esiliare in India e da allora mai più tornato nel suo amato Tibet. Di lui non rimane traccia e impariamo subito che non è il caso di nominarlo e che è meglio non parlare dei fatti relativi all’invasione cinese o di quello che è successo durante la cosiddetta Rivoluzione Culturale Cinese e tantomeno degli accadimenti storico-politici più recenti. Il palazzo è grandioso ed imponente, fatichiamo a salire le ripide gradinate che portano alle sale alte dell’edificio. La visita è emozionante, in particolar modo essere nelle sale dove per anni si sono succeduti i capi spirituali di questa terra, ci fa sentire di essere immersi nella storia e nella sacralità di questo paese. Nel pomeriggio riposiamo ancora perché domani partiremo per il nostro tour in jeep che ci porterà a percorrere più di 3000 Km in direzione ovest. Ricomponiamo i bagagli, ceniamo e tentiamo di riposare. Non è così scontato riuscire a dormire bene in alta quota; ci si sveglia infatti spesso in apnea, con la sensazione di mancanza di ossigeno.
Day 4: Inizia il nostro tour in jeep, accompagnati da autisti e guida tibetana. In questo momento storico-politico è impossibile visitare il Tibet ed ottenere i vari permessi per passare le innumerevoli frontiere interne e per visitare monasteri ed altro, se non affidandosi ad agenzie locali che forniscono guide ed autisti. Dopo una lunga giornata in jeep su strade dissestate e con costanti lavori in corso arriviamo alla città di Gyantze (3900 m), dove pernottiamo in un albergo poco pulito ma ancora con bagno ed acqua (comodità che non ritroveremo più nel proseguo del nostro viaggio). Il transfer è emozionante, fatto di paesaggi d’alta quota, montagne ovunque, ghiacciai a 5000 metri, laghi blu cobalto, bandiere colorate della preghiera (tarchok) che sventolano nel cielo cristallino..
Day 5: A Gyantze visitiamo il monastero di Pelkor Chode, importante monastero in quanto racchiude al suo interno il più grande chorten o stupa (reliquiario) esistente in Tibet, un’enorme costruzione a piramide piena di minuscole stanze e immagini sacre. Ancora monaci in preghiera e forte odore di burro di yak che i pellegrini offrono al Buddha, odore che percorrerà l’intero viaggio. Assaggiare il tè di burro di yak è sicuramente un’esperienza, anche se per la sottoscritta risulterà imbevibile. Dopo la visita al monastero ci spostiamo in jeep verso la città di Shygatze (quota 3800), dove troviamo un albergo cinese molto elegante e pulito (Hotel Manasarovar). Io sarò costretta a saltare la cena causa forte mal di testa dovuto ad un misto di stanchezza e di alta quota.
Day 6: Dopo una colazione cinese fatta di piatti difficilmente riconoscibili, ci dirigiamo a piedi verso il monastero di Tashilumpo, dove incrociamo una folla immensa di pellegrini vestiti a festa che camminano nella nostra stessa direzione. Scopriamo che il motivo di tanta gente è una festività religiosa che si tiene in quei giorni e che permette di vedere srotolato un enorme thangka (telo sacro raffigurante immagini sacre) e di assistere alla emozionante processione dei monaci fatta di musica, canti sacri e preghiere. Ci riteniamo molto fortunati per essere presenti in questa importante celebrazione e il cielo di un azzurro intenso sembra la cornice più naturale di questo magico posto. Al termine della visita al monastero e della processione ci trasferiamo con le nostre jeep verso Sakya (4280 m), particolare villaggio costruito ai piedi di una roccia nera che fa da contrasto coi mattoni rossi delle costruzioni. Troviamo alloggio in un piccolo albergo dove la pulizia lascia a desiderare e dove senza preavviso verso le 9 e mezza di sera vengono tolte luce ed acqua calda. Ceniamo nel ristorantino dell’albergo dove gusto dei meravigliosi momo (ravioli al vapore) e andiamo poi a riposare stanchi ma felici per l’intensa giornata.
Day 7: Al mattino visitiamo il rosso monastero di Sakya e ci emoziona in particolare la speciale visita ad una sala solitamente non aperta al pubblico dove sono custoditi migliaia di testi sacri preziosi e polverosi. La sensazione è quella di essere immersi nella storia e nella cultura della millenaria tradizione buddista. Al termine della visita, iniziamo un faticosissimo transfer su strade polverose e dissestate. Arriviamo nella cittadina di Saga (4600 m) dopo circa 10 ore di jeep ed alloggiamo in un albergo dove l’accoglienza non è delle migliori. Sarà l’unica volta in tutto il viaggio che troveremo persone poco gentili. Cena in camera con le nostre scorte di cibo e riposo meritato.
Day 8: Altro lunghissimo transfer (550 km, 11 ore di jeep) attraverso meravigliosi paesaggi d’alta quota, yak al pascolo, altipiani sterminati, incrociando dopo ore solo qualche tenda di pastori nomadi posizionata in mezzo al nulla. Arriviamo verso sera al nostro traguardo: il cristallino lago Manasarovar, 4600 m (lago sacro per i tibetani) con da sfondo il maestoso monte Kailash, monte sacro per buddisti, induisti e fedeli bon e meta del nostro trekking. L’emozione e la gioia è tanta. Troviamo alloggio in una guest-house senza più nè acqua nè bagno (Yaggjin Comprehensive Hotel) sulle sponde del ventosissimo lago e ci prepariamo per il trekking che ci vedrà occupati per i prossimi tre giorni attorno al monte sacro. Ceniamo nella cucina della guest-house che ci propone un piatto di riso e poi notte piena di pensieri ed emozioni per il giorno che ci attende. Prepariamo il bagaglio necessario al trekking e tentiamo di dormire in questa stanza che sembra in realtà più un garage!!
Day 9: Giornata piuttosto grigia e fredda. A Darchen (punto di partenza del trekking) non troviamo portatori liberi che ci possano aiutare con gli zaini; decidiamo quindi di proseguire il nostro giro in jeep per tornare a Darchen tra tre giorni per cominciare il trekking. Ci rimettiamo in viaggio in direzione Zanda e ci ritroviamo in una strada sabbiosa dove la sensazione è di essere in mezzo ad un deserto in alta quota. Per centinaia di chilometri ci circondano solamente spettacolari montagne di sabbia che ricordano un selvaggio canyon senza vegetazione e senza forma di vita, un paesaggio spettacolare diverso da quello che abbiamo visto finora. Il transfer è lunghissimo e faticoso perché la strada nella sabbia è praticamente inesistente ed è spesso interrotta da cantieri di lavoro dove donne affaticate lavorano a fianco degli uomini. Arriviamo alla cittadina di Zanda (3600m) la sera ed alloggiamo in una guest-house carina ma ovviamente senza acqua e bagno. Da qui in poi il bagno consisterà in fosse maleodoranti scavate nel terreno dove non esiste più molta privacy. Troviamo però delle docce pubbliche che risultano essere tutto sommato divertenti, anche se discutibili dal punto di vista igienico. Zanda è un villaggio all’estremo ovest del Tibet, quasi al confine con l’India e si trova praticamente in mezzo al nulla se non a deserto e sabbia. A suo modo appare però accogliente, più pulito ed “attrezzato” di altri villaggi incontrati lungo il nostro viaggio. Mangiamo il solito piatto di riso in un famigliare ristorantino tibetano e riposiamo felici.
Day 10: Al mattino visitiamo quel che rimane dell’incredibile antico regno di Guge, un tempo fiorente regno che teneva commerci con l’India e il Kashmir. Sembra impossibile pensare che in questa zona arida e sperduta nel deserto anticamente ci sia stato un regno ricco e fiorente attivo fino al secolo XVIII. Oggi rimangono le rovine di una straordinaria cittadina, costruita quasi interamente su sabbia e roccia, dove i servi alloggiavano nei grottini ai piani bassi, i monaci nelle stanze più alte e ovviamene il re nel palazzo che ergeva in cima. Rimangono quasi intatte alcune cappelle anche se purtroppo in molte di queste sono visibili i segni della distruzione cinese. Ricordiamo che l’invasione cinese ha portato durante la Rivoluzione Culturale alla distruzione di oltre 2000 monasteri e al tentativo per fortuna non riuscito di annientare la cultura e la lingua tibetana. Nel pomeriggio visitiamo quel che rimane del monastero di Tholing, dove ci sorprende trovare una squadra di geologi europei che, finanziati da una Fondazione Svizzera, sono intenti nel restauro di statue, dipinti e cappelle distrutte dai cinesi.
Day 11: Ripartiamo in jeep e ripercorriamo la sabbiosa strada nel canyon per tornare a Darchen, dove domani inizieremo finalmente il trekking/pellegrinaggio (o kora) del monte Kailash. Si tratta di un trekking circolare di 52 Km attorno al monte sacro per eccellenza. Buddisti, induisti e fedeli della religione bon effettuano il pellegrinaggio per purificarsi dai peccati di una vita. C’è chi lo effettua in un unico giorno, chi lo effettua prostrandosi per tutto il tragitto e chi lo compie 108 volte nell’arco della vita per avere accesso immediato al nirvana. Si percorre in senso antiorario, anche se i pellegrini bon lo percorrono in senso orario. E’ un monte imponente di forma piramidale, alto 6714 metri, che per la sua sacralità non è mai stato scalato. Arriviamo al villaggio di Darchen (4600m) la sera per trovare alloggio in una misera guest-house. Darchen, punto di partenza e di arrivo di tutti i pellegrini, è purtroppo un villaggio pieno di immondizia, di cani randagi e di bambini che giocano nei rifiuti. E’ un problema grosso quello dell’immondizia in buona parte del Tibet, ed è difficile attribuire delle responsabilità, quando il problema di fondo è legato alla mancanza di strutture adeguate alla raccolta e allo smaltimento, e alla mancata conoscenza della problematica stessa. E’ sicuramente facile parlare da occidentale che si ritrova il bidone sotto casa, ma certamente mi auspico che avvenga qualcosa presto, prima che paesaggi incantati, fiumi e sentieri vengano invasi dai rifiuti, come già purtroppo sta succedendo.
Day 12: Dopo aver incontrato i nostri giovani portatori locali, cominciamo emozionati la prima giornata del kora. Oggi ci aspettano 20 kilometri con dislivello massimo di 200 metri. Il percorso non è di per sé complesso, ma è l’altitudine (ci troviamo circa a 5000 metri) che rende il camminare più faticoso. Il paesaggio è arido e spettacolare, rosse pareti rocciose fanno da cornice al nostro pellegrinare. Davanti e dietro di noi comitive di pellegrini (per la maggioranza indiani) con yak e cavalli al seguito percorrono il loro cammino di fede. La parete innevata del Kailash si mostra in tutta la sua bellezza e dopo 6 ore mezzo circa di cammino arriviamo non troppo stanchi alla prima sosta, dove troviamo alloggio in una nuova e pulita guest-house. Mangiamo le nostre poche ma preziose provviste e ci addormentiamo felici per la giornata e per la vista spettacolare del Kailash che ci guarda da lassù.
Day 13: Inizia la seconda tappa, quella che a detta di tutti è la più faticosa, quella che ci porterà al passo Drolma-la a quota 5630. La giornata è molto fredda e grigia e la vista sarà purtroppo oscurata da nuvole per tutto il giorno. Iniziamo a salire e la quota si fa sentire. Si cammina molto piano e il fiato si fa sempre più corto. Faccio fatica a respirare e arrivo al passo con la sensazione di mancanza d’aria. Non è una bella sensazione; non riesco a godere della soddisfazione di essere arrivata quassù, dove tutti si fermano a pregare, dove ci sono migliaia di bandierine colorate e di sciarpe bianche (kathak) che sventolano e dove si percepisce grande devozione e fede. Io però ho bisogno di scendere di quota per ritrovare un po’ di ossigeno e quindi non mi fermo oltre e comincio a scendere. Mi dispiace non essermi fermata di più e di non avere alcuna testimonianza fotografica di esser arrivata lassù, ma sono sicura che il ricordo rimarrà per sempre in me. Riprendiamo il cammino e ci sorprende una potente grandinata seguita da pioggia battente che ci inzuppa in una giornata già faticosa. Dopo dieci ore di cammino stanchi, bagnati e provati, arriviamo ad alloggiare in una stalla che in quel momento ci sembra un hotel a 4 stelle! Finalmente arrivati, finalmente all’asciutto, finalmente tentiamo di riposare… . Mangiamo un improponibile piatto di tagliolini in brodo/acqua calda, all’interno di una inimmaginabile cucina con il solo scopo di riscaldarci e ristorarci un po’.
Day 14: Partiamo per la terza ed ultima giornata del kora attorno al monte Kailash. Tappa non troppo faticosa per raggiungere Darchen dopo 4 ore di cammino. A Darchen troviamo delle singolari docce pubbliche, dove nello stesso locale si tagliano i capelli, si fa la doccia, si dorme e si fa da mangiare. La doccia ci permette di recuperare un po’ di energie. Ritroviamo le nostre jeep ripulite dalla polvere dei giorni precedenti e i nostri autisti riposati dalle fatiche della guida e ci rimettiamo in macchina per fare tappa notturna a Paryang (4750m), piccolo villaggio purtroppo pieno di rifiuti, ma graziosa guest-house con cucina annessa. Il cibo in Tibet è sicuramente una difficoltà per il viaggiatore occidentale. Al di fuori delle prime città dove si trovano ristorantini talvolta anche con cucina nepalese, indiana o cinese, nei villaggi ci si deve accontentare del riso o dei tagliolini in brodo che propongono gentilmente le donne nella loro accogliente cucina.
Day 15: Lunghissimo transfer verso il villaggio di Tingri (4250m), dove sostiamo per la notte per dirigerci domani al campo base dell’Everest. Ancora paesaggi mozzafiato, montagne innevate, distese aride e desertiche. A Tingri pernottiamo in una bella guest-house con cucina con menù (Tingri Snowland Guesthouse), dove possiamo finalmente scegliere cosa mangiare dopo giorni di solo riso e poco altro. Mangio un piatto di momo, i deliziosi raviolini con ripieno di verdure. Speriamo per il tempo domani, la guida ci avverte che talvolta bisogna sostare un paio di notti al campo base per vedere l’Everest libero da nuvole.
Day 16: E invece la giornata è limpidissima!! Partiamo pieni di entusiasmo in direzione tetto del mondo. Dopo alcune ore di jeep lungo la Friendship Highway, la parete nord coperta di neve dell’Everest appare in tutti la sua magnificenza. Ci sentiamo piccoli piccoli di fronte alla cima più alta del mondo. E’ una sensazione fortissima. Siamo a quota 5200 e raggiungiamo con una breve camminata il campo base, punto massimo dove può arrivare il turista. E’ una sensazione di forte eccitazione essere ai piedi di questo monte, uno dei momenti più forti di un viaggio già pieno di moltissime emozioni. Pernottiamo in una delle tende che i nomadi mettono a disposizione dei turisti, dotata di fumosa stufetta per il freddo e di cucina con menù (dove assaggio una deliziosa carne di yak!) e passiamo una serata allegra fatta di chitarre, musica e canti multilingue e multietnici.
Day 17: Ripartiamo al mattino, dando un ultimo sguardo al maestoso Qomolangma (nome tibetano dell’Everest) ringraziando per essere qui e per la limpidezza del giorno. Torniamo sui nostri passi per dirigerci nuovamente verso Lhasa. Dopo molte ore di jeep ci fermiamo per la notte a Shygatze, cittadina già incontrata all’andata e qui ci sembra di tornare al mondo moderno, alloggiando in un hotel con bagno, doccia e acqua, dopo tanti giorni di privazioni delle comodità e di “fosse”. E’ strano tornare al “lusso” e al normale ed è sicuramente sorprendente come sia stato facile e veloce adattarsi a condizioni di vita “primitive”, condizioni che nel nostro mondo occidentale ci sembrano ormai impossibili.
Days 18–19–20: Ultima giornata di transfer in jeep verso Lhasa dove ci fermeremo tre giorni, prima di volare verso Shanghai per poi tornare a malincuore in Italia. All’arrivo a Lhasa salutiamo emozionati e commossi i nostri abilissimi autisti e la nostra premurosa e gentile guida, che ci hanno accompagnati in questi giorni, diventando a tutti gli effetti parte della nostra avventura. Nei due giorni che sostiamo a Lhasa ci dedichiamo al riposo, allo shopping e alla visita di questa città che per fortuna nella sua parte tibetana conserva ancora la magia e la sacralità di questo popolo e della loro immensa cultura. Alla ricerca di qualche souvenir da portare a casa, ci perdiamo all’interno delle caratteristiche stradine del Barkhor, affascinante quartiere antico tibetano della città, fatto di bancarelle, odori e colori caratteristici.
21 luglio: E’ arrivato ahimè il giorno di ritornare a casa, alla nostra vita, al nostro occidente, alle nostre abitudini e ai nostri ritmi, tutte cose che in questi giorni abbiamo lasciato volentieri alle spalle. In questi 20 giorni abbiamo percorso circa 3300 km in jeep attraversando il Tibet in tutta la sua immutata bellezza, attraversando villaggi poveri ed essenziali, dove la gente vive dignitosamente e sembra paradossalmente vivere più serenamente di quanto facciamo noi immersi nei nostri ritmi frenetici e stressanti. Abbiamo incrociato sguardi di bambini che ti osservano intimoriti, bambini che vivono una vita semplice fatta di niente, immagini incomparabili alla realtà dei nostri bambini, pieni di giochi, di tecnologia e spesso di inutili capricci. Abbiamo visto gente vivere ancora con i ritmi della natura, iniziare la giornata con il sorgere del sole e concluderla quando viene buio, senza il vincolo di orari ed orologi e cartellini da timbrare. Che lezione di vita essersi immersi in una realtà tanto povera dal punto di vista materiale ma così ricca dal punto di vista umano, spirituale e culturale!!
E’ stato un viaggio carico di emozioni e sensazioni. Nonostante le fatiche fisiche che qui non sono state del tutto raccontate ma che sono state una costante di buona parte del viaggio (mal di testa, febbre, problemi intestinali a causa dell’alimentazione e dell’acqua), non passa giorno a distanza di mesi che non pensi al Tibet. Giornalmente nelle cose che faccio vedo le conseguenze di questo viaggio che, inaspettatamente, sta continuando anche nel mio quotidiano in Italia. Paesaggi, volti di adulti e di bambini, odori e sapori, rimarranno per sempre nel mio cuore e nella mia memoria. Rimane la voglia di tornare un giorno e di poter anche fare qualcosa per questo paese ingiustamente deturpato e maltrattato.
Intanto un grazie a chi c’era e ha condiviso con me questa avventura: i miei preziosi compagni di viaggio, la nostra premurosa guida e i preparati ed attenti autisti improvvisatisi meccanici all’occorrenza. Grazie di cuore.