La Valle della Luna
È come un richiamo. Chi lo sente dall’alto dei cieli, chi da presenze più terrene, date da persone o da luoghi. Come nel mio caso, un richiamo quasi corporale, concreto, come una mano che prende la mia e mi chiede di seguirla. Mi capita ogni tanto, ma non mi coglie all’improvviso, quasi come se mi trovasse preparato. Sento delle sensazioni, suoni, profumi, voci… si, a volte è come se mi parlassero, come se mi stessero avvisando del loro arrivo. Non so come spiegare, so solo che capita così. E quando arriva non posso oppormi, anzi non voglio. E vado… Molto spesso sono luoghi mai visti. Altre volte sono invece luoghi dove aspetto di tornare, perché ho lasciato qualcosa, perché là c’è un po’ di me. Altre volte ancora si tratta di persone, che sento di voler vedere, sento che desiderano incontrarmi. Posso essere di qualunque umore, posso essere in qualunque posto, non c’è né una ragione né un perché. Arriva e basta, un suono, un profumo, una voce. E vado. Pianto quel che sto facendo, lo lascio lì, a metà o a un quarto, o lì lì per essere terminato. Ma vado. Non mi sono mai opposto a quel suono, non ho mai detto “no” a quel profumo, non ho mai detto “aspetta” a quella voce. O forse ho provato ma non è servito, non ricordo. Ciò che so è che quando arriva, io vado. Non mi sono mai chiesto perché di questo, non me lo chiederò mai. “E’ quel che è”, mi dico, come Erich Feud dice in una sua splendida poesia. Mi pare bello vivere di istinti, di sensazioni, di emozioni. Mi pare bello lasciarsi prendere, farsi trasportare, lasciarsi andare. Senza paure, senza ansie, senza perché. Credo stia nell’animo di un bambino il perché a questo. E la risposta è quella di un bambino: perché sì. Il motivo è che non c’è perché. Mi dicono che è difficile, o addirittura che è impossibile, a volte mi hanno detto che non è giusto. Con un lungo papiro di ragioni: responsabilità, buon senso, logica, esempio… Tanti luoghi comuni, tante belle parole, bei principi, bella morale. Che mi hanno convinto sempre più che sono idiozie, frustrazioni, complessi. E sempre più ho capito quanto siamo uguali, gli uni agli altri, ma molto distanti. Che ci differenziamo sostanzialmente solo da una cosa: tra chi ha sempre un giudizio e chi non vuole giudicare mai. E’ la Bibbia addirittura che lo insegna, a me lo ha insegnato mio padre. Siamo tutti pronti a consigliare “…io al tuo posto farei così…”, a sentenziare “…io non mi sarei mai comportato così…”. Un umanità fatta di chi pensa di essere migliore e di chi sa di non esserlo, tra chi ascolta e a volte parla, e di chi parla e quasi mai ascolta. Ho passato una buona parte della mia vita a cercare di portare le mie ragioni, a chi mi chiedeva, a chi mi criticava, a chi mi giudicava. Un giorno ho detto “basta”. Non ho più ragioni da portare, non ho più giustificazioni da formulare. Semplicemente non mi interessa. La chiesa è sempre in guerra. In tempi recenti il male da sconfiggere era il comunismo ed è stato sconfitto. Questi tempi invece il mondo cattolico si interroga preoccupatissimo di un pericolo ancora più grande, qualcosa di inaspettato, che ha spiazzato: il relativismo. Forse perché non ho l’esclusiva del “non pensiero”, una pratica in netta crescita. Non mi interessa credere, non mi interessa chi ha da dire, chi ha da professare, chi dice di sapere. E non mi interessa perché mi capita questo. Non mi interessa più alcun perchè. E’ quel che è, e mi va bene così. Lascio le risposte ai tanti che hanno tanti giudizi, che sanno così tanto e che sanno di tutto. Spesso a me capita di dire “non lo so”, spesso a me capita di pensare “non mi interessa”. Ho sentito una voce, un profumo, un richiamo. Penso sia Jack, un vecchio amico. Lui o qualche altro vecchio compagno che mi chiama da là, dove ogni tanto torno, nella valle. Un luogo magico, per me, un “non luogo”. Dove c’è tutto, dove non c’è nulla. La Valle della Luna, dove è tanto che manco, dove ritornerò a giorni. Un angolo di Sardegna, di Gallura. Rimarrò qualche giorno là, nelle grotte, dove ancora vive una piccola comunità di quelli che cantavano “mettete i fiori nei vostri cannoni”. Un lembo di terra unico, irripetibile, qualche ettaro di terreno dove la roccia incontra il mare. La Valle della Luna, l’ultimo paradiso hippy, dove non c’è chi chiede, chi pensa di sapere, chi ti vuole spiegare. Io vado là. E non chiedetemi perché.
verso la mèta… Un pò più in là…
Lo zaino più grande è pronto, le ultime cose vanno a riempire quello più piccolo. Credo di aver pensato a tutto per questi tre giorni in valle. Sacco a pelo, una coperta, da mangiare qualche scatoletta di tonno, biscotti ai cereali, cracker, un pò di frutta, miele e poco altro. Poi magliette di cotone, un paio di cambi di intimo, una felpa pesante, una giacca per la pioggia che si prevede abbastanza copiosa in questi prossimi giorni. Prima di chiudere lo zainetto, che imbraccerò davanti, sotto il mento, poggiato sul torace anche per bilanciare il peso, ripongo due libri, il mio quadernetto, due penne Bic nere – fedeli compagne già dai tempo della scuola – e la macchina fotografica, unico strumento tecnologico che mi accompagnerà. Nient’altro, né cellulari, né mp3, né computer, nulla. Mi carico gli zaini e mi incammino. La Valle della Luna è la, il suo richiamo mi è arrivato qualche giorno fa. E io ho risposto. Certo poteva iniziare meglio, pioggia e vento non è esattamente quello in cui speravo, ma tant’è. Non vado per le spiagge, non sarò là per distendermi al sole. E poi questi erano i giorni che avevo deciso di dedicare alla valle, perciò incurante dell’acqua battente e del vento che soffia forte e trasversale, mi incammino. Dovrò tuttavia trovare una grotta che possa proteggermi da queste intemperie. In valle si vive nelle grotte, anche se alcuni turisti piazzano giù, qua e là, tende di ogni tipo. Non il popolo della valle, quello che vive stabile questo angolo di paradiso. Le loro case sono le grotte. Lungo il sentiero scorre un piccolo rigagnolo che cerco di “costeggiare”. Alla montagna spaccata faccio la prima sosta, già parecchio bagnato, con la giacca che potrà pur essere antivento, ma di certo, visti i risultati, non è antipioggia. Riparto e raggiungo la spiaggia della prima valle. Sulla destra, verso Capo Testa, una grossa conformazione rocciosa cela la quarta e la quinta valle. Sulla sinistra invece il percorso prosegue con un sentiero abbastanza agevole, da superare solo pochi sassoni sui quali bisogna arrampicarsi, per raggiungere la seconda e la terza valle. Per andare poi oltre è necessario scalare alte ed impervie rocce, al di là la sesta e la settima valle. Dopo un’ulteriore breve sosta riparto e supero con difficoltà i sassoni resi scivolosi dalla pioggia. Raggiungo la grotta cosiddetta Belvedere, dove Peter vive ormai da diversi anni, dopo aver lasciato la Germania. Con lui un gruppo di sette otto amici che dalle loro grotte lo hanno raggiunto. Cerco Scooter ma non è con loro. Anche Scooter è tedesco e vive la valle da anni. Avrei chiesto a lui dove potermi sistemare. E’ invece Peppe, un ragazzo sardo che vive a Livorno, qui da circa un mese per restarci fino ad ottobre, che mi indica qualche soluzione. Nel frattempo ha quasi smesso di piovere, ma continua a fare freddo. Un saluto e riparto in cerca della mia grotta. Ne vedo un paio, ma una è troppo addosso al mare, l’altra è troppo piccola e già molto umida. Alla terza decido di fermarmi, almeno per posare le mie cose, e poi mi pare la meno peggio di quelle viste. Mi prendo una mela, cambio maglia e pantaloni ormai fradici, mi rimetto in cammino. Ritorno da Peter e compagnia, due veloci chiacchiere e proseguo. Ritorna a piovere. L’acqua scende ora più forte, fitta e grossa. Mi infilo sotto un sassone, ma non è un granchè come riparo. Lampi che illuminano un cielo nero, tuoni che spaccano il silenzio della pioggia che cade. E che continua a cadere. Ma la valle è sempre splendida… Rimarrò lì sotto più di due ore, forse tre, non posso sapere, anche all’orologio ho rinunciato. In valle non si fissano appuntamenti, non si hanno orari, si va con la luce, oppure, quando c’è… con il sole. Ritorno e il sentiero s’è fatto fiume. Lì dentro cammino, non ho alternative. Raggiungo la mia grotta, ma si è quasi allagata. Per fortuna le mie cose sono poggiate su una cassetta di plastica. Devo trovare qualche altra soluzione. Mi dirigo verso la terza valle e dalla grotta Arcobaleno sento una voce: “hey, vieni…”. Non vedo nulla, dentro è scuro, mi avvicino ed entro. “…mazza che lusso! – penso – una cinque stelle superiore!”. Mimmo, l’anziano della valle mi dice di sedermi, poche chiacchiere, raccoglie la mia inquietudine e mi invita da lui. Non me lo faccio ripetere due volte, corro a prendere le mie cose… ce l’ho fatta! La grotta Arcobaleno è l’unica che può tenere una pioggia come questa. Recupero le mie cose, le sistemo, poi rispondo al desiderio di una cara amica che, in un messaggio del giorno prima di entrare in valle, mi scriveva un sms così: “prendi x me un sassolino e mettilo in grotta, così anch’io sarò lì…”.Mimmo ha quasi sessant’anni, ma ne dimostra un bel po’ di più. Mi dice che ha il padre che è del sud, la madre del nord, lui è del centro. Dal suo romanesco l’avevo intuito. La sua vita l’ha divisa tra la sua città, poi Bologna, l’Umbria, Amsterdam, prima di arrivare qui “dove mi sono fermato – dice – questo posto mi ha stregato”. Mi racconta di sé, alcune metafore per dirmi del suo trascorso anarchico, del suo credo pacifista. E della sua voglia di libertà, ripetuta e rimarcata quasi con ossessione. E penso che, sì, forse a volte la libertà può davvero diventare un ossessione, che la sua estremizzazione conduce al contrario del concetto di vera libertà, finisce per essere una schiavitù. Cala la luce, il giorno sta finendo, scende la sera, poi la notte, la prima notte nella valle. Una candela illumina quanto basta per poter leggere e scrivere qualcosa. Ogni tanto ancora qualche parola, altri concetti, altre metafore. Mimmo mi chiede cosa sto scrivendo, rimango vago. Poi si disquisisce sulla pace e sulla guerra, sul bene e sul male. Spicciole filosofie sulla vita, sull’amicizia e sull’amore, sulla fede e sulle religioni, spicciole, ma ancheno… discorsi un pò scombinati, un pò no. Fuori ancora acqua e vento, mangio un frutto e qualche cracker. Il sacco a pelo poggia su uno strato di gommapiuma assai usurato. Non si è un granchè comodi, ma si dorme sereni. Albeggia e piove ancora. Non c’è orzo, quindi uno strappo alla regola e mi bevo un caffè con qualche biscotto. La zona cucina andrebbe ordinata, sicuramente pulita. Mi rimetto a leggere, quando all’improvviso un fascio di luce illumina la grotta. Il cielo si è aperto, le nubi diradate. Dal mare si leva un luminoso e bellissimo arcobaleno che s’infrange sulle alte rocce. Che bello il sole! E che favola la valle. Mi guardo attorno, giro e rigiro la testa quasi estasiato. Alla mente ricordo le parole che ho avuto per una ragazza “sei tanto bella – le dissi – nessuna come te… solo tu puoi superarti…”. Vedo la valle e penso la stessa cosa, solo lei può superarsi. Ora la luce del sole rende ancor di più tutta la sua magnificenza. Il giallo e il viola e il blu dei fiori, tutti i verdi dei prati, poi le rocce che disegnano mille forme di oggetti, di visi, di animali. Sotto il mare cristallino, oggi schiumoso perché irrequieto, che sbatte contro gli scogli e sale alto sulla spiaggia. Prendo le mie cose umide e le metto a scaldarsi al sole. Anch’io mi stendo, anch’io ho bisogno di sole. Passerò altre due notti qui. Con Mimmo e con Peter parleremo ancora di tante cose. Dell’estate che arriva e che porterà con sé la flotta di turisti che invaderanno la valle, che scatteranno foto ad ogni cosa e a loro, come si fa allo zoo. Il popolo della valle è vista come gente strana, ma è gente normale, come dice Mimmo “avemo fatto ‘na scelta diversa, embè, ce vengo io a fotografarte a casa tua?”. Ascolto, annuisco e sorrido, mi trasmette simpatia e serenità.
Sono trascorsi quattro giorni. Si, ho poi deciso di rimanere in valle una notte in più. Quattro giorni volati via, in uno schiocco di dita. Un tempo brevissimo, un tempo intenso, un tempo diverso. Carico sulle spalle le mie cose, li saluto con un abbraccio. E mentre li lascio dietro di me, mentre lascio quel paradiso, mi torna in mente un passo di “Canne al vento” di Grazia Deledda, quando Efix lascia dopo anni il suo poderino per scendere al paese: “…e andando su per lo stradone, attraverso la brughiera, i giuncheti, i bassi ontani lungo il fiume, gli sembrava d’essere un pellegrino, con la piccola bisaccia di lana sulle spalle e un bastone di sambuco in mano, diretto verso un luogo di penitenza: il mondo”. Loro, gli amici della valle, hanno deciso che non scenderanno quello stradone. Mi allontano, mi salutano di nuovo, indice e medio alto nel pugno… peace&love Mimmo, peace&love Peter, peace&love a tutti. Anacronistico? forse. Non per loro, non per me. A presto, amici della valle… A presto…
Roby Rossi