Norway? My way…da Oslo alle Svalbard e ritorno

Viaggio alla scoperta della Norvegia, fra le città e il nord (Tromso, Lofoten, Svalbard).
Scritto da: Bushwag
norway? my way...da oslo alle svalbard e ritorno
Partenza il: 10/08/2010
Ritorno il: 27/08/2010
Viaggiatori: 1
Spesa: 3000 €
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Causa crisi e conseguente calo di lavoro, la mia azienda ha chiuso per due settimane ad agosto, e agli impiegati è stato chiesto, se possibile, di aggiungere un’ulteriore settimana. Raramente mi capita di poter usufruire di tre settimane consecutive di ferie, così ho colto l’occasione per visitare una nazione che da sempre mi affascina. Dapprima mi sono documentato sulle cose da vedere sia su internet che su una guida cartacea, poi è scattata la logistica per sviluppare un itinerario coerente da seguire. L’idea era di concentrarmi sul Nord della Norvegia, ma di visitare pure le principali città; così verificando anche i collegamenti tra le varie mete ho fissato il seguente itinerario: Oslo-Myrdal-Flam-Bergen-Trondheim-Lofoten-Tromso-Svalbard-Tromso-Oslo. Purtroppo per tempi di percorrenza a volte biblici, legati alla conformazione del territorio, e per i costi talvolta anche superiori all’aereo, ho dovuto spesso accantonare l’idea di spostarmi il più possibile in treno e bus, cosa che mi avrebbe consentito di ammirare il paesaggio durante gli spostamenti. Una volta fissate le date di andata e ritorno da Oslo, ho cercato di stabilire quanto tempo dedicare ad ognuna delle tappe previste, e di conseguenza ho iniziato a cercare ed acquistare online i biglietti per i trasferimenti interni, sia aerei sia ferroviari (sul sito NSB acquistandoli in anticipo si possono spuntare prezzi scontati, chiamati minipris).

Il contenimento dei costi si rivela vitale in Norvegia, dove la vita costa praticamente il doppio che da noi. Per studenti ed anziani sono spesso previste riduzioni, così come per i possessori di inter-rail, quindi informatevi bene prima di pagare. In genere indicherò i prezzi in corone, ad agosto il cambio, arrotondando, era 1€=8nok. Per fortuna molti voli interni sono decisamente a buon mercato (Norwegian e Wideroe hanno prezzi competitivi), tranne quelli per le Lofoten e per le Svalbard. Da Oslo a Bergen un provvidenziale treno notturno consente di risparmiare un pernottamento, ed un paio di voli con arrivo di notte si prestano per passare la notte in aeroporto sonnecchiando dove possibile. Decisamente impegnativo si rivela organizzare le coincidenze…in particolare quelle da e per le Lofoten, con una diabolica combinazione “doppio volo+bus” che all’andata mi lascia solo un’ora tra l’atterraggio e la partenza del bus costringendomi a prendere un taxi dall’aeroporto di Svolvaer per il quale spenderò l’insanguinata cifra di 220 NOK (quasi 30 euro) per 5 Km di strada…ma non avevo scelta se volevo prendere l’ultimo bus in partenza con destinazione A, villaggio all’estremo sud delle Lofoten, e tappa per me imprescindibile. Al ritorno per fortuna con tre ore a disposizione me la sono potuta fare a piedi, una passeggiata di poco più di un’ora allietata da un paesaggio molto gradevole. Fissati i trasferimenti, inizia la ricerca dei pernottamenti. Avendo da poco aderito a Couchsurfing (un sito in cui la gente offre o chiede ospitalità) ho iniziato ad allacciare contatti e a vagliare la disponibilità ad essere ospitato. In genere una risposta, anche se negativa, si riceve, comunque come temevo alle Lofoten e alle Svalbard i pochi couchsurfers non sono disponibili per i più disparati motivi, in genere visto il periodo dell’anno sono in ferie anche loro, e devo ripiegare su ostelli e guest-house. Trovo ospitalità a Tromso e a Trondheim, mentre ad Oslo dove dormirò solo una notte non la cerco nemmeno. Tra le città del programma di viaggio, Bergen, dove prevedevo di passare due notti, si rivela poco ospitale, almeno con me…provo allora a cercare qualche hotel o guesthouse a prezzi abbordabili ma non trovo niente di adatto al mio budget. Finisco così per modificare il mio itinerario. Sulla strada per Bergen sarei passato da Voss, amena cittadina su un lago, poco lontano dal Naeroyfjord. Verificata la disponibilità di un posto letto nel locale ostello della gioventù, decido quindi di fermarmi lì e di dedicare a Bergen solo la giornata in cui in serata mi trasferirò a Trondheim. Ora tutto è quasi pronto: itinerario, trasferimenti, resta solo da definire il pernottamento alle Svalbard, ma ho già dei contatti e provvederò strada facendo. Si può partire.

Il volo Ryanair in partenza da Bergamo alle 6,30 di mattina, arriva ad Oslo Torp in perfetto orario ed ho davanti a me tutta la giornata da trascorrere nella capitale. L’arrivo ad Oslo non è dei più promettenti: pioviggina e il viaggio in bus (190nok) dall’aeroporto di Torp porta via quasi due ore. Lasciato lo zaino al deposito bagagli (40nok), esco dalla stazione di Oslo S, capolinea di bus e treni diretti nella capitale, e il primo impatto con la capitale non è dei più gradevoli. Al clima piovigginoso si aggiunge il fatto che la zona è piuttosto degradata e presenta un’alta concentrazione di personaggi non proprio da cartolina… Dopo poco più di un centinaio di metri però le cose migliorano e per mia fortuna anche il clima. Personalmente Oslo non mi ha entusiasmato, probabilmente è una bella città in cui vivere, con un alta qualità della vita e servizi efficienti, ma ha poco da offrire ad un turista. Ci sono comunque alcune zone interessanti, palazzi esteticamente apprezzabili ed alcuni musei che vale la pena visitare. Partendo da Oslo Sentral suggerirei il seguente itinerario.

Opera house: edificio che sembra un mix tra un’astronave e una pista da sci. Si trova in una zona un po’ marginale e che infatti dovrebbe cercare di abbellire e rilanciare con la sua presenza. La fortezza e il parco dell’Akershus festning danno la possibilità di fare una passeggiata e uno spuntino nel verde con vista sul porto turistico. Bank plassen e la zona del vecchio municipio offrono alcuni esempi gradevoli dal punto di vista architettonico. Andando verso il porto turistico si passa davanti al triste municipio dalle torri squadrate per poi arrivare alle vivace zona dell’Aker brygge, area pedonale sul mare con decine di negozi e ristoranti. Dal porticciolo partono anche i traghetti per l’isoletta di Bygdoy che merita una visita sia per le sontuose abitazioni circondate da parchi verdissimi con animali al pascolo, che per i numerosi musei dedicati alle esplorazioni e alla storia del popolo norvegese: dalle navi vichinghe al museo etnografico, passando ai musei dedicati alle avventure mirabolanti del Fram e del Kon-tiki. Da Bygdoy se si ha voglia di camminare si può raggiungere il Frognerparken: un’ oasi verde abbellita dalle affascinanti e misteriose sculture di Gustav Vigeland. Da qui tornando verso il centro città si incontra il palazzo reale, da dove in poco tempo si raggiungono molti punti di interesse: numerosi musei (Ibsen museum, il museo di storia e cultura, la galleria nazionale e per ultimo il museo di arti applicate) che sono quasi tutti gratuiti. Altri punti di interesse sono: l’ università, il teatro e Karl Johans Gate, la via principale della città che riporta verso la stazione di Oslo S passando accanto alla cattedrale e al Basarhallene, un edificio di forma circolare, in mattoni a vista, occupato da ristoranti e caffè. A nord di Karl Johans Gate si trovano: la zona di Damstredet, via acciottolata dove si trovano poche delle vecchie,tradizionali case in legno ancora esistenti ad Oslo. Il cimitero monumentale con le tombe di Ibsen, Munch ed altri protagonisti della storia e della cultura norvegese. Alcune chiese che erano chiuse e dall’esterno non lasciavano immaginare interni particolarmente interessanti. A Oslo ho dedicato la giornata del mio arrivo in Norvegia e gli ultimi due giorni prima della partenza.

Dopo l’arrivo in città visito nell’ordine: l’Opera Huset, la Borsa, l’Akershus Festning, Bank Plassen, Aker Brygge, il teatro, il palazzo reale, Damstredet e il cimitero monumentale ed infine l’università e Karl Johans gate. L’università ha al suo interno un interessante opera di Munch che però al momento non è visibile. Karl Johans gate era invece parzialmente chiusa al traffico, anche pedonale, per una corsa ciclistica di bambini, di diverse età e con diversi mezzi. Alcune bici addirittura hanno ancora le rotelle, e mi sono soffermato ad osservare quello spettacolo colorato, chiassoso e piacevole. La fame inizia a farsi sentire, non ho intenzione di spendere molto, così mi dirigo verso una nota catena di fast-food. Lì ordino un big menu: patatine, panino e bibita e mi preparo a pagare con 100nok in mano, convinto di ricevere del resto, invece devo aggiungere altri soldi…il conto infatti è di 110nok, quasi 14 euro e quasi il doppio di quello che avrei speso qui.

Dopo la prima giornata ad Oslo ho preso il treno notturno (270nok con minipris) per Bergen. Servizio eccellente: pulizia, puntualità, cortesia…per i viaggi di notte anche in carrozza normale e non in cuccetta ti offrono una coperta, tappi per le orecchie, mascherina per gli occhi, ed i sedili sono ampi, comodi e reclinabili, come essere in aereo. Arrivo puntale a Myrdal, stazione di montagna, alle 4,45 di mattina e ne approfitto per dormicchiare un po’. Fuori fa freschino e piove piuttosto forte, ma al chiuso si sta benone. Non utilizzo nemmeno il sacco a pelo, mi bastano lo stuoino in terra e il cuscino gonfiabile. Oltre a me nella sala d’aspetto ci sono solo altri quattro ragazzi accampati e dormienti ai quali al mattino si aggiungeranno tre ragazze norvegesi arrivate fino a lì in bici e completamente inzuppate d’acqua. Fatta colazione nel baretto della stazione salgo sul trenino Flamsbana (240nok), uno dei percorsi più belli d’Europa che grazie ad ardite soluzioni ingegneristiche consente di superare pendenze allucinanti, viaggiando attraverso boschi, gole e cascate per infine arrivare a Flam, porticciolo sul Naeroyfjord, da dove parte la minicrociera (255nok) che termina a Gudvangen.

Il Naeroyfjord, estensione del Sognefjord, è uno dei fiordi più stretti ed in verità, in un punto, è il più stretto della Norvegia. Per fortuna la pioggia cessa di cadere, le nuvole si diradano ed il sole torna a splendere. Il traghetto solca placido le acque e il paesaggio intorno è gradevole, soprattutto i piccoli villaggi che si incontrano lungo il percorso e che spesso sono raggiungibili solo via barca. Alla lunga però trovo il paesaggio sebbene affascinante, un po’ monotono. Forse è la mia dromomania che mi fa patire il fatto di non potermi muovere liberamente, ma alla luce di questa esperienza credo di poter dire che una delle vacanze più gettonate in Norvegia, ossia la crociera con il battello postale Hurtigruten, non faccia per me, e sono lieto di essermi organizzato diversamente. Dal capolinea della crociera, Gudvangen, con il bus (80nok) si raggiunge Voss passando da Stalheim, lungo una delle strade più ripide d’Europa dove l’autista deve fare manovre al millimetro ad ogni tornante per non finire nella scarpata…

Voss si presenta come un paese molto carino, un bel lago, un fiume impetuoso, montagne tutto intorno e tanto verde…un luogo fiabesco, ma in ogni fiaba che si rispetti c’è sempre un po’ di brivido…infatti Voss è la capitale norvegese degli sport estremi. In passato la cosa più estrema che avessi fatto era stato mangiare al ristorante coreano…era giunto il momento di provare il brivido dell’adrenalina. Le proposte degli operatori locali prevedono: rafting, kayak, canyoning, skydiving, parapendio…la mia scelta ricade su quest ultimo, nella versione trainato da barca (1500nok). Si parte correndo per circa venti metri sulla riva del lago, il paracadute si gonfia, la barca inizia a trainarti e si sale progressivamente di quota. All’inizio onestamente provo un po’ di paura o quantomeno apprensione…vedo la terra allontanarsi sotto i nostri piedi, e il cavo che ci traina dà degli strappettini per me preoccupanti, ma l’istruttore mi tranquillizza e dopo pochi secondi la paura lascia spazio al relax. Impossibile descrivere le sensazioni che si provano, però essere lassù, più alti delle montagne circostanti, avvolti solo dal silenzio e dal rumore del vento è magnifico. Le condizioni di correnti e di visibilità erano ottimali e siamo arrivati a 1250 metri d’altezza e da là abbiamo ammirato il paesaggio nel raggio di almeno 40 kilometri riuscendo anche a vedere in lontananza un ghiacciaio ed addirittura il lancio di alcuni coraggiosi skydivers.

Il resto del tempo a Voss scorre piacevolmente tra un’ escursione a piedi nei boschi, un giro in funivia (100nok) e la visita della piccola cittadina, dove oltre alla bella chiesetta è anche presente un carino museo etnografico. L’ostello che mi ospita è confortevole e fornito di ottimo servizio ristorante che decido di provare per assaggiare qualche ricetta locale. Scelgo dal menu un antipasto freddo (salmone affumicato, aringhe in carpione e con senape, uova di lompo, verdure, uovo sodo) e una ricetta tipica chiamata Hakkasteik (carne macinata, cotta con orzo, e servita con verdure) accompagnati da una bottiglia di birra Hansa, prodotta a Bergen. Il cibo è di mio gradimento sebbene non memorabile. A rivelarsi tale è invece il conto:350 corone, più di 40 euro per due portate, in ostello. Memore dell’esperienza del giorno prima al fast-food, realizzo che in Norvegia si spende il doppio che da noi per mangiare. Di lì in avanti mi concederò raramente il lusso di pranzi o cene al ristorante, e la sera seguente all’ostello cenerò con un corroborante ed economico minestrone di verdure concedendomi lo sfizio di una cheesecake (120nok). Molto preziose per il contenimento della spesa alimentare si riveleranno anche le barrette energetiche che avevo acquistato prima della partenza dall’Italia. Nel prezzo della camera (290nok a notte) è compresa la colazione a buffet che viene servita nel salone ristorante, con terrazza e vetrata che si affacciano sul lago. Una mattina facendo colazione ho avuto modo di vedere un uomo ed una donna non proprio giovanissimi fare il bagno, in nudo integrale, alle 8 di mattina nelle gelide acque del lago…per poco non mi vanno di traverso le aringhe che stavo mangiando, ma quella visione contribuirà ad alimentare una mia malsana idea…

Da Voss raggiungo in treno (170nok) Bergen, dove arrivo di prima mattina. Depositato come di consueto lo zaino in un armadietto del deposito bagagli (40nok) inizio la perlustrazione della città. Dalla stazione in pochi minuti si raggiungono quasi tutti i punti di interesse. I musei, che non ho visitato a causa del poco tempo a disposizione, sono concentrati in una spianata, accanto ad un parco con laghetto, il Lille Lungegardsvann, ma le attrattive maggiori sono sicuramente concentrate nella zona dell’Ovregaten dove si trovano edifici carini, chiese, la funicolare Floibanen, per arrivare infine alla Mariakirken e al Bergenhus Festning. La Mariakirken in stile gotico romanico è l’edificio più vecchio di Bergen ma purtroppo era chiuso per restauri che si concluderanno solo nel 2015. L’edificio infatti soffre il clima umido della città. Secondo le statistiche a Bergen piove 270 giorni l’anno. Il cielo era grigio ma sembrava volermi risparmiare. Invece raggiunta la zona più caratteristica e turistica della città, il famosissimo Bryggen ha iniziato a piovere piuttosto forte. Gli edifici in legno e dipinti a tinte vivaci risalgono ai tempi della lega anseatica, hanno un fascino indiscutibile e rientrano in ogni immagine fotografica di chi è stato a Bergen, però sono troppo turistici, invasi da orde di visitatori che si accalcano nei negozi (forse anche per ripararsi dalla pioggia) di souvenir e di abbigliamento (specializzati in maglioni, pelli e pellicce). Situazione analoga si riscontra al Torget, il colorato mercato del pesce, dove si possono assaggiare e comprare pesci e frutti di mare e dove ho tastato per la prima volta nella mia vita la balena. Si trattava di balena affumicata, e devo dire che la immaginavo completamente diversa, credevo fosse carne grassa dal gusto forte, invece la ho trovata delicata e saporita. Girando tra i banchi è impossibile non notare già dai tratti somatici, come tantissimi venditori siano italiani o spagnoli, mi soffermo allora a parlare con un ragazzo pugliese che lavora lì e che sta cercando di mettere da parte un po’ di soldi per trasferirsi ed aprire un’attività in Marocco. Io gli chiedo se i venditori siano mediterranei in quanto siamo più insistenti con i potenziali clienti, ma lui mi dice che è solo per una questione linguistica. Visto l’afflusso considerevole di turisti latini e l’idiosincrasia dei popoli latini per le lingue straniere, inglese incluso, è meglio che i venditori sappiano parlare italiano e spagnolo. Io sono dell’idea che comunque il Torget non sarebbe lo stesso senza la caciara colorata che noi (venditori e turisti) creiamo in quel luogo, rendendolo, a mio modo di vedere, più caratteristico e vivace.

Inevitabile a questo punto una sosta per mangiare un gustoso piatto di fish&chips (100nok) e anche per ripararsi dalla pioggia battente sotto i tendoni del mercato. Carina è anche la zona pedonale che si estende lungo il Torgal Menningen e l’Ole Bulls plass e dove a negozi, ristoranti e centri commerciali si alternano scorci mirabili con piazze adornate da statue che celebrano i navigatori e gli artisti norvegesi.La pioggia continua a cadere insistente, io inizio a sentire la stanchezza della levataccia (alle 6 per fare colazione e poi andare a prendere il treno) così la mia visita al centro di Bergen si conclude in anticipo e mi preparo a partire, non prima di aver assistito ad una visione singolare…Accanto ai gradini di un edificio della trafficata area del Torgal Menningen si trova una statua di un ragazzo scalzo, seduto in terra con la schiena appoggiata al muro, apparentemente potrebbe essere un barbone, e proprio come un barbone in carne ed ossa la statua viene ignorata dalla maggior parte dei passanti. Recupero lo zaino e prendo al volo uno dei Flybussen (90nok) che partono da Ole Bulls plass per raggiungere l’aeroporto di Bergen.

In serata arrivo a Trondheim, dove in aeroporto trovo ad ospettarmi Simone che avevo conosciuto su couchsurfing e che mi ospiterà per due notti. Simone abita nella zona universitaria di Trondheim e con lei e la sua famiglia avrò modo di visitare e conoscere meglio la città, nonchè la cultura norvegese. In particolare Per, l’ex marito di Simone, si rivela un’ottima guida, capace di raccontare aneddoti storici e curiosità attuali sulla vita locale. Qui mi concedo una breve digressione:ospitare od essere ospitato da gente di paesi diversi è il mio modo preferito di viaggiare, già prima di aderire a CS era il mio credo, perché ritengo che possa concedere un arricchimento ed un allargamento della propria cultura e del proprio modo di vedere le cose…per questo mi intristisco quando vedo le comitive di turisti, che non comunicano con la gente del luogo, tutti assorbiti dal fare fotografie ed incollati alla loro guida, in questo i cinesi sono maestri ma non mancano emuli occidentali… Per e Simone sarebbero dopo poco partiti per una vacanza in Sardegna, quindi la conversazione è stata piacevolissima e reciprocamente interessante, spaziando dalla politica, alla cucina allo sport, confrontando le rispettive opinioni e realtà. Dal punto di vista turistico Trondheim non ha tantissimo da offrire, ma mi è piaciuta proprio perchè è meno turistica, quindi più sincera e da lì ho iniziato a respirare un po’ l’aria vera della Norvegia, anche dal punto di vista climatico, con un abbassamento della temperatura. La Cattedrale, Nidaros Domkirke, comunque è veramente bella del resto Trondheim era centro religioso importantissimo come testimoniato anche dal palazzo arcivescovile, con annesso museo, dalle rovine della chiesa medioevale di Kongens Gate, dal nome di una delle vie principali (munkegata, via dei monaci) che conduce alla piazzetta dal cui molo partono i traghetti per l’isola di Muncholmen dove sorge un monastero fondato nell’ undicesimo secolo e che nel corso dei secoli è poi stato anche prigione, fortezza difensiva e dogana.In quella piazzetta sorge anche il mercato del pesce (Ravnkloa) dove finalmente si riesce a mangiare senza spendere una fortuna: 50 corone per 3 hamburger di pesce. Merita una visita anche lo Stiftsgarden che è il palazzo in legno più grande del nord Europa, e che ospita la famiglia reale quando è in visita a Trondheim Altro elemento caratteristico è rappresentato dal Gamle Bybro (ponte della città vecchia) dalla cui struttura lignea si possono ammirare gli edifici commerciali, anche essi in legno, che si affacciano sul fiume Nid. Una curiosità di Trondheim sono poi gli “ascensori” per bicicletta…si tratta di un sistema simile ad uno skilift per agevolare la salita lungo alcune ripide strade della città…bisogna appoggiare il piede su un supporto che segue una guida interrata e ti trascina fino alla vetta, ma richiede comunque un certo sforzo alla gamba d’appoggio nonchè un discreto equilibrio. Insomma questa invenzione di dubbia praticità non ha avuto grande successo.La domenica sera ceniamo a casa di Per con tutta la famiglia al completo. Faccio il pieno con il pollo arrosto e le patate cucinate da Simone che, oltre brava cuoca, si rivela di una ospitalità incredibile considerando che sono arrivato in un momento delicato, in cui una delle figlie attraversava una classica crisi adolescenziale che nel frattempo pare sia stata superata. La partenza da Trondheim è stata un po’ movimentata. Dovevo fare il bucato, ma per asciugare i vestiti ci è voluto più del previsto, così sono arrivato all’aeroporto quando avevano già chiuso il check-in. Sono riuscito comunque a prendere il volo, ma dovendomi recare direttamente al gate d’imbarco, il bagaglio da stiva, è stato ispezionato come bagaglio a mano ed ho dovuto lasciare là il mio coltellino svizzero…per fortuna che era un’imitazione cinese…eheheh Realizzo poi, nella fretta, di aver lasciato a casa di Simone il mio tappetino da mettere sotto al sacco a pelo…poco male perché nel resto del viaggio non mi servirà più ed era piuttosto ingombrante.

Per raggiungere le isole Lofoten il mio volo fa scalo a Bodo. Dall’aeroporto al centro c’è solo 1 km ed avendo un paio di ore a disposizione ne approfitto per visitarlo, anche perchè dovevo ancora mangiare. Qui inauguro la mia “soluzione proletaria” per il problema cibo: acquistare pane, formaggio e prosciutto al supermercato per poi prepararmi dei panini. Formaggio e prosciutto sono già confezionati a fettine, trovo del pane simile all’armeno lavash (una specie di piadina, più sottile e agevolmente piegabile o arrotolabile) e quindi non necessito nemmeno del rimpianto coltellino per prepararmi il pranzo.

Con circa ottanta corone ho materia prima sufficiente per pranzare e cenare !! Arrivato al porticciolo di Bodo, per la prima volta sento un po’ freddo…del resto ci troviamo al di sopra del circolo polare artico. La temperatura non è particolarmente bassa (9°) ma soffia forte un vento gelido e davvero tagliente e inizio a temere per il resto dei miei giorni al nord. Un volo della Wideroe mi porta in pochi minuti alle Lofoten Lasciato il minuscolo aeroporto di Svolvaer prendo il costoso taxi (220nok), che come detto all’inizio del racconto mi consentirà di salire sull’ultimo bus (240nok) in partenza per A, piccolo villaggio all’estremo sud delle Lofoten. Al vento gelido si aggiunge la pioggia…i timori di patire il freddo aumentano… Arrivo all’ostello di A alle undici di sera, e per fortuna ha smesso di piovere. Nonostante il cielo nuvoloso, permane un leggero chiarore anche se non c’è più il sole di mezzanotte che a queste latitudini scompare intorno al 20 di luglio. Le isole Lofoten sono famose in tutto il mondo per la pesca del merluzzo, così approfittando del buio non ancora fitto cammino per le vie del paese ammirando il paesaggio, le innumerevoli rastrelliere per l’essiccazione del pesce ed i magazzini dove lo stoccafisso viene depositato. Dove mai avrei potuto dormire se non nelle stanze (180nok), adibite ad ostello, del museo dello stoccafisso ? Prendo quindi possesso del mio letto in una camera, tutta in legno, condivisa con una coppia colombiana. Ad un certo punto i gabbiani mi svegliano, apro gli occhi e vedo chiaro…temo di aver dormito troppo a lungo e di aver perso la mattinata dormendo…controllo l’ora e sono le 4,30 di notte… Poche ore dopo inizio la giornata con una camminata attraverso questo piccolo villaggio di pescatori: i colori sono fantastici. Di fronte si ha il mare blu, con sfumature turchesi, su cui si staglia uno splendido sole. Alle spalle, le tipiche case rosse di legno, costruite a mo’ di palafitta sul mare, sono incorniciate da aspre montagne su cui cresce una vegetazione bassa ma rigogliosa che spazia da colori giallastri a varie tonalità di verde. I numerosissimi gabbiani punteggiano di bianco il paesaggio. Ad impreziosire il tutto c’è anche un laghetto, che dalla strada quasi non si scorge, e dal quale parte un sentiero che in alcune ore porta ad un villaggio abbandonato sulla costa ovest dell’isola. Fatta colazione con le giustamente celebrate paste alla cannella del fornaio del paese mi reco al museo dello stoccafisso. Considerando che il principale evento estivo del paese in cui abito è proprio la sagra dello stoccafisso, di cui anni fa ero stato uno dei promotori, questo villaggio e il suo museo erano mete imprescindibili del mio viaggio. Il museo (50nok) offre una panoramica completa riguardante la pesca e la lavorazione del merluzzo con video, documenti e ferri del mestiere, nonchè un opuscolo con utili informazioni. Il proprietario parla correttamente italiano, avendo frequentato un corso all’università per stranieri di Perugia, ma purtroppo quel giorno non c’era, e sono stato quindi accompagnato da sua moglie alla quale ho fatto dono della maglietta della nostra sagra. La maglietta ora dovrebbe essere appesa in una delle sale del museo in cui già erano presenti cimeli di altre delegazioni italiane, siamo infatti i migliori clienti per i venditori norvegesi di stoccafisso. In serata mi sono trasferito con il bus (37nok) a Reine, altro magnifico villaggio di pescatori, dove ho trascorso due notti in un’accogliente guesthouse (350nok a notte senza colazione). Da Reine parte un escursione che nonpotevo perdermi. Dapprima un traghetto (100nok A/R) porta a Vindstad, un grazioso e minuscolo insieme di case sparse alla fine del Reinefjord, da cui in poco più di un’ora di cammino si arriva all’incantevole spiaggia sabbiosa di Bunes, uno dei luoghi migliori per osservare il sole di mezzanotte alle Lofoten. Quando arrivo la spiaggia è deserta, spazzata dal vento e circondata da pareti scoscese di roccia a cui si contrappone la distesa blu dell’oceano. Arrivando ho anche la fortuna di vedere volteggiare in cielo quella che, dalla apertura alare e dalla regalità del volo, credo fosse una rara aquila di mare ma era molto in alto e non essendo io ornitologo non dovrei sbilanciarmi.

Sceso in spiaggia non posso fare a meno di togliere gli scarponi e calpestare a piedi nudi la sabbia, scura, fredda e compatta ma fine, fino ad arrivare al mare…e qui realizzo che sono circa 200km al di sopra del circolo polare artico…infatti dopo circa un minuto con i piedi in acqua inizio a sentire il freddo entrarmi nelle ossa e preferisco uscirne per dedicarmi ad osservare il paesaggio, la superficie increspata dell’oceano atlantico e i numerosi uccelli tra cui spiccano i simpatici ma diffidenti pulcinella di mare.

Il giorno dopo, da Reine, di buona mattina, mi trasferisco a Svolvaer con il solito comodo bus (225nok). Questa volta ho parecchio tempo a disposizione per raggiungere l’aeroporto e non mi faccio “rapinare” dal tassista cogliendo l’occasione di fare una bella passeggiata.

La strada non è molto trafficata e il paesaggio circostante piacevole:mare da un lato, montagne aspre dall’altro. In circa 75 minuti arrivo a destinazione. Da Svolvaer a Bodo il volo dura meno di mezzora, ma offre visioni incantevoli delle isole Lofoten e della costa norvegese. Ho alcune ore prima della coincidenza per raggiungere Tromso e mi reco nel centro di Bodo. Non c’è niente di particolarmente affascinante, ma quando viaggio mi piace anche semplicemente osservare gli abitanti del luogo e i loro comportamenti. In questa circostanza trovato posto sulla panchina di un piccolo parco, mi soffermo ad osservare i bambini che giocano nell’acqua di una fontana mentre le bambine scalze compiono evoluzioni ginniche sull’erba e che si divertono ad arrampicarsi su un albero. La temperatura è di circa 15 gradi ed al sole io sto benissimo in maglietta, ma per questi bambini deve essere caldissimo, abituati come sono a ben altre temperature e come a volerlo ricordare, la fontana è adornata dalla statua di un tricheco.

Arrivo a Tromso in serata. Su consiglio dell’amica che mi ospiterà non utilizzo il servizio Flybussen, ma aspetto il bus numero 40 o 42 la cui fermata è a 200 metri dall’aeroporto, hanno corse frequenti, raggiungono il centro e sono più economici (26nok). La prima curiosità che annoto è che nel tragitto verso il centro, per la prima volta in vita mia vedo una rotatoria all’interno di una galleria. Prima di recarmi da Pernille faccio una passeggiata da solo per il centro città. Pare evidente che non ci siano molti monumenti od edifici da vedere, eppure questa città emana un certo fascino. Percepisco un clima da frontiera artica, l’ultimo baluardo di civiltà prima del grande nord, posto di partenza per avventurieri ed esploratori. Oltre che luogo di partenza, mi accorgo che Tromso è anche luogo di approdo…infatti considerando che la città è piuttosto piccola (circa 65.000 abitanti) ed è circa 400Km a nord del circolo polare artico non avrei immaginato di vedere così tanti visi dai tratti somatici non tipicamente nordici…agli immigrati sudamericani, asiatici, africani e medio-orientali si affiancano inoltre alcuni russi, più “mimetizzati” che portano avanti una lunga tradizione di scambi commerciali con la popolazione locale. Sinceramente mi fa piacere il fatto che in un luogo del genere possa comunque esserci una società multiculturale, non a caso il Perspektivet museum dedicato alla storia di Tromso e dei suoi abitanti ha esposizioni temporanee riguardanti il Sudafrica e la città di Murmansk, luogo strategico nell’ex CCCP ai tempi della guerra fredda. Tromso vanta inoltre una vivace scena musicale, di cui la mia amica fa parte (oltre ad essere poliziotta, curiosa combinazione…), e che vede giungere fin quassù anche artisti di calibro internazionale.

Il giorno seguente, dopo un sonno ristoratore ed un’abbondante colazione, posso dedicarmi a visitare quella che ritengo la maggiore attrazione di Tromso, il Polar museum (60nok) che presenta interessantissime mostre dedicate agli esploratori Amundsen e Nansen, le cui avventure tra i ghiacci hanno dell’incredibile. Nel museo ampio spazio è dedicato anche ad esposizioni riguardanti la caccia e le isole Svalbard dove mi recherò tra poche ore. Il resto della giornata trascorre con una visita al Perspektivet museum e al Nordnorsk museum le cui installazioni più interessanti sono rappresentate da alcuni dipinti di paesaggi norvegesi, da un paio di opere minori di Munch e da una serie di fotogrammi tratti da un cortometraggio di un artista contemporaneo. Entrambi i musei sono gratuiti. Approfitto inoltre della connessione internet gratuita offerta dalla biblioteca per controllare la posta e le previsioni meteo per i prossimi giorni alle Svalbard ed infine mi reco allo stabilimento della birra Mack che si vanta di essere il birrificio più a nord del mondo, senza però effettuare la visita guidata con degustazioni. Lì accanto si trova Polaria, un centro dedicato ai poli artici, che però non visito, limitandomi ad osservare la nave POLSTJERNA esposta all’esterno e protetta da una cupola di vetro. Prima di recarmi all’aeroporto mi concedo uno dei pochi pasti al ristorante di questo viaggio, mangiando una gustosa zuppa di pesce, sorseggiando ovviamente birra Mack, e divorando una buona cheesecake (250nok).

Già sul volo SAS per Longyearbyen intuisco che alle Svalbard incontrerò persone interessanti. Accanto a me siede una professoressa dell’Università di Longyearbyen, reduce da una vacanza al “caldo” dell’Alaska. E’ molto socievole, parliamo a lungo dei nostri viaggi e soprattutto di questa mia esperienza in Norvegia. Ci soffermiamo sull’inverno a Longyearbyen e sulla notte artica e mi dà anche alcune informazioni interessanti sulle attività possibili alle Svalbard. Purtroppo vista la stagione non è possibile fare né sleedog né andare in motoslitta, però una curiosità è il bagno artico, che suo figlio dall’apparente età di circa 10 anni, adora… Diversamente dal solito sul volo non dormo, non voglio perdermi il primo sole di mezzanotte della mia vita, spettacolo che finalmente ammiro mentre giù in basso già compare la costa frastagliata di Spitsbergen, l’isola principale dell’arcipelago delle Svalbard. L’arrivo a Longyearbyen è surreale: mezzanotte e mezza, seconda metà di agosto, uno degli ultimi giorni in cui il sole non tramonta mai. Un sole rosso-arancio e basso sull’orizzonte, come un tramonto estivo alle nostre latitudini, si staglia proprio di fronte all’uscita dell’aeroporto creando qualche problema di visibilità, ma non impedisce di notare il cartello con le coordinate geografiche di LYB e le distanze con le principali città del mondo. Al di sotto di queste indicazioni geografiche fa bella mostra di se il cartello che avverte i turisti del pericolo orsi polari. Trascorro la prima notte alla Guesthouse102 (350nok con colazione) senza quasi riuscire a chiudere occhio. Temevo che il problema avrebbe potuto essere la luce, anche perché in Norvegia non usano tapparelle o persiane ma solo tendine che lasciano filtrare parecchia luce, il che è comprensibile visto che per gran parte dell’anno sole e luce sono una chimera. Invece l’ostacolo che si frappone fra me e il sonno è costituito dal russare di uno dei 4 ospiti della camerata, un giovane indiano in cerca di lavoro che russa come un mantice rendendo quasi impossibile prendere sonno, tanto che un altro ragazzo decide di uscire in corridoio e dormire su un divano.

La mattina seguente, subito dopo colazione, lascio la guesthouse e parto per la prima escursione dopo aver affidato i miei bagagli a Stefano della Poli Arctici, in attesa che mi trovi una sistemazione per la notte. Pensavo di iniziare con qualcosa di soft, anche alla luce della nottataccia, ma l’escursione breve è stata cancellata e così mi tocca quella lunga (950nok) che prevede otto ore di cammino e la salita fino alla vetta del monte Nordenskjoldtoppen (1050mt) con alcuni passaggi su ghiacciaio. Il clima è insolitamente mite, con temperature tra i 6 e i 9 gradi, e Stefano che vive e lavora lì da 17 anni mi dirà che tre giorni caldi e soleggiati come quelli che ho trascorso alle Svalbard sono una rarità, soprattutto in agosto. In effetti da un po’ monitoravo il meteo a LYB ed avevo registrato temperature raramente al di sopra dei 6 gradi con una punta massima di 11 gradi a luglio, mentre durante il mio soggiorno non credo si sia mai scesi sotto i 5-6 gradi, almeno nel paese di Longyearbyen. Scelta di vita singolare quella di Stefano, almeno agli occhi di un travet, ma perfettamente in linea con i suoi studi e le sue passioni. Giunto in Norvegia, alle isole Lofoten, per completare studi relativi ad ambienti alpini e artici, ha dapprima iniziato a lavorare come guida stagionale alle Svalbard per poi compiere il grande passo e mettersi in proprio. La stagione turistica inizia ad aprile e finisce a settembre, ma durante il lungo inverno artico si ha comunque sempre qualcosa da fare: dalla preparazione della prossima stagione con la scelta di itinerari e collaboratori, ai lavori di manutenzione per la casa, le attrezzature, le motoslitte. Stefano inoltre si occupa di raccogliere materiale per l’Airship museum, dedicato alle esplorazioni artiche ed in particolare alle imprese di Nobile. Durante l’escursione siamo accompagnati da una guida, Dirk giovane studente americano di geologia, mentre purtroppo il suo cane da slitta, Niko un cucciolone molto vivace, non può venire con noi perché uno dei partecipanti all’escursione ha il terrore dei cani. Dirk stringe in mano il fucile di ordinanza, obbligatorio per ogni guida e per chiunque intenda avventurarsi da solo fuori dal centro abitato. Il rischio di essere assaliti da orsi polari nella zona di Longyearbyen, soprattutto in estate, è molto limitato ma anche se in percentuale minima la possibilità esiste ed è meglio essere attrezzati. Passiamo accanto a vecchi edifici in legno abbandonati e vengo a sapere che ogni edificio risalente a prima del 1946, come queste baracche di minatori, è considerato patrimonio storico. Pare che un russo abbia intenzione di rilevare e rimettere in sesto queste strutture, senza ovviamente stravolgerne la forma e l’aspetto esteriore, per trasformarle in un ostello ed offrire una possibilità di soggiorno economico in un luogo che riesce ad essere più costoso della già carissima Norvegia. Poco dopo la partenza incontriamo una volpe artica che nella sua livrea estiva si mimetizza perfettamente tra le rocce grigie. Incominciamo una salita ripida e con terreno scivoloso per arrivare infine ad un pianoro, dove compare una renna al pascolo. Renne, orsi e volpi e balene sono tra i pochi, se non unici mammiferi che vivono alle Svalbard. Visto l’inizio promettente conto di vederne un sacco, invece una delle poche o forse l’unica delusione delle Svalbard è che in seguito, uccelli a parte, avvisterò ben poca fauna locale. L’avvistamento della renna dà modo a Dirk di spiegarci alcune cose su questo tipico abitante delle Svalbard. Innanzitutto è di taglia ridotta rispetto alla renna continentale, sia perché ha meno cibo a disposizione, sia perché le dimensioni ridotte consentono una minore dispersione del calore corporeo. Scopriamo poi che in media le renne alle Svalbard vivono solo sette anni, infatti il pascolo è estremamente ridotto, e spesso muschi e licheni sono frammisti a sassi e ghiaia, finisce così che le renne si rovinano i denti e quando la dentatura è compromessa non riescono più a nutrirsi diventando facile boccone per i predatori o semplicemente muoiono di inedia. Nel contempo effettuiamo una sosta prima della parte più dura della salita, facendo il pieno di energie con biscotti e cioccolata calda. Segue una faticosa ascesa alla vetta del Nordenskjoldtoppen: il sentiero è ripido, il fondo scivoloso ed in alcuni tratti innevato, ma il cielo è terso e il paesaggio circostante ci ripaga da ogni fatica. Vediamo la “capitale” Longyearbyen 1000 metri sotto di noi, vediamo montagne innevate tutto intorno, vediamo antenne (in gran parte della NASA) per la ricezione di segnali satellitari e che da lontano somigliano a palline su un campo da golf, vediamo l’oceano e le lingue dei ghiacciai che si tuffano in esso. Arrivati finalmente in vetta provo una sensazione di freddo: a 1000 metri d’altitudine e a 1000 km dal polo nord non potrebbe essere diversamente…La temperatura è di un grado, ma l’aria soffia forte e gelida e diventa difficile gustare il pranzo liofilizzato, cercando riparo dal vento dietro ad una baracca per rilevazioni meteorologiche mentre i piedi sono nella neve. La discesa avviene sul lato opposto del ghiacciaio e finalmente trovo un paio di fossili, ulteriore testimonianza, oltre alle miniere di carbone, del fatto che qui c’erano delle foreste. Oggi invece la situazione è radicalmente diversa: alle Svalbard non esiste nemmeno un albero, tranne quelli di Natale…e Dirk ci dice che la forma vegetale più alta è l’erba che cresce a Pyramiden e che i russi avevano importato dalla Siberia insieme a zolle di terra. Finita l’escursione devo ammettere che sono un po’ stanco e non sogno altro che una bella doccia. Però appena arrivato alla guesthouse gestita da Stefano incontro un altro italiano.Giuliano, torinese, si trova lì da alcuni giorni per sviluppare l’idea per un documentario. Si rivela molto documentato sulle Svalbard, diventerà un simpatico ed interessante interlocutore nei giorni a seguire, e mi racconterà anche alcune curiosità ed aneddoti sul luogo e sui suoi abitanti. Per esempio Giuliano parlando con una delle guide, una ragazza abituata a lunghe marce con il fucile in spalla, ha scoperto che si è trovata a disagio ad Oslo sebbene la capitale norvegese non si possa proprio definire una città molto pericolosa. Lei, nata nel Finnmark, e cresciuta nell’altopiano dove abitano i Sami, è abituata ad affrontare i pericoli della natura, non quelli della società moderna ed urbana…

Doccia e sonno ristoratori (qui la camera è singola, 400 nok senza colazione) mi rigenerano ed il giorno dopo sono pronto per la seconda escursione. Questa volta di fatica se ne farà ben poca, visto che si tratta di una crociera (1290nok), ma l’esperienza sarà ancora più indimenticabile. La Polargirl salpa puntuale dal porticciolo di Longyearbyen solcando le onde in direzione nord. Poco dopo la partenza riesco a vedere in lontananza la montagna scalata il giorno prima. Il paesaggio è bello ma un po’ monotono, l’aria fuori è gelida e così trascorro parte del viaggio sotto coperta, facendo capolino a prua solo quando la guida segnala l’avvicinarsi di punti d’interesse Lungo la costa ogni tanto compaiono piccole casette in legno, rifugi per pescatori, cacciatori ed avventurieri, talvolta capanni accanto a piccole miniere che hanno avuto poca fortuna. Più grande e più sopraelevata rispetto alla costa è la “casa svedese”, nei pressi di Kapp Thordsen. Qui alla fine del 1800 trovarono la morte diciassette marinai che bloccati dai ghiacci dovettero trascorrere l’inverno in quel luogo e che pare siano morti di scorbuto, dovuto a carenza di vitamina C nella loro alimentazione. Molto affascinante un enorme sperone roccioso, una sorta di Ayers Rock svalbardiano, ai cui piedi giace abbandonato sulla spiaggia un vecchio barcone in legno, mentre la baracca lì vicino al momento del nostro passaggio era abitata, infatti un motoscafo era attraccato vicino a riva e del fumo usciva dal camino. Proprio in quella zona sono visibili tantissimi uccelli, soprattutto i simpatici ma schivi pulcinella di mare, e i relativi nidi sulle pareti scoscese della scogliera. Finalmente in lontananza iniziano ad apparire Pyramiden e l’imponente ghicciaio Nordenskiold la cui vicinanza si fa sentire, infatti a prua il vento è veramente gelido.

Già da lontano l’aspetto di Pyramiden è piuttosto tetro ma una volta sbarcati diventa desolante e deprimente, ma a suo modo estremamente affascinante e non può lasciare indifferenti. Qui il Soviet negli anni 70 fece enormi investimenti di uomini e mezzi, trasformando un piccolo nucleo di minatori in una sorta di villaggio modello. Nel suo massimo splendore a Pyramiden abitavano e lavoravano tra le 1500 e le 2000 persone. C’erano tutti i servizi: ospedale, scuola, asilo, centro ricreativo-culturale con tanto di teatro, cinema e palazzetto dello sport. In una enorme stalla venivano allevati gli animali necessari per l’alimentazione della popolazione locale. L’erba venne importata e trapiantata dalla Siberia. Pyramiden sito in un territorio neutrale come le Svalbard, aveva probabilmente anche un ruolo strategico per dimostrare al nemico capitalista quanto il regime sovietico fosse efficiente. Finita la guerra fredda l’antieconomicità di tale miniera apparve evidente, e l’insediamento divenne sempre meno abitato fino ad essere abbandonato nel marzo del 1998. Oggi rimangono pochissime persone a fare da guida ai rari visitatori ed a compiere operazioni di manutenzione e dismissione dei vecchi impianti, ma soprattutto rimangono il silenzio, il vento, la desolazione, il canto triste dei gabbiani che trovano rifugio in alcuni degli edifici abbandonati con le finestre e le porte al piano terra chiuse da tavolacci. Tuttavia se ci si riesce ad isolare dagli altri turisti, almeno mentalmente, si possono immaginare scene di vita, minatori andare al lavoro, bambini giocare nel palazzetto dello sport o fare a palle di neve per strada… Uno dei pochi edifici visitabili è il centro sportivo-culturale-ricreativo davanti al quale fa bella mostra di se quello che credo ad oggi sia uno dei pochi busti di Lenin a non essere stato abbattuto. Una volta dentro la tristezza e la malinconia già suscitati dalla visita al paese vengono amplificati. Si ha la sensazione che il luogo sia stato abbandonato in fretta e furia, come di fronte ad un pericolo incombente. Nel salone d’ingresso sono ancora appesi ai muri manifesti in puro stile sovietico, numerose fotografie, disegni di bambini, ed in un angolo fa bella mostra di sé anche una decisamente kitsch palla a specchi tipo discoteca anni ‘70.

Nel buio della sala del teatro, sul palco, si intravede un pianoforte. Nella stanza dove probabilmente ai bambini veniva insegnata musica, una balalaika, un tamburello ed un piano sembrano essere stati appena suonati se solo non fossero coperti di polvere. Negli spogliatoi, con tanto di sauna, riservati ai bambini rimane appeso al muro un sorridente simbolo del vecchio nemico americano: un poster di Mickey Mouse…la glasnost è riuscita ad arrivare qui prima della grande fuga… Nel cinematografo vedo proiettori e bobine srotolate in terra che per un momento mi fanno pensare alla Corazzata Potemkin di fantozziana memoria… Le fotografie appese ai muri o abbandonate sui tavoli e sugli scaffali mostrano scene di vita quotidiana: gente a cavallo, giocatori di scacchi, partite di basket, spettacoli teatrali. Solo dopo ripetute sollecitazioni da parte della guida, sono uno degli ultimi ad uscire da quel luogo prima che la porta venga sbarrata in attesa dei prossimi turisti. La visita a Pyramiden si conclude con l’immancabile servizio bar, un piccolo spazio per la vendita di souvenir ed un altrettanto piccolo museo, dove guardando alcune fotografie scopro che Sofia Loren era molto apprezzata, altro che la corazzata Potemkin… Già oggi volendo è possibile pernottare in loco, ma pare che ci sia l’intenzione di trasformare questo luogo in qualcosa di più turistico, offrendo un servizio degno di tale nome a chi volesse recarvisi. Io credo che però il luogo perderebbe gran parte del fascino spettrale che oggi lo avvolge. Inoltre i costi per una struttura alberghiera potrebbero rivelarsi antieconomici e quindi Pyramiden rischierebbe di trovarsi di nuovo ad essere tristemente abbandonata dopo costosi investimenti.

Tornati alla barca ci aspetta il pranzo, una grigliata di carne di balena servita con patate e insalata. Cibo politicamente scorretto, ma non per i norvegesi, e trovandomi a casa loro, come di norma faccio quando sono all’estero mi adeguo alle abitudini gastronomiche locali. Avevo già verificato a Bergen che la balena fosse molto diversa da come la immaginavo. In questa versione grigliata, per colore, gusto e consistenza a me ha vagamente ricordato una spessa fetta ben cotta di fegato di vitello. All’interno sono presenti filamenti bianchi che sono ostici da tagliare con il coltellino di plastica fornito dagli organizzatori, ma che non sono fastidiosi durante la masticazione. Gusti e politically correct a parte, diventa molto difficile apprezzare il pranzo…infatti se già faceva decisamente freddo finchè la barca era ferma, non appena parte e prende velocità il vento fa volare ovunque pezzi di insalata addosso a chi come me aveva la sfortuna di non essere al chiuso in quel momento…in breve comunque si arriva in prossimità del Nordenskioldglacier. Mi sistemo a prua, alla Titanic per intenderci…per fortuna rallentando la velocità il freddo si fa meno pungente, ma ci tenevo troppo a godermi in prima fila l’impatto dello scafo contro i piccoli frammenti di ghiaccio che staccatisi dal ghiacciaio galleggiano sull’acqua ed ascoltare il tonfo sordo che l’impatto produce. Arrivati ad un certo punto la barca si ferma, viene calato un gommone su cui salgono quattro persone che, zigzagando tra piccoli icebergs, raggiungono la costa a fianco al ghiacciaio e camminano verso l’interno sparendo dalla nostra visuale, probabilmente per compiere qualche ricerca scientifica. Il fronte del ghiacciaio è veramente imponente, i colori vanno dal bianco al grigio e all’azzurro in tutte le sue sfumature, ma è meglio non avvicinarsi troppo perché ci sono blocchi di ghiaccio tanto grandi che se dovessero staccarsi potrebbero creare un’onda in grado di affondare la barca. Come credo tutti speravo vanamente nell’avvistamento di almeno un orso, un tricheco, una balena, ma le statistiche affisse in una bacheca sulla barca lasciavano poco spazio a tale eventualità. Da maggio sono stati avvistati solo 3 orsi e 7 trichechi, e l’ultimo avvistamento risale a metà giugno per i trichechi, e al 1° giugno per l’orso. Il viaggio di ritorno dura circa tre ore e quasi tutti ne approfittano per un riposino, io resisto all’abbiocco incombente e ho la fortuna di trovarmi di fronte ad un maxitelevisore su cui vengono proiettati documentari sulle Svalbard. Il parlato e i commenti sono in norvegese, ma le immagini sono più che sufficienti per attirare la mia attenzione e ridestarmi dal torpore.

Alla sera, dopo una cena frugale nella cucina della guesthouse e un po’ di conversazione con Giuliano, mi concedo un riposino per poi andare ad esplorare la vita notturna di Longyearbyen, per quanto di notte non si possa parlare visto che il sole splende in cielo. Non si tratta certo di Ibiza…credo ci sia anche una discoteca, ma io mi sono limitato a visitare solo un paio di pub: Karls Berger pub e Svalbar. Nel primo la clientela è più matura e il bancone presenta un incredibile assortimento di alcolici. Nel secondo gli avventori sono più giovani, il locale è più illuminato e c’è un biliardo. In entrambi i casi la clientela si rivela molto assetata…e piuttosto chiassosa… Il costo di una birra oscilla tra le 40 e le 50 corone. Proprio nel centro del paese, dove si trova la zona pedonale e commerciale incontro una simpatica volpe artica che si dimostra non troppo timorosa nei confronti dell’uomo, ma che comunque non si lascia avvicinare a più di tre o quattro metri.

Mi resta un solo giorno alle Svalbard. Decido di trascorrerlo senza partecipare ad alcuna escursione, prima che un volo notturno mi riporti a Tromso . Al mattino visito lo Svalbard museum (70nok), è interessante e custodisce anche una ricca raccolta di volumi che meriterebbero più tempo per essere sfogliati e letti. Poi decido di andare da Stefano per noleggiare una bici (100nok) in modo da potermi muovere più agevolmente per LYB e dintorni. E’ una bella giornata, soleggiata e senza vento, e la temperatura è di 7 gradi. Ci sono solo pochi km di strade asfaltate e mi dirigo verso l’aeroporto pedalando lungo una strada che costeggia il mare e passa accanto al porticciolo per poi giungere in prossimità di un campeggio. Alla luce del mio budget ridotto era una delle possibili soluzioni per il pernottamento, ma essendo un logisticamente un po’ scomodo (è accanto all’aeroporto, ma a 5 km dal centro) avevo rinunciato a questa possibilità. Tuttavia mi ero informato sul camping e sulle sue attività, notando che tra esse figurava il bagno artico…una cosa che mi incuriosiva ma che ritenevo da folli…poi però mi è venuto in mente il figlio della signora accanto a me sul volo e la coppia anziana al lago di Voss…se lo fanno anziani e ragazzini, non posso tirarmi indietro.Mi reco così alla reception del campeggio ed espongo la mia richiesta che viene prontamente accolta anche se non sono ospite della struttura. Le regole sono poche ma rigide: bisogna essere completamente nudi, naturalmente senza essersi cosparsi con creme riscaldanti, entrare nell’acqua, nuotare e immergersi completamente, testa compresa in acqua. Il tutto alla presenza di due testimoni. Semplice no ? Katja e Lisa mi accompagnano al bagnasciuga, ovviamente deserto, dove mi metto nudo come un verme…aspetto un minuto prima di entrare in acqua, in modo da abituarmi al freddo, e poi entro camminando lentamente per infine immergermi completamente quando l’acqua mi arriva alla cintola. Mentalmente ero preparato al peggio, pensavo che mi sarebbe mancato il fiato semplicemente entrando con i piedi in acqua, invece è stata un’esperienza molto meno traumatizzante di quanto pensassi. Statisticamente l’ipotermia, nelle acque delle Svalbard, scatta dopo 4 minuti, io sto immerso pochi secondi e poi ritorno a riva, il freddo non ha quindi il tempo di entrarmi nelle ossa e nei muscoli. Avverto solo un leggero intorpidimento alle dita dei piedi e una volta a riva Lisa mi porge un asciugamano. Fuori dall’acqua e tutto bagnato pensavo che avrei avuto molto freddo, invece sto bene e mi asciugo con calma. Chiedo allora a Katja quale fosse la temperatura dell’acqua e scopro che era 2°C…ecco perché all’esterno anche bagnato non avevo freddo, era più caldo e non tirava vento. Mi rivesto e torno alla reception per ritirare l’attestato rilasciato ai membri dell’ “arctic naked-bathing club” di cui posso ora dire orgogliosamente di fare parte. Nel frattempo mi offrono un the caldo, sorseggiando il quale scorro l’elenco di chi mi ha preceduto in questa singolare esperienza: circa 170 persone, in gran parte provenienti da paesi del centro nord Europa, ma anche 3 italiani tra cui una ragazza, ed un marocchino. Il bagno artico diventerà argomento di conversazione al mio rientro in Italia suscitando stupore, ammirazione o semplicemente curiosità.

Cosa mi ha spinto a farlo? La vanagloria forse, oppure semplicemente la voglia di superare i limiti e i condizionamenti mentali che ci fanno vivere con il freno a mano tirato.

Chiacchierando con le ragazze del camping conosco un signore tedesco, dall’aspetto trasandato. Si trova li da metà maggio, prima ancora che il camping aprisse ufficialmente. Gli chiedo allora cosa ha fatto tutto quel tempo per non annoiarsi e lui mi risponde laconicamente che ha fatto un po’ di giri in kayak. Le ragazze si mettono a ridere e lo invitano a raccontarmela tutta, scopro allora che si tratta di una sorta di esploratore con all’attivo imprese epiche in bicicletta, barca a vela e zattera.

Lì alle Svalbard ha circumnavigato l’isola Spitsbergen in kayak. Per due settimane in compagnia di un amico, poi dopo una tappa a Ny-Alesund, piccolo villaggio di ricercatori, il posto abitato più a nord delle Svalbard e credo del mondo, ha proseguito da solo per 4 settimane incontrando sulla sua via solo uccelli, balene bianche, foche, trichechi, volpi artiche e orsi. In una circostanza addirittura un orso, superati i dispositivi sonori a protezione della tenda, lo ha svegliato raspando delicatamente il tessuto della tenda, tanto che lui pensava si trattasse di una volpe. Nel dubbio ha comunque imbracciato il fucile e si è alzato, l’orso sentendo i rumori si è allontanato, accelerando ulteriormente quando ha urtato uno dei dispositivi sonori. Per sua fortuna era un orso intelligente, abile a evitare i dispositivi e solamente curioso, non affamato o aggressivo altrimenti la storia avrebbe potuto finire ben diversamente. Tornando al discorso dei limiti e condizionamenti mentali, ecco direi che lui proprio il freno a mano non lo usa, anzi forse direi che proprio non conosce i freni… Il suo nome è Jurgen Shutte ed ha un sito internet non molto sviluppato che però può dare un’idea delle sue imprese (www.juergen-shuette.de).

Inforco nuovamente la bici e questa volta percorro una strada sterrata, rialzata rispetto a quella dell’andata e che offre quindi una visione migliore dell’Adventfjord. Passando accanto alla centrale a carbone che fornisce elettricità all’isola, giungo alla chiesetta di LYB. Avevo scordato di dire che qui è uso comune levarsi le scarpe all’ingresso di hotel, chiese, musei e taluni negozi, retaggio di quando qui abitavano solo minatori con le scarpe decisamente sporche. Lascio pertanto gli scarponi all’ingresso, dove è presente un armadietto in cui si possono depositare le proprie calzature e prendere in cambio delle ciabattine in plastica, ed entro infine in questo atipico luogo di culto. Perché atipico? Perché l’ingresso è più simile a quello di un circolo. Ci sono riviste, un caminetto, un orso impagliato, souvenirs, torte e bevande su un tavolo. Siccome a parte me non c’è nessuno, mi chiedo quanto durerebbero in Italia i dolciumi e i souvenir a portata di mano e lasciati incustoditi come qui, ci sono anzi un paio di ciotole con dentro corone norvegesi e non si tratta di elemosina, visto che l’apposita cassetta è poco lontana. Immagino che le monete servano come una sorta di cassa self-service per pagare eventuali acquisti quando non c’è nessuno. Non è la prima volta che all’ingresso di una chiesa noto spazi per così dire conviviali. Mi era successo a Trondheim, dove all’ingresso di una chiesa secondaria avevo trovato una sorta di servizio mensa per persone emarginate e/o con difficoltà economiche. Pure la cattedrale lignea di Tromso all’ingresso aveva uno spazio arredato con tavoli, anche se in questo caso erano ricoperti da opuscoli e informazioni sull’edificio. Qui alle Svalbard questo aspetto sociale è ancora più accentuato e soprattutto in passato la chiesa era non solo luogo di preghiera ma anche di incontri e di vita della comunità. In fondo alla sala si trova la vera e propria chiesa, molto semplice, il cui altare e le sedie, di insolito color violetto, sono tra le poche note di colore di un luogo dove prevale su tutto il colore del legno. Il lampadario ha una forma singolare, infatti ricorda lo scafo di una nave, cosa non insolita in Norvegia, dove la popolazione, da sempre legata alla navigazione, cerca una sorta di protezione divina inserendo spesso elementi nautici nei luoghi di culto.

Poco lontano dalla chiesa si raggiunge il cimitero di Longyearbyen. Si trova in un pratino in pendenza, vicino alla stele che ricorda John Longyear, fondatore dell’omonimo villaggio (byen in norvegese significa paese) e della Arctic Coal Company che diede avvio all’epopea mineraria di inizio ‘900. Poche croci, quasi tutte risalenti alla prima metà del XX secolo e quasi tutte bianche e di identico aspetto. Una singolarità delle Svalbard è che oggigiorno i cadaveri non possono essere seppelliti. A causa del permafrost che impedisce di scavare in profondità e che renderebbe difficoltosa la decomposizione dei corpi, i cadaveri devono essere cremati e solo dopo la cremazione possono essere portati al cimitero. Forse è questo il motivo per cui poche sono le croci recenti: molte persone che abitano qui lo fanno temporaneamente (difficile incontrare anziani) ed hanno parenti sulla terra ferma, dove presumibilmente i corpi vengono tumulati, anche in caso di decesso alle Svalbard. Leggendo i dati riportati sulle croci si nota, dalle date dei decessi, come l’influenza spagnola del 1918 abbia incredibilmente raggiunto anche queste latitudini, e non si può fare a meno di realizzare che l’età media dei defunti era piuttosto bassa, cosa non difficile da immaginare viste la durezza del clima, la povertà dell’alimentazione e le condizioni sanitarie che potevano esserci qui 80-90 anni fa. Vado a zonzo per le vie del paese e poi riporto la bici alla Poli Arctici. Chiacchiero un po’ con Stefano e poi passo al supermercato, dove incontro nuovamente le ragazze del campeggio. Viene tardi e non riesco a raggiungere in tempo l’Airship museum che mi riprometto di visitare se mi recherò nuovamente alle Svalbard. Cosa che spero accada veramente. Mi piacerebbe farlo in tarda primavera, magari a fine aprile, quando il sole è già tornato a splendere ed il freddo è intenso ma sopportabile se adeguatamente attrezzati. Certo non potrò ripetere il bagno artico, ma la neve e il ghiaccio, che ancora ricoprono il suolo in quel periodo dell’anno, mi consentirebbero nuove esperienze: slitta trainata da cani e motoslitta, gallerie di ghiaccio.

Il volo di ritorno parte alle 4 di notte, ho così il tempo per cenare, fare un’ ultima passeggiata e riposare un po’ in attesa del bus (50nok) che mi porterà in aeroporto. Arrivo a Tromso poco dopo le 5,30 e recuperati i bagagli riesco a sonnecchiare un paio d’ore nell’area arrivi del piccolo aeroporto. Questa volta per andare in centro prendo il bus (26nok) che invece della galleria attraversa la zona residenziale della collina. Lascio come di consueto lo zaino nel deposito bagagli (40nok) accanto all’ufficio turistico e decido di visitare la parte di città che si trova di fronte all’isola di Tromsoya. Attraverso a piedi il lungo ponte bislungo che conduce a “mainland” come i locali chiamano la zona dove si trovano la Ishavskatedralen e la funivia floibanen. La cattedrale artica ha linee particolari, è composta da undici (richiamo agli undici apostoli dopo il tradimento di Giuda) lastre bianche di forma triangolare e di diverse altezze, e caratterizzata da ampie vetrate, una delle quali costituisce l’intera facciata dietro all’altare. Dopo metà Agosto al mattino l’interno non è purtroppo visitabile.

L’esterno ricorda quasi più un pala-ghiaccio che un luogo di culto, però inserito in questo contesto ha la sua ragione d’essere ed il suo fascino. Camminando per un tranquillissimo quartiere residenziale mi dirigo quindi verso la funivia Fjellheisen(100nok A/R) che effettua due viaggi l’ora portando i passeggeri a circa 300 metri d’altezza da dove una sorta di terrazza naturale consente una splendida visione di Tromso, in particolare dell’isola che costituisce il centro della città. Tra le altre cose si vede in lontananza il trampolino per il salto con gli sci, una costante nelle città Norvegesi ed addirittura una attrazione turistica ad Oslo. Mi piacerebbe ridiscendere a piedi, ci sono diversi sentieri ma non indicazioni chiare, così per evitare di perdermi, dopo poco torno sui miei passi e sfrutto nuovamente la funivia per tornare al livello del mare. Finalmente oggi non devo correre da una parte o dall’altra e non ho trasferimenti, per cui posso godermi una giornata di relax, passeggiando senza meta e anche semplicemente fermandomi a riposare ed osservare i passanti. Approfitto nuovamente della possibilità di accesso internet gratuito offerta dalla biblioteca, tanto per tenermi aggiornato su quello che succede a casa ma anche per effettuare il check-in online con Ryanair, stampare la carta d’imbarco ed evitare così una salata penale di 40 euro. La speranza per il tardo pomeriggio/serata era di andare a pescare in mare con Pernille, purtroppo però ha delle prove di canto e così ci limitiamo a cenare insieme gustando lo squisito merluzzo da lei pescato e cucinato al forno. Il cambiamento di programma tuttavia potrebbe essere vantaggioso, infatti si offre di accompagnarmi in aeroporto in gommone il giorno seguente quando lascerò Tromso. L’idea di questo viaggio per l’aeroporto in versione scafista-turista la trovo molto simpatica. Mentre Pernille è fuori casa, pur avendo a disposizione le chiavi dell’appartamento non esco, sono un po’ stanco dopo la notte precedente quasi insonne, e ne approfitto per fare il bucato, visto che a Trondheim per quel motivo avevo quasi perso il mio volo… Alle 10 di sera crollo e dormo dodici ore, quasi come un orso in letargo e come molto raramente mi capita di fare, ma queste due settimane sono state molto intense e ne avevo bisogno.

L’ultimo giorno a Tromso passa veloce anche se non ho più molto da fare e da vedere. Compro finalmente alcuni souvenirs, tra cui un magnifico berretto sami, passeggio per il centro, torno in biblioteca per internet gratis, scopro che il mio Toro le ha buscate in casa con il neopromosso Varese e mi preparo ad un’altra stagione calcistica piena di sofferenze. Nel frattempo si è alzato un vento piuttosto forte che mi fa pensare possa essere rischioso andare in aeroporto in gommone, infatti anche il mare è increspato. Purtroppo i miei timori sono fondati, e dovrò ripiegare sul bus. Dopo un bell’hamburger con patatine e birra Mack (400 nok in due) saluto Pernille e Tromso e con volo serale mi dirigo ad Oslo, dove arrivo alle 23,30 e poco dopo recupero lo zaino.

Vista l’ora e il mio obiettivo di contenimento dei costi decido di dormire in aeroporto. Per 4 ore riesco anche a dormire alla zona ritiro bagagli, dove non si potrebbe, poi si accorgono di me e gentilmente mi invitano a spostarmi nella zona arrivi-partenze dove riesco comunque a trovare posto e dormicchiare stravaccandomi su una poltroncina. Per il trasferimento da Oslo Gardermoen al centro evito i flybussen e il treno espresso Flytoget, optando per un meno costoso treno locale (110nok): ne parte uno ogni mezzora, sono puntuali, puliti e io non ho fretta. Arrivato ad Oslo faccio subito check-in in albergo (100€) per liberarmi del bagaglio. Il primo vero albergo dopo 15 giorni…per fortuna la stanza è libera e ne approfitto per farmi anche una doccia, veramente necessaria dopo una notte in aeroporto… Dedico il pomeriggio a visitare l’interno della cattedrale, già ammirata da fuori il giorno del mio arrivo, ma soprattutto a visitare i musei dell’isola di Bygdoy. L’interno della cattedrale non è particolarmente affascinante. Nell’altare maggiore spicca un bel bassorilievo raffigurante l’ultima cena. Interessanti per forme e colori sono gli affreschi che decorano il soffitto. Di fronte al pulpito barocco si trova il palco reale, scenografico ma dalle linee piuttosto semplici. Bygdoy è un luogo veramente incantevole con tantissimo verde, parchi con animali al pascolo e splendide abitazioni. L’isola è raggiungibile via terra e via mare, suggerirei la seconda opzione, anche se non economica (biglietto di sola andata 40 Kr per 10 minuti di battello) per poi, se si è buoni camminatori, tornare a piedi verso il centro e godersi questo delizioso quartiere. Così facendo si può proseguire fino a raggiungere il Frognerparken e il Vigelandsparken.

Tra i cinque musei presenti sull’isola ho scelto il Museo del Fram e il museo del Kon-tiki. Il primo è dedicato al Fram, la nave storica delle esplorazioni polari norvegesi, legata a doppio filo alle imprese di Nansen ed Amundsen. Il secondo approfondisce la storia del Kon-tiki, una zattera di balsa su cui il norvegese Heyerdal con alcuni compagni raggiunse la Polinesia partendo dal Perù per dimostrare che la civiltà polinesiana aveva origini in comune con i popoli dell’America latina. Oltre alla ricostruzione della zattera e al racconto dell’impresa, vengono presentati gli studi naturalistici ed antropologici a cui Heyerdal si dedicò per tutta la vita. Il mio budget finanziario e temporale consentiva di visitare solo due musei e la scelta è stata difficile, ma alla fine ha prevalso il fascino delle esplorazioni, siano esse artiche o tropicali. Il biglietto d’ingresso in entrambi i casi è costato 60nok. Altri musei a Bygdoy sono: il museo delle tradizioni popolari norvegesi con tanto di numerosi edifici visitabili, inclusa una magnifica Stavkirke, e figuranti (ma solo fino al 15 agosto), il museo delle navi vichinghe e il museo marittimo.

Il Vigelandsparken merita sicuramente una visita, soprattutto in una giornata soleggiata, per ammirare le curiose sculture di Gustav Vigeland che ritraggono uomini, donne e bambini in posture a volte comiche, a volte grottesche, a volte romantiche, ma anche per concedersi un riposino o un pic-nic sui prati del parco. Accanto al parco si trova anche il museo della storia di Oslo. Io non lo ho trovato molto interessante, ma ero stanco e di fretta, comunque essendo l’ingresso gratuito consiglierei di dargli un’occhiata. Il giorno seguente devo lasciare l’albergo perché avendo il bus per andare in aeroporto la mattina presto preferisco evitare di spendere 100 euro per poche ore di sonno. Siccome piove piuttosto forte effettuo il check-out il più tardi possibile e vado in stazione a depositare lo zaino negli appositi armadietti (40nok). Quelli della stazione ferroviaria risultano inaccessibili dall’una alle quattro di notte, per cui, avendo deciso di prendere il pullman delle tre, utilizzo quelli della stazione dei bus, una parte dei quali risultano accessibili 24 ore su 24. Nel frattempo la pioggia non cessa ma non mi dispero: avevo riservato l’ultima giornata alla visita di altri musei, peraltro tutti con ingresso gratuito. Dapprima mi reco alla Nasjonalgalleriet che custodisce soprattutto quadri dei migliori artisti norvegesi. Oltre al celeberrimo Munch (al quale è dedicata una stanza intera) apprezzo i paesaggi bucolici di Dahl e i dipinti a sfondo sociale/provocatorio di Krohg. Il Kulturhistorisk museum ha collezioni storiche ed etnografiche incentrate sulla storia norvegese e vichinga (la parte più interessante) e sul popolo Sami, ma spazio viene anche dedicato all’arte e alla cultura africana e asiatica. Questi sbalzi storico-culturali mi hanno un po’ disorientato. Ultima tappa è il museo di arti applicate, dove apprezzo in particolare la sala dedicata alle poltrone di design, infatti viene diffusa musica distensiva ed è possibile provare le poltrone esposte e le mie stanche membra ringraziano, tanto che quasi mi addormento su una delle mie poltrone preferite…

Mentre cammino senza meta per Oslo la sera inizia a fare capolino. Attraversando il ponte Ankerbrua caratterizzato da gradevoli statue bronzee, arrivo anche nel quartiere di Grunerlokka un quartiere proletario dove ancora si nota la maggior presenza di immigrati ma che, come spesso capita, si sta trasformando in un’area alla moda frequentata da artisti e studenti. Dopo aver ammirato l’Opera Huset, che in versione notturna ricorda sempre più un’astronave, ed aver usufruito dei suoi confortevoli e pulitissimi bagni, mi reco alla stazione Oslo Sentral. Trascorro un po’ di tempo collegandomi ad internet nel sidewalk express (29nok per novanta minuti di connessione), poi mi siedo ad osservare la gente in partenza ed in arrivo con i treni della notte. Sarò malato ma per me le stazioni ferroviarie, ancor più degli aeroporti, offrono sempre spettacoli interessanti e curiosi. Un condensato di vita…e di vite… Gente di ogni razza ed estrazione sociale in movimento, chi corre perché in ritardo, chi in anticipo mostruoso legge anche i cartelloni pubblicitari pur di ammazzare il tempo, chi aspetta fremente l’arrivo di una persona cara, chi scappa dalla città, chi al contrario arriva carico di aspettative, chi dopo aver affogato i dispiaceri nell’alcool cerca un rifugio per la notte errando con passo incerto.Insomma il tempo passa abbastanza velocemente anche se incomincia a calarmi la palpebra… Il Torpexpressen (190nok) previsto per il mio volo era alle sei, ma ritenendo che potrò riposare meglio in aeroporto che alla stazione dei bus avevo già deciso di prendere quello precedente, in partenza alle 3,15.

Credo di aver indovinato la mossa, infatti tale bus è quasi deserto e riesco a dormicchiare sia durante il viaggio, sia una volta giunto in aeroporto. Dopo aver dato fondo alle ultime pochissime corone rimaste in tasca, mi imbarco per Orio al Serio con atterraggio ancora una volta puntuale. Arrivo a casa nel pomeriggio con un nuovo amore: la Norvegia, in particolare quella a Nord del circolo polare artico, che spero di poter visitare nuovamente e con più calma, dedicando magari anche alcuni giorni all’altopiano dove abitano i Sami della Norvegia, il Finnmark, che purtroppo in questa occasione non ho avuto tempo di visitare.



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