Colori indiani
14 agosto 2010: arriviamo in India dal Nepal. Da Kathmandu a Varanasi il volo dura solo mezz'ora, i controlli negli aeroporti di partenza e di arrivo molto di più...
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14 agosto 2010: arriviamo in India dal Nepal. Da Kathmandu a Varanasi il volo dura solo mezz’ora, i controlli negli aeroporti di partenza e di arrivo molto di più. Come in Nepal anche qui non è consigliabile guidare in prima persona, e quindi all’aeroporto veniamo “presi in consegna” dal primo dei tre drivers che utilizzeremo nella parte indiana del nostro viaggio. Ha un’Ambassador bianca, simile in tutto alle nostre 1100 Fiat. E’ un dato di fatto innegabile che da queste parti sia meglio evitare di noleggiare e guidare in prima persona, se ci tieni all’incolumità ed alla serenità personale; il rovescio della medaglia di queste scelte obbligate è che ciò ti vincola abbastanza. Certe “improvvise deviazioni creative dal programma stabilito” – che in altri viaggi passati ci venivano così bene – stavolta non ce le siamo potute permettere, per rispetto del programma stabilito e delle persone che guidavano per noi. Oltretutto non conoscendo il Paese ed essendoci fatti subito un’idea del carattere “propositivo” dei locali nei confronti dei turisti come prima volta non ci saremmo fidati comunque di gestirci diversamente. Ciò ha smorzato un po’ gli entusiasmi, a volte ci siamo sentiti un po’ impacchettati e gestiti da terzi senza molte possibilità di derogare dal nostro destino prestabilito; qualche tempo morto, soprattutto in paesi piccoli tipo Orchha e Kajuraho, si è rivelato abbastanza micidiale per noi, non abituati a pause di riposo in viaggio ed anzi sempre in movimento come due evasi. Nel pomeriggio del nostro primo giorno in India visitiamo il tempio di Sarnath (e museo annesso). È il luogo dove Buddha predicò la prima volta. Varanasi oltre che come “città sacra” degli induisti è famosa per la seta, le silk factory sono dappertutto: iniziamo subito a “sperimentare” la nota abitudine indiana di proporsi come shopping assistant, scortando il turista di turno in negozi di amici e parenti. Questo loro modo di fare (a volte un po’ assillante) sarà un filo conduttore di tutto il viaggio, come i metal detector, le guardie private ed i nastri per il controllo bagagli ai raggi x anche davanti agli alberghi di fascia medio-alta ed i centri commerciali oltre che negli aeroporti. All’alba del giorno dopo si fa il classico giro in barca sul Gange, per assistere alle abluzioni rituali dei tanti pellegrini indù, e non solo quelle: il fiume è lo scenario principale di molte attività quotidiane, dal lavare i panni e le persone, all’abbeverata degli animali, al prelevare acqua per usi vari, ai riti funebri e tanto altro. E’ il 15 agosto, anniversario dell’Indipendenza indiana (15 agosto 1947): una festa molto sentita, al ritorno in hotel veniamo invitati con tutti gli altri ospiti alla cerimonia in corso in giardino. A metà mattina si torna in aeroporto, ci aspetta il volo per Kajuraho. A Kajuraho può bastare una giornata, di cui metà per visitare i complessi dei templi; il resto si può impiegare per fare un giro nei dintorni, alle cascate di Raneh ed a quelle del Ken River. Il Panna Nat. Park (sempre in quest’area, famoso per la presenza di tigri) è chiuso in estate. Il giorno dopo partiamo in macchina per Orchha con il nostro secondo driver; dopo 4 ore (e con i capelli dritti) siamo a destinazione ancora tutti interi. Qui guidano tutti come i matti, anche un rallysta impazzirebbe. Orchha, come Kajuraho, è un paese molto piccolo: mezza giornata può bastare per visitarne templi e palazzi, per il resto non offre molto altro. Partiamo in macchina verso la stazione di Jahnsi (45 minuti) dove saliremo sul treno per Agra. Anche le vacche sacre viaggiano: a Jahnsi le troviamo anche sulle pensiline in attesa dei treni. Dopo 2h30′ siamo ad Agra. Il viaggio in treno è stato confortevole, la cena compresa, la sicurezza garantita dalle guardie armate presenti a bordo. Il giorno seguente alle 05.30 usciamo con il nostro terzo driver per vedere il Taj Mahal. All’alba la coda all’ingresso è poca cosa, pare che in altri orari sia improponibile. Purtroppo piove e la luce è poca, all’interno del mausoleo non si vedono molto gli intarsi di pietre dure per cui è famoso: non vi è infatti illuminazione artificiale. Visitiamo il forte di Agra e quindi partiamo verso Fatehpur Sikri, la città fortificata (ed abbandonata) ad una quarantina di kilometri dalla città. Proseguiamo il viaggio per Jaipur, la città rosa, capitale del Rajasthan. Iniziamo a vedere in giro tanti cammelli. A Jaipur (in un giorno intero) visitiamo: il tempio delle scimmie di Galta, Amber Fort (salita a dorso di elefante compresa), il palazzo dei venti (facciata), l’osservatorio astronomico Jantar Mahal ed infine il City Palace. Chiudiamo in bellezza con il giro a piedi nel bazar con il solito assillante “assalto” dei negozianti. Partiamo per Delhi. La strada è pessima. Dopo 6 ore siamo a destinazione. A Delhi siamo in autogestione, senza driver. Usiamo i tuc tuc per girovagare tra Old e New Delhi. Vediamo il forte, la moschea Jama majid, India Gate, la passeggiata sul viale tra India Gate ed i palazzi del Governo. Penso che ci vorrebbero un paio di giorni, almeno. Rientro in Italia con tappa di mezza giornata a Dubai, dove per l’intero pomeriggio resteremo “a dieta” fino alle 19.00 (causa ramadan non si vendono e non si consumano in pubblico cibi e bevande fino al tramonto) all’interno dell’ultimo mega centro commerciale con tanto di acquario e pista di pattinaggio su ghiaccio oltre a centinaia di negozi. A fianco si trova quella che al momento è la torre più alta del mondo. Arrivando dall’Incredible India (suoni, colori, odori, moltitudini variopinte, la serena arte di arrangiarsi per sopravvivere) un contrasto non indifferente.