Una giornata “Singolare” a San Salvador

Scritto da: tucla
una giornata singolare a san salvador
Partenza il: 02/01/2011
Ritorno il: 15/03/2011
Viaggiatori: 1
Spesa: 4000 €
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Sto per arrivare con un bus a San Salvador, proveniente da Guatemala City. E’ un bus di quelli che qui sono chiamati “ejecutivo”, quelli di lusso per intenderci. E’ il primo pomeriggio. La fermata è nei pressi di un grande Hotel nella parte nuova di San Salvador, quella riservata ai ricchi, alle classi sociali benestanti della capitale. Qui ci sono le ambasciate, gli shopping center, i ristoranti alla moda. Mi fermerò solo un paio di giorni, c’ero già stato anni fa, dopo l’assassinio del vescovo cattolico Romero e al terremoto del 1986. Erano gli anni della guerra civile. Ricordo ancora i palazzi distrutti, il coprifuoco, il caos evidente di un paese allo sbando. Trovo alloggio in un piccolo Hotel; Villa Florencia. Sistemo in fretta le poche cose che porto con me, faccio una doccia e via. Percorro a piedi in lungo e in largo il centro storico: rivedo la cattedrale, il palazzo del governo, il teatro. Decido di prendere un taxi, voglio andare sulla collina che domina la capitale. Il panorama della città visto dall’alto è splendido. C’è un po’ di foschia, ma non importa va bene lo stesso. Il taxista che mi accompagna, dapprima un po’ taciturno, si rivelerà un’ottima guida e non solo per la conoscenza geografica della città. Al ritorno passiamo per il municipio di Soyapango e attraversiamo la colonia “La Campanera”, uno dei quartieri ghetto della capitale Salvadoregna. Non mi sento a mio agio, il degrado è palese, anche troppo. Mi chiedo come ci possa essere una qualche possibilità di riscatto sociale, per chi è costretto a vivere in certe condizioni, in particolare per le nuove generazioni;

Claudio, conosci il regista Cristian Poveda? Mi chiede Ramiro, il taxista: “sì, è il regista che ha diretto il film documentario “ La Vida Loca” , assassinato pochi mesi orsono non lontano da qui”; “quel film è stato girato qui, in questi luoghi, alcuni dei protagonisti del film vivono in questo barrio”. “Questo ghetto è la roccaforte di una delle pandillas (bande) più potenti della capitale, la mara 18”, aggiunge Ramiro; Vedendo un piccolo tatuaggio sul mio braccio, mi avverte che in Salvador andare in giro tatuati, può essere pericoloso, molto pericoloso, in particolare se i tatuaggi raffigurano lettere e/o numeri. Quasi tutti quelli che sono tatuati appartengono alle maras e dato che tra di loro vi è accesa rivalità, è una guerra continua e pertanto c’è il rischio di essere scambiati come appartenenti a qualche gang rivale. Mettiti una camicia con le maniche lunghe… gringo, mi dice, non rischiare; – Ramiro, non sono un gringo, casomai latino, scherzando. – Che significato hanno i numeri tatuati? – I numeri distinguono le varie maras: c’è la M18, la M14, la M13 e altre gang minori.

A San Salvador la M 18 e la MS13 ( Salvatrucha), sono le più importanti. Negli anni ottanta molti giovani salvadoregni, per sfuggire dalla miseria e dalla disoccupazione di un paese in piena guerra civile, partirono alla volta degli Stati Uniti, Le difficoltà d’inserimento sociale, la rivalità con le altre gangs, in particolare con quelle Messicane, dedite al narcotraffico, spinsero molti di questi giovani ad organizzarsi, dando origine, soprattutto nei ghetti di Los Angeles, a quelle che in seguito divennero le tristemente famose maras. I giovani, giovanissimi che qui appartengono a queste gangs e che si combattono tra di loro da anni, sono gli eredi di quella generazione degli anni 80.

– Io, racconta Ramiro, vivo in uno di questi quartieri, ci sono nato e cresciuto, ho avuto fortuna perché appartengo a una generazione che all’epoca della guerra civile, era già adulta. In qualche maniera sono riuscito a trovare il modo di guadagnarmi la vita e di mantenere la mia famiglia, mandare a scuola i miei figli, senza essere costretto ad accettare le lusinghe di chi mi prospettava guadagni facili e immediati. Oggi però per un giovane è difficile, molto, trovare una qualche opportunità di riscatto. Il clan è un’attrattiva forte, e quando si entra a farne parte, non esiste più alcuna possibilità di uscirne; solo distesi. Diventa più importante della famiglia, la devozione al clan è assoluta.

Chiedo a Ramiro di fermare l’auto e di accompagnarmi a piedi all’interno del barrio, vorrei capire di più, conoscere, vedere, in fondo vado in giro per il mondo soprattutto per questo. – bien risponde, ma ricordati: sii rilassato, se qualcuno si avvicina e ti rivolge la parola non assumere in nessun caso atteggiamenti arroganti, esprimi simpatia… vamos gringo, esperamos bien!

Non ho la sensazione di pericolo, mi fido delle mie percezioni. I bambini che giocano lungo gli stretti viottoli non prestano alcuna attenzione a questi due intrusi, solo qualche sguardo fugace e nulla più. Gli adulti sembrano un po’ più curiosi, qualche occhiata inquisitoria ma non ostile. Dopo aver percorso una cinquantina di metri, sento uno strano rumore proveniente da un balcone, alzo lo sguardo e vedo una donna percuotere forte e ritmicamente una pentola;

Ramiro mi guarda e dice: sta annunciando la nostra presenza all’interno del barrio, la presenza di estranei non conosciuti. Il barrio è un grande agglomerato di piccole abitazioni, tutte uguali, sono costruzioni piuttosto recenti, alcune già degradate altre meno. Saluto un vecchietto che corrisponde togliendosi il cappello, pochi passi, una voce attrae l’attenzione mia e quella di Ramiro; amigooo… amigoo! Ci voltiamo, l’anziano, rivolgendosi a Ramiro, con un cenno della mano lo invita ad avvicinarsi, poche parole, poi l’amico taxista si avvicina a me dicendomi: Claudio, è meglio andare via, el viejo mi ha raccomandato di portati via da qui in fretta, prima che ti accada qualche cosa di spiacevole, vamos, rapido! Non mi sento in pericolo, ma preferisco non mettere in difficoltà Ramiro e lo seguo. Quello che hai visto è sufficiente per farsi un’idea di come si vive in una colonia come quella della Campanera, non è necessario rimanervi più a lungo, dice. Quando risaliamo in macchina, Ramiro, visibilmente più rilassato mi propone di andare a bere una birra nel barrio dove abita: Tu offri la birra e io metto l’auto e la benzina, ok amigo?! Assento con un: claro que si, muy bien Ramiro. Per arrivare a Tutuniciapa, dove abita Ramiro, attraversiamo, alcuni dei quartieri più poveri e degradati della capitale Salvadoregna, penso a come si possa vivere quando piove per giorni e giorni. C’è il sole oggi, tutto appare più accettabile, anche le misere baracche di legno e lamiera ricoperte da teli di plastica. Parcheggiato il taxi, Ramiro decide per un piccolo chiosco situato a un angolo della strada principale con uno dei vicoli d’ingresso al barrio. Definirlo chiosco è un eufemismo, in realtà si tratta di un piccolo spazio occupato da tre quattro sedie di plastica, un paio di tavolini, alcune casse di birra, forse anche una di aranciata, non ricordo, e un soggetto in canottiera con l’aria di essere il gestore. Ramiro qui è conosciuto, i passanti, quasi tutti, lo salutano e anche con una certa riverenza. Mi spiega che il taxi è un servizio importantissimo in questi quartieri, dove nessuno o quasi possiede un mezzo di proprietà. Claudio, sapessi quante volte mi chiamano di giorno o di notte per un’urgenza, senza poi pagare il servizio, non ci sono le possibilità economiche, dice. Io qui sono quasi un’ istituzione, nessuno, di coloro che risiedono in questo barrio oserebbe farmi del male o danneggiare la mia auto, sanno che posso essere loro utile in qualsiasi momento. Ordiniamo due birre, ovviamente ci sono servite senza bicchiere e a temperatura ambiente, quasi quaranta gradi! Va bene uguale. Stiamo chiacchieriamo del più e del meno, quando si avvicina un tipo, sulla cinquantina, mi fissa per un istante e dice: Amigo, questa è la peggior giornata della mia vita. Sai, dove si trova l’ospedale militare? No! Non lo so, dove sia. Ramiro mi osserva, perplesso; il tipo continua: non voglio crearvi disturbo ma mio padre si trova lì, è morto questa notte, e quelli dell’ospedale mi chiedono di portarlo via, ma non so come fare, non ho la possibilità, aiutatemi, vi prego, …Ramiro mi guarda sempre più perplesso. Io non so cosa dire soprattutto cosa fare.

Come possiamo aiutarti chiede Ramiro? Io sono un taxista, il mio amico è uno straniero e qui non conosce nessuno… È proprio di un’auto che ho bisogno: andiamo all’ospedale, carichiamo mio padre e poi via fino a casa, a Santa Tecla, e il problema è risolto, aggiunge; Ramiro mi guarda, poi rivolgendosi nuovamente al tipo chiede: come lo carichiamo tuo padre nel taxi? Chiedo allo sconosciuto se ha già la cassa, mi risponde di no ma che non è un problema, passiamo da un falegname e ne facciamo costruire una in dieci minuti, non costa più di 150/200 Colon, che mi pare di capire dovrei pagare io. Ok vamos! Poche centinaia di metri in auto e troviamo un falegname. Il nostro “amico” che di nome fa Luis, si avvicina al falegname: avrei bisogno di una cassa larga così, lunga così e alta così, il così lo esplicita con braccia e mani; Ho la sensazione di sognare e anche Ramiro sembra perplesso. Mi serve ora, è urgente, dice Luis; Datemi il tempo necessario, almeno un’ora, dice il falegname; È quasi buio quando il taxi giallo di Ramiro, il sottoscritto e Luis, con sul portapacchi una cassa lunga all’incirca 2 metri arriviamo in prossimità di un cancello, di quello che suppongo essere l’ospedale di cui parlava Luis. Tutti e tre togliamo la cassa dal portapacchi, e la trasportiamo all’interno di un corridoio, nel frattempo sopraggiungono due tipi, che ci invitano a uscire. Ramiro ed io ci avviamo verso il taxi; Luis rimane con i due. Qualche decina di minuti dopo e i tre più la cassa appaiono all’ingresso. Ramiro sale in auto e la sposta nella loro direzione. Con un po’ di fatica riusciamo a caricare la cassa con il suo contenuto sul portapacchi, assicurandoci di fissarla come si deve. Non possiamo certo rischiare l’eventuale perdita per strada di un trasporto di tale genere. Luis è fradicio di sudore. In mano ha dei documenti anch’essi fradici e mi pare in gran parte illeggibili. Dopo circa tre quarti d’ora arriviamo a destinazione, a casa di Luis; è come la immaginavo e forse anche peggio! In pochi istanti siamo circondati da un nugolo di persone: vicini, amici parenti del defunto. Ramiro, inizia a slegare le funi che fissano la cassa, lo aiuto; con qualche difficoltà e con una certa confusione, poiché tutti o quasi voglio partecipare in qualche modo all’operazione, la posiamo delicatamente al suolo. Mi sento sollevato, anche Ramiro esprime lo stesso stato d’animo. Luis mi si avvicina, ancora più sudato di prima, e mi abbraccia, poi getta le braccia al collo di Ramiro e ci ringrazia entrambi. Muy bien Ramiro, possiamo rientrare, gli dico! Ti accompagno all’hotel direttamente e poi vado a casa anch’io risponde, per oggi basta così, e avanza.

Arrivati all’ingresso dell’hotel, prima di scendere dall’auto chiedo il conto. Ramiro mi guarda e dice: oggi la giornata è iniziata come sempre, nella maniera più normale, poi quello che ci è accaduto è talmente particolare e strano che se non ci fosse stato di mezzo un morto, potremmo dire di aver vissuto una vera e propria farsa, pertanto caro amico che vieni dall’Italia questa giornata in taxi in giro per le strade di San Salvador è offerta dalla ditta Ramiro & Ramiro.

Almeno la benzina Ramiro, insisto.

No! No! Va bene così.



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