Iran di semiserio
Viaggio per lavoro (intervento a un congresso) e poi una settimana di vacanza a mie spese
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Sono sul volo Alitalia: ho la fortuna di avere l’unico posto con dietro l’uscita di emergenza, e che quindi non si puo’ reclinare. In compenso il ciccione che ho davanti reclina eccome. Arrivo a Teheran con il collo a pezzi, senza avere dormito quasi niente. La hostess ci informa che e’ proibito fotografare il territorio iraniano dall’aereo. Essendo notte, anche volendo, fotograferei poco. La stessa hostess ci informa che secondo le regole della Repubblica Islamica dell’Iran le donne devono stare a capo coperto. Iraniane e non tirano fuori i travestimenti. All’aeroporto, sono le cinque di mattina, mi fiondo in bagno. Per poco non entro nella sala di preghiera, divisa per uomini e per donne, e con simboli del tutto identici a quelli internazionalmente noti dei cessi. Una volta guadagnata la piu’ familiare turca, mi rendo conto che nel bagno deserto l’altoparlante trasmette le preghiere mattutine. Mi chiedo in che posto sono capitato. Uno studente iraniano della conferenza ci accoglie. Siamo una decina, tutti uomini, a parte Gabriella. Il ragazzotto stringe la mano a tutti facendo il giro e ci saluta, saltando Gabriella come se fosse invisibile. Non mi stupisco: tutto gia’ previsto dalla Lonely Planet. Saliamo sul bus, un Iveco gran turismo per niente scassato, anzi, decisamente nuovo, con ancora il cellophane (stracciato) sui sedili. Cosi’ non si rovinano. Il nostro ospite tira fuori una bottiglia di plastica senza etichetta, con acqua di frigo, distribuisce bicchieri di carta, e ci da il welcome drink. Metto da parte le preoccupazioni sull’acqua da bere, e bevo. Se deve essere caghetto, che lo sia da subito. Dopo un paio d’ore arriviamo all’autogrill Qom Sud. Sosta per colazione. L’autogrill e’ uno stanzone enorme vuoto, anche perche’ sono le 7 di mattina. Ci presentiamo al bancone dove sonnecchiano due o tre tipi e chiediamo “coffee”. I tipi ci guardano con l’espressione internazionalmente nota di “cazzo volete alle sette di mattina !”. Il nostro ospite dice che ci pensa lui. Arriva con caffe’, formaggio tipo feta, pane, miele e mascarpone. Non mangiavo il mascarpone da almeno 40 anni. Non sara’ l’ideale per il colesterolo ma chi se ne frega. Ho un mese per recuperare prima della visita di Cascella. Nell’autogrill c’e’ uno stand di dolciumi. Vado a curiosare e il tipo mi fa assaggiare un biscotto al pistacchio mostruosamente dolce. Con la glicemia gia’ fuori controllo gli dico che riflettero’ sull’acquisto. Pieno di benzina. Costo irrisorio del diesel al litro. Passiamo accanto a colline aride striate con colori fantastici. Scatto foto. Da noi sarebbe un parco nazionale. Qui e’ solo deserto. Arriviamo a Isfahan. Il traffico non scherza. Classe di bambine in divisa rosa con velo bianco. Impariamo che le bambine a 6 anni gia’ hanno il velo, e che le scuole, non semplicemente le classi, sono divise fra maschi e femmine. Il nostro ospite ci informa che vogliono dividere anche l’universita’. Universita’ per maschi, e universita’ per femmine. Da noi sarebbe impossibile. Gia’ faticano a trovare le aule per le classi miste, figuriamoci a raddoppiarle. Mi scaricano all’Hotel Alligapoo, io e un fisico teorico polacco mezzo francese. L’albergo e’ ok. Il water pero’ ha lo sciacquone praticamente al pelo dell’acqua, la quale scarica con moto quasi laminare. Percepisco subito, sebbene a livello puramente inconscio, il potenziale pericolo che si annida in questo tipo di tecnologia. Dormo un paio d’ore. Cambio 100 dollari. Chiedo di cambiarne 200 ma mi dicono che solo 100. Mi danno in cambio una mazzetta da tangentopoli, che mette a dura prova le cuciture del mio portafoglio. Mi dicono anche che il passaporto e’ piu’ sicuro se lo tengono loro della reception. Se lo dicono loro… Esco dall’hotel verso le 16, dopo aver nascosto il libro che sto leggendo, che ha una foto di donna in copertina, ovviamente senza velo, e vado a fare un giro in centro, prima di andare a iscrivermi al congresso. Sono in un altro mondo. Donne vestite di nero ovunque. Poi ci si abitua, ma l’impatto e’ forte. Anche i manichini dei negozi hanno il velo. Raggiungo la piazza principale di Isfahan giusto in tempo per tornare indietro e andare all’Hotel Kowsar, sede del congresso, per iscrivermi. Nella piazza incontro due tipi che mi danno il biglietto da visita dei loro negozi di tappeti, e un signore anziano che gira in bicicletta e vende t-shirts. Gli dico che ne comprero’ una, ma i prossimi giorni. Mi saluta dicendo “ciao Italia”. Giro turistico prima di cena. Siamo due italiani (io e Gabriella), un belga, un franco-polacco e un pachistano. Neanche nelle barzellette si e’ mai arrivati a una simile mescolanza di etnie. Il pachistano, saputo che devo parlare sul rivelatore dei muoni di CMS, a un certo punto mi chiede a bruciapelo, senza preavviso, la risoluzione delle CSC. La so, e quindi non mi coglie impreparato. Fra i 100 e 200 micron. Lo vedo soddisfatto della risposta. Anche io sono soddisfatto. Affronto sereno il resto della serata. Entriamo in una madrassa che troviamo lungo la strada. La madrassa e’ una scuola coranica. Il custode e’ imbarazzato. Gabriella chiede se e’ perche’ non si puo’ fotografare, e lui dice che no, non e’ per quello, ma perche’ le donne non sono ammesse. Pero’ noi maschi invece possiamo stare tranquillamente. Si stupisce che usciamo tutti. Avremmo appuntamento con Tenchini per il dopo cena di fronte a un ristorante tradizionale. Un iraniano abborda il polacco-francese che sta parlando con il belga. E’ uno studente di francese e vuole fare pratica. Si accoda, e andiamo a un ristorante che sa lui, che, dice, e’ buono. Poi si rivelera’ essere lo stesso consigliato da Tenchini e dalla Lonely Planet, ma noi non lo sapevamo. Il ristorante e’ ancora chiuso, e allora il tipo ci porta a una sala da te. Anche questa consigliata dalla Lonely Planet, ma anche questo non lo sapevamo. Non sapevamo una mazza, insomma. Ci fa salire su una scala che e’ quasi una via ferrata. Te e pasticcini ottimi, con vista sulla piazza, molto bella. Il tipo iraniano dice che il mio francese e’ ottimo. Mi schernisco consapevole dell’enorme puttanata che ho appena sentito. La stessa cosa aveva osato dirmela solo un tipo che poi ci aveva provato alla stazione di Lione (senza successo, per inciso), ma presumo che qui il contesto sia diverso. Dico a Gabriella che con il velo sembra una rifugiata Kossovara. Ride ma non credo che apprezzi. Allora per riconquistarla le dico che sembra anche la Befana della Sip, quella che mi aveva regalato il meccano. Non accenna neanche al sorriso. Forse non sa cos’e’ il meccano. Il franco-polacco invita l’iraniano a cena con noi. Lui telefona alla moglie e chiede il permesso. Permesso accordato, desumo, perche’ viene con noi. Il franco-polacco paga il te per tutti. Chiediamo quanto ha speso, e lui dice “not much”. Apprezziamo la discrezione e non insistiamo. Il ristorante tipico non ha sedie ma solo una specie di letti con cuscino tondo a forma di rotolo, e un tappeto. Mi sdraio comodo. Il cameriere porta la tovaglia, che e’ un pezzo di plastica sottile tipo busta della spazzatura coi lacci, bicchieri di plastica, forchette e cucchiai. Coltelli niente. Ne deduco che non ci sara’ molto da tagliare. Ordiniamo kebab, riso, yogurt, e birra senza alcol. Un errore, quest’ultimo, che non ripetero’. Il cibo e’ ottimo, ma dopo 5 minuti ho le ginocchia da buttare, e lo stomaco ritorto per la posizione scomoda. Comincio a agitarmi cambiando di continuo la posizione. Per fortuna la cena dura poco. Vorrei vedere un pranzo da matrimonio, di quelli che iniziano all’una e ti alzi alle 5, in quelle condizioni. Ne deduco che l’Iran e’ la terra promessa dei fisioterapisti. Spesa 140 mila rial. Detto cosi’ sembra una follia, ma sono 10 euro. Sara’ la spesa massima per una cena in tutto il periodo in Iran. Si sa che la prima sera uno spende sempre molto, e poi ci prende la misura. Torniamo in taxi perche’ abbiamo i piedi marci. Io e il polacco-francese siamo assieme e pago io, visto che lui ha pagato il te. Dormo di brutto. Inizio congresso. Alle 8 e mezzo, perche’ secondo programma c’e’ il welcome, come in ogni congresso. Siamo tutti seduti in attesa, quando un tipo sale e va al leggio (che poi toglieranno in seguito), apre un libro e senza preavviso comincia a gorgheggiare di gola. Gorgheggio di gola, pausa di 5 secondi, altro gorgheggio di gola. A volte acuto, a volte basso, forse con un criterio che pero’ mi sfugge. Dopo qualche minuto scopro che mi viene da ridere. Tutti guardano punti imprecisati per terra o altrove. Cerco di pensare a eventi tristi. Dopo 20 minuti che mi sembrano eterni, se Allah vuole, il gorgheggio finisce. Il polacco francese dice “thank you”. Sono sudato marcio per la tensione spesa nel cercare di non ridere. Breve discorso degli organizzatori, e si inizia. Tonelli e’ il primo e ha la cravatta. Grave errore ! Non ha letto la Lonely Planet ! La cravatta e’ un simbolo del lusso inutile degli occidentali, come tutti sanno. Pero’ qui tutti detestano Ahmadinejad e mi sa che se ne sbattono. Poi parla Gabriella, a cui scivola il velo pericolosamente verso il collo, durante il talk. Se lo riaggiusta e quello scivola di nuovo. La tensione serpeggia nella platea. Il pakistano delle CSC le chiede come mai dove ci sono i supporti interni in plastica l’efficienza e’ piu’ bassa. Intuisco che forse non sa molto di come funziona un RPC. Forse non sa molto e basta. Nella sala ci sono alcune ragazze iraniane in versione super ortodossa. Ogni tanto a qualcuna suona il cellulare, che scopro’ essere una mania anche qui. Dopo ogni talk un sacco di domande. Tosti questi iraniani. Per cena, seguiamo Tenchini che ha l’indirizzo giusto, consigliato dalla Lonely Planet, nel quartiere armeno. Cerchiamo il ristorante che non si trova, anche perche’ nessuno di noi si e’ portato la Lonely Planet. In compenso ci sono decine e decine di negozi di vestiti, tutti uguali, coi manichini in fila, e magliette con le scritte improbabili, del tipo “Young All Star University Spirit” o “Rainbow Car Race Sound Theater”. Facciamo qualche chilometro perche’ “forse e’ la”. Decidiamo alla fine di andare da “Arabo”, l’unico ristorante che c’e’ in giro, ma all’ultimo momento ci lasciamo consigliare su un ristorante caratteristico. Chiediamo piatti tipici, e prendiamo in due una roba con peperoni e melanzane ripieni, e in tre un piatto di carne. Se le melanzane e i peperoni sono accettabili, il piatto di carne e’ costituito da due palle enormi di carne macinata, pane, e una prugna all’interno, sommersi da una colata di sugo. Tenchini dice che e’ simile al pastone per le galline. Dopo 20 minuti che uno lo mangia, non sembra neanche intaccato, tanto e’ grande. Per fortuna ho scelto l’altro piatto e mangio alla faccia loro. C’e’ anche un buffet di verdure, e non capiamo se e’ compreso nel prezzo o no, perche’ il cameriere risponde “yes” sia alla domanda “E’ compreso nel prezzo”, che alla domanda “Si paga extra”. Forse lo fa per non contraddirci, o forse per incularci dopo col conto. Poi scopriremo che era la seconda. Chiediamo il conto. Chiediamo se il servizio e’ compreso e il cameriere risponde Yes. Chiediamo se dobbiamo aggiungere il servizio, e il cameriere risponde Yes. La spesa e’ comunque circa 9 euro. Telefono a casa. Tre minuti costano un euro. Ogni minuto aggiuntivo 40 centesimi di euro. Dico a mia madre che il tempo in Germania e’ bello (per non farla preoccupare lei sa che sono ad Aachen). Incredibilente ci azzecco: lei mi conferma che dal satellite si vede che non ci sono nuvole nel nord Europa. Con l’eta’ sembra che si sviluppi questa passione per la meteorologia. Il giorno dopo vado in giro per conto mio, nel pomeriggio. Vedo molte ragazze con il cerotto sul naso. Che si spatacchino tutte sul vetro della macchina, guidando senza cintura ? Poi leggo, sempre sulla Lonely Planet, che in Iran dilaga la mania di rifarsi il naso alla occidentale. Mannaggia queste iraniane ! Tutte velate, e si rifanno il naso a 18 anni ! Incontro il solito vecchietto in bicicletta, che mi dice “ciao Italia”. Rimando ancora l’acquisto delle magliette. Entro in un negozio di tappeti. Dico che mia moglie mi ha detto di non comprare niente. Fa effetto, sia perche’ cosi’ implicitamente dico che sono sposato (gli iraniani a 40 anni se non sono spostati sono strani, chiunque ti fermi per strada ti chiede prima da dove vieni, e poi se sei sposato) e sia perche’ il parere della donna comunque e’ ritenuto molto importante. Il tipo mi mostra comunque molti tappeti, mi spiega le differenze, e si fa fotografare da me con orgoglio nel suo negozio. Mi da l’indirizzo elettronico per inviargli la foto. Lui mi fa una foto, ma e’ mossa. Nella piazza principale di Isfahan mi ferma una ragazza iraniana. Dice che studia fotografia a non so quale istituto e che fa una tesi sugli stranieri che fanno foto in Iran (!?!?!). Mi chiede di fotografarmi, e poi di fotografare io lei con la sua macchina. Accetto con entusiasmo. Tira fuori una Hasselblad e mi fotografa di fronte alla moschea. Mi chiede di fare altrettanto. Sono in difficolta’ con il pentaprisma a pozzetto, e le dico che se sbaglio la foto con una Hasselblad, la migliore macchina fotografica mai creata dall’uomo, mi sparo. Ride. Scatto ma secondo me la sbaglio. Mi chiede l’indirizzo email. Speriamo venga una bella tesi, nonostante la mia foto. Mi ferma un signore e mi chiede da dove vengo e se sono sposato. Mi spiega che la piazza ha 400 anni, e che l’edificio che ho di fronte era l’harem dello scia’ di allora. Molto gentile, non vuole vendermi niente. Chiacchiero piacevolmente. Mi dice che gli iraniani soffrono del fatto che all’estero li identificano con il terrorismo. Cerco qualche souvenir. Decido per le scatolette di osso di cammello, e il porta mascara, sempre di osso di cammello. Dopo una feroce contrattazione prendo 4 scatolette e due porta mascara per 100 euro. Il tipo ne chiedeva 117. Scendere sotto la barriera psicologica dei 100 e’ stato impossibile. Ne concludo che sono un pessimo contrattatore. Vado via comunque soddisfatto, anche se con la consapevolezza di avere preso un’inculata, e soprattutto di aver comprato oggetti altamente inutili. Coi souvenir siamo a posto. Vado a visitare la Madrassa per conto mio. All’ ingresso il custode dorme. Non vorrei svegliarlo, ma alcuni operai non si fanno scrupoli e lo scuotono con violenza. Poi scopro che si paga semplicemente il biglietto. Entro e faccio foto in giro. Ci sono stanze con le scarpe di fuori e gente dentro che prega. Noto anche un gruppo tutti seduti in cerchio attorno a uno che sta salmodiando. Uno dorme di brutto e gli casca la testa. Considerazione: il catechismo e’ palloso ovunque. Un tipo legge (il Corano, suppongo, non credo che in una Madrassa si legga molto altro). Un altro dorme di brutto a pancia all’aria in una zona di preghiera. Mi tolgo le scarpe per camminare in una zona che suppongo dedicata alla preghiera. Un ragazzotto sui 25 anni, al primo piano, da un balconcino, mi fa il solito Hello Mister, where are your from (are you married) ?. Gli chiedo di spiegarmi quello che c’e’ nella madrassa, e mi dice “arrivo”. Parliamo di tutto, da Maometto all’Inter. Su entrambi gli argomenti e’ decisamente lui il piu’ esperto. Dice sempre “to be honest with you” prima di dire qualunque cosa. Mi dice che studia li dentro, e che dopo dieci anni potra’ decidere se continuare gli studi religiosi o “entrare nella societa’”. Dice proprio cosi’, entrare nella societa’. Mi chiede di che religione sono. Qui a rigore sarebbero cazzi, ma il mio camaleontico adattamento ai vari habitat e usanze del mondo mi fa dire che per tradizione sono cattolico ma non sono molto rispettoso delle regole. Conveniamo comunque che Allah e il Dio cristiano sono gli stessi. Un punto di convergenza. Io sono un po’ ruffiano, non si sa mai, e mi trovo sempre d’accordo con lui. Pero’ l’ Islam non ammette figlio e tanto meno lo spirito santo, che, si capisce da come lo dice, li considera delle vere bestemmie. Chi sono io per contraddirlo ? Poi parliamo di mafia, mi chiede se veramente c’e’ questa mafia in Italia e io dico che si, veramente, anche se non c’e’ solo la mafia (ma anche la camorra, l’andrangheta, la sacra corona unita, ma questo non glielo dico per non confonderlo) e poi lui dice che la gente pensa male dell’Iran, ma sbaglia. Dice “vedi, questi sarebbero tutti terroristi secondo te ?”, indicando altri suoi colleghi studenti. Nego con convinzione. Uno mi da un foglietto con siti web che spiegano tutto sull’ Islam. Non chiedevo di meglio ! Poi mi dice che Berlusconi e’ un po’ strano. Dice proprio cosi: “to be honest with you your president Berlusconi is a strange person !”. Pure lo studente coranico se ne e’ accorto, cazzo! Mi chiede cosa penso del loro presidente. Io gli dico che e’ un po’ “crazy”, e aggiungo che comunque non posso accettare che neghi l’olocausto. Mi saro’ sbilanciato troppo ? Lui dice “to be honest with you many scientists believe it did not happen. Many scientists sti cazzi ! (ma non glielo dico proprio cosi). Gli dico che dissento moderatamente, ma lui insiste dicendo che vuole essere aperto a tutte le fonti di informazione. Vabbe’, capisco che su questo punto non cambia idea. Conveniamo comunque che per vivere in pace nel mondo non ci vorrebbe molto, basta volerlo. Pace e bene, tante belle cose, good luck e tanti saluti. Mi dimentico di fargli una foto. Cena della conferenza nel miglior albergo di Isfahan, un ex caravanserraglio ristrutturato. L’albergo rigurgita gruppi di orrendi turisti vestiti come pagliacci. Con la scusa del capo coperto certe donne si mettono in testa stracci che sembrano la tovaglia di casa. Tavolata di soli italiani, piu’ ragazza turca, che pero’ parla italiano. Cena a buffet. Prendo due volte uno spezzatino con legumi. Tonelli porta a tutti il dolce allo zafferano dicendoci, “questo e’ buonissimo”. Decisamente non mi piace, ma ne mangio meta’ per non contraddire il futuro spokesman. La ragazza turca non lo tocca neanche. La moglie di Tonelli, che e’ sarda, e e’ vestita di nero, sembra una iraniana. Mi suona il cellulare. Un mio amico di Ancona mi chiede se ci sono per una cena fra amici il fine settimana. Faccio un figurone dicendo “mi dispiace, sono momentaneamente in Iran”. Dopo cena prendiamo il te all’aperto. Lo prendo piu’ che altro per scaldarmi, visto che si gela. Uso lo zucchero iraniano. Un pezzo di cristallo di zucchero che si mette in bocca, e poi si beve il te (amaro). Un modo piuttosto perverso di zuccherare una bevanda. Mi ricorda come si mettono il deodorante i carabinieri, che spruzzano nell’aria e poi ci vanno sopra con l’ascella. Passo la notte insonne a causa del te. Il giorno dopo scopro che anche altri hanno avuto lo stesso problema. Maledetto te iraniano ! Il teorico franco-polacco vomita tutta notte. Dice che sono state le polpettine, che io con astuzia ho evitato. Problemi con il water dell’albergo, come avevo intuito con perspicacia gia’ al mio arrivo. Lo scarico non riesce a scaricare. E’ talmente evidente che non puo’ farcela. La cassetta dell’acqua e’ allo stesso livello dello scarico. Neanche sopra il water. Praticamente sotto il water. Non riesce a scaricare la carta igienica, figuriamoci oggetti piu’ sostanziosi come quelli che serbo in corpo. La situazione sta diventando preoccupante. Ogni tanto provo a scaricare, ma niente. Cazzo, questi persiani si vantano di avere inventato la civilta’, e in 3000 anni ancora non hanno imparato come si fa un water ! Ogni tentativo peggiora le cose. Non so come risolvere la situazione, e alla fine decido di lasciare tutto in regalo alla cameriera che fara’ la stanza. Non so cosa altro fare. Speriamo di non scatenare la jihad. Prenoto il bus per Yazd e il ritorno da Shiraz, per la mia vacanza on-the-road post-conferenza. Il volo da Shiraz e’ l’ultimo posto disponibile. Telefono all’albergo di Shiraz e prenoto personalmente. Speriamo che abbiano capito e che non dicano “Yes” anche se e’ tutto pieno. Visita alla grande moschea di Isfahan, con Tenchini e Gabriella. Nella fontana centrale un bambino di 3 anni gioca con un camion giocattolo. Lascia galleggiare il camion che, essendo di ferro, per la legge di Archimede si inabissa nella fontana. Il bambino protesta in persiano, e la mamma, in chador nero fino ai piedi, dopo averlo, immagino, redarguito, (in persiano) si accinge a immergersi nell’acqua fetida. Io vedo la scena, e con uno sconsiderato gesto di altruismo mi offro di recuperare il giocattolo. L’acqua e’ piu’ profonda del previsto, e il fondo della fontana e’ viscido di alghe. Mi ancoro con una mano al bordo, e allungo il braccio. Se scivolo e’ la fine. Sento gli scatti delle macchine fotografiche di Tenchini e Gabriella, che ridono senza ritegno mentre io sono un fascio di nervi. Dopo vari tentativi e la camicia arrotolata fino all’ascella, e i pantaloni bagnati nonostante li abbia tirati fin sopra il ginocchio, con uno sforzo spasmodico riesco a aggrappare l’oggetto e riportarlo in superficie. Con un sorriso lo rido’ al bambino. Il bambino sorride, la mamma sorride, Tenchini e Gabriella sorridono e sono commossi. Probabilmente dalla finestra anche l’Imham sorride. E’ una scena da libro Cuore. La mamma mi accenna un ringraziamento, senza esagerare pero’, perche’, immagino, una donna iraniana non puo’ sbilanciarsi con un infedele. Sento di avere compiuto una buona azione e di avere contribuito alla distensione con il mondo musulmano. Torno in albergo. Il water e’ come nuovo. Da adesso pero’ staro’ molto piu’ attento. Mi rendo conto che il teorico franco-polacco ha per me una considerazione smodata e assolutamente immotivata. Ogni tanto gli faccio qualche domanda di cui non mi interessa assolutamente la risposta, che lo manda in brodo di giuggiole. Mi spiega un effetto di QCD e io annuisco interessato. Faccio il talk. Con la battuta che CMS da Compact Muon Solenoid e’ diventato Cosmic Muon Solenoid li conquisto tutti. Ridono che fanno tenerezza. Mi fanno un paio di domande prevedibili, e finisco. Sono soddisfatto di me stesso. Gran bella prestazione. Vado a prendere un te nella hall dell’albergo. Osservo una ragazza iraniana che conversa al tavolino con un tipo. Sara’ il promesso sposo ? Non ci sono molte alternative: o e’ il fratello (dubito, da come e’ imbarazzato lui, e anche lei sembra un po’ impacciata), o e’ il padre (troppo giovane), o il figlio (eccheccazzo !), o il promesso sposo. Non ci sono altre possibilita’, secondo la Lonely Planet. Opto per l’ultima ipotesi, e inizio uno screening psicologico della coppia. Sbilanciata. Molto sbilanciata. Lui lotta ancora con l’acne giovanile, e probabilmente, ma questa e’ solo una mia illazione, se non si sposano presto rischia seriamente di mettere a repentaglio la vista per gli anni a venire. Lei ha sandali con tacchi altissimi, unghie smaltate, capelli che escono dal velo, e, dettaglio non trascurabile, e’ bellissima. Incredibilmente bella. Pur vestita cosi’, da noi farebbe girare tutti, per quanto e’ bella, figuriamoci per lo standard tipico imposto dalla Repubblica Islamica Iraniana. Sposto lo sguardo e vedo Nikitenko con la russona degli ioni pesanti, e rifletto sulla incredibile varieta’ del genere umano. Me ne vado in giro per Isfahan. Incontro il tipo con le magliette e la bicicletta, che mi dice “ciao Italia”. Gli compro finalmente una maglietta per 1 euro. Bianca con la bandiera iraniana, e’ la meno peggio che ha. La mettero’ alla prossima riunione di condominio. Sento di aver fatto una buona azione. Dopo pranzo parto per Yazd. La segreteria del congresso mi chiama un taxi per la stazione delle corriere. Siamo io e 3 ragazze iraniane in chador ultra ortodosso. Grande casino con il taxi, che non ha bagagliaio abbastanza grande. Ne chiamano un altro. Guardo l’orologio con apprensione. Arriva un taxi identico al precedente e alla fine lo prendiamo e ci mettiamo le valige addosso. Io siedo davanti, facendo valere i miei diritti di uomo in terra islamica, e le donne dietro. Mi sento in leggero imbarazzo. Alla stazione una delle ragazze mi indica il bus. Ringrazio, la saluto senza sfiorarla, e salgo, Comincia la vita on the road. Misteriosi aggiustamenti di posto sul bus. A ogni persona che sale l’autista e l’aiuto autista tirano il freno a mano, e si riuniscono a consulto, scrutando i passeggeri. Poi fanno spostare la gente di posto, come a scuola. Mengucci, vai in seconda fila assieme a Giulioli, e Martelli invece viene qui davanti con Fiatti, che se lo metto con Mastrolorenzi passa tutto il tempo a chiacchierare. Poi capisco. Nonostante i posti prenotati una donna non puo’ sedere di fianco a un uomo, e quindi bisogna apportare le dovute correzioni. Io ho di fianco un uomo e quindi dovrei essere al sicuro, e infatti non mi spostano. Cerco di dormire, ma non ci sono cazzi. Passano con la merenda. Succo di frutta e biscottini. Dal finestrino un deserto di pietre e sabbia, piatto e monotono. Breve sosta tecnica e arrivo a Yazd. Assalto di taxi e tassisti. Uno passa avanti a tutti, io scelgo lui, perche; mi si para davanti gridando “taxi”, e salgo, e intanto lui si mette a litigare con gli altri. Li guardo con l’espressione “io non c’entro niente”. Partiamo seguiti da un codazzo di improperi. Gli faccio vedere la prenotazione, e contratto il prezzo della corsa. Ci accordiamo su una cifra sicuramente ben piu’ alta della decenza, ma non ho voglia di discutere. Stiamo parlando di qualche euro. Arriviamo all’albergo, che e’ molto distante dal centro. Alla reception mi dicono che c’e’ stato un errore, e che mi hanno in realta’ prenotato in un altro albergo “similar”. Stramaledico il profeta, sempre mentalmente. Il tassista, che mi ha seguito fin dentro l’albergo (secondo me sapeva), si sfrega le mani, pregustando altri 100 mila euri iraniani. Arriviamo in un posto che sembra un pollaio, in mezzo a case diroccate. Potremmo essere anche in un’altra citta’, per quello che ne so. Con grande autorevolezza do al tassista meta’ di quello che mi chiede mandandolo a cagare (mentalmente) e prendo la stanza. L’albergo e’ in realta’ molto bello e, scopro, vicino al centro, mentre l’altro era in culo al mondo. Botta di culo. E io che me l’ero presa col profeta ! Lascio le valige e mi getto nella rutilante vita serale di Yazd. Per cena scelgo una pizzeria. Siamo io, e, in un altro tavolo, una decina di ragazze iraniane. Ma siamo a Yazd e non a Ibiza. Ci sono pizze con cose misteriose sopra, e timidamente dico “can I have a pizza with only tomato and cheese ?”. Ll tipo mi guarda come se fossi un indigeno della Papuasia per la prima volta in citta’ e mi fa: “Margherita !!!”. Ripensandoci penso di avere colto anche un leggero accento di Posillipo. Poi aggiunge “how about some mushrooms too ?”. Io, ormai abbacinato, accetto con convinzione. Da bere Fanta. Pizza piu’ che decente. Faccio un altro giro serale, e torno in albergo, ma mi perdo nei vicoli. Dopo un po’ di giri a vuoto mi decido a chiedere, e alla fine ritrovo l’hotel. Il water questa volta sembra normale, ma io rimango comunque guardingo e sospettoso, deciso a non compiere gesti avventati di cui potrei pentirmi. Visita a Yazd di giorno. La citta’ e’ fantastica. Una vecchia citta’ sulla Via della Seta. Scatto foto a ripetizione. Pedino una tipa in chador che si inoltra sotto gli archi. Sento che sara’ una foto fantastica. Entro in un laboratorio dove un tipo costruisce sitar. Mi spiega come si fanno, e si mette a suonare. Capisco che vorrebbe vendermi un cd di musica di solo sitar. Declino l’allettante offerta e me ne vado ringraziando, dopo avergli fatto una foto. Cerco un internet cafe’ che secondo la Lonely Planet dovrebbe esistere. Il luogo mostra chiari segni di degrado. Chiedo a dei tipi che sono li e quelli allargano le braccia. Deduco che non c’e’ l’Internet Cafe’. Anche la Lonely Planet a volte sbaglia ! Compro un’acqua minerale in un chiosco. “Where are you from ?” “Italy”. “Ah, Italy, Mafia !” “Noooo!”. “Yes, Italy Mafia and Iran terrorist !”. Ridiamo. Mi cita una serie di calciatori che non conosco, io che sono fermo a Mazzola, Rivera, De Sisti e Domenghini. Annuisco convinto. Il tipo mi dice “Young, me football ! Now very very fat !”. E si tocca la pancia che dice tutto. Grande capacita’ di sintesi. Rido di gusto, saluto e me ne vado. Simpatici questi iraniani. Cena in ristorante tipico. Siamo io e qualche locale. Mangio zuppa di cereali e melanzane con kebab. Ottimo. Prendo da bere un latte di rose, che invece risulta simile a una saponetta sciolta nell’acqua. Scelta sbagliata. Sono gli inconvenienti del viaggiatore in terra straniera. Mi perdo di nuovo tra i vicoli per tornare in albergo. La mattina parto presto, per Shiraz. Alla stazione delle corriere non esistono scritte diverse dal persiano (che si chiama “farsi”, in realta’). Mi avvicino a un tipo e gli chiedo: “Shiraz ?”. Lui mi fa “Eh ?”. E io ripeto: “Shiraz ?”. Lui mi guarda come se gli avessi chiesto: “Igea Marina ?”. Comincio a sudare. Si avvicinano altri e io ripeto “Shiraz – bus !”. Mi guardano con aria smarrita. Aspetto che mi dicano: “ci dispiace, non esiste questa citta’ in Iran”. Con un colpo di genio tiro fuori il biglietto, che e’ tutto scritto in persiano. “Ah, Shiraaaaz !!!” dicono sorridenti. Con la esse dolce. “Yes, Shiraaaaz !” dico io piu’ rilassato. Mi indicano il posto dove arrivera’ il bus. Meno male. Il bus non arriva. Chiedo ogni tanto per conferma “Shiraaaaaz ? Here ? ” (con la esse giusta) a una coppia di fianco a me, e loro annuiscono tranquilli. Il bus arriva ancora gocciolante. Lo dovevano lavare, per quello era in ritardo. Saliamo. Di nuovo grande aggiustamento di posti. Non c’e’ nessuno di fianco a me. Partiamo, e dopo 10 metri ci fermiamo. Bisogna fare benzina. Arrivo in Hotel. Organizzo per la visita a Persepoli per il giorno dopo, con un tipo della reception che sembra simpatico. Per 30 euro. La sera, stanco di kebab, riprovo con una pizza. Scelta pessima. Sulla margherita ci sono dei pezzetti di roba che sembra prosciutto ma probabilmente e’ pollo. Trangugio comunque e vado a letto, non prima di aver controllato l’efficacia dello sciacquone. Il viaggio a Persepoli e’ piacevole. Il tipo ha voglia di parlare e mi racconta di tutto. Ci tiene a dire che gli iraniani sono molto diversi da quello che ci dicono. Molto istruttivo. Dice che e’ fidanzato, ma non sposato, e che pero’ si “gode la vita”. Tromba, in pratica. Odia Amhadinejad, ma anche gli Stati Uniti, mentre, dice, non gliene frega una mazza ne’ di Israele ne’ dei palestinesi. Mi racconta dello spreco di soldi dello Scia’, di come gli americani lo abbiano prima sostenuto e poi abbandonato, e dell’inculata che poi si sono presi con Kohmeni, che si e’ preso il copyright di una rivoluzione che in realta’ era stata motivata da ben altri ideali. Dice che sono governati dalla “Mafia degli Ayatollah” e che non ha speranze che cambi niente con le imminenti elezioni, perche’ chi li governa possiede i mezzi di informazione e manipola la gente. Mi sembra un discorso che ho gia’ sentito. Torno a Shiraz e vado al bazar. Mi ritrovo a contrattare una tovaglia per mia madre, senza nessuna intenzione di comprarla. Dico che ci penso. In centro vedo una scolaresca (solo maschi) che fa la fila davanti a un cinema, con un titolo non identificato, e dei cartelloni disegnati a mano che lasciano presagire una trama pallosissima. Penso che non potra’ comunque essere peggio dell’Albero degli Zoccoli, che mi portarono a vedere in terza media. Guardo un po’ di tv in albergo. E’ scoppiata una epidemia di influenza. La chiamano la suina. Ci mancava pure questa. Ci sono casi in Europa. Speriamo non in Germania, che altrimenti mia madre si preoccupa. Giro canale. Intervistano Ahmadinejad. Parla lentissimo. Sembra Craxi. Deve essere una prerogativa delle teste di cazzo. Chissa’ dove compra quei giacchettini grigio-beige. La tipa accenna a intervenire e lui riprende a parlare. Giro canale ancora. C’e’ un ayatollah che parla a un gruppo di gente seduta. Non sembrano molto interessati. L’Ayatollah mentre parla solleva il ditino come Bin Laden. Deve essere un vizio della zona. Giro e rigiro i canali, e l’Ayatollah continua a parlare. Mi addormento sulle sue parole concilianti. Se l’Auditel ha avuto qualche picco nei punti salienti del suo discorso e’ una cosa che non sapro’ mai. Ultimo giorno in Iran. Devo riempire la giornata perche’ ho il volo alle 21. Decido di andare a vedere la tomba del poeta Hafez. Hafez e’ come Dante per noi ma, dice la Lonely Planet, molto amato dagli iraniani, che, sempre secondo la guida, lo citano spesso mentre parlano. Quindi non e’ proprio come Dante per noi. Forse e’ perche’ non gli spaccano il cazzo da piccoli per tre anni di seguito con la Divina Commedia spiegata cosi’ come viene. Comunque prendo il taxi e mi faccio portare al parco dove c’e’ la sua tomba. Il luogo, dice la Lonely Planet, e’ sempre frequentato, e c’e’ sempre un gruppetto di persone a rendere omaggio al sommo poeta. Il posto e’ un po’ fuori dal centro. Il tassista, che non parla inglese, ad un certo punto si ferma perche’ la strada e’ sbarrata, e mi fa capire che il posto e’ oltre lo sbarramento. Mi incammino. Mi rendo conto che allo sbarramento c’e’ la polizia, e ci sono pulman che vomitano scolaresche a tutto spiano. Tutte per vedere la tomba del poeta Hafez ! Fotografo i bambini e i gruppi, tutti che vanno a vedere la tomba del poeta Hafez. Sembra il vialone d’accesso al concerto degli U2. Una fiumana di persone, tutte a vedere la tomba del poeta Hafez. Cominciano a venirmi dei dubbi. Eccheccazzo, alla faccia del gruppetto di persone ! Immagino la tomba di Dante a Ravenna assediata tutti i giorni da una folla tipo concerto del primo maggio, con problemi di ordine pubblico, tutti a rendere omaggio al sommo poeta. Arrivo davanti al cancello del parco dove sta la tomba. Ci saranno almeno cinquemila persone e un casino pazzesco. Decido che non possono essere li per il poeta Hafez. Chiedo in giro. Tutti vorrebbero spiegarmi ma nessuno parla inglese. Si forma un gruppetto di persone, e finalmente un poliglotta si fa largo e mi dice che proprio di fronte c’e’ lo stadio dove e’ atteso per un comizio il presidente Ahmadinejad. Rido dentro di me. Il poeta Hafez sticazzi ! Una guardia mi dice che comunque se voglio entrare a vedere la tomba non ci sono problemi. Dico che non importa ma lui insiste. Entro, faccio finta di leggere la guida, faccio due foto, e me ne vado, mentre lui mi osserva discreto. Penso al caso opposto, di un turista iraniano che vuol vedere la tomba di Dante mentre davanti si svolge il comizio di Berlusconi. Col cazzo che lo farebbero passare ! Risalgo la fiumana di gente e torno in citta’. Compro un libro del poeta Hafez, per spendere gli ultimi soldi iraniani. Sono sull’aereo per Teheran. A Teheran devo cambiare aeroporto, tempo stimato 1 ora di taxi. Il volo ha un’ora di ritardo. Ho in tutto 3 ore di tempo. Dovrei farcela ma sono ansioso. Su Teheran c’e’ un gran temporale. Si vedono i fulmini, e l’aereo gira a vuoto da quasi mezz’ora senza atterrare. Il tipo che mi sta accanto, che ormai sa tutto di me, mi dice sorridendo: “Probably you will miss your flight”. Lo mando affanculo mentalmente senza esitazione, ricambiando il sorriso. Subito dopo annunciano che atterreremo. Il profeta mi ha ascoltato.