Rajput tour

Un viaggio fai da te, in compagnia di 7 amici all'avventurosa scoperta del Rajasthan.
Scritto da: mary72
rajput tour
Partenza il: 05/11/1997
Ritorno il: 23/11/1997
Viaggiatori: 8
Spesa: 2000 €
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RAJPUT TOUR – 1997 Mese di Novembre, aria di partenza, ferie e meritato riposo. Con i miei inseparabili compagni di avventura (Giacomo, Nico, Sergio, Jakie, Manu, Fabry e Linda) si parte per un viaggio “fai da te” alla scoperta dell’India, o meglio della parte nord-occidentale della stessa, il Rajasthan. Terra di lussi, fasti, imperi maestosi e costruzioni grandiose, stato che mi attraeva come una calamita per i suoi aromi, profumi, per i colori e per quell’aria da favola che credevo di trovare! Partenza il 05/11/1997 alla volta di Orio al Serio, previsto decollo alle 7.05, a causa di un incidente al copilota partiamo alle 8.10. Come si suol dire “il buongiorno si vede dal mattino”. Dopo un interminabile scalo romano di cinque ore, rotta verso Kuwait city ed arrivo a Delhi alle 4.45 locali (+ 4,30 ore rispetto all’Italia). Immediatamente noleggiamo una piccolissima jeep (sembriamo otto sardine in una scatola un po’ troppo piccola!) e, a causa di un incidente stradale, impieghiamo ben sette ore per giungere a Jaipur, capoluogo Rajasthano. Stanchi, sporchi e sconvolti per il fuso orario e per il mancato sonno, siamo sopraffatti dal caos della città: tutti corrono, spingono, urlano, suonano… la strada è un pullulare di pedoni, ciclisti, motociclisti, taxisti, cammelli, cavalli, scimmie, risciò, macchine, camion, autobus e le innumerevoli, immancabili mucche sacre! Il rumore dei clacson è assordante, la sporcizia che ci accoglie allucinante a dir poco. Demoralizzati, scappiamo da questo manicomio e, dopo tre ore di viaggio su un pullman malconcio e sporco, arriviamo ad Ajmer. Le cose non migliorano: sembra di essere nel bel mezzo della maratona di New York, con una piccola differenza: in India non ci sono solo pedoni! Dopo alcune ore di meritato riposo notturno, visitiamo Pushkar, l’annuale fiera dei cammelli non è ancora iniziata ma già molta gente è per strada, interminabili distese di cammelli e cavalli ci fanno presagire una manifestazione dalle grandi dimensioni. Visitiamo la cittadina e rientriamo in albergo con il tipico bollino rosso in fronte, dopo aver invocato la protezione del Karma. L’India da me idealizzata prima della partenza comincia a sgretolarmisi tra le mani: vedo pian piano tutte le mie aspettative crollare sotto un cumulo di macerie. Oltre al caos a cui mai riuscirò ad abituarmi, mi assale una sensazione di nausea e ribrezzo per la sporcizia locale: tutto è abbandonato a se stesso, all’usura del tempo e alla distruzione dell’uomo che nulla fa per mantenere intatto e valorizzare un patrimonio artistico interessantissimo ma in forte stato di decadenza. Tutto è obsoleto, fatiscente: case (forse sarebbe meglio chiamarle “bettole”) costruite in fango…sporche, nude, malcurate e malridotte costeggiano ruderi di quelli che un tempo erano probabilmente palazzi di grande interesse architettonico ed artistico. La strada sembra una discarica legalizzata, tutto pare lecito e naturale: c’è chi fa i propri bisogni, chi sputa, chi vomita, chi mangia tranquillamente nelle immediate vicinanze di escrementi delle scheletriche mucche che incontrastate “pascolano” per strada incuranti del traffico e della vita cittadina. La rete fognaria (che bestemmia usare questo termine!) consiste in piccoli canaletti che costeggiano le vie delle città, rivoli di sporcizia liquida che fa da contorno alla situazione. Udajpur, raggiunta dopo 6,30 ore di pullman di linea, non attenua la mia delusione: da tutti considerata città romanticissima e affascinante, la “Venezia d’Oriente” mi appare maltenuta ed insignificante. I grandi palazzi dei Maharajà che svettano nella cittadina sono imponenti, grandiosi, decoratissimi e di grande fascino, soprattutto se osservati alla luce del tramonto dal battello sul lago Pichola, ma lo stato di degrado, la sporcizia e la povera gente che incessantemente (per vizio o per bisogno) chiede l’elemosina, mi inibiscono un giudizio positivo. Catapultata in questa situazione, sconsolata e delusa, affretto una valutazione negativa sull’India, giudizio in parte ritrattato con il passare dei giorni e con la visita di Chittorgarh, antico e bellissimo forte raggiunto in Ambassador dopo 2,30 ore di viaggio. Grandiose mura lunghe chilometri e chilometri accolgono al loro interno un insieme infinito di edifici; le sette porte d’accesso conducono in un ambiente da favola d’altri tempi. Templi, torri, cenotafi, giardini fioriti si susseguono a non finire in un’atmosfera unica ed indimenticabile. Lontano dal caos e dalla sporcizia si comincia a ragionare ed ad apprezzare lo spirito d’avventura e di conoscenza che da sempre caratterizza i nostri viaggi alla scoperta del mondo. Nei dintorni di Udajpur visitiamo anche il forte di kumbalgarh, imponente costruzione rovinata dall’ingiuria del tempo e dalla noncuranza indiana. Bello il tempio jainista di Ranakpur, ben 420 capitelli decoratissimi, lavorati ognuno in modo diverso dall’altro. Jodhpur, dalle guide descritta come città troppo caotica, mi appare invece molto interessante: il forte di Mehrangarh è una vera sorpresa, un susseguirsi armonico di mura, torri cilindriche, aie e cortili interni. Per la prima volta riusciamo ad ammirare mosaici, capitelli, maioliche reali ed un museo che valga la pena di essere visitato, tutto, ovviamente, nel solito stato di degrado! Comincio ad abituarmi al nuovo ambiente e trovo in Jaisalmer qualcosa che mi fa in parte rivalutare l’India. La cittadina fortificata, soprannominata “la città d’oro” è per fortuna chiusa al traffico e sorge su una collinetta al limitare del deserto del Thar. Tranquilla e molto romantica, sporca ma abbastanza vivibile, è un intersecarsi di vicoli angusti ed ottusi, strettissimi e caratteristici che mi ricordano i paesini raccolti di montagna che tanto mi piacciono. Al tramonto tutto pare colorarsi della tinta delle mura che sembrano voler accogliere e proteggere la città intera. L’illuminazione notturna del forte è qualcosa di spettacolare, la sensazione di vivere in un presepe vivente persiste con il passare dei giorni. Le magnifiche haveli e le costruzioni signorili si susseguono una accanto all’altra intervallate da macerie e da case diroccate: il solito, inspiegabile discorso! Architettonicamente tutto è bellissimo: i palazzi sono decoratissimi senza essere pesanti, tutto spicca e contrasta con la povertà tutt’intorno. Sembra di essere in un paese da favola, nel luogo de “Le mille e una notte”, ove tutto induce a rilassarsi e a sognare… fino a che non si riaprono gli occhi e riappare la realtà nuda e cruda. Peccato! Un consiglio? Evitare la due giorni di safari in cammello: esperienza non entusiasmante se non fosse per le risate attorno al fuoco ed i colori indimenticabili del tramonto e dell’alba. Ricaricate le batterie con una bella dormita, affrontiamo in treno un viaggio di 12 ore, meta Jaipur, la “città rosa”. Capoluogo rajasthano, cittadina soffocata dallo smog e dall’inquinamento, ove vivere tranquilli è quasi un’utopia. Tutti corrono, paiono impazziti, tutti chiedono insistentemente l’elemosina. Il palazzo dei venti, simbolo della città, sorge nel bel mezzo del traffico cittadino, nel caos inimmaginabile che qui regna sovrano ed altro non è che una bella facciata stracolma di finestre ben proporzionate che permettevano alle dame di osservare la vita cittadina senza essere a loro volta osservate. Di interessante dal punto di vista architettonico c’è ben poco: il solito City Palace (aperto al pubblico in minima parte) e l’Osservatorio Astronomico (opera imponente ma, per noi digiuni di astrologia, abbastanza incomprensibile). Un’avventura da non perdere? Gita in elefante al Forte di Amber! Bellissimo vedere questi animali grandissimi, ma dolci e tenerissimi, con le loro facce pittorescamente dipinte, salire pesantemente lungo la via d’accesso alla cittadina fortificata che si rivela l’ennesima delusione. E, giorno dopo giorno, emozione dopo emozione, le ferie sono giunte agli sgoccioli ed è ora di spostarsi verso Delhi. Tappa a Deeg, residenza estiva dei Maharajà: bellissimi palazzi immersi nel verde di giardini una volta tanto ben tenuti. Finalmente ammiriamo l’arredamento interno delle regge, primo ed unico esempio in questo viaggio indiano. Fermata di rito ad Agra, ove visitiamo il monumento simbolo dell’India, il Taj Mahal, enorme costruzione in marmo bianco eretta dal Maharajà a ricordo e memoria della Maharani defunta. Sembra quasi il ritaglio di una superficie pulita e ben tenuta ove è stato collocato un monumento bianchissimo, quasi abbagliante! Dopo 17 giorni la voglia di casa, di normalità, di pulizia e di cibo più sostanzioso delle solite “Cheese omelette” e “Finger Chips” inizia a farsi sentire e a nessuno dispiace prendere l’aereo che ci riporterà in Italia. Sconvolta per un’avventura forse un po’ tropo pesante, delusa da questa terra da cui tanto mi aspettavo e che tanto poco mi ha dato, non mi resta che ammirare le fotografie che mostrano l’India da me idealizzata, l’India magica ed invitante che tanto mi attirava! Bellissimi scenari, palazzi, ambienti, personaggi, colori ma… cosa c’è dietro? Sono convinta che solo vivendo un’esperienza come la nostra si possa capire cos’è e com’è questo Stato, con tutto il suo tram-tram, le sue contraddizioni, le sue bellezze ed i suoi orrori. Sono solo contenta di aver già intrapreso questo viaggio e mi chiedo: chi deciderà di andare in India tra cinquant’anni cosa troverà? Cumuli di macerie un tempo chiamate India? Spero di no, ma non ci conto troppo! Resta comunque un’avventura da vivere giorno per giorno, senza pretendere troppo, cercando di adattarsi il più possibile all’impossibile andazzo delle cose. Capire senza giudicare non è sempre cosa facile: usi e costumi indiani, di grande significato per le popolazioni locali, ai nostri occhi perdono smalto, mentalità diverse, comportamenti differenti. Nel complesso un’esperienza da vivere, un’avventura pesante in una terra unica che non lascia spazio all’indifferenza: o ami l’India o la odi! Io, per un certo lasso di tempo, l’ho detestata, forse troppo scossa da questo mondo tanto diverso dal nostro. Ora, a poco a poco, rivedendo foto e filmati, richiamando alla mente colori, abiti particolari, personaggi tipici, bimbi bellissimi e bei paesaggi la sto in parte rivalutando anche se d’istinto, il solo nominare India, mi richiama alla mente condizioni estreme di povertà, sporcizia e caos indescrivibili. Già, perché queste sensazioni forti non sono tangibili attraverso documentari e fotografie, realtà statiche che mostrano l’India “ideale”, ben diversa da quella reale, o perlomeno diversa da quella che io ho percepito e che spero di essere riuscita, almeno in parte, a descrivere.


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