Balkans Express
Il giorno dopo ci sveglia un bel sole, guidiamo per un quarto d’ora verso l’ingresso 2 dei laghi. Se è possibile mi sembrano ancora più belli che nel 2003, peccato per la troppa gente. I parco consiste in 16 laghi alimentati dai fiumi Bijela Rijeka e Crna Rijeka (Fiume Bianco e Fiume Nero), sorgenti sotterranee, collegati tra loro da cascate, che si riversano nel fiume Korana. Nel 1979 sono stati proclamati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e sono visitabili grazie a una rete ben segnata di sentieri e a 18 km di passerelle in legno che si integrano benissimo nel panorama, senza deturparlo. Col caldo che fa, un tuffo in questi laghi color smeraldo sarebbe fantastico, ma per via del travertino, che altrimenti morirebbe, è vietato. I laghi infatti sono in continua trasformazione, le grandi quantità di carbonato di calcio contenute nelle loro acque danno vita a mutevoli formazioni di travertino ecco spiegato questo gioco di barriere che crea questa miriade di cascate. La parte superiore del parco è più selvaggia, con una natura più dirompente, mentre la zona dei laghi inferiori è più tranquilla, con laghetti dai colori cangianti per via dei minerali contenuti nell’acqua. Nella parte dei laghi inferiori si trova anche la cascata più bella secondo me. Il Kozjak fa da ponte tra i laghi inferiori (entrata 1 del parco) e i laghi superiori (entrata 2 del parco) e si attraversa con un battello elettrico (trenini e battelli elettrici all’interno del parco sono inclusi nel prezzo del biglietto). Nessuna foto e nessun ricordo rende giustizia al colore unico di questi laghi…la prova è che tornandoci ho provato lo stesso stupore di 6 anni fa! Penso che sia uno dei posti più belli mai visti in vita mia. Dopo esserci riempiti gli occhi di tanta grazia, torniamo nelle nostra bella casetta nel bosco non senza esserci fatti una bella scorta di Karlovacko per passare la sera tra altre mille chiacchiere e risate…e dopo aver dato un occhio alla cartina perchè domani sarà…BOSNIA ERZEGOVINA…
Il 4 agosto si preannuncia con un tempo incerto…nuvoloni neri da cui a fatica il sole fa capolino. Salutiamo la nostra bella casetta di Jelov Klanac, i cavalli che sn venuti a trovarci anche stamattina nel prato di fronte a casa, carichiamo le macchine e siamo già in viaggio…. Dopo soli 27 km si è già in territorio bosniaco, la vegetazione è ovviamente la stessa, ma la differenza si vede…prima di tutto i campanili dei paesini croati lasciano spazio a piccole moschee, alcune donne per strada portano il velo, ma ciò non impedisce ad altre bellissime ragazze e donne di girare con minigonne mozzafiato e magliette scollate…ci sono anche persone dai volti molto sciupati, volti cotti dal sole per il lavoro nei campi e con la faccia ricamata da rughe profonde…sembrano dei vecchi, ma credo che in realtà abbiano poco più di 50 anni. Le cittadine che attraversiamo poi sembrano più povere rispetto a quelli attraversati in Croazia e l’ordine dei paesini sloveni è un ricordo lontano…qui vige il tipico disordine balcanico…addirittura vediamo un grande numero di case mezze dipinte, mezze costruite con i lavori lasciati a metà e la gente che ci vive lo stesso tranquillamente, balconi senza assolutamente la ringhiera o qualcosa che ne faccia le veci…e nonostante questo donne sedute sul balcone a fumare o prendere il tè o bambini che ci giocano come se niente fosse, come se fosse normale e non ci fosse il pericolo di cadere giù! Attraversiamo vari paesini dopo esserci fermati da un benzinaio che parlava solo tedesco per cambiare i soldi: “Where can we change our money?” risposta “Ich spreche nur Deutsch…”…ripesco nei cassetti della mia memoria, da 9 anni il mio tedesco giace nel cassetto chiamato “lontani ricordi della scuola superiore”, ma riesco a spiccicare una frase di senso compiuto “Wo kann ich die Gelde wechseln?” e questo senza troppa cortesia ci cambia i nostri euro in marchi convertibili. 1 marco=50 centesimi di euro…il cambio è decisamente favorevole. Tra un paesino e l’altro attraversiamo prati verdi, dolci colline e sullo sfondo montagne ricoperte di conifere scure…sembra non ci sia traccia umana per kilometri. Verso mezzogiorno arriviamo a Jaice, nostra prima tappa in territorio bosniaco, città che nel novembre del ’43 ospitò la Riunione del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale Jugoslavo, ma turisticamente famosa per le belle cascate di quasi 21 metri di altezza che fanno un salto proprio nel mezzo del caratteristico centro storico. Qui i segni della guerra sono molto evidenti, ci sono case sfasciate, tante altre in ricostruzione, ma quando finiranno di sistemarla, quando il centro non sarà più invaso dalle impalcature, questa cittadina diventerà un vero gioiellino, non a caso è nella lista per diventare patrimonio culturale dell’Unesco.Decidiamo di salire alla Cittadella seguendo le scale che portano alla cima della collina, il sole, latitante per tutto il resto del tempo, decide di fare capolino proprio mentre stiamo salendo e ci fa sudare come non so che…a metà strada mi fermo incantata ad ascoltare il canto del muezzin che proviene da una piccola moschea con il minareto in legno, penso sia provvisorio in attesa di essere ristrutturato. Il canto del muezzin guardando il paese e la valle sotto di noi mi fa venire i brividi nonostante il caldo. In cima alla cittadella, che si estende in cima alla collina a forma di uova, si possono vedere i resti delle mura che la circondavano, le porte di accesso in pietra e un pozzo. Scendendo dal lato opposto da dove siamo arrivati notiamo i resti di una chiesa medievale il cui campanile è identico a alla torre che si trova sullo Stradun (o Placa) di Dubrovnik. Vediamo anche i cartelli per visitare le catacombe che forse sono la cosa più interessante di Jaice, ma non avendo tempo lasciamo stare. Ad ogni modo sappiate che per visitarle dovete suonare alla casa di fronte all’ingresso delle catacombe, ovvero alla Sig.ra Alida, che vi farà anche da guida e vi chiederà un solo marco come ricompensa. Le catacombe risalgono al 1400 e furono luogo di culto per i seguaci della “Chiesa bosniaca”. Forse quasi nessuno conosce la storia della Chiesa bosniaca, ebbene, si tratta di una Chiesa sé, che aderiva al credo e ai riti cristiani, riconoscendo la sacralità della Croce, celebrando la messa e dedicandosi alla lettura dei salmi, ma il suo elemento caratterizzante fu la vita monastica, i monasteri però svolgevano anche la funzione di locande per accogliere ospiti e viaggiatori e intere famiglie vivevano insieme ai monaci tanto che a fatica si faceva distinzione tra vita monastica e laica. Quando ci fu l’invasione dei turchi, quasi tutti si convertirono all’islam, probabilmente in cambio di favori (questo può far capire, anche se non comprendere, come mai i mussulmani bosgnacchi siano mal visti sia da serbi ortodossi che da croati di fede cattolica…dissotterrando cose vecchie di 5 secoli i bosgnacchi appaiono come i traditori. Quelli che in cambio di favori diventarono mussulmani invece di combattere gli invasori. E qui chiudo la parentesi visto che mi viene la pelle d’oca anche solo a tentare di trovare un motivo a quella guerra orribile degli anni ’90 del secolo scorso). Scesi di nuovo in paese, andiamo in centro a mangiare i cevapcici, ma essendo un bar la qualità non è ottima (pita e carne sono davvero troppo unti e dal quel momento diventeranno il peggior incubo di Sugar). Camminiamo poi fino al belvedere da cui si vedono le due bellissime cascate, ma per chi non soffrisse di vertigini, c’è la possibilità di vederle proprio nel punto da cui “compiono il salto”. Torniamo alla macchina e proseguiamo verso Sarajevo…NON VEDO L’ORA di arrivare! Guidare è piacevole, non credete a chi vi dice che le strade sono terrificanti e pericolose e che ci sono controlli della polizia ad ogni angolo (non ne abbiamo visto nemmeno uno), l’importante è non oltrepassare il limite di velocità e non avrete problemi. La via è a due corsie, niente autostrada, ma è bello vedere il panorama, attraversare piccoli paesini e cittadine un po’ più grandi, vedere la collina che diventa montagna, tutto quel verde e i piccoli fiumi color smeraldo…se la Bosnia fosse un colore non c’è dubbio che sarebbe VERDE (la Bosnia nè…non ho detto l’Erzegovina). Una cosa curiosa: ad un certo punto, a metà strada tra Jaice e Sarajevo, vediamo un susseguirsi di venditori ambulanti di CD sul ciglio della strada. Hanno ‘sti baracchini che vendono CD sbiaditissimi, chissà di quali cantanti. Però erano buffi! Mai visti in nessun’altra strada percorsa durante il ns viaggio (di solito vedevamo venditori di vino, miele, frutta e soprattutto mirtilli). Arriviamo a Sarajevo che è pomeriggio inoltrato, ci ricordavamo che l’hotel (la Pansion Kandilj) è vicino al ponte Latino, il ponte vicino al punto dove l’anarchico Serbo Princip fece partire i colpi di pistola che uccisero a morte l’erede al trono dell’Impero Austroungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie Sofia incinta di pochi mesi. Dopo soli pochi km dell’autostrada in costruzione, arriviamo a Sarajevo, rotolando direttamente nel viale soprannominato “Viale dei Cecchini”, ovvero la Zmaja, un grande viale cittadino a 4 corsie che collega la periferia con il centro della città risalendo la Miljacka (il fiume di Sarajevo). Riconosco il famoso Holiday Inn sulla mia sinistra, quel blocco giallo famoso per essere stato durante l’assedio l’unico hotel in funzione dove dormivano i giornalisti di tutto il mondo venuti a raccontare quella folle guerra. Il viale dei Cecchini è così soprannominato perchè era una delle zone più esposte della città, avendo le montagne da entrambi i lati ed essendo troppo largo per riuscire a nascondersi. Dalle montagne i serbi sparavano, giocavano al tiro al bersaglio puntando i loro fucili di precisione a caso sulle loro vittime. Chi attraversava doveva farlo correndo, magari a zig zag per cercare di non essere un bersaglio troppo facile. Ogni volta che attraversavi era come giocare allo roulette russa…un colpo era pronto per te, ma non eri sicuro di quando e se sarebbe esploso. I cecchini si divertivano a scegliere le loro prede. Poteva essere un vecchio che faticava ad affrettare un passo, poteva essere una mamma col bambino in braccio. Poteva essere quello che correva davanti a te e non potevi avere pietà per fermarti a soccorrerlo. Dovevi raggiungere correndo a testa bassa l’altra sponda della strada per riprendere fiato ed essere momentaneamente al sicuro. Se eri in macchina dovevi sfrecciare velocissimo e i passeggeri dovevano tenere la testa abbassata e il cuore a mille. Sull’altro lato della strada, alla nostra destra, vediamo molti palazzoni, alcuni rimessi a nuovo altri completamente bruciati o con le finestre rotte e le parete bucate a mo’ di gruviera. La maggior parte dei proiettili sono intorno alle finestre. Colpi fortunati…indirizzati alle finestre per colpire gli inquilini. Già, perchè non eri sicuro nemmeno in casa tua a Sarajevo. Percorrendo la strada vediamo vari ponti e palazzi, tra cui il ponte costruito su progetto di Eiffel e il palazzo della posta. Arriviamo all’altezza del ponte latino, lo superiamo e giriamo a destra su un ponte che non è solo pedonale. Scendiamo dalla macchina per capire un po’ dove siamo e cercare di capire dove sia l’hotel…appena scesa dalla macchina attratta come un’ape dal miele corro con la mia macchina fotografica sul ponte latino dove vedo la città e la Miljacka baciata dall’ultimo sole…i tetti di Sarajevo si colorano di arancione e io scoppio di gioia. Urlo “Steeeeee…mi piace!” …ecco…quello per la cronaca sarà la prima e ultima volta che vedrò Sarajevo con il sole durante il mio soggiorno :-(( quindi non mi pento di aver privato i miei amici del mio contributo nella consultazione della piantina…contributo che tanto sarebbe stato penoso visto che tutti sanno che il mio orientamento fa pena…almeno avrò quell’unica foto di Sarajevo baciata dal sole. Risaliamo in macchina e andiamo a naso, ci troviamo vicino alla chiesa cattolica di Sveti Anto (Sant’Antonio), che non può non essere notata visto il suo colore rosso. Chiediamo informazioni a un papà che sta portando “in spagoletta” la sua bimba. All’inizio dice che non sa come aiutarci, poi vede la targa italiana e ci fa cenno di fermarci. Posa la sua bimba e consulta la cartina…ci indica dove andare, siamo vicini alla Pensione. È vicinissima al ponte Latino, solo 5 minuti a piedi, ci si lascia alle spalle il ponte Latino e a destra il Padiglione musicale, si sale per un vicoletto con delle case sgarrupate e sulla destra quasi nascosto ecco la nostra Pansion Kandilj. Mentre tiro giù i bagagli dalla macchina vedo due bambini che giocano nel vicolo, hanno un mitra finto in mano. Avranno 7/8 anni. Sorrido di un sorriso triste (e li fotografo ovviamente!) pensando a tutti i bambini come loro per i quali la guerra 20 anni prima non è stata un gioco. La pensione è piccina, pulita e arredata in stile tipico bosniaco, le camere sono piccole, ma accoglienti. Gli altri vogliono riposarsi un attimo, io e Ste invece scendiamo subito in strada, andiamo a piedi sul Ponte Llatino. La scritta che ricordava l’attentato all’Arciduca definendo Gavrilo Princip “Eroe” è stata tolta in quanto Princip era serbo. Chissà se un giorno la rimetteranno. Ora è stato ridefinito “Terrorista”. Attraversato il ponte, all’altro lato della strada c’è un allestimento che mostra come avvenne l’attentato ricostruendolo con un filmato. Ci inoltriamo nella Bascarsija, il quartiere turco, il cuore di Sarajevo, la parte della città più cara ai sarajeviti. Descriverlo è riduttivo perchè le parole non possono rendergli giustizia. Posso dirvi che le strade sono lastricate, che c’è un bazar, tanti negozietti caratteristici …ma quale centro storico non li ha? Potrei dirvi che in negozi hanno le saracinesche in legno che quando si chiudono diventano panchine, cosa che non ho mai visto in nessun altro posto. Ma non basterebbe ovviamente a farvene innamorare. Perchè per capire la Bacarsija, per comprendere come mai ti fa innamorare di Sarajevo devi ascoltarla, vederla e soprattutto annusarla. Non riesco a raccontarvela…Sarajevo è una canzone che esce da un negozietto di cianfrusaglie dove una ragazza con un vestito di ciniglia beige maculato di nero suona al pianoforte, lasciando la porta aperta per fare uscire le sue note dolci e lasciando entrare l’aria profumata dell’estate. Sarajevo è un piatto di cevapcici servito con la pita, il cui profumo (ebbene sì, per me è un profumo!!) ti si infila nelle narici e ti fa venire l’acquolina anche se hai appena mangiato. Sarajevo è il disordine delle stradine piene di negozi che vendono cianfrusaglie, ma anche gioielli in filigrana d’oro e manufatti in rame. Sarajevo è il profumo del caffè che esce da una Kafana. Sarajevo è i mille colori del bazar all’angolo tra Ferhadija e Gazi Husrevbegova, o dei tappeti colorati impilati nel cortile del Morica Han. Sarajevo è anche profumo di legna bagnata e di bosco. Tutto intorno alla città ci sono le colline e Sarajevo è scavata tra le montagne, si allunga con la Miljacka. Come canta Giovanni Lindo Ferretti è un catino.
Torniamo indietro alla pensione e con gli altri rifacciamo lo stesso percorso fatto prima…mostro loro anche le targhe, lungo i palazzi che costeggiano il fiume, di alcune persone uccise dai cecchini nel 1992 e 1993. Un ragazzo aveva la mia età. Ripercorro con loro per la seconda volta la via principale della Bascarsija. Ormai è buio e ha cominciato a piovere. Decidiamo di cenare al ristorante Inat Kuca, la “Casa della ripicca”, che un tempo si trovava nella sponda del fiume dove ora si trova la Biblioteca Nazionale, ma verso la fine del XIX° secolo proprio per costruire la Biblioteca Nazionale, la Vijecnica, fu fatta demolire. Il proprietario per ripicca si fece dare un risarcimento in monete d’oro e ricostruì la sua casa tale e quale sul lato opposto del fiume: da qui il nome singolare. Corriamo sotto la pioggia, fa freddo, ci saranno si e no 18°C che non è esattamente la temperatura che ci aspettavamo. Entriamo nel ristorante e ci sembra subito bellissimo per la calda atmosfera (in tutti i sensi!!) e per l’arredamento tipico. È davvero un gioiellino, ogni particolare è curato. Ci sediamo al nostro tavolo, su panche ricoperti da cuscini colorati fatti a mano, nel tipico stile ottomano. Prendiamo un piatto tipico, la Begova čorba e poi alla fine un dolce buonissimo di cui non ricordo il nome, ma non era la Baklava. Per finire un bel caffè bosniaco, che altro non è che il caffè turco (sorrido pensando che per i greci è il caffè greco e per i bosniaci è il caffè bosniaco…ma in fondo altro non è che il caffè turco). E’ particolare perché viene servito in una piccola brocca d’ottone o rame con il manico allungato. Poi viene versato in una tazzina senza manico. Di solito si aggiungono due zollette di zucchero oppure vanno intinte nel caffè e gustate a piccoli morsi. Come in molte altre culture, è più un rito che una bevanda. Dopo cena diluvia, ma ciò non ci impedisce di ammirare la Biblioteca Nazionale illuminata, bellissima nonostante i ponteggi, e di farci ancora un giro nella Baščaršija alla ricerca di un locale in stile “Mille e una notte” dove fumarci un narghilè e bere una birra.
Il giorno dopo mi sveglio convinta che ci sia il sole…invece….apro le finestre ed è tutto grigio e umido, sta diluviando. Ma non è un temporale estivo, sembra la tipica pioggia autunnale. Dopo un’abbondante colazione in hotel, decidiamo di prendere il famoso tram di Sarajevo e andare verso la zona dei musei. Nel tragitto in tram passiamo in parte al Markale, il mercato dove ci fu la strage della gente in fila per il pane, dopo la quale la Nato diede l’ultimatum ai serbi affinché ritirassero le armi pesanti oltre un certo punto per evitare un conflitto aereo. Quando si avvicinava la scadenza, le forze serbe accondiscesero. Passiamo anche davanti alla fiamma eterna. Scendiamo vicino all’Holiday Inn e attraversiamo per andare al Museo Nazionale (Zemaljski muzej) di cui non riesco ad apprezzare molto per via delle spiegazioni quasi esclusivamente in serbo-croato e per l’allestimento decisamente insufficiente, ad esempio l’illuminazione nella sala dove sono esposti i minerali è scarsissima e orientata nel modo sbagliato, ma nonostante ciò il museo vale la visita anche solo per vedere l’HAGGADAH. L’HAGGADAH di Sarajevo ha una storia affascinantissima. L’Haggadah è lo straordinario manoscritto della tradizione sefardita. Fu scritto nella Spagna del XIV° secolo e sopravvisse alle ingiurie del Novecento. È un libro ebraico di cerimonie, una collezione di storie bibliche, di preghiere e di salmi che riguardano la Pesach, la festa che celebra la liberazione degli ebrei dall’Egitto.
Al mondo esistono tantissime haggade, più o meno preziose e conosciute. L’Haggadah di Sarajevo si distingue per la bellezza delle sue immagini, per i colori arricchiti con oro e rame, per il fantastico mondo degli animali presentati, per gli ornamenti floreali e geometrici. L’Haggadah di Sarajevo, inoltre, ha la particolarità di presentare immagini di persone, nonostante la religione ebraica lo vieti.
Il manoscritto si distingue anche per alcuni concetti insoliti: la terra è presentata come rotonda. Ciò accadeva duecento anni prima che Giordano Bruno venisse mandato al rogo perché sosteneva una simile, eretica teoria. La straordinaria bellezza del manoscritto è resa ancora più intrigante dalla sua storia, talmente insolita e avventurosa da sembrare prodotto dell’immaginazione. Quando gli Ebrei sefarditi furono costretti a fuggire dalla Spagna riuscirono a trovare asilo a Sarajevo dove furono accolti e si mescolarono a cattolici, ortodossi e mussulmani. Molti dei loro testi sacri furono bruciati in Spagna, ma l’Haggadah sopravvisse e fece la sua comparsa a Venezia nel 1600. Fu revisionata dal prete cattolico Domenico Vistorini, che si accertò che non contenesse nulla contro la Chiesa, annotando sull’ultima pagina del libro: “Revisto per mi”. Nel 1894 l’Haggadah ricomparve a Sarajevo e fu esposta al Museo Nazionale di Sarajevo e se ne stette tranquilla fino alla Seconda Guerra Mondiale quando un gendarme tedesco la reclamò, conoscendone il suo inestimabile valore, ma il custode del museo, rischiando la vita, mentì dicendo che era già stata presa da un altro gendarme e quindi, una volta scampato il pericolo, prese l’Haggadah e la nascose in giardino, sotto terra in modo che superasse indenne anche quella guerra.La vita avventurosa dell’Haggadah però non era ancora conclusa…durante la guerra degli anni ’90 il museo che la ospitava si trovava proprio sulla linea del fronte e quindi c’era il rischio che bruciasse durante un bombardamento. Questa volta a mettere il manoscritto al sicuro ci pensò il prof. Emir Imamović, direttore del Museo Nazionale. Insieme con un gruppo di poliziotti prelevò il manoscritto dal Museo e lo mise al sicuro.Dopo la guerra degli anni ’90, l’Haggadah fu riesposta al Museo Nazionale in una stanza protetta in un box di massima sicurezza. E infatti la potremo ammirare a una distanza di qualche metro…però secondo me vale la pena renderle omaggio! Usciti dal museo nazionale andiamo a visitare il Museo di Storia, vale la pena visitarlo per la mostra fotografica al primo piano che documenta la guerra in Bosnia Erzegovina. É veramente toccante e non si trattengono le lacrime davanti a certe immagini, come quella di una scuola bombardata durante le lezioni o le crude immagini della strage del Markale. Non ci sono parole davanti a quell’orrore, solo lacrime e tanta compassione per quelle povere persone, ma anche tanta ammirazione per la città di Sarajevo che ha cercato per tanti anni di resistere all’assedio, assedio durato ben 6 anni. Interessante anche la ricostruzione di come cambiava la disposizione della casa durante la guerra: gli armadi venivano messi davanti alle finestre per proteggersi dai cecchini, tutto si spostava in sala…si dormiva, si mangiava e si viveva in un unico ambiente. Usciamo dal museo con le lacrime agli occhi, ma le lacrime si confondono con la pioggia che non vuole cessare.
Un po’ mesti, torniamo alla Bascarsija e andiamo a mangiare i famosi cevapcici di Zeljo,che ci tirano su il morale, serviti con tante cipolle e un pane che sembra la pita greca, oltre che dei peperoncini rossi e verdi da sgranocchiare (per gli audaci) Gironzoliamo per la Bascarsija, per le sue vie acciottolate con gli edifici in stile ottomano, entriamo a curiosare nel Bazar e poi …eccoci in tutt’altra atmosfera nel quartiere austroungarico. Visitiamo la Sinagoga e la Cattedrale cattolica vicino alla quale si trovano alcune tra le più grosse Rose di Sarajevo, ovvero i buchi lasciati dalle granate poi riempite di vernice rossa in modo da ricordare il sangue delle vittime, senza cartelli né targhe, ma l’effetto che vi faranno sarà come quello di un pugno in pancia. Arriviamo fino in fondo al quartiere austroungarico, dove si trovano anche numerosi bar e negozi moderni e visitiamo la Moschea di Alipašina dove è quasi il momento della preghiera e infatti ecco alzarsi il canto del muezzin. Tornando verso la Bascarsija ci fermiamo in Trg Oslobodenja, ovvero piazza della liberazione dove la cattedrale ortodossa fa da sfondo ai vecchi che giocano a scacchi su una scacchiera gigante disegnata per terra. Rieccoci nel cuore della Bascarsija. Mentre ci dirigiamo verso il Sebilj, il simbolo della città, ci fermiamo nel cortile della moschea Gazi-Husrevbey, una delle più moschee di Sarajevo, costruita dai muratori di Dubrovnik nel XVI° secolo. Arriviamo alla piazza del Sebilj, vicinissima alla Biblioteca Nazionale. Il Sebilj è un po’ il cuore della Bascarsija, il punto dove ci si dà appuntamento e dove si incontrano gli innamorati. É una fontana in stile moresco e fu fatta costruire prendendo a modello una fontana in pietra di Costantinopoli (Istanbul). Fu costruita nel 1891 e oltre che luogo di ritrovo per turisti, amici e innamorati, è anche il punto di ritrovo dei piccioni della città…è anche detta “Piazza dei Piccioni” ! É l’ora dell’aperitivo, attraversiamo quindi uno dei ponti sulla Miljacka e ci dirigiamo verso la Chiesa di Sant’Antonio che si trova vicino, guarda caso, al Birrificio di Sarjaevo, la Sarajevska Pivara, dove si producono la Sarajevsko pivo sia chiara che scura. E’ un bell’edificio rosso e crema, con le grondaie in rame. Durante la guerra quando non c’era acqua corrente, la gente trascinava fino a qui tutte le taniche che riusciva a portare per poterle riempire di acqua potabile visto che il birrificio ha dei pozzi di acqua potabile a cui attinge per produrre la birra. Calcolate che per i Sarajeviti non era impresa da poco: dovevano far tutto a piedi, nascondendosi, scegliendo il percorso a volte più lungo per salvarsi dai cecchini, attraversando i ponti a zig zag più veloce che potevano sperando di non essere presi… Arrivati al birrificio dovevano mettersi in fila e una volta riempite le taniche dovevano rifare tutto il percorso all’incontrario, incontrando gli stessi pericoli ed in più trascinandosi dietro magari 8 kili di taniche piene di acqua. In un libro ho letto che con 4 litri di acqua si lavava e si dissetava per 3 giorni una famiglia di 4 persone. Ci si faceva “la doccia” con un quarto di litro d’acqua . E dopo 3 giorni bisognava ancora rischiare la vita per riempire di nuovo le taniche. Storie tristi a parte, entriamo nel birrificio dove c’è anche un bar con cucina e ordiniamo una birra scura per brindare alla ns vacanza. Peccato che l’euforia del momento verrà spenta pochi minuti dopo da una “bella” sorpresa che troveremo giunti nella via dell’hotel . Qualcuno, credendo di trovare chissà cosa, ha sfasciato il vetro della macchina di Chegue e gli ha portato via lo stereo. Per fortuna il ragazzo della reception si rivelerà un tesoro aiutandoci in tutti i modi, accompagnandoci alla polizia per fare denuncia e aiutandoci a trovare un parcheggio sotterraneo dove sistemare le macchine. Ci spiega una signora che torna sempre a Sarajevo per le ferie estive, che lei ora abita in Germania e quando torna a Sarajevo a casa sua (ha la casa di fronte al ns hotel) siccome ha la macchina con targa tedesca e sa cosa succede in città, lascia la macchina pulita di ogni cosa e con il cruscotto aperto per far vedere che non c’è nulla dentro…in questo modo la lasciano in pace. Se no è meglio mettere la macchina in un parcheggio a pagamento custodito o nel parcheggio dell’hotel (il nostro non ne era provvisto). Questo sarà l’unico inconveniente che incontreremo durante la ns vacanza. Per premiarci della giornata intensa, andiamo a cena nel cuore della Bascarsija, da “Dveri” dove abbiamo prenotato nel pomeriggio e dove hanno promesso di accoglierci con del pane fatto in casa. È una specialità albanese ed è una vera delizia!!! Il ristorante è minuscolo e sembra piuttosto un’abitazione privata. Poco dopo la moschea di Gazi-Husrevbey, sul marciapiede opposto c’è un negozietto che vende paccottiglia per turisti e fa angolo con un vicolo…il ristorante si trova in questo vicolo, è una porta che vi troverete sulla sinistra una volta imboccato il vicolo. Ha pochi tavoli e l’atmosfera è veramente calda e accogliente, potrete seguire la preparazione dei piatti personalmente in quanto la cucina è nel mezzo della stanza. Alle pareti sono appesa collane di peperoncini e di aglio. Oltre al pane, che è davvero sublime, mangiamo un’altra specialità, la polenta macedone, fatta con una specie di panna acida e formaggio e sfregata con l’aglio. Io prendo anche una specie di gulasch con prugne…uan vera delizia!!!! Di sicuro è stata la cena più buona di tutta la vacanza…se tornassi a Sarajevo andrei dritta da Dveri!!!ve lo consiglio! Dopo cena facciamo un giro per la Bascarsija, ma continua a piovere, allora ci rintaniamo in un locale a fumare narghilè. Ci svegliamo la mattina del 6 agosto con un tempo che è solo leggermente migliore del giorno prima, non piove,ma è tutto grigio e si sta alzando una nebbiolina ai piedi delle colline. Dopo colazione decidiamo di andare a visitare il Markale, luogo della strage di cui parlavo prima, ma anche luogo del meercato della frutta e della verdura, un tripudio di colori, di voci, di profumi. Una donna mussulmana con il velo vende i suoi pomodori rossi e lucidi come non ne vedevo da tempo, mi guarda timida e abbassa gli occhi quando vede che la sto fotografando facendomi sentire in colpa. Ma era un’immagine talmente poetica che non ho resistito, forse però se tornassi chiederei prima il permesso. La parete in fondo al mercato è ricoperta da un pannello rosso dove sono scritti in bianco tutti i nomi delle vittime della strage. Appena fuori dal mercato ci sono delle vecchie che vendono le vecchie Drina, sono veramente suggestive da vedere, sembra di essere indietro nel tempo. Entriamo velocmente anche nel mercato coperto dove si vendono carne e formaggio e usciamo sul lato opposto , nella via Ferhadija. Visto che non è l’ora della preghiera riusciamo a visitare l’interno della moschea Gazi-Husrevbey, davvero bella. Usciti ci inoltriamo ancora nei vicoletti della Bascarsija e visitiamo i il vicolo dei lavoratori del rame, molto suggestivo!Mentre andiamo alle macchine per salire in collina, passiamo davanti ancora una volta alla Biblioteca Nazionale. Ci sono ancora i lavori in corso, a dire la verità sembrano fermi e chissà quadno la finiranno. É diroccata, ma è pur sempre bellissima, mantiene ancora un’ombra del suo precedente splendore e emana nostalgia per la sua triste storia. La Vijećnica, come veniva chiamata la biblioteca nazionale, è il simbolo della distruzione di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina. Custodiva, prima della guerra, un milione e mezzo di libri, tra i quali 155.000 esemplari rari e preziosi e 478 manoscritti. Il 25 agosto 1992, poco dopo la mezzanotte, i nazionalisti serbi bombardarono la Vijećnica dalle colline intorno alla città. E i bombardamenti continuarono per tre giorni consecutivi. La precisione dei lanci non lasciava dubbio che il bersaglio fosse proprio la Vijećnica. Il fuoco dei cecchini colpiva i vigili del fuoco, i coraggiosi bibliotecari e i volontari che avevano formato una catena umana cercando di salvare i libri. Una giovane bibliotecaria, Aida Buturović, perse la vita in quell’occasione. I Serbi colpirono la Biblioteca perchè sapevano che era un simbolo della città, un elemento che accomunava tutti i Sarajeviti, che ci studiavano, si innamoravano lì, facevano amicizia. La Biblioteca era bella…fu costruita in stile pseudo moresco nel 1894 dagli austro-ungarici che all’epoca governavano la Bosnia. L’edificio fu eretto ai piedi delle colline dove, nel Medioevo, nacque Sarajevo e contrastava con la sua imponenza rispetto alle viuzze acciottolate e ai tetti bassi della Bascarsija . Le finestre alte, di vetro intarsiato, davano sul fiume Miljačka e sul monte Trebević. La Vijećnica l’amavano tutti…era bella, tanto bella che quando ci sposava o in altre occasioni importanti ci si andava per fare le foto. Era il posto dove portavi chi non era mai stato a Sarajevo per vantarti…compariva su quasi tutte le cartoline della città. A volte ci si veniva anche solo per scaldarci, non tutti avevano il riscaldamento a casa. Ma dopo i bombardamenti non rimase che il fantasma di quello che era stata la Biblioteca. Per giorni scese una “neve” scura, erano i pezzetti di libri bruciati che ricadevano a terra e sulle persone. Secoli di cultura e di sapere andati in fumo. É triste bruciare un libro. Pensate bruciare una biblioteca. Quando bombardarono la Vijećnica, il violoncellista Vedran Smajlović sfidò i serbi e si mise tra le macerie a suonare il violino, come a voler curare quella ferita. Suonò piangendo. I fotografi e i giornalisti a un certo punto gli dissero che poteva smettere: credevano stesse fingendo per il servizio fotografico, ma lui piangeva di disperazione. Ora è in ristrutturazione e i lavori sono finanziati da molti Paesi europei tra cui anche Slovenia e Montenegro. Nell’elenco non ho visto la Serbia. La cupola in vetro è stata donata dall’Austria. Chissà quando finiranno i lavori…
Torniamo alle macchine e saliamo in collina alla caserma ottomana per vedere Sarajevo dall’alto, avvolta nella nebbiolina. Tornando in città andiamo a vedere il cimitero Koševo: una distesa di croci bianche e di tombe mussulmane, tutte con le stesse date, più o meno. Una tristezza infinita. Speriamo davvero che certe cose non accadano più.
Dopo pranzo lasciamo la malinconica e nostalgica Sarajevo per Mostar. Il tragitto è molto bello, ci sono tratti panoramicissimi, in mezzo alla natura selvaggia. A un certo punto si supera una galleria, uan stretta gola e il verde vellutato della Bosnia lascia spazio all’improvviso al paesaggio brullo e roccioso dell’Erzegovina. Sembra di essere in un altro mondo e arrivati a Mostar anche la temperatura è ben diversa…si sfiorano i 40°C e c’è il sole. Sarajevo con la sua malinconia, la sua nebbiolina e i suoi profumi pungenti sembra così distante. Mostar è mediterranea…la roccia lascia il posto raramente a qualche pianta aromatica, l’aria profuma di fichi e un vento caldo ti accarezza e ti ricorda che non lontano c’è il mare. Si sente quasi odore di salsedine. Troviamo facilmente la ns pensione, la “Pansion Rose”, è sulla strada principale, ma le camere danno sull’altro lato e sn molto tranquille. Dal terrazzo vediamo i tetti delle case e i minareti. Ci rinfreschiamo e poi ci dirigiamo verso il centro storico. Il primo ponte che vediamo è il ponte storto, il Kriva Cuprija, una versione ridotta dello Stari Most. E poi eccolo: il Ponte Vecchio, lo Stari Most, il simbolo della città.Sento salire le lacrime agli occhi, io su quel ponte c’ero già salita, era il lontano 1989, avevo 8 anni, ma me lo ricordo bene. 4 anni dopo mia mamma, seduta sul divano di casa, mi chiama urlando per mostrarmi in tv i bombardamenti e la distruzione del Ponte. Mi dice “Chiara, ricordati questo giorno, perchè abbiamo visto un pezzo di storia che ora non c’è più” Eravamo tutti tristi. Il ponte infatti, considerato simbolo di unione tra il quartiere Croato-Cattolico e il quartiere Ottomano-Mussulmano, fu distrutto dai Croati. Inizialmente infatti croati-cattolici e i mussulmani si allearono contro i serbi che circondavano la città, ma in un secondo momento, allettati dalla possibilità di annettere l’Erzegovina alla ricca Croazia, si misero a fare la guerra ai loro “fratelli” mussulmani. Che voltagabbana!! E la distruzione del ponte fu puramente un atto simbolico, in quanto non aveva alcun valore strategico. E così, quell’elegante arco di pietra chiara che di notte diventava argentato alla luce della luna, dopo 500 anni che se ne stava lì a veder scorrere sotto di lui la verde Neretva, quel “gigante” buono in pochi minuti si distrusse e crollò in acqua, portandosi dietro mezzo secolo di storia. Nel 2004, grazie anche a un finanziamento italiano, fu ricostruito tale e quale. Alcune pietre, poche a dir la verità, furono raccolte dal fiume e riutilizzate. Per le altre invece si cercò di studiare com’erano state tagliate, si ricavarano dalla stessa cava da cui furono estratte 500 anni prima, e si tagliarono rigorosamente a mano. Tutto doveva essere il più simile possibile all’originale. Il ponte è tornato bello come prima, ma due pietre, una da un lato e una dall’altro, invitano a non dimenticare quello che è stato. “Don’t Forget 1993” dicono. Salgo sul ponte e vedo la me bambina di 8 anni che mi corre incontro. Quanto tempo è passato, quante cose anche nella mia vita sono successe. La Neretva sotto il ponte continua a scorrere placida, è verde smeraldo ed è bellissima. Dal ponte si tuffano i ragazzi,un tempo per pochi spiccioli oggi vogliono parecchi euri. É un salto alto e pericoloso. Un tempo serviva ad attirare le belle ragazze, era una prova di coraggio e virilità. La città è bellissima: il ponte unisce i due quartieri, mussulmano e cattolico, cambiano i negozi e gli articoli che vi si vendono, ma l’atmosfera è la stessa…stessi ciottoli levigati, stessi vicoli stretti e pieni di gente, stesse case basse, in pietra. Il quartiere mussulmano è forse più particolare in quanto vi si trovano alcune abitazione in stile ottomano oltre che a una bellissima moschea. Ma rimandiamo la visita al giorno dopo, è tardi e siamo affamati. Andiamo a cena in un ristorante carinissimo, consigliatoci dai nostri padroni di casa, si chiama Sadrvan, si trova nella città vecchia, nella parte cattolica. (il sito è www.restoransadrvan.ba). Ordiniamo olive e formaggio locale e poi grigliata mista di carne e verdure,il tutto accompagnato da un’ottima pivo. All’arrivo ci offrono pure un aperitivo, che però a noi sembra più un digestivo…parecchio alcolico direi!! Caffè, acqua e tutto quel ben di Dio per un totale di …12 euro a testa!!!! E vi giuro che la quantità era assurda…il mio piatto era un vassoio di portata…sarebbe bastato per due o tre persone. Anche la qualità è buona. Insomma, ci hanno consigliato davvero bene. Un po’ brilli, dopo cena gironzoliamo per la città vecchia ammirando il magnifico panorama del ponte e della città vecchia. É tutto molto romantico. Ma poco dopo la mezzanotte ci fiondiamo a letto stanchi morti.
7 Agosto – Mostar Dopo colazione, sfidiamo il caldo torrido di Mostar e torniamo nella città vecchia, attraversiamo il ponte vecchio e visitiamo nella torre situata sulla sponda orientale il museo a lui dedicato. Mostra anche il bombardamento del 1993 e fa veramente impressione vedere questo gigante di pietra crollare in acqua. Nel quartiere mussulmano visitiamo due moschee due case in stile ottomano, una di 3 secoli fa l’altra più antica, del 16° secolo. Nel cortile di quest’ultima, c’è la possibilità di prendere un tè o un caffè turco mangiando i lokum, dolcetti tipici turchi. Non ci lasciamo scappare l’occasione e il tè alla mente è delizioso. Gironzoliamo per il quartiere ottomano, la parte più bella di Mostar, tutta acciottolata e con le case in pietra, torri e bagni turchi oltre a piccole botteghe artigiane e di battitori di rame (le kujunžije ) che danno il ritmo alla città. Vediamo anche il mercato di Tepa, proprio dietro la moschea Koski Mehmed-Pasa, che nacque in epoca turca e compriamo della frutta. Mangiamo per strada un burek ripieno di salsiccia e ci avviamo vs la parte occidentale, meno interessante, ma cmq da vedere. Nella parte occidentale, dopo la guerra il campanile della chiesa è stato alzato e risulta sovradimensionato rispetto alla chiesa stessa. Una croce gigante è stata anche innalzata in una della colline a ovest. Entrambe le costruzioni stanno a simboleggiare la (presunta) supremazia del cattolicesimo sulla religione mussulmana. A parte il messaggio veramente triste, sono davvero due costruzioni orribili. La chiesa poi è un blocco anonimo di cemento, veramente brutto.
Di rimando però i muezzin cercano di cantare sempre più forte durante il richiamo alla preghiera, di rimando i cattolici suonano ad altissimo volume le campane…e via andare …. Nella parte occidentale sono ancora molto visibili i segni della guerra, case e palazzi sventrati o bruciati, un grattacielo tutto annerito…una vera tristezza. Visitiamo dall’esterno la scuola secondaria superiore che è stata restaurata dopo la guerra e come stile richiama vagamente la Biblioteca Nazionale di Sarajevo. Tornando verso il lato orientale, vediamo la Scuola di Musica, la cui ricostruzione è stata finanziata dal governo italiano. Ci manca ancora una moschea, nel quartiere orientale. È la moschea più bella e più antica di Mostar è la moschea Karadjozberg, costruita nel 1557. Danneggiata durante la guerra degli anni 90 è stata completamente restaurata insieme al minareto e ora la si può visitare e si può visitare anche il minareto da cui si ha uno splendido panorama sulla città. Il custode che fa da guida ci prende in simpatia e ci fa pagare di meno il biglietto di ingresso. Parlando scopro che lui fa la guida lì da quasi 30 anni, gli dico allora che io sono già stata a Mostar e che ho visitato quella moschea con i miei genitori e ho delle foto bellissime che aveva fatto mio padre. Lui mi dice “Quando sei stata qui?” e io “nel 1989”. Sta in silenzio, guarda nel vuoto e un po’ duro mi dice “ah, allora hai visto che prima era una bella città. Ora…” Noi gli diciamo che è bella anche adesso, ma lui sembra non ascoltarci. Guarda oltre al marciapiede, dove c’è un piccolo cimitero, ci dice “vedete quello? Era un parco per i bambini, ora è un cimitero. Non sapevamo più dove seppellire i nostri morti. Abbiamo usato anche le aiuole”. Mi viene in mente Dubrovnik nel 2003, vicino a casa ns c’era un parcheggio e nell’aiuola c’erano tre croci datate 1993.
Prima di andarcene visitiamo anche il retro della moschea, dove si trova il più antico cimitero mussulmano della cirtà, con le sue turbe, ovvero le lapidi, sparse nell’erba.
Il custode/guida ci porta anche in un ristorante che conosce lui e dice al gestore che se stasera andiamo lì deve farci un trattamento di favore. Ci dice che con 3,5 euro lì possiamo cenare, che se no in centro ci pelano (notare che non abbiamo mai speso più di 12 euro!!) Il posto tuttavia non ci attira, salutiamo e torniamo a passeggiare nei vicoli fino a tornare sullo Stari Most e arriviamo nella parte del quartiere vecchio occidentale dove ci concediamo una birra fresca con lo sguardo rivolto al ponte e alla Neretva verde smeraldo. Ci voleva proprio!!!!ci saranno 40°C!!!!
Torniamo in albergo e giusto il tempo di una doccia e siamo di nuovo in giro. Per cena scegliamo un ristorante sulla sponda ovest, vicino al ponte storto, il menù esposto sembrava offire varie opzioni anche per i vegetariani come Roberta. Ci sediamo, ma dopo averci fatto ordinare da bere il cameriere ci annuncia che hanno solo carne e funghi. Faccio notare che con noi c’è una vegetariana e lui mi risponde “Nema problema, può mangiare i funghi”….sorvolando sulla simpatia del cameriere, decidiamo di finire in fretta da bere e andarcene…per bere in fretta quel litrozzo di birra a testa ci inventiamo un giochino stupido. A turno ognuno dice un numero, ma tutti i multipli di 3 o i numeri che contengono il n. 3 anche se non ne sono multipli (ad esempio 13) non devono essere pronunciati, al loro posto dobbiamo dire la parola PIVO cioè birra, ad esempio: “1, 2, Pivo, 4, 5, Pivo…” e così via. Chi sbaglia beve! Alla fine tra risate e sorsi di birra, riusciamo a finire e dopo aver pagato scappiamo sulla sponda est in cerca di un ristorante. Alla fine arriviamo in un ristorante con vista sullo Stari Most dove hanno tutto quello che cerchiamo: cortesia, qualità e varietà. Dopo cena, complice la giornata intensa e la pancia bella pienotta, ci concediamo un gelato (per digerire, ovvio!!!) e poi a nanna. Domani è giorno di spostamenti. Ultima tappa in Bosnia Erzegovina e poi sarà la volta della Croazia.
8/8/2009 – Cascate di Kravice in Erzegovina e poi Brela in Croazia Ci svegliamo con un sole cocente, ma per fortuna oggi visitiamo le poco conosciute cascate di Kravice. Le avevo scoperte per caso su Facebook, guardando le foto di una mia amica che era stata in Bosnia qualche anno prima e me ne ero innamorata, ma viste dal vivo sono ancora meglio. Praticamente si trovano sulla strada per Medjugorje, ma a un certo punto troverete le indicazioni anche per Kravice. Arrivati al parcheggio prima delle cascate vedrete dall’alto un anfiteatro naturale contorniato da una decina di cascate alte circa 30 metri e sotto un laghetto di acqua verde smeraldo (tipo Plitvice) dove si può anche fare il bagno. L’acqua è fredda stinca , ma io, Chegue e Sugar entriamo lo stesso e nuotiamo fino alla cascata centrale e ci sediamo su un masso. Da lì guardando in su si vede proprio la cascata che scende in picchiata quasi sulle nostre teste. É una sensazione bellissima, vedere così da vicino la forza della natura mi entusiasma. Pranziamo nel barettimo costruito a mo’ di palafitta sull’acqua e dopo le nostre strade si dividono , ma solo per un giorno e mezzo. Io e Ste andremo a Brela dove passeremo la notte in modo da avvicinarci a Spalato da dove ci imbarcheremo il giorno dopo di mattina presto per l’isola di Brac. Chegue, Roby, Silvia e Sugar andranno invece a Dubrovnik dove staranno una notte e un giorno e prenderanno il traghetto per Brac il giorno dopo a mezzanotte. Ci salutiamo e proseguiamo verso la nostra meta, vediamo il paesaggio scorrere veloce, prima la calma Neretva, la sua foce, i venditori di mirtilli sul bordo della strada e poi la strada costiera. Arriviamo a Brela verso le 4 , troviamo una camera per una notte e ci fiondiamo a vedere la famosa spiaggia bandiera blu, tanto millantata da tutti. Sì, il mare è veramente bello e cristallino, ma c’è veramente troppa gente. Sembra di stare a Rimini o Riccione, forse a luglio o settembre fa tutto un altro effetto, ma io sono solo contenta di starci solo per un pomeriggio. Di sera andiamo a cena in quel che la guida definisce il quartiere vecchio di Brela, ma che in realtà è solo una via con abitazioni private, in pietra, in stile tipico dalmata. Troviamo un ristorantino molto caratteristico e mangio un ottimo risotto ai frutti di mare. Quando arriva il conto sentiamo la mancanza dei prezzi bosniaci…ma d’altronde siamo ormai in Croazia e soprattutto in un posto considerato d’elite…dovevamo aspettarcelo. Il conto è cmq di un 15% inferiore a quello che avremmo speso in Italia. La mattina dopo siamo di nuovo in pista e riusciamo a imbarcarci per Brac dove arriviamo verso le nove e mezza. Guidiamo fino a Bol, troviamo i Kristian Apartments dove divideremo l’appartamento con Sugar e Silvia e avremo come vicini Roby, Chegue e Yuri e Roby che arriveranno in serata dall’Italia. A 100 m da noi, a Villa Meri, sono già arrivati le sorelle Techel con Claudio e Nicola. Da stasera saremo al completo! Io e Ste approfittiamo della mattina per esplorare un po’ il paesino di Bol. A parte la zona residenziale dove piccole pensioni e case in affitto la fanno da padroni, il lungo mare e la zona appena dietro sono veramente caratteristici. Tutte le case sono costruite in pietra con i tetti rossi e le persiane verdi, in tipico stile dalmata. Ci sono molti ristorantini carini e bar che danno sul porticciolo dove l’acqua è già splendida…immaginiamoci nelle spiagge vicine…Sul lungo mare affittano anche barche a motore per gite nei dintorni, si possono guidare senza patente e iniziamo a farci un pensierino. Camminando nel piccolo centro storico, oltre a casette molto caratteristiche, adocchiamo una macelleria dove potremmo prendere la carne per fare un bel barbecue e due mini market dove potremmo farci fare i panini di mattina prima di andare in spiaggia. Dopo il ns giro di perlustrazione e uno spuntino, andiamo a vedere la famosa spiaggia di Zlatni Rat, ovvero il corno d’oro. È la spiaggia più fotografata e pubblicizzata della Croazia. Per arrivarci, da Bol parte una bellissima passeggiata su una strada lastricata di marmo in mezzo a una profumatissima pineta. In un quarto d’ora ci si arriva tranquillamente e se nel frattempo avete sete o fame, don’t worry! Ai lati della stradina ci sono baracchini che vendono gelati confezionati e bar che hanno frullati, spuntini, cocktails ecc… Ci sono anche tante bancarelle di souvenirs, ma sono sempre le solite cose, nulla di interessante. Zlatni Rat è davvero bella. É un corno di ghiaino, sassolini e in alcuni tratti sabbia di colore chiarissimo, si protende in mare per 600 metri e la sua punta cambia direzione a seconda del vento. Infatti un lato della spiaggia rimane a turno piatto come una tavola, un altro lato invece rimane più ventoso e con il mare mosso, si possono notare infatti tanti windsurfisti. L’acqua è cristallina, di un verde chiarissimo che poi digrada diventando sempre più scuro, verde smeraldo e infine blu. Un paradiso? Direte voi… beh, non esattamente. O almeno dipende da che idea avete del paradiso. Diciamo che lo sarebbe senza tutta quella gente…ma siamo ad agosto e nella spiaggia più famosa di tutta la Croazia, infatti non mi aspettavo nulla di diverso. Di sicuro a giugno e settembre farà tutto un altro effetto, ma adesso a me viene un po’ d’ansia….gente appiccicata, barettini disseminati ovunque, affitta scooter e affitta bananoni…pedalò, windsurf…insomma un macello…. Troviamo cmq un buco libero e passiamo il pomeriggio con Alice, Ines, Claudio e Nik che intanto ci hanno raggiunto e gli raccontiamo la nostra settimana a zonzo tra Croazia e Bosnia Erzegovina. Notiamo però che alla base del corno d’oro, se invece di seguire la punta, si prosegue per la costa ci sono una manciata di calette facilmente raggiungibili e con molta meno gente. Tornati a casa vediamo che sono arrivati anche Yuri e Roby, ci spariamo il primo aperitivo a base di salatini, olive e Karlovacko seduti sul terrazzino e dopo una bella doccia andiamo tutti insieme a cena fuori. Troviamo un ristorante che è dopo la posta, dal lungo mare di Bol la strada a un certo punto si allarga a formare una piazzetta, ai lati si trovano da una parte la posta e dell’altra un tabaccaio. Andando in fondo alla piazzetta, superando sulla destra una chiesa si trova il ristorante “Jadranka” (Adriatica). Molto spartano, ma dai prezzi molto buoni, diventerà il nostro punto di riferiemnto per quasi tutte le cene passate a Brac. Io mi sparo una super mega grigliata mista di pesce con contorno di verdure grigliate e Karlovacko per buttar giù! Ottimo! Caffè, acqua e digestivo e il conto non superare l’equivalente di 20 euro a testa. Non male! Tornati a casa troviamo ad aspettarci anche gli altri 4 della ciurma sbarcati sull’isola a mezzanotte e mezza, stanchi morti. Ci raccontano brevemente e in modo entusiasta di Dubrovnik, dove noi eravamo già stati qualche anno prima, ma poi crolliamo tutti di sonno e ci diamo appuntamento per il giorno dopo.
9/9/2010 Cartina dell’isola alla mano e radunata tutta la ciurma decidiamo di andare verso sud, a Murvica, 4 km da Bol dove dovrebbero esserci alcune calette spettacolari. Scegliamo la più grande, lasciamo la macchina parcheggiata in uno spiazzo e proseguiamo per un piccolo sentiero a piedi, in 5 minuti arriviamo. La spiaggia è bellissima, di ciottoli bianchi, non c’è praticamente nessuno, l’acqua ha dei colori stupendi,dall’azzurro, al blu, dal verde acqua al verde smeraldo. Ci sono anche delle grotte nella roccia dietro la spiaggia…insomma, il tutto è molto selvaggio e ci piace, ma ci accorgiamo subito di qualcosa che non va. É piena di api!!!!! dopo un po’ non si riesce più a stare lì, decidiamo di spostarci prima di pranzo se no mi sa che facciamo tutti la fine che avevo fatto io nel 2007 a Korcula…punta sulla lingua da una vespa che si era appoggiata sul mio panino alla mortadella. Un doloooooooore!!! però erano tutti contenti così stavo un po’ zitta…ah ah ah. Ci spostiamo alla fine in una piccolissima caletta dal mare verde smeraldo, la spiaggia è di ciottoli bianchi e dietro ci sono dei pini che fanno ombra. Mi faccio una bellissima nuotata e dopo mi metto a leggere il mio libro, sotto un pino, con il profumo del mare e della resina…questa sì che è vita!!!! Peccato che su questa spiaggetta l’ombra arrivi presto…infatti ci spostiamo nella terza caletta, sempre lì vicino e ci stiamo fino al tramonto. Di sera alcuni di noi cenano al Mlin, proprio in fondo in fondo al lungo mare di Bol. Mangio sgombri alla griglia con contorno. Ottimi! Però è un po’ più caro del Jadranka. Scampiamo a pelo un temporale e riusciamo a tornare a casa in tempo.
11/8 – Mio onomastico Piove a tratti, è nuvoloso, a un certo punto smette e decidiamo, io e Ste, di andare con Silvia e Sugar a visitare il monastero di Blaca…ovviamente appena iniziamo la salita (la macchina va lasciata in un parcheggio e si continua a piedi per un sentiero abbastanza facile) esce il sole e si suda a secchiate…. Il monastero però è una delusione, è più bello visto da lontano, abbarbicato sulla roccia. La visita alle stanze costa troppo per i ns gusti, circa 10 euro, allora decidiamo di tornare a Bol per andare in spiaggia…ma ricomincia a piovere non appena arriviamo a Bol…che sfiga! Nel pome, anche se pioviggina, raggiungiamo gli altri in una delle spiaggette di Bol, quella dei Surfisti, poco prima dello Zlatni Rat…ci divertiamo come possiamo, ma non è una bellissima sensazione stare sulla spiaggia con quella pioggerellina intermittente! A un certo punto, verso le 6, come per magia il cielo diventa sereno…che str…o di tempo!!! cmq va tutto strabene in quanto per quella sera avevamo in programma una grigliata in giardino. Il nostro padrone di casa, Kristian, ci ha messo a disposizione il suo barbecue in giardino e ci ha anche detto che penserà lui a farci trovare la tavola apparecchiata…che carino!!! Noi andiamo a fare un po’ di spesa…braciole, cevapcici, l’immancabile salsa Ajvar ai peperoni e melanzane, un po’ di verdure da fare alla griglia e formaggio…e ovviamente taaaaaanta birra Karlovacko!! Che bella serata!! dopo cena ci raggiungono anche Alice e Nik per brindare a suon di chupiti (rum e pera)..quante risate!
12/8 Oggi si schiatta di caldo, andiamo alla famosa spiaggia del monastero di Bol, quella fotografata su un sacco di cataloghi della Croazia, ma anche se il mare e la scenografia sono bellissimi, la spiaggia non mi entusiasma perchè fatta di sassi irregolari che ti distruggono i piedi anche con su le scarpette per gli scogli. La sera torniamo a cena dal nostro primo ristorante, il Jadranka, e ci troviamo bene come l’altra volta.
13/8 Oggi io, Silvia, Ste e Sugar ci diamo all’avventura…noleggiamo al porticciolo di Bol una barca a motore. Il tizio del noleggio ci spiega un po’ come funziona e a che distanza dobbiamo stare dalla battigia e qunti km di autonomia abbiamo con un pieno. Decidiamo di andare in direzione dello zlatni rat e delle spiagge da quel lato dell’isola. Ci fermiamo a fare il bagno in una spiaggia bellissima appena dopo Murvica, poi raggiungiamo la baia dove c’è quel che resta del nascondiglio delle navi militari di Tito. Ci stupiamo nel vedere che all’interno, a bordo dell’acqua, sulla banchina c’è gente che vi pratica il campeggio libero…chissà che reumatismi …c’è un umidità assurda!!! la gente è proprio folkloristica! Fuori dal nascondiglio però l’acqua è stupenda, di un verde smeraldo meraviglioso…troppo invitante per non fare un tuffo! Iniziamo a tornare indietro e ci fermiamo in una piccola baietta poco prima di Farska dove mangiamo e dormiamo all’ombra dei pini. Nel pomeriggio raggiungiamo gli altri nella bellissima spiaggia di Farska…quando arriviamo con la nostra bagnarola il Rossoni ci filma con la sua telecamera perchè sembravamo dei profughi albanesi…ah ah ah…a rivedere ora il video in effetti facevamo proprio ridere! Torniamo verso le 7 al porticciolo di Bol e riconsegniamo la barca. La sera decidiamo di andare in un ristorante proprio nel centro del lungomare di Bol, si chiama Restoran & Wine Bar Podrum, è proprio in zona centrale, ha dei tavoli in legno con delle panche (il sito è www.dalmatinocatering.com. I prezzi erano più altini degli altri ristoranti , io ho mangiato bene, ma altri miei amici no. Proseguiamo la serata bevendo una birretta in un locale di Bol.
Venerdì 14/8 ci alziamo presto per andare sulla punta dello Zlatni Rat quando ancora c’è poca gente…in effetti, di mattina, senza troppe persone è tutta un’altra storia!! Il mare è veramente una meraviglia, “piscinoso” come direbbe la Robiola. Verso mezzogiorno si riempie e noi fuggiamo. Ci fermiamo sotto la pineta dello Zlatni a pranzare con una mega insalatona in un ristorantino che fa anche piatti freddi al mezzogiorno. Nel pomeriggio raggiungiamo Yuri, Roby, Nik, Alice, Ines e Claud nella spiaggia che si trova tra il camping Aloa (seguiti i cartelli) e Murvica
La sera ceniamo a casa e poi un giro in centro per un gelato.
Sabato 15/8 Ferragosto Oggi andiamo nella spiaggia dove siamo scesi per il primo bagno in barca. Si trova subito la spiaggia di ieri. Per trovarla dovete fare così: lasciate Bol e dirigetevi verso Murvica, quindi dove trovate il parcheggio con il canestro da basket proseguite e scendete in quella subito dopo.Il sentiero è sulla sinistra, sulla destra c’è un altro sentiero per una piccola caletta che altro non è che la Spiaggia dell’Ombra, come era stata ribattezzata il primo giorno a Brac la spiaggia dove ci eravamo spostati per sfuggire alle api.
Prendete quindi il sentiero a sinistra, in due minuti siete alla spiaggia. Vista dall’alto è ancora più bella che vista dalla barca, ha un impatto cromatico spettacolare, quando riguardo la foto mi stupisco ancora…si vedono nettamente tre colori: a riva è color ghiaccio, poi diventa verde chiarissimo trasparente e poi blu. Una meraviglia! Anche la spiaggia è confortevole perchè fatta di sassolini fini che non danno fastidio. Fa un caldo boia, ma l’acqua è bella fresca e si sta da Dio, soprattutto se consideriamo che è ferragosto e nonostante ciò oltre al nostro gruppetto di 10 (mancano Ines e Claud) c’è solo una famiglia di 6 persone (nonni, due genitori e i bambini) In Italia, a ferragosto una cosa così te la sogni !!!! Ci ferma per chiacchierare il nonno della famigliola che è in spiaggia con noi. Lui è croato, ma ora vive in Slovenia, ci dice che ci ha osservati molto e che siamo un gruppo di giovani italiani un po’ insolito perchè anche se ci divertiamo non facciamo troppo casino. Poi si ferma a chiacchierare con Yuri perchè ha visto la sua muta da sub. Parlano di snorkeling e di pesca subaquea. Sta per terminare la nostra ultima giornata di mare a Brac, o almeno è l’ultima per me, Silvia, Sugar, Ste, Robiola e Chegue. L’altra Roby, Yuri, le Techels , Nik e Claud si godranno l’isola ancora un bel po’ di giorni. Torniamo a casa e faccio la valigia a malincuore…anche se c’è ancora una tappa che ci attende La sera ceniamo tutti e 12 all’ormai affezionato Jadranka e poi passeggiata sul lungomare dove per ferragosto ci sono le bancarelle. Ogni negozio o ristorante ha messo una piccola bancarella dove espone i suoi prodotti o specialità però nessuno spara i fuochi d’artificio, com’è invece d’abitudine in Italia. Saluto il porticciolo di Bol e le sue luci tremolanti per l’ultima volta. Domani è un altro giorno e un’altra meta ci aspetta. L’ultima di questo intenso e bellissimo viaggio nei Balcani.
16/8 Salutiamo tutti, saldiamo il conto con Kristian e poi lasciamo Bol con il cuore gonfio di malinconia. Se partissimo tutti sarebbe diverso, ma lasciare lì i nostri amici mi fa venire un groppo in gola. Arrivati a Spalato, io, Ste, Silvia e Sugar salutiamo Roby e Chegue che proseguono verso casa, in Italia. Chegue il giorno dopo lavora. Noi visitiamo, sotto un caldo insopportabile, il centro storico di Spalato, con il suo Palazzo di Diocleziano, patrimonio mondiale dell’Unesco, il mercato cittadino e il mercato del pesce,dove ormai il pesce è finito, ma si possono ammirare le antiche bilance e i tavoloni in marmo dove viene tagliato e pulito il pesce fresco. All’interno del centro storico, che è proprio l’interno del Palazzo di Diocleziano, cioè una piccola città nella città, l’atmosfera ricorda un po’ Napoli, con i panni stesi tra una finestra e l’altra, i ragazzetti che si rincorrono per strada, gli odori buoni delle cucine. Le strade in marmo sono talmente lucide che ti ci puoi specchiare. Sono vecchie. Tanto vecchie, talmente consumate che puoi anche scivolarci. Un gattone fa le fusa su un muretto sotto un lampione. I balconi sono un tripudio di gerani e dal mercato arriva profumo di lavanda. Mi fermo e compro un sacchettino in tulle riempito con fiori di lavanda come ricordo della città. La parte sul lungo mare invece sembra un salotto, è elegante e ordinato, in contrasto con la città vecchia dentro le mura del Palazzo di Diocleziano. Di sicuro Spalato meriterebbe una visita più accurata, ma il caldo è davvero insostenibile e torniamo in macchina alla volta di Murter. Alle 14 e 30 siamo già a Murter, non ci fermiamo a Tisno, andiamo proprio a Murter città. Ci fermiamo in cerca di un’agenzia che affitti delle case o delle camere, ma invece che essere noi a trovare lei è lei a trovare noi. L’Agenzia si materializza davanti a me sotto forma di una bella ragazza bionda in bicicletta che ci chiede in italiano se abbiamo bisogno. Le diciamo che cerchiamo una casa per due notti, ci va bene pure una stanza con bagno. Lei dice di seguirla e ci porta a vedere una bella casetta per 4 persone a 17 euro a testa per notte. Perfetto!!! Ci prenota anche la gita al Parco Nazionale delle Isole Kornati per il giorno dopo: meglio di così!!! La casa è di Zoran Novkovic Bugi, si trova al n. 6 di via Bazokiceva a Murter città. Se vi interessa, il cellulare è +385 917931355 Andiamo alla spiaggia di Slanica, di cui io conservavo già un brutto ricordo di quando ci venni da piccola, ma visto che tutte le guide la definivano “bellissima” speravo di ricredermi. Purtroppo non è stato così. Prima di tutto il parcheggio è a pagamento, poi la spiaggia, che forse fuori stagione sarà anche bella, era invasa da turisti peggio che Rimini a Ferragosto, dai bar della spiaggia arrivava musica zarra a tutto volume, canzoni diverse che si accavallavano. La gente stipata all’inverosimile su quel fazzoletto di sabbia si era messa anche sugli scogli intorno, appena sotto la strada. Veramente la spiaggia più brutta che io ricordi in Croazia. Alla fine siamo fuggiti a casa per una doccia e poi siamo usciti a cena. Murter è un paesino che a parte qualche casa e qualche albergo non ha granchè da offrire, però l’atmosfera è proprio rilassata e amichevole. Sul lungomare, oltre agli stands che pubblicizzano le gite alle Kornati, ci sono bancarelle che vendono paccottiglia per turisti, ma che mettono allegria. C’è anche un palco allestito al centro della piazzetta che dà sul lungo mare, ogni sera c’è qualcosa di diverso: un concerto, uno spettacolo teatrale, la banda che suona…e così via. Ci sediamo in un bar a osservare tutta questa gente allegra che si gode la propria isola, la propria estate. Tornati a casa salutiamo i nostri padroni di casa, due facce simpatiche sulla cinquantina, che bevono vino e chiacchierano con alcuni amici seduti attorno a un grosso tavolo in pietra in giardino. Sul tavolo i rimasugli della cena, una tovaglia colorata, bucce di anguria e un bel bottiglione di vino. Ci invitano a sederci con loro. “Domani” gli rispondiamo. Stasera siamo troppo stanchi dal viaggio. Auguriamo la buona notte e ci fiondiamo a letto. Domani ci aspetta l’ultimo capitolo di questa vacanza bellissima. L’aria profuma di citronella e di fiori, la stanza è dei nipotini di Zoran, le lenzuola sanno di bucato, sul soffitto ci sono delle stelline luminose e gli adesivi dei puffi. Tutto mi ricorda la mia infanzia e scivolo tra le braccia di Morfeo con il sorriso sulle labbra. Come si sta bene qui.
17/8 Parco Nazionale delle Isole Kornati Certo che i croati sanno essere davvero folkloristici a volte!! Mica appena saliti sulla nave ci viene offerta della grappa alla lavanda??? ma io nonostante il caldo accetto perchè da brava bergamasca adottiva un bicchiere di grappa non va mai rifiutato. A parte ciò, la nave scivola lenta in un mare blu cobalto, all’orizzonte iniziano a vedersi alcune isole brulle, alcune grandi poco più di uno scoglio, altre un po’ più grandi. Sono le Kornati, che Sir Bernard Shaw descrisse così: “L’ultimo giorno della creazione, Dio volle coronare la Sua opera, e fu allora che, con lacrime, stelle e respiri, creò le Kornati”. Effettivamente si tratta di un miliaio di isole, alcune appunto poco più che scogli, altri veri e propi isolotti, tutti brulli e per lo più disabitati. Le poche isole abitate, contano una manciata di case e sono abitate da pescatori e allevatori di capre. Viste dall’altro devono essere uno spettacolo, viste “da giù” a me non sono sembrate nulla di che…ma il loro punto di forza è il mare. La zona attorno alle Kornati è fantastica per fare snorkeling e fare immersioni. Tanto sono povere in superficie, tanto sono ricche di vegetazione sott’acqua. Ci sono anche i rari coralli rossi qui sotto. A mezzogiorno ci fermiamo su un’isola per pranzare con due sgombri a testa, patate, insalata e del vino. Pranzo leggero, ma gli sgombri sono buonissimi. Nel pomeriggio andiamo sull’isola dove si trova “l’unica spiaggia sabbiosa delle Kornati” come recita il depliant che pubblicizza la gita. Sinceramente l’acqua era bella, ma niente di eccezionale. Forse c’era troppa gente, magari vederla fuori stagione sarebbe stato diversa.
Durante il ritorno, con la luce giusta, il mare sembra ancora più blu e contrasta moltissimo con le isole brulle e chiare e i suoi muretti a secchi che sembrano ricami. In effetti, hanno un loro fascino queste isole. Dev’essere bello vederle in barca a vela, girarle come si crede, fermarsi a fare il bagno dove si vuole, cosa che in una gita organizzata non è possibile ovviamente. Ma pazienza!
La sera, dopo una doccia e un aperitivo sul balconcino, andiamo a cena in un bel posto sul lungo mare, io e Silvia mangiamo del fritto misto ed è tutto ottimo. Dopo il solito giretto digestivo, torniamo a casa e i nostri padroni di casa ci invitano a fermarci a chiacchierare con loro. Ho un ricordo bellissimo di quella sera, di sicuro hanno contribuito a farmi ricordare Murter come un’isola accogliente e solare. Ci offrono il loro vino, sia quello rosso, buono, sia quello bianco, liquoroso…DIVINO!!!!!! L’alcool scioglie le lingue e l’imbarazzo e iniziamo a parlare in 4 lingue diverse, inglese, italiano, qualche parola in dialetto dalmata e qualche parola in tedesco…ma non so come ci capiamo. Raccontiamo il nostro viaggio, le nostre tappe. Quando dico “Sarajevo” non vedo smorfie strane sui loro volti, anzi, sembrano interessati. Parliamo del dialetto dalmata, che assomiglia a quello veneto, ci sono alcune parole che proprio ricordano l’italiano. Parliamo della guerra, che loro lì per fortuna non hanno subito a lungo e Zoran diventa il mio mito dicendo che lui non si sente orgoglioso di essere Croato o di essere Europeo perchè secondo lui quando ti senti fiero di essere di qualche nazionalità sei razzista. Lui dice che è un cittadino del mondo, per lui tutte le persone oneste sono suoi fratelli, non importa da dove vengono. Le sue parole semplici e forse banali sono dette con estrema sincerità e mi toccano il cuore. Lui e la moglie sono proprio carini insieme…sono buffi. Si fanno gli scherzi, si prendono in giro e si danno buffetti sulle guance. La moglie capisce, ma non parla, si fa tradurre da Zoran per farsi capire. Gli chiedo cosa fanno sull’isola tutto l’anno…e mi dicono che fra poco inizierà la stagione della raccolta dell’uva, faranno il vino. Poi si preparano a Natale, poi dopo Natale il paesello si prepara per la festa di carnevale, qui molto sentita. Poi ci si prepara per la stagione estiva… CHE BELLA VITA!!!!commentiamo noi…altro che stare in ufficio 8 ore minimo al giorno, con le facce grige 11 mesi l’anno…loro sì che hanno scoperto il segreto della felicità!!! Li salutiamo e andiamo a nanna…domani si parte.
18/8 Salutiamo i nostri simpaticissimi padroni di casa. Sono triste di salutarli perchè sono veramente delle persone gentilissime e simpatiche. Durante il tragitto in macchina verso l’Italia ho il cuore gonfio di tristezza come ogni volta che lascio questo Paese. So che per un po’ non ci tornerò, per me è un posto speciale, ma giustamente mio marito vuole vedere anche altri Paesi. Io però ogni tanto devo tornarci perchè se no mi manca il profumo del mare, mischiato a quello dei pini e di fichi maturi. Cerco quel profumo in ogni posto di mare in cui vado e non lo trovo mai. Quando la malinconia è troppa, il vento dell’est mi viene a cercare e io rispondo. Ti saluto mia cara Croazia, ma tornerò presto!!!
Alcune info pratiche: Guida usata: Balcani Occidentali della Lonely Planet, “Croazia” della Clup Guide e una mini guida di Sarajevo dell’ente del turismo bosniaco Letture consigliate: “Maschere per un massacro” di Paolo Rumiz, “Il Violoncellista di Sarajevo” di Steven Galloway, “Venuto al Mondo” della Mazzantin, “Il giorno di Bajram” di Caminoli Francesca.
Nomi hotel/case (contatti facilmente reperibili su internet): A Plitvice “Jelov Klanac” A Sarajevo: “Pansion Kandilj” A Mostar: “Pansion Rose” A Brac (Bol): Kristian Apartments e Villa Meri A Murter: Apartmani Zoran Novkovic Bugi
Itinerario: Bergamo – Jelov Klanac (frazione vicino a Plitvice) (due notti) Jaice (mezza giornata) Sarajevo (due gioni e mezzo) Mostar (un giorno e mezzo) Kravice (mezza giornata) Brela (mezza giornata) isola di Brac (7 giorni) Spalato (breve sosta) Murter (1 giorno e mezzo) Spesa complessiva a testa compresa di viaggio, pranzi, cene, affitti, qualsiasi extra inclusi souvenirs: 850 €
Se avete bisogno di qualsiasi info contattatemi pure sulla GPC di Sarajevo o sulla GPC delle isole dalmate