Il corpo parla alla mente, a Melaka
Viaggio da Singapore alla Malesia. anche il corpo a volte si ribella e il viaggio deve essere visto anche interiore, per se stessi.
E’ lunedi pomeriggio. L’aria condizionata dell’internet cafe mi fa dimenticare per un istante il caldo terribile che mi aspetta quando uscirò. Sono arrivata a Melaka ieri. E non e’ stato per niente facile. Ho lasciato Singapore di mattina, con le direzioni di che bus prendere dove scendere e cosa fare scritte su un pezzo di carta poco piu grosso di uno scontrino. Bus numero 170 mi accompagna al confine, dove dopo il controllo passaporti, mi aspetta per riprendere la direzione verso Johor, che e’ la citta di confine, già in Malasia. Il bus e’ affollato, io sono in bilico tra il mio zaino e una ragazza che tiene per mano una bambina. Io in mano tengo strette le indicazioni per arrivare a Melaca, una bottiglia d’ acqua, la piccola borsa a tracolla che protegge il passaporto e qualche banconota di troppo. Appena il bus si ferma a destinazione la gente mi travolge come un onda. Cerco di scendere anche io ma non mi danno tempo. Il contatto fisico mi infastidisce. E quello verbale appena messo piede a Johor mi infuria.ignoro la gente che mi cammina a lato, quella che mi si getta davanti e mi offre passaggio in taxi, quella che mi chiama e mi chiede dove sto andando..urla, parole, gesti..ignoro ma non posso fare a meno di prendermi cura di me stessa, e del mio ovvio senso di non appartenenza. Vago per il centro di Johor, cercando il bus che mi portera a Larkin, dove poi un altro bus mi aspetta per arrivare a Melaka. Chiedo a un poliziotto intento a fare una multa, e mi indica un palazzo. Il caldo mi sta opprimendo anche la mente, non so nemmeno piu dove e’ che devo arrivare. In che direzione sto camminando. Ma il bus per Larkin arriva, il caldo nel bus e’ ancora piu ovattato e mi scordo di avere li con me, ancora stretta in mano, una bottiglia d acqua.sono troppo indaffarata a tenere stretta la borsa, lo scontrino, il biglietto del bus, non distogliere lo sguardo nel vuoto, senza incrociarlo con quello di nessuno, che non mi rendo conto che il caldo mi sta facendo perdere i sensi.. Larkin non e’ lontano, ma mi catapulto di nuovo in un mercato di bancarelle dove vendono i biglietti del bus, una grida piu anonima dell altra, una lingua indecifrabile e una fretta di venderli che non ti da lo spazio per pensare di sparire, magari prendere lo stesso bus che ti ha appena scaricato e tornare da dove sei partita..perche tutti quei rumori, quei volti sconosciuti e per niente amichevoli, quell aria intrisa di odori sta diventando troppo da sopportare. Ma mi dirigo dritta a una bancarella qualsiasi, compro un biglietto per Melaka. La ragazza scontrosa dall altro lato mi dice il prezzo e il numero della fermata dove lo devo aspettare. La stazione dei bus a Larkin e’ un grosso parcheggio. Con centinaia di bus che sembrano in disuso da quanto sono vecchi, allineati in obliquo. I conducenti aspettano i passeggeri e si fumano una sigaretta. La gente intorno a me che aspetta lo stesso bus comincia ad accalcarsi. I bambini mi osservano seri. Gli altri passeggeri, in silenzio aspettano le 12.30. Trovo uno scalino libero e mi siedo. Mi guardo intorno e tiro un lungo respiro,di quell’aria viziata. Sento il mal di testa arrivare dritto dalle tempie. Poi spargersi verso il collo. Per un attimo si aggrappa anche ai denti. Poi torna su, dal collo alla fronte. E li rimane. Sul bus cerco di dormire. Ma ora pure gli occhi mi fanno male, li vorrei strappare via, farne a meno. Purché quel dolore scompaia. Una volta a Melaka scopro che devo prendere un altro bus per arrivare al centro.ma una volta al centro la pensione piu vicina e’ dalla parte opposta a dove sto camminando. Credo di stare tremando, non so. Puo essere la fame, ma se penso al cibo mi sento nauseata. Non connetto più, le stradine mi sembrano tutte immaginarie,e la pensione a questo punto anche. Lascio perdere il tentativo di trovare quella pensione e ne cerco una a caso. La prima che vedo mi sembra ancora un miraggio. Ma il padrone e’ vero, anche il letto dove mi getto. E il ventilatore, pure la doccia. Tutto ad un tratto, quando credevo di essermi ripresa da un inferno di giorno, tutto comincia a uscire dalla mente, tutte le emozioni, gli stati d’animo, la rabbia, la fretta, il pensiero presente di guardarmi alle spalle. Tutto ad un tratto il caldo mi stravolge. Sto male, devo vomitare. Devo dormire. Questo mal di testa ancora non mi ha lasciato. Devo fermarmi. Devo lasciare i sensi e non pensare piu a niente. Vomito. Dormo. Mi fermo. Non penso.
Mi sveglio stamattina. Ancora in trance. Scopro che il paese pieno di mostri che mi ha accolto ieri, oggi e’ in festa. Con colori, bancarelle, gente. Faccio foto. A niente e a tutto. Bevo del te sotto un portico. Dove i turisti non mi vedono. Dove la donna che me lo porta mi offre anche del pane con del miele. E mi indica uno scaffale pieno di libri. Mi incuriosisce e lo vado a ispezionare. Quasi tutti sono scritti in lingue orientali, altri sono in inglese ma parlano solo della storia di Melaka. Poi Plato salta fuori dallo scaffale e mi si getta in mano.
lo inizio a leggere.