Note indiane di parte 2 Delhi ed Agra
In viaggio verso Delhi
Il nostro autista e’ di poche parole, concentrato sulla guida , non si scompone neanche un po’ quando qualche veicolo in piena autostrada marcia contromano facendoci sussultare. E’ un bailamme di cui faccio fatica a capacitarmi e ripenso alla nostra barzelletta sul matto che imbocca l’autostrada nel senso sbagliato di marcia.Ma qui non sono matti,sono creativi che cercano soluzioni personali al disordine globale che caratterizza la circolazione Ai lati della carreggiata si susseguono villaggi molto animati.Strutture architettoniche di rara bruttezza, templi giganteschi di pietra di un bianco immacolato costruiti per I fedeli della religione sikh da ricchi seguaci di questa setta. Del resto quanto piu’ ci avviciniamo al Rajasthan tanto piu’ fitta si fa la presenza dei turbanti maschili. Benche’ stanca e soprattutto preoccupata delle macchine che ci sfiorano pericolosamente non mi perdo un fotogramma di quello che si vede dal finestrino. La cosa che piu’ mi colpisce e’ la quantita’ e la qualita’ di spazzatura che in strati geologici,direi,si accumula ai bordi della strada.In formazioni varie. Non assomiglia a quella che si vede anche ai margini delle nostre strade italiane. Si,ci sono lattine, plastiche di ogni colore e forma, carta e cartoni, rimodellati dal vento, suole sfondate ,stracci vecchi, ma sembra proprio che questa massa di rifiuti sia diventata una sorta di pavimentazione secolare, che riveste la terra battuta o l’asfalto. Una seconda pelle. Comincio a vedere davanti all’uscio di case e capanne le vacche sacre. Belle magre impigriscono sotto i raggi del sole mentre gli esseri umani sembrano affaccendati a seguire i loro traffici e occupazioni.Tra queste spicca la raccolta di escrementi che pazienti mani di donne e bambine, e solo donne e bambine,confezionano in forme rotonde, ben compresse che vengono poi esposte ad essiccare serviranno come combustibile a buon mercato. Noto dei cambiamenti nelle fogge dei vestiti. L’autista risponde a monosillabi sull’argomento ma non posso non vedere che molte donne hanno il viso coperto sia pure da un velo coloratissimo. Mi piace immaginare che il tripudio di colori dei vestiti femminili illuminato sovente da lustrini e paillettes,sia una sorta di antidoto alla poverta’ che si annuncia dalla mancanza di calzature,da piedi screpolati stremati di fatica. Ma questi abiti colorati servono anche a dare un tocco di colore ad un paesaggio che in questa stagione si presenta arido, senza alcuna bellezza. Non c’e’ il verde delle piantagioni che avevano incantato G. Ma neanche la severa bellezza delle montagne aspre e brulle che mi avevano sedotto nel viaggio verso Shiraz (Iran). L’aria e’ decisamente piu’ pulita che a Mumbai ma la campagna sembra una distesa di sterpaglie,poche e rare le coltivazioni. Un paesaggio monotono che non mi aspettavo.Quando pensavo al Rajasthan pensavo a una terra favolosa,la terra dei maraja e me la figuravo come uno scrigno di tesori. Con una natura lussureggiante. Quando ci fermiamo per fare rifornimento ho modo di notare la differenza nei tratti somatici della gente di qui.Gli uomini mi incutono un certo timore,lo sguardo e’ altezzoso quasi e senza umana simpatia. Le donne sono a volte di una bellezza che toglie il fiato ma spesso hanno visi scavati dalla fatica e una magrezza impressionante.Le braccia sottili e nervose reggono pesi inverosimili. Ma la cosa piu’ bella son i bambini. Spesso abbigliati con vesti dai colori sgargianti con quel gusto un po’ naïf dei contadini che amano rimarcare la differenza tra l’abito da lavoro e quello da festa, hanno gli occhi bistrati.Occhi messi in risalto da abbondante kajal.Lo sguardo di quegli occhi aperti sul mondo ha un’ intensita’ e una profondita ‘che da noi non troviamo piu’. Sono bambini che sanno gia’ il mondo.
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Delhi e new Delhi.
Architetture imperiali, spazi verdi ben tenuti,opulenza di case e magioni ministeriali si vedono dappertutto ragazzi giocare a cricket.Si percepisce dall’organizzazione dello spazio che questo e’ il cuore pulsante della vita politica. Universita’ per lo piu’ private si fanno gran pubblicita’ da pannelli giganteschi. La citta’ sembra molto pulita e il traffico veicolare piu’ ordinato. Non sembra che ci sia inquinamento e questo risultato strepitoso e’ stato ottenuto grazie all’interdizione dell’uso della benzina . C’e’ una nuovissima monorotaia che svetta in alto sulle case e che deve servire da passante tra una zona e l’altra della city. Per evitare l’imbottigliamento del traffico e le lunghe code ai semafori ,dove bande di bambini si affollano e battono ai finestrini delle auto per chiedere l’elemosina.Sono piccoli di statura e d’eta’, magri come chiodi,sorridono con I loro occhi a stella. Si muovono in perfetta sincronia senza farsi schiacciare. Ma nel bel mezzo di una corsa in taxi ecco avanzare a dorso di un dromedario un ragazzino che domina la scena e che non si scompone in mezzo a quel vortice di autobus,auto ,camion e apicar ,non piu’ Piaggio questa volta.Tiene la sinistra come I mezzi meccanici. La visita alla citta’ vecchia,al suo bazaar la facciamo seduti su uno scomodo sellino di bicicletta a tre ruote .Ogni buca e’ una pugnalata alla schiena.Rivoli maleodoranti scorrono ai bordi dei vicoli sono seducenti i banchetti di frutta fresca, disposta in bell’ordine, i minuscoli negozi di stoffe di seta luminosa e lucente, le farmacie di prodotti ayurvedici ma la cosa piu’ intrigante e’ la marea di gente che ad ondate occupa e pervade come un liquido ogni angolo, ogni porzione di spazio intasandolo. Lo stallo e’ frequente,ma nessuno se ne preoccupa. Ma la mia attenzione e’ inestricabilmente attratta dalla matassa di fili elettrici che come capelli sfatti della gorgone tessono trame in controluce sulle nostre teste.Un vero pericolo en plein air.La gentile signora della mia eta’ che ci accompagna non fa che tessere le lodi dei magnifici monumenti storici: dalla tomba di Gandhi, ancora venerato come padre fondatore,alle rovine delle mura che cercavano di proteggere la citta’ dalle invasioni mogul,alla moschea che sovrasta il mercato della citta’ vecchia ,al grande complesso in cui spicca un’altissima torre svettante verso il cielo: e’ il piu’ alto minareto dellIndia il Qutb Minar con i suoi 73 metri dove l’arte e la religione induista sono state piegate dai vincitori a rappresentare le ragioni dell’Islame della sua conquista.
Agra
Arriviamo ad Agra nel bel mezzo della ressa per il mercato Compratori occasionale e non si sbracciano,si agitano,contrattano a gran voce.Si vende e si compra di tutto. Ma il mercato e’ letteralmente accerchiato da un flusso di vetture,carretti,bici e motorini che mettono a dura prova il nostro taxista .Rischiamo l’incidente in ogni momento: il suo aplomb britannico contrasta con I miei gridolini di spavento: non posso trattenermi e la cosa mi imbarazza non poco. Il vocio e la confusione sono grandi ma Agra ha ,rispetto a Delhi, una struttura urbanistica che mi piace.Ha un’identita’,un centro. Le mura possenti ,segnate da torri massicce,sono in ottimo stato e danno una fisionomia precisa alla citta’. Il sole illumina di luce rosata case e strade.Quando approdiamo,stanchi, all’albergo mi sembra di essere ‘tornata’ a casa. E’ una bella sensazione.Tutto il personale si mostra gentile e sorridente, anche troppo. La visita al celeberrimo Taj Mahal e’ un colpo al cuore Innumerevoli riproduzioni ci avevano fatto pensare, stupidamente, di conoscerlo . Ci sbagliavamo. Vederlo coi propri occhi ha il sapore di una magia ,di un incantesimo. Nel lungo viale d’accesso, fiorito e ombreggiato ,coppie giovani e meno giovani si mettono in posa sorridenti per essere fotografate con alle spalle il mausoleo, simbolo dell’amore eterno. L’amore romantico,che dura oltre la morte , da sogno sembra farsi realta’. Il ricamo delle guglie, l’armonia perfetta delle forme,la grandiosita’ del tutto sono stupefacenti. Ho un attimo di spaesamento. Questa architettura sapiente che ha impastato la perfezione dell’arte persiana (non a caso i decoratori venivano da Isfahan) insieme al meglio della produzione artistica indiana e islamica,ha prodotto un unicum. Penso all’ imperatore Shah Jahan che, imprigionato dal figlio per il resto dei suoi giorni, nel corso della lotta crudele per il potere e la successione,si consolava guardando da lontano,dalla sua prigione (la dimora imperiale con le fattezze di una fortezza) la tomba della sua adorata Mumtaz,morta prematuramente e mai dimenticata. Dopo aver percorso il lungo viale d’accesso,la guida ,un giovane laureato , ironicamente rassegnato ad accettare la tradizione dei matrimoni combinati ,ma scettico circa l’amore (ci informa infatti che sua moglie, ottima padrona di casa, scelta dall’entourage familiare, lui non la conosce affatto nonostante due figli gia’ grandicelli ne’ tantomeno e’ interessato a lei) ci chiede cortesemente di levarci le scarpe. Dentro la tomba monumentale e’ vietato entrare con le calzature, e’ vietato mangiare e fumare,ma non chiacchierare o gridare o parlare a tutta randana.Il brusio della folla che si accalca, spinge e spintona e tocca con esclamazioni di meraviglia, impedisce di apprezzare la solennita’ del luogo. Ma cio’ che ancora di piu’ mi impedisce di andar dietro alle fantasticherie amorose e alla tragica storia de Shah che si consuma di nostalgia per l’assenza della donna amata ,dietro le sbarre della sua dorata prigione e’ l’incredibile,persistente e aleggiante puzzo di piedi che si spande dai calzerotti dei tantissimi visitatori. Anche questa esperienza mi dice qualcosa di significativo: siamo fatti di luce e di ombra,non possiamo separare con un colpo netto la spiritualita’ di questa magnifica casa dell’amore immortale dalla materialita’ dei batteri che abitano le nostre radici terrene.
Luciana Piddiu