Me ne vado in Perù: una botta di testa!

Due ragazze partono alla scoperta del Perù
Scritto da: Mara Speedy
me ne vado in perù: una botta di testa!
Partenza il: 05/11/2010
Ritorno il: 22/11/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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La prima volta che sentii parlare di Ande era nel racconto di Marco il genovese, il penultimo piccolo eroe del libro Cuore… e chi l’avrebbe mai detto che anni dopo mi sarei trovata sulle stesse montagne non dal lato Argentino, ma da quello Peruviano?

Prima della partenza pensavo che Perù volesse dire solo Machu Picchu, Titicaca e Nazca, ma durante l’organizzazione sono rimasta piacevolmente sorpresa… il Perù era molto di più! Peccato però avere solo due settimane a disposizione per visitarlo.

05.11.10 Dopo mesi di organizzazione, Giovanna ed io ci ritroviamo a Milano Malpensa pronte per il volo Iberia operato da LAN, con scalo a Madrid, prenotato in giugno presso Pindorama, Viaggi Consapevoli di Milano (www.pindorama.it) per 790 euro.

06.11.10 Arriviamo intorno alle 7.30 a Lima e temprata dalla Milano estiva con smog e afa, forse l’impatto per me non è stato così traumatico come per Giovanna, abituata invece al fresco del Lago di Lugano. Arriviamo a Casa Yolanda (www.casayolandalima.com), dove ritiriamo i biglietti dei mezzi di trasporto che ci permetteranno la “recorrida” del Perù. Abbiamo scelto di avere Yolanda come appoggio in Perù, perché essendo due ragazze, volevamo una certa sicurezza, ma col senno di poi, avremmo potuto farne a meno, perché il Perù non è il paese del terzo mondo che ci aspettavamo e per il turismo è molto e ben organizzato. Basandoci anche sui racconti di altri Turisti capitati qui Non Per Caso, abbiamo preferito non dedicare troppo tempo a Lima. Il nostro bus turistico della compagnia Cruz Del Sur (55 soles) per Paracas partiva però alle 13.30 (www.cruzdelsur.com.pe) e quindi nell’attesa abbiamo optato per una veloce visita del centro e con soli 10 soles siamo arrivate in taxi nella francesizzante Plaza San Martín, con al centro la statua dell’argentino liberatore del Perù. Prendiamo Jirón de la Unión, la via dei negozi di “lusso”, che si collega a Plaza Mayor. Davanti a noi il Palacio de Gobierno, eretto da Pizarro, alla nostra sinistra la Municipalidad con meravigliosi balconi di legno intarsiato di tipo moresco e alla nostra destra non solo il Palacio Arzobispal, con facciata riccamente decorata e con altri balconi moreschi, ma soprattutto la maestosa Catedral, più volte ricostruita a causa dei terremoti, su cui svettano due alte torri. Entriamo con 12 soles a visitare le riccamente decorate sei navate e dieci cappelle. Una volta uscite, passiamo davanti alla Casa de Correos y de Telegrafos e alla Casa de la Literatura, dove celebrano il recente Nobel dato a Mario Vargas Llosa. Poco lontano sorge il convento di San Francesco, i cui interni sono molto ricchi e particolari, esaltati dal contrasto tra rosso e bianco dei soffitti e delle pareti. Volendo c’erano anche il chiostro, le catacombe e l’antica biblioteca da visitare, ma non abbiamo tempo sufficiente. Recuperiamo i trolleys da Yolanda e prendiamo il bus dalla stazione Javier Prado di Lima. Percorriamo un breve tratto della Panamerica, che si sviluppa per più di 25.000 km lungo la costa pacifica. Saremmo dovute arrivare alle 17.00, ma come abbiamo imparato viaggiando in America centrale, qui gli orologi non sono proprio Svizzeri! Abbiamo i posti davanti, al secondo piano e ciò ci permette di apprezzare al meglio il paesaggio, da un lato abbiamo il deserto e dall’altro il mare. A bordo veniamo filmati per motivi di sicurezza e ci viene offerto un pasto a base di pollo, scelto al momento della prenotazione (ma poteva essere vegetariano o per bambini). La fermata dei bus a Paracas è molto spartana, le sedie della sala attesa sono in ordine sparso, in mezzo alla sabbia… il bello di viaggiare! Un incaricato dell’Hostal è venuto a prenderci. Dormiremo la prima notte in Perù all’Hostal Santa María (www.santamariahostal.com), vicinissimo al lungo mare, dove sceglieremo da Juan Pablo il chevice, un piatto tipico a base di pesce crudo e cipolle, e un fritto misto a 56 soles.

07.11.10 Il mattino seguente, ci accompagnano a piedi all’imbarcadero da dove partono le escursioni alle isole Ballestas e ci “consegnano” al responsabile della Pinguino Travel di Pisco. La barchetta ospita molti turisti, per lo più nordamericani, che dopo averci guardato con sospetto alla partenza, alla fine del giro invidieranno i nostri k-way e pantaloni lunghi, portati per evitare il freddo e le sorprese aeree! La gita alle isole è permessa solo a bordo di barche, dato che è vietato sbarcarvi e inizia con la vista del Candelabro, un geoglifo, ben visibile dal mare, la cui origine e utilità sono ignote… forse i pirati? Arrivati alle isole, ci accoglie un cattivo odore. Il guano depositato dai volatili della zona è richiestissimo, provate ad andare in un qualunque vivaio e cercate nel reparto concimi! Le numerose sule, i pellicani dal becco lungo, i piccoli pinguini di Humboldt e le oziose otarie la fanno da padroni, dicono però che si possano avvistare anche delfini e balene, ma noi non abbiamo avuto questa fortuna. In compenso abbiamo visto un avvoltoio dalla testa rossa e un volatile che assomigliava ad un condor e probabilmente lo era, ma il perché della sua presenza sulla costa lo scopriremo solo in seguito.

Ritornate a riva, torniamo all’hostal dove ci attende Francisco, il nostro taxista per un giorno. Con l’auto ci addentriamo nella Reserva de Paracas (entrata 5 soles), dove il deserto incontra il mare con effetti cromatici indescrivibili, qui il giallo è più giallo e il blu è più blu… imperdibile! Visitiamo su consiglio di Francisco, la Sumpay Playa, la spiaggia vicino alla semi-distrutta Catedral, una formazione rocciosa gravemente danneggiata dal terremoto del 2007 e la spiaggia di Yamanque, ricca di fossili; visitiamo in lungo e in largo la Peninsula de Paracas con i suoi splendidi paesaggi, la zona chiamata Planeta Martes, per la sua desolazione, Playa Roja dove la sabbia rossastra contrasta con il giallo del deserto e il blu del mare. Abbiamo scattato foto bellissime anche grazie a Francisco e alle sue idee di pose bizzarre! Paghiamo un 1 sol per il sindacato pescatori ed arriviamo a Lagunillas, al ristorante “El Che” e con 68 soles ci gustiamo due fritti misti; alle spalle della laguna, saliamo su una collinetta e ci si apre un paesaggio a 360°: le barche ormeggiate nel porto, la costa frastagliata, cunei di roccia che si spingono nel mare e non finirò mai di dirlo… che colori! Riprendiamo l’auto per tornare a Paracas e costeggiamo una formazione rocciosa denominata Cerro Colorado, il nostro espertissimo taxista si ferma poi in un punto panoramico da dove ammiriamo il porto di Paracas. Ritorniamo all’hostal per recuperare i bagagli e prima di arrivare ad Ica, Francisco ci propone la visita di cantine di vino e pisco (il liquore nazionale), ma noi non siamo particolarmente interessate, così come alternativa ci porta a fare sandboarding (100 soles), ovvero surf sulle dune sabbiose che circondano l’oasi di Huacachina, che dall’alto è deliziosa. Alla fine avevamo sabbia ovunque, dato che lo abbiamo fatto sdraiate sulle tavole… ma che divertimento!

Non c’è che dire, è stata una giornata intensa, ma non è ancora finita! Alle 18.00 prendiamo il nostro bus Cruz del Sur che da Ica ci porterà a Nazca in un paio d’ore per 35 soles, con la solita trafila check-in bagagli, metal detector e filmato di sicurezza. Appena arrivate all’Hostal Camiluz (www.hostalcamiluznasca.com), vicino alla piazza principale di Nazca (70 soles), non vediamo l’ora di farci una doccia e liberarci dalla sabbia del deserto di Ica. Nazca ci dicono tutti essere molto tranquilla, così dopo l’ottima cena al El Encantada (lomo alla griglia per 67 soles), usciamo a fare due passi, sentiamo musica arrivare da alcuni locali, faremmo volentieri due salti, ma alla fine la giornata è stata lunga e impegnativa, così torniamo all’hostal.

08.11.10 Ci svegliamo pronte per il sorvolo delle linee di Nazca, come consigliato da altri TpC, non facciamo colazione e ci rechiamo all’Aeroporto Maria Reiche, dedicato a colei che studiò per 50 anni i famosi geoglifi. All’aeroporto, paghiamo la tassa d’imbarco di 20 soles, veniamo pesate e controllate al metal detector e ci imbarchiamo sul nostro piccolo Cessna (www.aerodiana.com.pe). Il mio posto era proprio dietro a pilota e copilota, mentre Giovanna, che patirà il volo, era posizionata vicino al finestrino. Il copilota, durante il sorvolo spiega in inglese e spagnolo, le varie teorie elaborate per dare un senso alla presenza di questi disegni nella roccia, che datano anche al 500 a.C. E il compito che gli animali rappresentati avevano secondo l’antica cultura Nazca. Le figure sono oltre 70, ma noi vediamo l’Astronauta, il Colibrì (messaggero degli dei), la Scimmia, il Cane, il Condor, il Ragno (simbolo della pioggia), l’Albero, le Mani, l’Airone, il Pappagallo, la Balena e diverse figure trapezoidali. Per chi soffre il volo, esiste anche una piattaforma al km 420 della Panamerica, da cui se ne possono vedere alcune. Scese dal velivolo, che Vi assicuro vira da destra a sinistra molto velocemente mettendo a dura prova lo stomaco più forte, siamo tornate all’hostal a fare colazione. Con il taxista messo a disposizione dall’hostal ci siamo recate in visita al laboratorio di Emilia, dove ripropongono le antiche tecniche di lavorazione della ceramica e i disegni utilizzati dai Nazca: la particolarità è la lucidatura, che viene fatta utilizzando il sebo della pelle del mento. Vasi belli così non ne abbiamo più rivisti. Abbiamo poi visitato anche un laboratorio orafo, dove viene lavorato l’oro estratto dalle vicine miniere: i gioielli erano semplici e per lo più riproducevano le linee di Nazca, a prezzi ottimi. Per strada il nostro taxista, ci ha fatto vedere un campo di cactus che viene fatto ammalare appositamente, perché schiacciando quella specie di muffa risultato dalla malattia, si ricava un colorante rosso per le stoffe. Siamo poi arrivate al cimitero di Chauchilla (entrata 5 soles), dove si possono vedere delle mummie con lunghe trecce tipo rasta, seppellite in posizione fetale, attorniate dagli oggetti di vita comune. A contatto con il sole, le ossa da giallognole sono diventate bianco candido; la cosa però che ci ha più sconvolte è che man mano che le mummie si deteriorano vengono sostituite da altre, tanto ne hanno tante!

Torniamo a Nazca a metà pomeriggio, nel centro c’è il mercato, così attirate dai colori e dalla varietà, per pranzo decidiamo di mangiare solo frutta e proviamo anche il pepino, un frutto molto dolce e sugoso. Ci sediamo in un bar a scrivere cartoline, in attesa del bus della sera, ordiniamo un caffé e un frullato di frutta. Il frullato arriva subito, mentre per il caffè viene incaricata una signora, che va a casa a prepararlo e lo riporta poco dopo. L’arte di arrangiarsi! Piuttosto che deludere il cliente, dicendo che non hanno caffè, guarda cosa escogitano! Ci fanno anche provare la chicha morada, una bevanda analcolica a base di mais nero. Torniamo all’hostal, ci rinfreschiamo e ci prepariamo per la cena. Decidiamo di tornare a El Encantada, dove per 77 soles proviamo lomo, corvina ai gamberi e la birra Cuzqueña. Alle 22.00 partiamo con Cruz del Sur verso Arequipa, dovendo viaggiare tutta notte, abbiamo preferito i sedili “cama” che diventano quasi dei letti (103 soles).

09.11.10 Il mattino seguente arriviamo ad Arequipa, non abbiamo il solito taxi in attesa, quindi per pochi soles ci facciamo portare all’Hostal Las Torres de Ugarte, Ugarte N° 401 Tel . 054-28-3532 (120 soles), una veloce rinfrescata e, dopo esserci imbattute in un enorme tartaruga che gironzolava oziosa nel cortile, siamo già per strada alla conquista della città. L’Hostal rispecchia le candide costruzioni del vicino centro, costruite in sillar, una roccia vulcanica bianca; infatti, appena fuori città, svettano i tre vulcani, Misti, Chachani e Pichu Pichu (Pichu significa montagna in quechua). Ci dirigiamo verso il Monasterio de Santa Catalina (entrata 35 soles), perché c’è stato consigliata la visita al mattino per evitare le flotte di turisti. Hanno ragione quelli che l’hanno definita una città nella città, perché all’interno sembra di essere in un paesino sperduto, d’altri tempi, dove regna la pace, con la sua Plaza Zocodovar, la zona dei lavatoi, la Chiesa di Santa Catalina, la Pinacoteca, ma soprattutto le viuzze come Calle Sevilla e Calle Cordóva, dove i colori rossi e blu contrastano con il bianco della pietra, i chiostri affrescati con motivi religiosi e floreali e le numerose celle, che a seconda della ricchezza della monaca potevano avere anche cucina e sala della musica propria. Una volta uscite dal convento, ci dirigiamo verso Plaza de Armas, dove pranzeremo a La Terrazza: proveremo per 77 soles l’alpaca (giudizi contrastanti a proposito, per una assomigliava al cavallo per l’altra al cervo), mangiando su una balconata che dava direttamente sulla piazza. Inizieremo la visita della città da La Compañia, nata come convento gesuita, la chiesa è famosa per i suoi altari lignei coperti di foglia d’oro, poi vedremo la Chiesa di San Agustín, con la sua cupola e le decorazioni in oro. Ci fermiamo in Via Alvarez Thomas a cambiare valuta perché è più conveniente nelle case di cambio che in banca… certo però che farlo in mezzo alla strada, da un certo senso di insicurezza. Sulla stessa strada lasciando alle spalle Plaza de Armas sorge la Casa Tristán del Pozo, tipico esempio di architettura coloniale, il cui portale scolpito è semplicemente meraviglioso. Torniamo verso la piazza, le vetrine sono piene di libri del neopremio Nobel, che proviene proprio da questa città e ci dirigiamo, attraversandola, al Museo Santuarios Andinos (entrata 15 soles con guida) dove vedremo reperti archeologici in pietra (come rappresentazioni della fertilità, monili, spille per fermare gli abiti), ma soprattutto in stoffa e fili, dove la posizione e quantità di nodi corrispondevano ad un alfabeto. Il museo però viene visitato soprattutto per Juanita, la mummia di una bambina inca, sacrificata sul monte Ampato, trovata congelata, dunque in ottimo stato di conservazione, che ha permesso di sviluppare le conoscenze di questa cultura vecchia di cinquecento anni. La giornata è stata lunga, torniamo all’hostal per un momento di relax, iniziando a bere il tè di coca, ottimo per l’altitudine: Arequipa però si trova “solo” a 2300 m slm. Dato che a pranzo avevamo fatto amicizia con un cameriere, torniamo a cena a La Terrazza (78 soles corvina con gamberi), per poi proseguire con una serata divertente in discoteca nei pressi del centro con lui e un amico. Certo che il locale sembrava stile “Febbre del Sabato Sera”, con le piastrelle che si illuminavano!

10.11.10 Alle 7.30 del mattino un pulmino dell’agenzia Acuarius (www.acuariustravel.com), ci viene a prendere direttamente all’hostal, per iniziare l’escursione al Cañon del Colca (il costo dovrebbe essere intorno ai 150 USD, comprensivo di hostal da 88 USD a Chivay, Boleto Turistico del Colca da 35 soles e bus per Puno, esclusi i pasti). Con noi viaggeranno una coppia di dentisti neosposini di Lima, una coppia lui cileno con la pressione alta e lei peruviana e un gruppo di future farmaciste di Lima, che avevano bigiato un congresso per fare questa gita! Ci dirigiamo verso il Mirador de los Andes, poco prima ci fermiamo non lontani dalla Reserva Nacional Salinas y Aguada Blanca per vedere numerosi gruppi di alpaca, vigogne e lama, non vedremo però il guanaco che sembra essere una maxi vigogna. I paesaggi sono mozza fiato… e non solo per la mancanza d’aria! Sul pulmino ci vengono date foglie di coca da masticare per contrastare l’effetto dell’altitudine, che si aggiungono alle caramelle di coca che continuavo a succhiare. La maggiore preoccupazione per questo viaggio era proprio l’altitudine, perché non sapevamo come avrebbero reagito i nostri corpi, ma arrivati al Mirador de los Andes, a 4910 m slm, ero contenta perché stavamo bene… ma era presto per dirlo! Il tempo di scendere dal minibus e mi inizia a girare la testa, chiamo la mia amica (infermiera!) e poi non ricordo nulla. Mi sono risvegliata con la nostra guida che mi teneva su le gambe, una voce amica che mi chiamava Speedy (non poteva che essere Giovanna che usava il mio soprannome) e qualcuno che mi spalmava qualcosa sotto il naso e sulle tempie. Insomma il resoconto post-soroche (mal d’altura) è stato di una gran botta alla fronte, occhiali da sole rotti e la mia amica che mi raccontava che in quei momenti ero tanto brutta che sembravo Juanita! Meno male però che mi ha soccorso subito, ma prima o poi pagherà di avermi schiaffeggiato per farmi rinvenire! Scherzo! Non spaventatevi però, io ho la pressione molto bassa! In ogni caso non mi sono persa granché, in quanto il posto era famoso più per l’altezza che per il panorama sui tre vulcani Hualca Hualca, Sabancaya e Ampato.

Ho iniziato a stare bene solo quando siamo scesi di quota. Prima di arrivare a Chivay, ci siamo fermati per un pranzo a buffet (46 soles per due): il buffet dava decisamente la possibilità di provare tanti loro piatti tipici, ma le foto lo testimoniano, per me sembrava di essere in ospedale con un cerottone in fronte e un piatto di brodino per far passare la nausea! Arriviamo quindi nel pomeriggio a Chivay e mentre tutti hanno l’hotel in centro, noi veniamo portate al più “esclusivo” Pozo del Cielo (http://www.pozodelcielo.com.pe) fuori città, dopo un ponte che attraversava un baratro che preannunciava il canyon del giorno seguente. Ci cambiamo in fretta perché poco dopo sarebbe ripassato il pulmino per portarci a La Caléra, all’interno del Museo Etnológico, dove per 10 soles passeremo qualche ora di relax alle terme circondate da resti inca: certo che dopo uno svenimento non era proprio l’ideale, ma quando ci ricapitava di fare le terme in mezzo alle Ande!!!

Doccia veloce in hotel e veniamo portati in un ristorante di Chivay dov’è organizzata una cena folclorica con balli e musiche tipici della zona (52 soles: zuppa di mais e di verdure e lomo saltado per due). Il signore cileno era rimasto in camera, perché continuava a non stare bene o come diceva la moglie “agonizzava a letto”! Questo sì che è amore! La serata è fresca, ma non abbiamo avuto tempo per fare due passi a Chivay, che in ogni caso non sembrava offrire molto.

11.11.10 Intorno alle 6.00 ci sono venuti a prendere in hotel e prima di arrivare alla Cruz del Cóndor, visitiamo i paesini di Yanque, con le bambine che prima di andare a scuola danzavano per i turisti in abiti tipici, di Coporaque, con tappa panoramica al Mirador de Achoma, di Maca, con la sua chiesa bianca che svetta nel blu del cielo e animali vergognosamente legati solo per uso turistico. A Pinchollo inizia il Cañón del Colca, lungo 100 km e profondo 3400 m (più del doppio del Gran Canyon!). Nel primo tratto, dall’alto si vede la Laguna Pacas e i terrazzamenti pre-inca, costruiti dai Collagua 2000 anni fa, che ci fermeremo a vedere meglio al ritorno dal Mirador Chicotico. Arriviamo alla Cruz del Condor, punto panoramico che si raggiunge o in bus o dopo circa 45 minuti a piedi (consigliato! Anche se la guida temeva che facessi altri brutti scherzi), dove si avvistano i condor, animali sacri perché rappresentano il cielo, neri, con un’apertura alare di 3 metri e un peso da 10 a 12 kg. Essendo saprofagi, si nutrono solo di carogne e in mancanza d’altro, si dirigono verso il mare alla ricerca delle placente delle leonesse di mare (Paracas!). Ne vediamo diverse specie poco prima di partire verso Cabanaconde. Sulla strada del ritorno attraversiamo il buio, ma nello stesso tempo bianchissimo e polveroso Tunnel di Choquetico. Ci fermiamo a vedere i terrazzamenti con le rocce che indicano i punti di irrigazione e le tombe scavate nella roccia.

Prima di rientrare a Chivay, ci fermiamo per un pranzo a buffet (55 soles): le farmaciste commenteranno la differenza con il mio piatto del giorno precedente, decisamente più ricco! Chissà però perché il loro era pieno di spaghetti al pesto e pizza! La cucina italiana è arrivata anche qui!

Arrivati a Chivay, salutiamo tutti (rivedremo solo di sfuggita la coppia di neosposini), il nostro viaggio proseguirà per Puno, mentre tutti loro torneranno ad Arequipa. L’agenzia e la fermata dei minibus della 4M (www.4m-express.com) è proprio vicino al Palacio Municipal, unica partenza per Puno alle 13.30. Per strada incontreremo neve, alpaca, vigogne, fenicotteri (a queste altitudini e temperature!) e un autogrill che serviva praticamente solo prodotti a base di coca (te, biscotti, caramelle…) e muña, un’altra erba anti-soroche, leggermente balsamica. Arriveremo a Puno sotto un acquazzone, con il pensiero che qui non avevamo prenotato il trasferimento all’hotel Totorani Inn (www.totorani.com), ma per fortuna il proprietario vedendo il tempo, ci era venuto a prendere direttamente alla stazione dei bus. Santo subito! L’hotel non è in posizione centrale, ci vuole un taxi per raggiungere il lungo lago e almeno 20 minuti a piedi per raggiungere il centro. Una bella doccia calda e vestiti asciutti sono il primo pensiero prima di andare in centro città. Subito ci è sembrato che Puno fosse la città più simile ad una città europea per negozi e locali, anche La Casona dove abbiamo cenato ha confermato le nostre impressioni, servizio impeccabile per una cena a base della famosa trota del lago Titicaca per due a 79 soles, infatti solo la trota canadese e il pescerey argentino non sono indigeni del lago.

12.11.10 Intorno alle 8, un minibus ci viene a prendere direttamente all’hotel che si è occupato dell’organizzazione della gita alle isole Uros e all’isola di Taquille (40 soles, escluso il pasto). Il porto di Puno, forse perché più grande, non è congestionato come quello di Paracas, ma numerose sono le barche in partenza: siamo a 3810 m slm, sul secondo lago più grande del Sudamerica, lungo quasi 200 km e condiviso con la Bolivia… Emozionante, l’acqua a perdita di vista dà la sensazione di essere al mare. In questa zona non si parla Quechua, ma Aymarà, quindi arrivati sulle isole galleggianti Uros, verremo salutati con un caloroso kamisaraki ( = buongiorno). Sull’isola ci viene spiegato come la totora, una specie di paglia con radici molto fitte, venga tagliata in modo da formare una sorta di materasso ad acqua su cui sono appoggiate le case, fatte anch’esse di totora; ci viene spiegato anche come gli strati rovinati dall’acqua vengano rinnovati settimanalmente, come vengono costruite in tre mesi le barche, che durano poi un anno. I bambini e le donne sono vestiti in modo molto variopinto. Ci offriranno del pane e vedremo una donna con una sorta di mortaio che prepara la farina. Visiteremo una capanna e la padrona di casa ci farà vedere i suoi ricami, tra i più belli visti durante il viaggio. Veniamo trasferiti poi su una seconda isola galleggiante che funge da mercatino turistico.

Dopo aver lasciato le isole Uros e navigato per circa un’ora, arriviamo sull’isola di Taquille, che invece è su terra ferma. Se sulle Uros predominava il giallo della totora, qui la terra è rossa contro il blu del lago. Dopo una lunga salita, che a questa altitudine con la penuria di ossigeno, vi assicuro essere dura anche per i fisici più allenati, arriviamo nella piazza principale, le bambine con una mantella nera e i bambini con il cappello mezzo rosso e mezzo bianco (indica i non sposati) cercano di venderci dei braccialetti e degli uomini anziani dal cappello rosso (sposati) lavorano finemente a maglia; i frutti di questo lavoro vengono venduti poi ai turisti e vi assicuro che sono deliziosi, in pura lana d’alpaca. Mangiamo nell’unico ristorante della piazza con vista sul lago (trota per due a 20 soles). Scenderemo poi verso un secondo porticciolo attraversando delle viuzze molto caratteristiche. All’imbrunire siamo di ritorno a Puno, con un cielo che minaccia una seconda inondazione. Ci riaccompagnano in hotel, una doccia ristoratrice e poi cena da Piero, che con 66 soles ci serve ottimi lomo e pollo alla Piero (c’era di tutto, uova comprese!) con succhi freschi. Due passi in centro e guadagniamo i nostri letti, per un sano meritato riposo. Intanto però Giovanna ha un persistente mal di testa dovuto all’altitudine, che le passerà solo scendendo di quota a Cuzco.

13.11.10 Il gestore dell’albergo ci porta sul lungo lago, dove si trova la fermata del bus turistico per Cusco (www.turismomer.com). Invece che prendere un bus diretto, abbiamo preferito questa alternativa che in 10 ore e per circa 45 USD (compreso pranzo), ci ha portato a Cusco facendo tappe interessanti lungo il percorso. La partenza era fissata alle 7.30, ci dà il benvenuto la nostra guida che parlava in modo molto tranquillo e pacato in spagnolo e in modo agitato e facendo smorfie esagerate in inglese… insomma divertente e molto bravo. Ci fermiamo verso le 10.00 al Museo di Pucara (3900 m slm, entrata 1 sol), dove ci verranno spiegati i significati degli animali (es. Serpente = terra-uomo, condor = cielo-divinità, puma = collegamento tra terra e cielo) e di alcune figure geometriche che appaiono sui reperti archeologici qui custoditi. Scopriremo anche che è abitudine diffusa mettere due tori di terracotta sui tetti a protezione delle case. Circa un’ora più tardi arriviamo al passo de la Raya (4335 m slm ), dove essendo il punto più alto toccato in questo trasferimento, scendo guardata a vista, per ovvi motivi! Questo passo indica anche dove finisce la regione di Puno e inizia quella di Cusco. Verso la una ci fermiamo nei pressi del villaggio di Sicuani (3552 m slm) per un pranzo a buffet al ristorante Felipon. Intorno alle 14.30 siamo a Raqchi (3450 m slm, entrata 10 soles), un complesso archeologico dove l’edificio principale è un tempio e dove lo studio del sole raggiunge una tecnica sopraffina, allineando gli edifici in modo che durante l’equinozio, il sole sorgesse perfettamente nel mezzo. Intorno alle 16.30 arriviamo ad Andahuaylillas (3122 m slm, entrata 6 soles), la così detta Cappella Sistina delle Americhe (non riuscirò a trattenermi però dal dire alla guida: “un momentito, la Capilla Sistina la tenemos nosotros!”), dedicata a San Pietro, l’esterno certo nasconde bene le ricchezze degli interni, dove si moltiplicano oro, dipinti e intarsi grazie a numerosi specchi. Vediamo in lontananza le porte di Cusco (la coda del Puma) e passiamo da Oropesa, la capitale del pane che fornisce tutta Cusco. Arrivati nell’ombelico del mondo, come viene chiamata Cusco, che originariamente aveva la forma di un puma, con un taxi raggiungiamo l’hostal La Casona Real (www.casonarealcusco.com, 50 USD) in Calle Procuradores, praticamente nella piazza centrale. Lasciamo i bagagli, una doccia e andiamo a cena in un locale nella stessa via che preferiamo dimenticare. Proseguiremo la serata al Mythology una discoteca alla sinistra della cattedrale, dove si ballava musica di vario tipo, dal revival al latino. Dicono che la coca diminuisca la sensazione di stanchezza, sarà per questo che siamo instancabili e piene di energia?

14.11.10 Il giorno precedente avevamo chiesto in hotel se avevano un taxista di fiducia per fare il giro de Las 4 Ruinas. Puntualissimo alle 9 arriva Enrique che ci propone di aggiungere alle quattro rovine, l’avamposto militare, poi centro cerimoniale di Pisac. Avevamo già intenzione di vederla, quindi accettiamo il pacchetto per 120 soles in due. Sempre su consiglio di Enrique, Iniziamo proprio da Pisac, per poi avvicinarci sempre più a Cusco, perché i giri turistici organizzati fanno esattamente il contrario. Già il giorno prima avevamo notato che la vallata dove è incastonata Cusco è molto più verde, rispetto alle valli attraversate nei giorni precedenti: qui c’è più acqua e siamo scese di altitudine (3400 m slm). La strada che conduce a Pisac è particolarmente panoramica ed Enrique è disponibile a fermarsi per qualche foto e a raccontarci ciò che vediamo. Il primo impatto con Pisac sono i terrazzamenti agricoli, ma appena girato l’angolo si vede la cittadella arroccata sulla montagna. Una breve passeggiata porta ad un tunnel che permette di accedere alla zona religiosa-astronomica dell’Intihuatana, del Tempio del Sole e di quello della Luna. Dimenticavo che all’entrata a Pisac abbiamo acquistato il Boleto Turistico del Cusco che con 130 soles ci avrebbe permesso la visita per 10 giorni a 16 siti (li indicherò con BT). A Pisac visiteremo anche il mercatino, dove i colori della frutta e della verdura si mischiano con quelli delle numerose e ben assortite bancarelle di souvenirs, maglioni e poncho d’alpaca, tappeti e arazzi ricamati… Dopo circa tre ore, riprendiamo il taxi (Enrique ci ha aspettato per tutto il tempo) per Tambomachay (BT), costituito da piattaforme e fontane, dove è evidente l’adorazione degli Inca per le divinità acquatiche. Ci rimettiamo in marcia e arriviamo poco lontano a Pukapukara (BT), caratterizzato dalla roccia rossa, da cui il nome, che probabilmente era un luogo di sosta. Subito dopo arriviamo a Q’enqo (BT), il labirinto, che veniva utilizzato per i sacrifici. Sicuramente più interessante di questi ultimi tre è la tappa a Sacsayhuamán (BT), che è considerata la testa del Puma. La costruzione è impressionante: si tratta di un esempio di architettura militare inca, composto tra tre terrazzamenti con muri a secco e a zigzag, che non solo ricordano i denti del puma, ma servivano per far scoprire un fianco al nemico. Gli spagnoli però hanno man mano prelevato le pietre perfettamente tagliate per i propri scopi, distruggendo parzialmente il sito. Non perdetevi la meravigliosa vista su Cusco che si gode risalendo le mura, si vede chiaramente la Plaza de Armas. Intorno alle 16.00 torniamo a Cusco, pranziamo con 14 soles in uno dei baretti sullo stesso lato della cattedrale con 2 succhi frullati freschi, una bomba! Avrete capito che il tempo per riposarsi è poco e se non visitiamo Cusco in giornata, non potremo più farlo, quindi andiamo subito a visitare la Cattedrale, rinascimentale fuori e barocca dentro (entrata 25 soles con cuffie-guida incluse). Eretta su un palazzo inca circa 500 anni fa, è famosa per il coro intarsiato in cedro, per la scultura venerata come arma contro i terremoti de El Señor de los Temblores (non era però esposto) e per l’Ultima Cena, dove Gesù e i discepoli cenano a base di cuy cuy (il porcellino d’India arrosto, che è piatto nazionale) e di chicha (birra di mais). La visita è lunga, ma sicuramente interessante. Sfruttiamo il momento mistico per visitare anche la Iglesia de la Compañia (entrata 10 soles), con la splendida facciata, l’altare in cedro ricoperto d’oro e due torri da cui si gode uno splendido panorama sulla città. Proseguiamo poi per il Templo de Santo Domingo, costruito sopra il Koricancha (tempio inca dell’oro) di cui non rimane nulla, torniamo verso San Blas, quartiere degli artisti, dove le case coloniali sono costruite sulle antiche mura inca, dove troviamo all’esterno del Museo dell’Arte Religioso la famosa e perfettamente intagliata pietra a 12 lati: le pietre delle antiche mura qui formano figure del mondo animale, come il puma. Toccata e fuga al Monasterio de Santa Catalina da Siena e infine rientro stanche, ma felici, alla Casona Real. La cena sarà in Plaza de Armas a El Méson (87 soles, per pata rellena che è l’avocado ripieno, zuppa e carne alla griglia abbondantissima e ottima per due). Non contente abbiamo rifatto un salto al Mythology per terminare in bellezza la serata.

15.11.10 Ancora una volta puntualissimo, arriva all’hotel Enrique che per 120 soles ci farà visitare la Valle Sacra, fino a Ollantaytambo, dove per ottimizzare i tempi abbiamo deciso di prendere il treno per Aguas Calientes. Prima però su suggerimento di Enrique ci fermiamo all’Instituto Nacional de Cultura ad acquistare il biglietto d’entrata al sogno del Machu Picchu per 126 soles a testa, con durata di tre giorni dall’emissione (il biglietto non si può acquistare direttamente sul sito, l’ultima possibilità è ad Aguas Calientes). Poco lontano dall’Istituto, Enrique ci porta anche in un’agenzia che vende i biglietti del bus per Machu Picchu (andata e ritorno 14 USD a testa). La giornata però sarà lunga e intensa, quindi ci rechiamo subito alla prima tappa della giornata che è Chinchero (BT), dove si diceva nascesse l’arcobaleno e dove terrazzamenti e resti di costruzioni sottolineano ancora una volta quanto gli inca fossero abili architetti. Prendiamo una strada sterrata che ci condurrà a Moray (BT), dove sorgono tre “anfiteatri” di cui solo uno completamente restaurato che servivano per studi agricoli: solo stando al centro sul fondo di questi cerchi concentrici si capisce la portata di queste costruzioni. Proseguiamo verso le precolombiane Salinas de Maras (entrata 5 soles) dove l’acqua salata esce in superficie e viene convogliata con estrema perizia in circa 3000 pozzi, dove evaporando lascia il sale cristallizzato. Quanto mi mancavano i miei occhiali da sole, il biancore del sale accecava! A separarci dal Machu Picchu ora ci manca solo Ollantaytambo (BT), una spettacolare città inca, dove gli imponenti terrazzamenti servivano come difesa; in alto si trova il Tempio del Sole, ottimo esempio di architettura inca. Qui abbiamo incontrato forte vento, ma questo non ci ha certo impedito di arrivare fino in cima e apprezzare la bella posizione in cui è stata costruita questa cittadella. Salutiamo Enrique, che come sempre ci ha aspettato e pranziamo in piazza a Ollantaytambo (39 soles, carne e pollo alla piastra). Il nostro treno Vistadome (con il soffitto trasparente per godere del paesaggio, 43 USD) parte alle 16.15, la stazione non è proprio vicino alla piazza e bisogna essere lì mezz’ora prima della partenza. Viaggiamo con solo uno zainetto, dato che abbiamo lasciato il trolley in custodia alla Casona Real.

Arriviamo in tarda serata ad Aguas Calientes, ci aspettano per portarci a La Pequeña Casita (60 USD, www.casadeluzperu.com). La giornata è stata pesante, siamo entusiaste, perché il giorno seguente vedremo il Machu Picchu, ma nello stesso tempo siamo tristi, perché siamo alla fine del viaggio. Tutti i ristoranti sono sull’unica via che corre non lontana dai binari, ma dopo la doccia si è fatto tardi e i locali stanno chiudendo, ci fermiamo perciò a El Méson (70 soles, per trota al limone e trota all’ananas). Non so se dovuto al ristorante, ma dal giorno seguente inizieremo ad avere problemi intestinali.

16.11.10 Ci svegliamo intorno alle 3.30, vogliamo provare ad arrivare tra i primi per avere accesso alla scalata al Wayna Picchu, la montagna che nelle foto sta alle spalle di Machu Picchu, che in realtà è il nome della montagna che sta di fronte. Il giorno precedente ci era stato indicato dove fare i biglietti, che noi avevamo già (due uffici diversi in posti diversi per l’entrata e il bus) e da dove partiva la carovana di bus diretti alla città sacra, nello stesso punto intorno alle 4.00 c’era già coda. Nessuno però sembrava insonnolito dalla levataccia, probabilmente era l’adrenalina per quello che ci aspettava: una delle meraviglie del mondo. Alle 5.00 partiva il primo bus, al quarto riusciamo a salire e fare quei circa 8 km a serpentina che dividono dalla cittadella, mai saccheggiata dagli spagnoli perché mai trovata, arroccata nella valle scavata dal fiume Urubamba. In tutti i racconti avevamo letto della nebbiolina che alzandosi lasciava intravedere Machu Picchu, mentre noi siamo arrivate in una splendida giornata di sole senza tracce di nebbia, cosa del tutto straordinaria secondo la nostra guida. Arrivate all’entrata ci viene annullato il biglietto con un timbro e subito dopo un uomo ci ha chiesto se eravamo interessate alla salita al Wayna Picchu (SI!), chiedeva l’orario, apponeva un secondo timbro e il numero (200 persone alle 7.00 e 200 alle 10.00, noi saremo la 187 e la 188 delle 7.00). All’entrata, in attesa della salita, decidiamo di prendere una guida, che ci racconterà di questa città abbandonata a 2350 m slm a cui Hiram Bingham, esploratore, diede nuova vita. Il nostro giro inizia dalla Casa del Custode, il punto da cui vengono scattate le foto più belle. L’intipunko, il punto da dove si arriva con il sentiero Inca, è alle nostre spalle, a sinistra abbiamo la zona cerimoniale, davanti a noi quella dove abitavano i notabili e a destra i terrazzamenti agricoli. Scendiamo entrando dall’unica entrata, la Porta Principale. Ci viene mostrata la tecnica di taglio delle pietre e un orticello da cui sbucano le piccole, ma importantissime, foglie di coca. Andiamo verso la Piazza Sacra dove sorge il Tempio delle Tre Finestre, dove durante il solstizio la luce si allinea perfettamente all’interno del tempio; più avanti l’osservatorio astronomico Intihuatana, e non lontana l’entrata al Wayna Picchu e il sentiero che in un’oretta porta al tempio della Luna. Qui viene fatto firmare un registro con orario di salita e discesa, per permettere alle guardie, che si trovano anche lungo il percorso, di controllare chi passa su questo sentiero un po’ accidentato, dove in alcuni punti bisogna aiutarsi con le corde che fanno da corrimano. Non c’ è da stupirsi se tutti, una volta in cima, hanno una faccia soddisfatta, in fondo sono fra i 400 “eletti”. Forse è peggiore la discesa, ma con le nostre scarpette da trekking, ce la caviamo piuttosto bene. Torniamo alla cittadella e ovunque incontriamo rocce cerimoniali scavate in modo che la forma sia quella delle montagne circostanti; nel settore reale, troviamo numerose costruzioni, fra cui dei magazzini, a cui manca solo il tetto, originariamente in paglia, troviamo i lama che “tagliano” l’erba, il Tempio del Condor e quello del Sole con la Torre. Al limitare della zona agricola, caratterizzata da numerosi terrazzamenti, la perizia idraulica degli inca raggiunge l’apice: infatti, qui si trovano le fontane dove confluiscono i 749 canali qui presenti. Lasciamo la città percorsa ormai in lungo e in largo e dopo una breve coda, prendiamo un bus che ci riporta ad Aguas Calientes, dove nel tardo pomeriggio pranzeremo vicino alle rotaie da Toto’s (52 soles per due sandwiches con patatine). Recuperiamo lo zaino lasciato all’hostal, dato che ci sono regole piuttosto rigide sulla grandezza dello zaino e su cosa portare all’interno: ricordate solo che per i bagni e il bar bisogna uscire dalla cittadella. In attesa del treno che ci riporterà a Cusco, facciamo un giro per il ricco mercatino di Aguas Calientes, più caro e ripetitivo di quello di Pisac, dove termineremo i nostri acquisti e dove rincontreremo i neosposini della gita al Colca. Dato l’orario tardo, abbiamo preferito un Expedition delle 17.03 (48 USD) al Vistadome, per la tratta Machu Picchu – Poroy (dopo l’alluvione del 2010 è l’unica stazione di Cusco). Alla stazione di Poroy ci aspetta Enrique con il quale ci eravamo messe d’accordo, che per pochi soles ci riporta alla Casona Reale, dove passeremo l’ultima notte, ma solo dopo aver fatto due salti al Mythology.

17.11.10 Alle ore 7.30 prendiamo un volo Peruvian Airline che da Cusco ci riporta a Lima. A Lima ci viene a prendere Yolanda che come al solito ci farà pesare il fatto di non avere preso una camera da lei e dopo una breve visita al Museo de la Nación, raggiungibile a piedi, con reperti delle varie culture peruviane, siamo andate al terminal di Cruz del Sur per prendere il bus-cama delle 15.00 da Lima a Màncora (141 soles). La nostra preoccupazione era come passare le 17 ore di viaggio… abbiamo dormito tutto il tempo, tranne per la cena!

18.11.10 Risveglio traumatico, il tempo di annunciare la fermata di Màncora e praticamente ci siamo ritrovate per strada ancora con le righe del cuscino stampate in faccia, con taxisti e quant’altro che ci urlavano nelle orecchie, proponendoci gite, ristoranti e hotel! Prendiamo un succo di frutta per strada, la presentazione è per noi forse un po’ strana: un sacchettino con una cannuccia, ma vi assicuro che il gusto era buonissimo! Cerchiamo con calma un taxista e ci facciamo portare al Sunset (www.sunsetmancora.com). Ci sistemiamo nella nostra stanza e ci godiamo una bella passeggiata, prima di fermarci a mangiare non lontano alla Sirena de Juan (cheviche e polpo per 45 soles). Le giornate qui le passeremo ad oziare in spiaggia, a goderci i bellissimi tramonti (il nome dell’hotel era una garanzia!) e a fare il bagno nelle fredde acque del Pacifico. La cena al miglior ristorante incontrato durante il viaggio da Donde Teresa, dove per 80 soles ci siamo gustate due tranci di tonno e due dolci uno al croccante e l’altro al cioccolato da leccarsi i baffi!

19.11.10 A colazione vengo sorpresa dal gusto del latte… ma è come il nostro! Fino ad ora il latte era molto denso, giallognolo e dal gusto strano, avevo abbozzato l’ipotesi che potesse essere d’alpaca. Giornata a scottarsi al sole, proprio davanti all’hotel, che sorge sulla spiaggia di Las Pocitas, qui considerate le più belle. Al largo si vedono i surfisti che si raccolgono in questa zona. Il pranzo e la cena li faremo in un ristorante dal nome poco attrattivo, ma simpatico, La Mosca el la Sopa dove per 40 soles mangeremo un hamburger e patatine e un trancio di tonno. La sera la cittadina è molto animata, specie nel week end, e i locali sulla spiaggia offrono musica e cocktails fino a tardi.

20.11.10 Il giorno precedente avevamo chiesto di fare il late check out (64 soles) per poter avere la camera a disposizione fino all’ora della partenza. Così fino al primo pomeriggio ancora un po’ di relax in spiaggia, doccia e taxi fino al centro di Màncora, dove abbiamo pranzato a El Faro Lounge (55 soles per cheviche e insalata di mare) e preso il bus-cama della Cruz del Sur da Màncora a Lima con partenza ore 17.15 (141 soles). Ancora 17 ore, per lo più dormite, e siamo tornate a Lima.

21.11.10 Dopo due settimane praticamente di solo sole, rientriamo alle 18.10 in una Milano fredda e grigia con un aereo Lan partito da Lima alle 20.55 con unico scalo a Madrid.

Che dire? Un viaggio da sogno, ricco di emozioni e colori, che ci rimarrà ben impresso in testa, se non altro per la botta che ho preso!



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