Nella terra dei Troll

Dall’estremo Nord fino ad Oslo, un tour tra natura, storia e fiaba. 24 luglio – La partenza: verso Alta Giorno della partenza per la terra dei Troll, un tuffo reale in un paesaggio fiabesco, in cui il fascino della natura è un monito all’uomo per trattarla con rispetto in pacifica e variopinta convivenza. Percorreremo la Norvegia in...
Scritto da: dunja
nella terra dei troll
Partenza il: 24/07/2007
Ritorno il: 06/08/2007
Viaggiatori: in coppia
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Dall’estremo Nord fino ad Oslo, un tour tra natura, storia e fiaba. 24 luglio – La partenza: verso Alta Giorno della partenza per la terra dei Troll, un tuffo reale in un paesaggio fiabesco, in cui il fascino della natura è un monito all’uomo per trattarla con rispetto in pacifica e variopinta convivenza. Percorreremo la Norvegia in tutta la sua lunghezza, in un viaggio di oltre 2000 km, dal nord al sud. È il 24 luglio e, in Italia, siamo in piena, calda estate. Ci svegliamo alle 5 del mattino per prepararci ad una giornata che sarà scandita da decolli e atterraggi, per arrivare fin su, nella piccola città di Alta, nel territorio lappone del Finnmark. Riusciamo a pregustare ad alta quota quel che sarà la nostra vacanza, godendoci, dall’aereo, stupendi fiordi e magnifici paesaggi, con un assaggio di Oslo, di Bodø (Buda) e di Tromsø (Trumsa), i nostri scali, finché atterriamo e siamo riportati alla realtà dal freddo pungente delle notti norvegesi. Il sole che splende nel cielo, in parte nuvoloso, delle 23.30 ci dice che abbiamo già superato il Circolo Polare Artico, oltre il quale il sole non tramonta per quasi tre mesi all’anno. Per questa sera, però, solo un po’ di meritato riposo. Ci faremo stregare da questo incredibile spettacolo naturale l’indomani, nel luogo che ne è icona e che ha istituito un rituale pellegrinaggio, Capo Nord. Con la prima delle tre auto che noleggeremo, attraversiamo la foresta di conifere che ci condurrà al nostro primo alloggio. Lungo il tragitto, siamo di nuovo piacevolmente proiettati nel mondo lappone dai numerosi cartelli di pericolo per attraversamento alci, verosimilmente l’equivalente norvegese delle pecore irlandesi. Avremo occasione di vederne a volontà pascolare nei prati brulli del nord e questo ci farà ben presto ricredere sul fatto che i nostri siano scatti rubati. Passiamo la notte in un caratteristico cottage in mezzo ai boschi, che fa capo al complesso del Gargia Fjellstue, rifugio usato come base per molte escursioni nei paraggi. C’è uno sfoggio di pezzi della tradizione Sami, qui al Gargia, ma capiamo subito che non si tratta di un’ostentazione per gli occhi avidi e pretenziosi dei turisti. Le tende Sami fuori dal capannone principale; poi la coperta appesa al muro della stanza, con frange e renne ricamate e, infine, il portachiavi in cuoio, lasciatoci dalla gentile ragazza della reception sembrano parte integrante dello stile di vita quotidiano e, al contempo, non precludono l’ingresso alla modernità e all’innovazione, per cui sempre, in questo magnifico paese, sperimenteremo il miracolo di una natura sgargiante e potente congiunta ad una estrema civilizzazione ed educazione dei suoi abitanti. La nostra camera è fredda e infestata dalle zanzare, ma fa parte dell’esperienza! Durante gli scali negli aeroporti, cerchiamo di farci un approssimativo, ma utile vocabolario fonetico delle particolari vocali della lingua norvegese: Å, che, a differenza di quanto si possa intuire, è l’ultima lettera dell’alfabeto norvegese, viene pronunciata alla pari di una “o” chiusa, come in “onesto”; Ø si pronuncia “a”; O viene pronunciata “u”; Æ tende alla nostra pronuncia della “a”. 25 luglio – Il Nordkapp Kommune Partiamo, con ancora in bocca il delizioso sapore di salmone affumicato e carne di renna – due tra le molte prelibatezze sul tavolone imbandito per la colazione. Il collega della receptionist (forse il fratello), anche lui molto giovane e, come lei, padrone della lingua inglese, ci suggerisce di visitare l’importante sito di incisioni rupestri di Hjemmeluft, vicino ad Alta, di cui, per altro, ci dà un’accurata e sapiente descrizione. Avendo, però, in programma il viaggio verso l’estremo Nord, preferiamo attenerci ad esso per procedere con più calma . Effettuiamo, quindi, un pit-stop in un supermarket di Alta, piccolo, freddo e ordinato, dove acquisto il block notes che d’ora in poi registrerà le nostre avventure di viaggio. Dopodiché, partenza per il Nordkapp Kommune, in trepidante attesa di assistere al fenomeno astronomico che ci troverà fisicamente impreparati e sconvolgerà i nostri ritmi biologici più di un qualsiasi jetlag. Il paesaggio lungo il tragitto verso Magerøya, l’isola su cui si trova il Nordkapp Kommune, è abbastanza monotono: per il primo tratto, un susseguirsi di brulle colline, che ricordano quelle delle Highlands scozzesi, più avanti, invece, i fiordi e le casette rosse e bianche sparse qua e là e sempre molto ordinate. Percorriamo i 7 km del tunnel sottomarino di Nordkapp, che si distingue per una discesa dolce, ma interminabile e un’ altrettanto lunga risalita. Paghiamo il pedaggio e, scesi dall’auto, per una sosta, respiriamo una bella boccata d’aria gelida! Ripartiamo in direzione Honningsvåg, fino allo Skipsfjorden, dove ci aspetta Silvy, proprietaria, insieme al marito, della casetta per pescatori sul mare, che abbiamo affittato per due giorni. Questo piccolo rorbu, così come vengono chiamate le tipiche palafitte in legno, ricovero per i pescatori, era stato in passato un magazzino per gli strumenti di pes ca ed ora è stato adibito a piccola casa vacanze, pur mantenendo il sapore originale di rifugio dopo la pesca, in riva al mare, in fondo ad un sentiero che scende ripido dal bordo della strada. L’assenza di riscaldamento a gas; la lampada a olio; i letti, la cucina e il soggiorno in un’area di 25 mq; il molo con il lavandino per la pulizia dei pesci; il frangersi di onde leggere e l’urlo dei gabbiani… E, dulcis in fundo, nessuna TV a distrarci dal protagonismo della flora e della fauna: davvero un rinfrescante sogno ad occhi aperti! Sembra di essere tornati bambini, ai tempi delle vacanze in montagna, quando il divertimento era camminare nei boschi o giocare a carte con i nonni in una giornata di pioggia… Ed il silenzio della natura si caricava di presenze fantastiche, che entravano in empatia con il tuo mondo interiore…È quindi d’obbligo un sentito ringraziamento ai proprietari, per l’impareggiabile esperienza che ci hanno permesso di vivere. …Mi domando ancora come possa essere soggiornare qui, nel freddo lancinante dell’inverno polare, in cerca dell’aurora boreale. Ci godiamo in pieno la vita domestica nel rorbu, ma non possiamo certo esimerci dal visitare i dintorni, a partire da Honningsvåg: centro vitale del Nordkapp Kommune, con qualche industria sullo sfondo, un mini aeroporto poco fuori dal centro, piccoli supermercati lungo la stradina principale e, naturalmente, un porto molto attivo. A Honningsvåg troviamo una vasta esposizione di pelli di renna e ci imbattiamo nell’Hurtigruten di passaggio. È il postale dei fiordi – nave traghetto, che percorre tutta la costa norvegese, con attracco in diverse località di interesse turistico e naturalistico. La crociera per eccellenza attraverso le magie dei fiordi norvegesi! Da Honningsvåg, ci spostiamo in macchina fino al paesino confinante di Nordvågen, dove due piccole pesti bionde corrono scalze per la strada (questo ed altro possono fare i bambini in simili luoghi!). Il paesino di pescatori abbandonato di Kjelvik, che sulla mappa appare lungo la strada, non lo troviamo proprio. Solo più tardi scopriamo che si può raggiungere esclusivamente a piedi. Ci prepariamo per la notte tanto agognata, quella del sole di mezzanotte a Nordkapp: dopo due ore di riposo nel nostro rorbu sul mare, partiamo così per l’estrema punta settentrionale d’Europa, a 71° 10′ 21″ di latitudine Nord. Desistiamo, in effetti, dal progetto di toccare il “vero” punto geografico più a nord d’Europa, il Knivskjellodden, che si trova a 71° 11′ 08″ di latitudine Nord. Silvy ce lo ha sconsigliato, trattandosi di una camminata di tre ore al gelo, per la quale è richiesta attrezzatura e abbigliamento adeguati. Eppure, vedremo comunque, dai finestrini della nostra calda automobile, alcuni intrepidi turisti incamminarsi in quella direzione. Lungo la strada tortuosa e senza protezioni che conduce a Capo Nord l’atmosfera è mistica: una fitta nebbia, spostata velocemente dal vento, scopre parti ancora non viste del paesaggio; la strada traccia un solco tra colline e fiordi e il sole fa capolino attraverso di essi, tanto da farci credere che ci stia conducendo in un paese fatato. Una visione onirica che, poco dopo, viene interrotta dalla sbarra di accesso a Nordkapp: 192 NOK a testa per assistere al sole di mezzanotte (il biglietto, però, è valido per due giorni consecutivi). Avvolti completamente dall’accecante nebbia, arretriamo, spinti dalla forza del vento: non capiamo dove siamo, dove andare, dove finisce la terra rocciosa e inizia il mare. Poi, una luce offuscata – quella del sole al tramonto. La nebbia e le nuvole si dissolvono d’un tratto, per svelarci il globo di acciaio con meridiani e paralleli, per cui è richiesta la foto di rito. Con il monumento di quinta, ci gustiamo il cangiante avvicendarsi della notte con il giorno: l’ ardente arancio del tramonto, che si espande come una palla di fuoco quanto più la nebbia scompare, lascia gradualmente il posto ad un sole che riappare magicamente in un cielo rosato all’orizzonte. E così, al tramonto succede immediatamente l’alba, che irradia un alone romanticamente suggestivo su tutto ciò che tocca. Uno spettacolo senza eguali! I 7°C, uniti al vento, hanno reso le mie mani un pezzo di ghiaccio insensibile al tatto… Ma ne è indubbiamente valsa la pena! Ci prende la smania di fotografare e riprendere con la telecamera tutto ciò che può attestare la nostra partecipazione a questo inusuale fenomeno astronomico, che a questa latitudine è visibile dall’inizio di Maggio, fino alla fine di Luglio: il globo, la targa con le coordinate geografiche; le sculture di recente costruzione intitolate ai bambini del mondo, con enormi monete scolpite rotolanti davanti agli occhi di una madre che guarda l’orizzonte con il proprio figlio; per ultimo, una breve e un po’ deludente visita alla Nordkapphallen, il centro visitatori, dove possiamo tuttavia rivivere, nelle rappresentazioni in carta pesta, le storiche esplorazioni del Capo da parte di re e navigatori e imbucare nella cassetta del simbolico “uffi cio postale”, qualche cartolina che attesta, con un timbro, la nostra visita al Nordkapp. Dopo mezzanotte la gente abbandona lo spiazzo, alcuni si rifugiano nei camper e nelle tende sul piazzale adibito a parcheggio. Per quanto ci riguarda, a Skipsfjorden ci attende il nostro lettino senza cuscino, né coperte. Ma, con nostro grande stupore, ci accorgiamo che non riusciamo in alcun modo a farci sopraffare dal sonno: la notte è evaporata in un istante, un nuovo giorno ha già schiuso le sue porte e le nostre membra spossate accolgono l’invito della natura, si adattano ai suoi ritmi, scacciando il torpore per affrontare un prematuro risveglio. 26 Luglio – Gli altri paesini del Nordkapp Kommune Decisamente intontiti e disorientati, partiamo alla volta di Gjesvær, piccolo paesino di pescatori e base ideale per il Birds Safari. 450 NOK a testa ci sembrano, però, un po’ troppi e quindi ci accontentiamo di qualche foto agli stoccafissi e di un caffè extra lungo. Il paesaggio circostante, in questa giornata nuvolosa, ci colpisce per le tante isolette e montagne peninsulari che si stagliano all’orizzonte, ravvivate dai colori della fila di case in legno di Gjesvær e da una pittoresca imbarcazione abbandonata che apre le porte del paese. Da Gjesvær ci spostiamo verso Kamøyvær, altro bel paesino di pescatori, dove ci imbattiamo in un bel micio, spaventato da una renna che gli taglia la strada. La giornata diventa splendidamente soleggiata e in questo colorato contesto ne approfittiamo per scattare qualche foto al porticciolo e ai pesci di ogni genere appesi ad essiccare sulle verande delle abitazioni o esposti semplicemente come addobbo o trofeo. Facciamo, inoltre, acquisti presso il laboratorio di un’artista del luogo, che vende piccole stampe molto raffinate di sua produzione, raffiguranti i paesini circostanti e la natura norvegese, dominati dal sole di mezzanotte oppure dai fasci multicolore dell’aurora boreale. Le luci, in Norvegia, stendono un velo magico su tutto ciò che ricoprono. E tutto si trasfigura in questo mistico e variopinto alone luminoso… Dopo un breve pausa pomeridiana, intervallata dagli scatti fotografici alle renne che pascolano accanto al nostro rorbu, ripartiamo alla volta di Capo Nord, sfruttando il biglietto della sera precedente. Questa volta, però, non siamo fortunati: il tempo è poco clemente e persino arrivare fin lassù in macchina è un’autentica impresa, con la bassa nebbia che ci nasconde completamente la traiettoria della strada. Una volta giunti a destinazione, possiamo comunque bearci del fatto che, noi, il sole di mezzanotte l’abbiamo già visto la notte precedente, per cui ci sentiamo autorizzati a goderci senza rimorsi, né preoccupazioni la nostra prima birra norvegese al Grotten bar, nel centro visitatori. Più tardi, spinti dal fatto che questa è la nostra ultima notte a Magerøya e confidando in un miglioramento delle condizioni atmosferiche, decidiamo di lanciarci all’avventura verso Kirkeporten, una formazione rocciosa a forma di arco, simile per forma alle falesie di Etretat dipinte da Monet, dove il sole fa capolino a mezzanotte e continua a splendere fino alle 2 del mattino. Si raggiunge con una ora di cammino su di un sentiero che parte da Skarsvåg, il paese prima di Nordkapp. Da poco esperti esploratori che siamo, però, giungiamo sì in cima, ma, ammirato l’orizzonte dalle sfumature rosee, optiamo per una scorciatoia…perdendo, così, di vista la segnaletica sui sassi, il che ci costringe purtroppo a fare marcia indietro. 27 luglio – Verso le Vesterålen: da Hammerfest a Andenes Sveglia presto, dopo una luminosa “notte” che richiede le apposite mascherine oscuranti per simulare il buio notturno e strati multipli di pile che suppliscono alla mancanza di coperte. Siamo in partenza per Hammerfest, dove ci attende il volo che ci porterà verso sud-ovest, più precisamente ad Andenes, sulle isole Vesterålen, quell’arcipelago purtroppo poco conosciuto, ma tanto fiabesco e pittoresco, quanto il più famoso delle Lofoten, da cui solo le separa uno stretto lembo di mare. Pioviggina. Percorriamo nuovamente il Nordkapptunnelen per ricongiungerci alla strada che porta ad ovest. Per tutto il tragitto, ci accompagnerà un susseguirsi di paesini celati dalle basse e fosche nuvole, la cui atmosfera pare preannunciare le sensazioni che susciterà in noi la nostra prima tappa, Hammerfest. Dicono sia la sede dell’industria Findus, questa piccola città portuale e industriale, grigia e bruttina, un po’ desolata e quasi, direi, priva di fantasia. Quando vi entriamo, cerchiamo subito il Meridianstøtten, un monumento a forma di pilastro, che regge un mappamondo commemorativo della prima misurazione scientifica di meridiani e paralleli, nel XIX secolo. In particolare vi si registra la misurazione della latitudine di Hammerfest, alla quale è stato riconosciuto lo status di città più a nord d’Europa, per la sua posizione al 69° parallelo Nord. Tanta fatica per trovare questa modesta colonna in marmo! Abbiamo, infatti, notato che in Norvegia, a differenza per esempio di Scozia e Inghilterra, la indicazioni dei punti di interesse scarseggiano. In cerca del monumento, stavamo così per addentrarci nei cantieri della Statoil, passando accanto ai dormitori, lasciandoci per un attimo il mappamondo alle spalle. Quando finalmente lo troviamo, poco distante, ci lamentiamo un po’ per lo scenario, ahimè, piuttosto squallido, tanto da non sapere quale sfondo prediligere per l’inquadratura della nostra foto. Delusi e infreddoliti, ci dirigiamo al Lufthavn di Hammerfest, un aeroporto sì, ma in miniatura e ci imbarchiamo sul volo Widerøe, diretto ad Andenes, con scalo a Bødo. Questi piccoli aerei che volano a bassa quota ci ricompensano con panorami spettacolari: erica e rocce ricoperte da alghe e torba, che alla luce del sole si specchiano nelle acque limpide e cangianti del mare. All’atterraggio sulle isole Vesterålen, un paradiso che, come detto, nulla ha da invidiare alle vicine Lofoten, dobbiamo nuovamente rielaborare il nostro concetto di aeroporto. Questa è, in realtà, una piccola stazione per collegamenti aerei di breve tratta, un po’ quello che per la terraferma sono i bus e il servizio ferroviario. Ancora inebetiti dai nuovi scenari, siamo ripetutamente rapiti da vedute e profumi da sogno. Indecisi sulla scelta, abbandoniamo poi l’idea di sederci al tavolo di un gustoso ristorante per dedicarci ad un reportage fotografico del porto, inondato dalla luce gialla e poi suggestivamente rosa del sole, che ci accompagnerà così per tutta la notte. Le montagne all’orizzonte galleggiano sopra le nuvole a strati, trasportandoci nello spazio ai fantastici paesaggi neozelandesi de Il Signore degli anelli, nella trasposizione cinematografica di Peter Jackson; un faro si erge rosso e possente nei suoi 40 metri e più di altezza, mentre sotto la sua ombra giocano i bambini in bicicletta; le barche ormeggiate in file perfette sono bagnate dai giochi di luce e il mare riflette i raggi del sole come fossero tante pepite d’oro. Sono le 23.30 ed è tempo di tornare nel nostro confortevole appartamentino a palafitta, con doccia doppia, letti soffici e un’impareggiabile vista sul molo. Dormiamo beati, senza la benché minima idea di ciò che ci attende l’indomani. 28 luglio – Andenes: il Whale Safari Il giorno scherzosamente “maledetto”. E ancor più “maledetto”, perché inizia con una malauguratamente deliziosa e insospettabile colazione a base di salmone affumicato, a cui, naturalmente è impossibile resistere. Alle 8.45 abbiamo il ritrovo al centro per il Safari alle balene di Andenes, 1590 NOK in due per l’avvistamento delle balene al largo di Andenes. È ovvio, ci attendiamo una grande avventura, che valga almeno il prezzo del biglietto. E dopotutto non saremo smentiti, perché è proprio ciò, che nel bene o nel male, ci accadrà. Siamo un folto gruppo di turisti, loquaci ed allegri, ancora persi nell’ammirazione del porto, a cui fan da cornice le sgargiantissime primule sulla veranda del centro ittico e, da accompagnamento musicale, la lamentosa e stridula colonna sonora di giovani gabbiani sull’edificio di fronte, presagio di sventura… Il safari è preceduto da un interessante excursus nel mondo dei cetacei, che ci introduce alla loro anatomia e alla loro vita di gruppo. Le balene che andremo ad avvistare appartengono, ci spiega la guida, alla famiglia delle “sperm whales”, i capidoglio, balene che misurano dai 16 ai 25 metri in lunghezza e che, a differenza delle altre, possiedono una robusta dentatura. In particolare, i capidoglio che si trovano al largo di Andenes, in corrispondenza della falda oceanica, sono maschi in cerca di cibo, giunti in questo mare per la sua ricchezza in zooplancton, mentre le loro compagne e i piccoli li attendono al sud. La guida ci assicura che avremo il privilegio di assistere dal vivo allo sprigionarsi del noto getto d’acqua dal foro sul capo della balena. Si tratta, ci insegna, dell’espulsione dell’acqua in eccesso, inghiottita durante l’inspirazione. Una volta espulsa l’acqua, continua la guida, le balene si piegano ad arco e si rituffano in profondità, dove vi rimangono dai 15 ai 30 minuti, per poi tornare in superficie a rifornirsi di ossigeno. Dunque, oltre allo spruzzo d’acqua, potremo osservare anche questo inarcamento, che compiuto da un tale enorme mammifero deve certo fare un grande effetto. Due ore prima della gita ci viene offerta una pastiglia contro il mal di mare, che noi tutti deglutiamo baldanzosi, sicuri di non avere mai avuto grossi problemi del genere in passato. Ingenui! Non sappiamo che il mare norvegese in una giornata uggiosa, su di un peschereccio, non è cosa da prendere sottogamba! Alle 11 ci imbarchiamo, quindi, sulla nave da pesca che porterà in mare aperto noi, una comitiva di spagnoli e sana gente nordica. Il mare è molto mosso e una fitta nebbia, calata dal cielo grigio, ci preclude la vista dell’orizzonte, un orizzonte che sarà presto monotono e insidioso e priverà noi, gente di terra, di ogni punto di riferimento tradizionale. La temperatura, già bassa, scende repentinamente; il vento diventa pungente e gli spruzzi salini del mare rendono appiccicosi pelle e capelli. Le guide ci mettono, persino, a disposizione delle tute impermeabili, ma informano che non ce ne sono a sufficienza per tutti. Il movimento ondulatorio del mare trasforma la barca in una gigante culla che non rallenta mai la sua oscillazione. E il bambino, preparato a sogni di avventura, si risveglia in preda ad un incontrollabile incubo. Cosicché iniziano i primi malori, il contagio si espande e l’inesperienza dei viaggiatori risulta tanto più critica, quanto più l’ardito comandante con sigaretta tra le labbra, avvezzo alle forze del mare, prosegue imperterrito la sua sfida contro una balena che non vuole farsi avvistare e ci costringe a sette, e sottolineo sette, interminabili, indescrivibili ore senza speranza, immersi nel nulla, vigliaccamente gettati in un mondo che non ci appartiene. Neanche sedersi sotto coperta arreca sollievo… …E la simpatia cresce tra i forestieri viaggiatori, accomunati da uno stesso, incontrollabile malore… Finché… Un peschereccio, che ci ha raggiunti, comunica al nostro capitano di avere avvistato una balena! Le guide ci avvertono, ci spronano ad alzarci. Alcuni di noi hanno ancora la forza di manifestare interesse verso questo spettacolo della natura, scattando foto o riprendendo con la telecamera. …Dal canto mio, con la miopia che mi induce ad uno sforzo considerevole per mettere a fuoco l’obiettivo, decido che è meglio concentrarsi sul mantenimento della situazione all’interno del mio intestino, cosa che mi richiede un’immensa dose di concentrazione! Attracchiamo, felici di avere di nuovo la terraferma sotto i nostri piedi e orgogliosi di avere resistito ad una simile avventura – noi, poveri, impreparati italiani, che gettiamo uno sguardo di rimprovero alle guide, mentre ci porgono l’attestato di avvistamento balena! Già, ci siamo avventurati nel mondo delle balene, pensando fosse come visitare un acquario? Ora ce ne rendiamo conto e capiamo anche quanto dura debba essere la vita dei pescatori, ma certo non potremmo giurare che, se ci si dovesse ripresentare l’occasione in presenza di buone condizioni atmosferiche, ci azzarderemmo a ripetere l’esperienza! Decisamente provati, ci dirigiamo alla macchina, in partenza verso Lekang, nostra prossima e, per forza di cose, breve tappa prima delle Lofoten. Sono le 18.30 e avvisiamo la padrona di casa del nostro ritardo. Attraversiamo buona parte delle isole Vesterålen, viaggiando sulle strade di Andøya, alla cui estremità settentrionale si trova Andenes, e su quelle di Hinnøya e Langøya, fino all’arrivo su Hadseløya. Ci accompagnano una continua serie di località idilliche, che scorrono veloci parallelamente alla strada: l’azzurro dei fiordi. Il verde scuro delle montagne e quello chiaro e splendente dei prati, il rosa acceso dell’erica alla base e i massi, di varie dimensioni, posizionati ad arte dalla natura tra il confine della brughiera e le acque marine, vanno a comporre un quadro di inestimabile bellezza. Siamo letteralmente affascinati da questa natura crepuscolare. Poco più in là, a completare questa visione pastorale, ci blocca la strada un gruppo di sane e grasse mucche, le cui mammelle piene di latte hanno bisogno di un sostegno ad hoc. Le guida una ragazzina a cavallo col suo seguito di bambini in bicicletta. Giunti su Hadseløya, passiamo accanto ad una bella chiesetta rossa ottagonale, situata in un parco ricco di reperti archeologici, e, dopo un lungo cercare, percorriamo il viale della “casa nella prateria” dei Rasmussen, a Lekang – una elegante fattoria a gestione familiare, con granaio e due grandi case bianche in legno. Una di esse sarà proprio il nostro alloggio per la notte! Ci stupiamo della grandezza e della cura nei particolari, per non parlare della vista da favola che ci si svela scorrendo le tende della finestra del soggiorno: atmosfere dai colori soffusi e romantici come in uno dei migliori dipinti di Turner! Per noi la casa è immensa e scopriamo, infatti, dalle testimonianze di chi ci ha preceduto, che Sonja, la proprietaria, la affitta spesso a comitive, il più delle volte di motociclisti on the road o gente del posto che vi trascorre lunghi periodi estivi. Siamo stanchi e affamati e Sonja ci consiglia di cenare al Roykyaret a Melbu, dove l’indomani ci imbarcheremo per le isole Lofoten. È un pub-ristorante molto informale, con norvegesi di ogni età e sesso seduti in veranda a ridere sguaiatamente in preda alle bollicine della birra. Ci saziamo e gustiamo la strepitosa torta alle mele calda, servita con gelato alla nocciola su letto di lamponi…Squisita! 29 Luglio – Lofoten: verso Å, nel comune di Moskenes Ci svegliamo presto per trasferirci in traghetto da Melbu, sulle isole Vesterålen, a Fiskebol, che marca il nostro ingresso sulle isole Lofoten, dove saremo benedetti da calde giornate di sole intenso e cielo terso, dovute in parte all’influsso della Corrente del Golfo. Oggi le percorriamo in automobile per 168 km, fino ad Å, sull’isola Moskenesøy, la punta estrema dell’arcipelago da cui possiamo scorgere in lontananza alcune isolette su cui nidificano varie specie di uccelli marini. Å è graziosa: un piccolo paese di pescatori con molto turismo, i rorbuer costruiti a palafitta sul mare oppure sulle rocce, qualche bella villa in collina, molte assi per essiccare lo stoccafisso e imbarcazioni ovunque. Passiamo accanto al Museo dello Stoccafisso, ma, data l’ora, non ci fermiamo, optando invece per una passeggiata in paese, bagnati da un sole che, a queste latitudini, non ci abbandona ancora nelle ore serali. Il nostro rorbu si trova nella confinante Sørvågen, paesino caratterizzato da un intenso odore di pesce essiccato (che , ci accorgeremo, persiste persino sulle nostre lenzuola, una volta disfatte le valigie in Italia!) Ceniamo in casa con polpette stile Ikea e purè di cavolo in busta. 30 Luglio – Lofoten: i paesi del comune di Moskenes, Flakstad e Vestvågøy. Con il viaggio del giorno precedente lungo la E10, ci siamo fatti un’ idea generale delle isole Lofoten: un territorio curvilineo, a cui danno il ritmo le numerose montagne intervallate dalle pianure e dai fiordi, e a cui aggiungono vivacità i centri abitati fiabeschi e di modeste dimensioni. La natura vi regna incontrastata, tanto che persino le curve morbide dei moderni e numerosi ponti che intersecano il mare si armonizzano alla perfezione con essa. I centri abitati sono molto omogenei tra di loro, con la classica ripetizione delle palafitte in legno, prevalentemente dipinto di rosso, le barche annesse e lo stoccafisso immancabilmente appeso ad essiccare (anche se non siamo nella stagione migliore per vederne in abbondanza). Questa giornata sarà dedicata alle escursioni in alcuni altri graziosi paesini dell’arcipelago, che ci sveleranno nuove magie di questo incantevole regno. Iniziamo da Reine, paese da cartolina, incorniciato da alte e scoscese montagne rocciose che si riflettono nella vasta insenatura sottostante: case in legno di ogni colore, rosso in testa, una bella chiesetta in legno bianca, che però è chiusa, e un bambino birichino che corre completamente nudo, con una scopa in mano, nel giardino di casa, facendo le smorfie a noi che passiamo e ed alla mamma, che lo rincorre disperatamente. Sul molo si sta radunando un gruppo di turisti per un’escursione in barca, ma noi ripercorriamo il breve ponte che ci ha condotti in paese e riprendiamo il nostro tour. Durante i trasferimenti non posso fare a meno di scattare foto ai magnifici panorami che fan da sfondo alla strada, obbligando il mio compagno di viaggio, nonché instancabile autista, a frequenti soste lungo il percorso: acque cristalline, cielo blu e contrasti di colore mai visti in natura prima d’ora non passano certo inosservati! Raggiungiamo le bianche spiagge di Ramberg, che invogliano ad una passeggiata sul bagnasciuga a piedi nudi. Vedere i bambini del posto fare il bagno in quelle acque gelide ci porta ancor di più, per riflesso, a sentire i brividi dovuti al freddo…Che splendida giornata, però: il sole che splende appena sopra le montagne, che, a loro volta, gettano una nitida e aguzza ombra sulla distesa di sabbia sottostante; il pic-nic sui tavoli in legno in riva al mare; il verde che ci circonda…tutto inala un senso di serenità e distensione. Poco distante, si trova la rossa chiesetta in legno di Flakstad, che si staglia con la sua guglia, che parte a cipolla, nel verde brillante di un prato immenso. Per accedervi, paghiamo 20 NOK a testa ad una ragazza avvolta in un plaid, a cui, forse, abbiamo interrotto un pisolino. A volte, la bassa densità di popolazione di questi posti può persino dare l’impressione di solitudine. L’interno della chiesetta è semplicissimo, come quello di altre chiese norvegesi viste finora e, come molte di esse, è caratterizzato dal modellino di un vascello, calato dal soffitto con una corda, a sottolineare l’attitudine alla navigazione del popolo norvegese. Riprendiamo il viaggio e sorpassiamo un cartello con l’indicazione per Skulpturland, un percorso lungo cui sono esposte le sculture di alcuni artisti contemporanei. Procediamo quindi verso Nusfjord, uno storico paesino di pescatori che potrebbe classificarsi come museo a cielo aperto, dovendo infatti pagarne l’ingresso con 30 NOK. È composto da due gruppi di case: quelle rosse che accolgono il visitatore provenendo dall’entroterra e quelle giallo ocra, che circondano il porticciolo e che creano un’insenatura di palafitte sul mare. Visitiamo la vecchia falegnameria; la casa galleggiante contenente i tipici attrezzi di ogni buon pescatore di una volta; la fabbrica di olio di merluzzo e finalmente tanto, tanto, tanto merluzzo essiccato. Ce ne sono casse intere e non si può fare a meno di osservare i solerti pescatori sbatterlo da una parte all’altra del magazzino per prepararlo al trasporto. Tutta Nusfjord è naturalmente pervasa dal persistente e intenso odore di stockfisk, a cui ormai ci siamo abituati. Sul molo, una ragazza bionda di esile costituzione mostra a turisti interessati il frutto della pesca del giorno: un grosso esemplare di merluzzo che anche lei, dopo un po’, stenta a tenere sollevato, perché decisamente troppo pesante. Facciamo infine una breve visita alla piccola e rudimentale centrale idroelettrica dell’Ottocento, che si trova nell’entroterra, presso un ruscello. Cerchiamo di calarci nel passato, ai tempi in cui Nusfjord era ancora governata da un land lord, che comprava il pescato in inverno per rivenderlo poi, essiccato o salato, l’estate successiva. Tutto ciò significava per lui non solo un possibile e ingente arricchimento, ma anche l’assunzione di un grosso rischio commerciale, a causa dell’imprevedibilità della pesca e del variare del prezzo del pesce. Vero è che i pescatori correvano ben più drammatici rischi: con le loro modeste imbarcazioni, costituivano delle vere e proprie flotte, e si allontanavano dai loro rorbu per lungo tempo, nei periodi più freddi, non sempre riuscendo a farvi ritorno, per improvvise burrasche o per le aspre condizioni di vita sulle barche. La temperatura si è incredibilmente alzata, sembra di essere in Italia a maggio…Ci spingiamo verso Leknes, seconda “città” delle Lofoten, dopo Svolvær e, all’altezza della deviazione per Stamsund, riesco a scattare la foto che mi ero lasciata sfuggire all’andata. È uno scorcio indescrivibilmente idilliaco e pittoresco, con la barchetta che si specchia, insieme alle montagne e alle colline sullo sfondo, nelle acque di un laghetto di un grigio metallico, bordato da erica fucsia e alta erba verdissima. In Norvegia si rimane stupiti per come i paesaggi ti osservino, meravigliosi e, però, pacati nella loro bellezza, e ti spingano a fotografarli senza nemmeno doverti chiedere di preparare un’inquadratura: è la sensazione di trovarsi in una terra che ti immerge gratuitamente in una fiaba e ti fa dimenticare tutte le brutture del mondo. Ripartiamo. Vorrei visitare il Museo dei Rorbu nel paesino che sulla carta dista da noi solo 6 km, ma che si riesce a raggiungere con molta fatica, dato che si rivela essere al di là delle montagne, in salita, percorrendo stradine strette e piene di tornanti. Quando ci arriviamo, scopriamo, con rammarico, che lunedì è il suo giorno di chiusura. Ci rechiamo allora a fare il check-in al camping Brustranda, un campeggio in stile puramente norvegese, che niente ha a che vedere con gli affollatissimi campeggi italiani. Il nostro rorbu è in riva al mare e possiede ogni comfort. Ci riposiamo abbondantemente, sfruttando l’occasione per prendere il sole sulla panchina della veranda. Usciamo di nuovo per una breve gita a Stamsund, importante centro per la pesca delle Lofoten occidentali. Come due spettatori al cinema, osserviamo i pescatori che puliscono il pesce sul molo giallo. E i gabbiani, che continuano con il loro stridente urlo a volar loro attorno, ricevono in cambio del molto apprezzato cibo. Che atmosfera rilassante! 31 luglio – Lofoten: i paesi del comune di Vågan Hov, che si trova su una delle punte ovest di Gimsøya, è la nostra prima tappa del viaggio di ritorno verso il Nord, a Svolvaer, dove in serata prenderemo il volo per Trondheim. Hov è uno dei centri abitati più antichi delle Lofoten, per cui ci aspettiamo di trovare reperti archeologici nei suoi pressi. Purtroppo, però, non troviamo la benché minima indicazione al riguardo. Così ci consoliamo con gli estesi campi da golf in riva al mare. Scendiamo a sud e ci fermiamo sull’isoletta su cui sorge Henningsvær, conosciuta come “la Venezia delle Lofoten” – come spesso ci accade di notare, questa definizione è decisamente inflazionata un po’ in tutta Europa, sebbene nessun paragone valga l’originalità della nostra città italiana. È però bello pensare che gli stranieri ce la invidino tanto e aspirino ad imitarla. Con queste premesse, possiamo però affermare che Henningsvær sia un paese di una eleganza quasi mittel-europea, nella sua piazzetta ricca di turisti, le abitazioni in collina e le tante barche moderne attraccate al molo. Tipicamente norvegese, invece, il resto: le casette colorate, il grande e pulito canale che riflette tutte le abitazioni che gli si affacciano sopra e, di contorno, un incredibile mare verde smeraldo, con le montagne e una piccola isoletta su cui spicca un’abitazione in rovina, forse un vecchio rorbu, danno il magico tocco finale, nordico per eccellenza. Di nuovo in strada, ci fermiamo a Kabelvåg, soleggiato paese nei pressi del quale è posta la pietra commemorativa della costruzione della strada di re Olav V, costruita durante gli anni ’60, per collegare tutte le isole dell’arcipelago, fino ad Å. La firma dorata del re Olav è scolpita nella roccia. A Kabelvåg visitiamo la chiesa di Vågan, nota con l’appellativo di “cattedrale delle Lofoten”, perché, pur nelle sue modeste dimensioni e nella semplicità di fattura, è pur sempre l’edificio religioso più grande delle isole. Costruita in legno, marrone e gialla, si affaccia, com’è prevedibile, su una lingua di mare. Per entrare lasciamo 20 NOK al ragazzino all’ingresso, un sosia biondo del famoso maghetto Harry Potter. L’interno è sobrio, ma grazioso, con l’abituale veliero appeso al soffitto per mezzo di una corda e le lavagne ai muri su cui viene riportato il numero dei salmi o canti – secondo un nostro modesto parere. Finita la visita, ci concediamo un lungo riposo al sole in un bar che si affaccia sulla piazza principale di Kabelvåg, osservando una ragazzina dai rossi capelli mentre vende le fragole ai passanti. Svolvær, che già avevamo attraversato in auto durante il viaggio di andata, ci appare sciatta e grigia. Di tipico, solo lo Svolværgejta, la montagna con la roccia a doppia punta che sovrasta il centro abitato. Tralasciamo il museo del ghiaccio, che pure dev’essere bello, per visitare la bianca chiesetta in cemento, semplice semplice e con l’ormai noto veliero che saluta il visitatore al suo ingresso. Usciti dalla chiesa, ci rendiamo conto che non possiamo essere troppo distanti dall’aeroporto, che, infatti, si trova a due passi fuori dal paese, cosa che ci lascia immaginare le sue modeste dimensioni. Ci aspetta un volo di due ore, con uno scalo e due fermate: questi piccoli aerei della Widerøe fungono proprio da treni o bus volanti, essendo per lo più utilizzati per piccoli spostamenti dalla gente del luogo. Ci riporterà sulla terra ferma, a Trondheim, e alla pioggia! Dopo l’atterraggio, ritiriamo la terza ed ultima auto a noleggio e ci muoviamo verso il centro città, pagando due pedaggi di 15 NOK ciascuno. Sono le 21 e Trondheim ci appare illuminata da una atmosfera serale molto raffinata, impreziosita da eleganti edifici ottocenteschi. Mi riempio gli occhi ora, perché l’indomani la visita sarà breve. Dopo varie vicissitudini, riusciamo ad ottenere le chiavi della nostra camera all’hotel Elgeseter, che offre, tra le altre cose, una connessione Wi-Fi gratuita. Purtroppo la nostra camera si trova al primo piano dell’hotel, che dà sfortunatamente sulla strada: diciamo addio alla pace della natura che finora ci hanno regalato i rorbu! 1 Agosto – Trondheim e Ålesund Ci alziamo prestissimo per visitare Trondheim, perché, dopo, ci aspetta un lungo viaggio verso il sud, con destinazione Ålesund. Per farci un’idea approssimativa della città ci bastano due ore di passeggiata, sotto i rintocchi di una lieve pioggia. Visitiamo la cattedrale di Nidaros, dall’antico nome di Trondheim, la cui imponente facciata in stile medievale inglese, ci colpisce molto di più che l’interno. È la cattedrale gotica più a nord del mondo e la leggenda vuole che sia stata costruita sopra la tomba del santo Olav, diffusore del cristianesimo in Norvegia al suo ritorno dal continente, il che l’ ha resa la meta preferita dei pellegrini nordici. Originariamente di culto cattolico, si convertì al luteranesimo dopo la riforma del 1537 e fu sede dell’incoronazione dei sovrani norvegesi fino al 1908 (ora viene invece utilizzata per la loro consacrazione). È curioso che il tetto della cattedrale, che crollò in seguito ad un incendio nel 1500, non fu più ricostruito se non a partire dalla fine dell’Ottocento. Con la sua maestosità, questa cattedrale avrebbe forse avuto più fascino così scoperchiata; ma i norvegesi preferirono conservarne i pezzi autentici nei musei e restaurarla scrupolosamente nel corso di quasi un secolo, terminando i lavori nel 1983. Dietro ad essa, sulle sponde del fiume Nidelva, si trova il palazzo del vescovo, ma, più piacevole alla vista, un panorama stupendo dell’altra riva della città, indicato magistralmente da due grossi cannoni rossi sul prato del palazzo. Facciamo quattro passi nella Bakklandet, quartiere grazioso e floreale. Vi arriviamo superando il ponte antico, Gamle Bybro, con la nota struttura in ferro rosso sullo sfondo del Bryggen, che, se solo fosse illuminato dai raggi del sole, brillerebbe di colori sgargianti: case e magazzini a palafitta, rigorosamente in legno, che si affacciano sull’acqua. L’ultima nostra tappa è la Var Frue Kirke, che raggiungiamo passeggiando per le strade della città, dove è in corso l’allestimento per un festival musicale. È evidente che Trondheim sia una città vivace, giovanile e ricca di negozi. Torniamo alla macchina e partiamo per Ålesund, via Kristiansund e Molde, percorrendo un itinerario in mezzo ai boschi, lungo strade d montagna a tornanti, che non ci permettono di vedere il paesaggio circostante. L’intenzione sarebbe quella di guidare sulla famosa Atlanterhavsveien, la strada atlantica, un’ autentica montagna russa di ponti che si inarcano sinuosamente per 8 km tra le isolette subito al largo di Kristiansund. Per colpa, però, della nostra sbadataggine, della tecnologia di navigazione satellitare e, probabilmente, dell’assenza di indicazioni stradali pertinenti, ci accorgiamo troppo tardi di avere percorso la via ad essa parallela, che pure è molto più lunga e, seppure con notevole titubanza, decidiamo che è meglio procedere oltre, data l’ora. Ci ripromettiamo di rivederla presto, in uno dei nostri prossimi viaggi. Arriviamo a Molde, la città dei fiori e del jazz, e, prima di imbarcarci per Vestnes, saliamo in auto al punto panoramico di Varden, 400 metri sopra la città e ci godiamo il bel panorama di isolette che ricoprono tutta la distesa del fiordo sottostante. Una volta sbarcati a Vestnes, ci piacerebbe fare immediata tappa al nostro albergo, il Sundefjord Hotel, ma non ci sono indicazioni e l’insegna dell’albergo non si vede. Proviamo a chiedere informazioni ad un signore che in tutto e per tutto ci ricorda il Christopher Lloyd, alias Doc, di Ritorno al Futuro di Zemeckis. Carpiamo da lui qualche nuova informazione e ci rimettiamo in viaggio, finché il fiordo ci sbarra il cammino, trattenendoci di fronte ad un romantico e grande edificio in legno bianco, con dondoli e fiori su di una veranda che si affaccia su un’insenatura, punteggiata di barche e rorbu. Ancora, però, nessuna insegna. Rassegnati, vi entriamo per chiedere informazioni in reception: ci accoglie una bucolica lady norvegese di mezza età, con treccine bionde sul capo che ci comunica con gioia che, wow, è proprio questo il nostro albergo! L’insegna è assente per via della ristrutturazione, come gentilmente ci spiega e si scusa la signora, che si offre volentieri di darci qualche suggerimento per la visita dei fiordi il giorno seguente (fortunatamente abbiamo l’attracco di uno dei primi traghetti proprio fuori dall’albergo). La stanza che ci dà è da sogno e pulitissima. Peccato che la vista sia verso i monti e non verso il porticciolo; ma, data la gentilezza con cui ci viene mostrata anche la camera opposta alla nostra, che dà proprio sul mare, decidiamo che ci basta ammirarla, rimanendo estremamente soddisfatti della nostra e colpiti dalla disponibilità della proprietaria. Il tardo pomeriggio e la sera sono dedicati esclusivamente ad Ålesund, una perla in stile Art Nouveau, sofisticata e pennellata da colori pastello. Fu così ricostruita dopo l’incendio del 1904, che la rase al suolo, distruggendo quella che in precedenza fu sostanzialmente una città di pescatori, costruita in legno. Il canale di mare che la taglia in due, il sole al tramonto che fa luccicare d’oro e d’argento le acque e dona, col faro in lontananza, un’ atmosfera di caldo silenzio, il verso piangente dei gabbiani in volo davanti a questo spettacolo di luci e ombre…tutto contribuisce a fare di Ålesund una città fiabesca. Saliamo per le strade della città, fino a raggiungere l’originale chiesetta in pi etra, che però è già chiusa; passeggiamo poi lungo le strade del porto, con le case in legno dalle finestre adorne di fiori dai colori vivaci; camminiamo lungo il molo e ammiriamo, sull’altra sponda, la collina con il centro Fjellstua, da cui si ammira la città dall’alto; sotto, il monumento ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, con un uomo che, trasportato dalla prua di un simbolico vascello, scruta l’orizzonte. 2 agosto – Geirangerfjorden Al mattino prendiamo il traghetto dal molo lì accanto, accorciando così il giro preventivato per raggiungere lo stretto Geirangerfjorden, patrimonio dell’Unesco e noto per essere la quintessenza del fiordo norvegese. La gita ideale implicherebbe salire a Andalsnes e da qui percorrere la panoramica Golden Route, costituita dal tratto della Trollstigveien, il sentiero dei Troll, e della Ørnveien, la strada delle Aquile, ma il tempo non è clemente con noi e non vale la pena allungare la strada col rischio di non gustare appieno le sue attrazioni paesaggistiche. Per cui ci spostiamo in traghetto da Solavagen a Festoya e di qui a Hundeidvika, scendendo poi in auto fino a Hellesylt, dove riusciamo a imbarcarci al volo sul traghetto che attraversa il fiordo. Rimaniamo sopra coperta per tutto il viaggio, in balia del freddo e della pioggia, per vedere e fotografare le montagne che si intersecano con le acque, le vecchie fattorie abbandonate incredibilmente abbarbicate sul pendio scosceso delle rigogliose montagne, le cascate delle Sette Sorelle e quella imponente del Suitor, che le corteggia dalla opposta parete di roccia. Sulla nostra destra una canoa che costeggia la montagna; sulla nostra sinistra, ormai conclusa l’escursione, i tornanti stratificati della strada delle Aquile. Approdiamo nell’eccessivamente turistica Geiranger e, salendo di quota, ci godiamo una vista mozzafiato del fiordo dalla roccia di Flydalsjuvet, da cui sgorga un’ altissima cascata. Il fiordo sembra venirci incontro, con le sue curve ondose solcate dai traghetti. Non oso immaginare cosa possa offrire una gita sul fiordo in una giornata soleggiata! Riprendiamo il viaggio e raggiungiamo in macchina gli oltre 1000 mt di quota, incrociando il rifugio Djupvasshytta, da cui parte la salita per la cima del Dalsnibba (1476 mt) – si paga un pedaggio, per percorrere la strada sterrata che porta fino in cima, ma le nuvole grigie che ci sovrastano sono un valido motivo per non procedere oltre. Ci muoviamo in auto in mezzo alle montagne e tocchiamo persino la neve, potendo così definire la nostra vacanza un’avventura per tutte le stagioni! Scendiamo verso Byrkjelo, dove si trova il prossimo rifugio per le nostre membra stanche, incrociando paesi immersi nel verde delle valli e dei laghi, in cui l’acqua dolce dei ghiacciai si mischia a quella salata del mare. Le temperature si sono abbassate ulteriormente, fino a toccare 7°C e la pioggia è persistente. Dopo un lungo girovagare, arriviamo al SandalGard Turisme dove ci accoglie l’ospitale padrona di casa, i cui figli hanno studiato in Italia. Ci fa entrare in una saletta dove sono esposte pelli di pecora, oggettistica varia in legno, foto… Scopriremo che è la sua famiglia a produrre questo tipo di artigianato, lo stesso che troveremo poi nella nostra casetta Annestova, l’alloggio riservatoci per la notte. È deliziosa: su due piani, con simpatici animaletti intagliati nel legno e inseriti qua e là nelle fessure delle travi, i fiori di campo sul davanzale della piccola finestra della cucina e caldissima pelle di capra sulle sedie in paglia. Basta veramente poco per rendere queste case accoglienti, ma ci vuole arte, l’arte della semplicità e della discrezione. E l’amore per le tradizioni e la vita a contatto con la natura. E pensare che questi norvegesi, che vivono quasi in isolamento, con il vicino più prossimo distante a volte almeno mezzo chilometro, hanno un altissimo senso sociale (certo molto più sviluppato del nostro di italiani del Nord), la capacità di farti sentire a casa tua. È logico che, come per ogni luogo isolato (lo abbiamo visto anche in Irlanda),prima o poi viene il tempo in cui, ci dice la padrona, i giovani se ne vanno, trasferendosi in città o all’estero, in cerca di una vita più ricca di occasioni lavorative o di studio, senza tralasciare il divertimento. Cuciniamo il nostro baccalà surgelato, acquistato al supermercato e poi guardiamo in tv due videocassette: una descrive la regione del Sogn Og Fjordane, in cui ci troviamo; l’altra è la documentazione della costruzione, tutta domestica, del cottage Annestova. Seguiamo la costruzione delle pareti e il successivo assemblaggio con il tetto, fino alla realizzazione di una struttura compatta, che poi viene trascinata sui tronchi fin sopra alle fondamenta. È un duro lavoro, che implica non poche difficoltà, poiché è facile rovinare le assi alla base. Alla fine, comunque, tutto va per il meglio, tra le incitazioni e le indicazioni dei familiari e la casetta viene posizionata sopra alla piattaforma in cemento. Terminata la visione, la stanchezza si impadronisce di noi, perciò saliamo in mansarda, dove ci aspettano i materassi appoggiati sul pavimento e dei piumoni morbidissimi. 3 agosto – Il Sogn og Fjordane Ci alziamo in preda al caldo e con la schiena un po’ provata. I miei preparativi sono lunghi, volendo scrivere due righe sul guest book, ma poi finalmente usciamo di casa, riportiamo le chiavi alla nostra ospite, sempre gioviale e gentile e buttiamo la pattumiera accumulata nei molteplici cesti della raccolta differenziata. Qui in Norvegia sono così rispettosi dell’ambiente da distinguere, all’interno di ogni famiglia di materiali, delle specifiche categorie di raccolta in base alla composizione e all’ uso che se ne è fatto, segno di civilizzazione, intelligenza e buon senso. Ci dirigiamo verso Fjaerland, per un viaggio tra le montagne, rallegrato, questa volta, da qualche raggio di sole. Mi aspetto di vedere il ghiacciaio che fa da sfondo al Fjaerlandfjorden, ma quando vi arriviamo, riusciamo a trovare solo il Museo dei ghiacci. Decidiamo, così, di visitare il grazioso e piccolo villaggio di Fjaerland, tagliato fuori da ogni collegamento stradale fino ai tardi anni ’80 del secolo scorso. Tre cose ci colpiscono qui: il bell’albergo Mundal, che ci fa tornare alle mente, non so perché, l’hotel maledetto dello Shining kubrickiano; i molti capannoni per il bestiame, arrangiati come librerie e negozi di antiquariato, con piccole succursali per strada (“stand” incustoditi, che vendono l’usato a 10 NOK, affidandosi all’onestà del cliente!); e la bella chiesetta in legno rossa, coi fiorellini di campo sull’altare e appesi alla croce, dimostrazione di una semplicità che dovrebbe regnare in ogni luogo di culto. Ci dirigiamo verso Sogndal, dopo avere pagato un pedaggio di ben 160 NOK e vi troviamo una gradevole temperatura di 18 gradi, che compensa la delusione per un paese poco degno di nota, forse perché la Norvegia ci ha finora abituato troppo bene. Una veloce spesa al supermercato e poi via, alla volta di Hella, costeggiando il Sognefjorden, lungo oltre 200 km e intravedendo il braccio dell’Aurlandsfjorden. A Hella, tagliamo il fiordo con una breve traversata in traghetto, grazie alla quale abbiamo la possibilità di ammirare, di fronte a noi, l’imponente e magnifico hotel ottocentesco Balholm, a Balestrand e, virando a sinistra, la bella Kvinnafossen, una cascata alta 120 mt. Sbarchiamo a Vangsnes, dove saliamo in cima ad una collina per inginocchiarci ai piedi dell’imponente statua dell’eroe mitico Fridtjov, che domina il panorama dei fiordi dai suoi 26 metri di altezza. Ci attende Vik, con la bella Stavkirke (chiesa in legno, di origine medievale) di Hopperstad, che soddisferà proprio tutte le nostre aspettative, sebbene ci risulti difficile trovarla. Quanto è bella, perché unica, mai vista, restaurata eccellentemente e ancora in piedi grazie alle cure di un grande uomo. Sì, perché alla fine del 1800 l’architetto Blix se ne prese a cuore le sorti e la salvò dalla sicura demolizione, a cui l’avevano destinata gli abitanti di Vik. Talmente abituati alla sua vista e così desiderosi di vedere costruire, in sua vece, la nuova e più moderna chiesa, avevano letteralmente perso di vista l’incommensurabile valore storico di questa piccola chiesetta medievale, che oggi, insieme alle poche altre chiese di legno sopravvissute, è monumento nazionale. Del resto, perché biasimarli, se la chiesa in progetto avrebbe assicurato loro un riparo da freddo, umidità e pioggia a cui li aveva obbligati per secoli l’altra chiesa? Totalmente costruita in legno, secondo la tradizione, rimaneva, infatti esposta alle intemperie e alle muffe, che rapidamente prendevano il possesso delle sue tante travi, incastrate tra di loro. La chiesa di Hopperstad fu così restaurata dall’equipe di Blix secondo i canoni medievali, prendendo a modello la stavkirke di Borgund, che si trova non molto distante da questa, in linea d’aria. Blix eliminò le modifiche che erano state apportate alla chiesa nel corso dei secoli, per ridarle l’originale tono medievale, che ancora si sente nei suoi interni bui e spogli, dominati dall’altare a forma di baldacchino intagliato nel legno. Il tetto della chiesa si allunga verso il cielo, come un’aguzza pagoda buddista, anelando a Dio, mentre simboli pagani, nella forma di dragoni, spuntano sulle estremità del tetto e colonne con incise foglie e ramoscelli accolgono il visitatore, contornando la bassa e stretta porta d’ingresso. All’esterno, un colonnato che circonda la chiesa è interamente percorribile e mostra, attraverso le colonne, le tombe restanti del cimitero su cui fu costruita la chiesa (anche se molte delle altre tombe sono piuttosto recenti e vanno a costituire un piccolo camposanto). Sembra di essere tornati indietro nei secoli, non fosse per i nostri continui scatti fotografici e per le riprese, che tolgono un po’ di sacralità al luogo. Ma, tra di noi, manteniamo il silenzio, in ossequio a questo umile monumento. Anche la poco distante Hove Steinkjerke (in pietra), che ci apprestiamo a visitare, è di epoca medievale e fu, come l’altra, amorevolmente ristrutturata dal sempre solerte Blix. E pensare che le due chiese gli furono vendute dal comune di Vik per soli 1000 NOK attuali! Ma la storia è ben più lunga e ricca di leggende. Si narra, ad esempio, che la costruzione della chiesetta di Hove fu presa in carico da un carcerato, come riscatto per la concessione della libertà. Costui si recò a Hove per pensare, quand’ecco che uno straniero gli si presenta e si offre di costruire per lui la chiesa. Ma ad una condizione: che il condannato indovini il suo nome, prima che la chiesa sia completata. L’accordo è fatto, ma subito la disperazione di non potere indovinare il nome dell’oscura figura si impadronisce dell’uomo. Senza più speranze, si allontana per riflettere sul da farsi, finché il suo pianto non viene interrotto da una voce di donna. Sembra stia rassicurando il figlio affamato, dicendogli: “Non preoccuparti piccino, tra poco tuo padre Ivvek tornerà a casa con carne umana”. Il condannato scatta allora in piedi e corre freneticamente verso la chiesa, urlando verso l’alto: “Ivvek, Ivvek!”. Al che, l’uomo, che stava sul campanile, inclinato verso est, perdette l’equilibrio, cadde e morì! Ma tornando alla storia, nel 1800 Blix partecipava ai lavori di ristrutturazione dell’Hakonshallen di Bergen, per la quale aveva fatto richiesta di steatite, da usare per alcuni dettagli architettonici. Si presentò, in risposta al suo annuncio, un mercante di Vik, che gli offriva quella stessa pietra, per di più già lavorata. Blix, che stupido non era, sospettò, dietro la proposta, il saccheggio di un qualche reperto archeologico, per cui si diresse immediatamente a Vik per verificare di persona. Le pietre del mercante provenivano, come supposto, da una chiesetta medievale del 1170, quella di Hove! Fu così che l’architetto riuscì ad acquistarla e a restaurarla, facendo inserire semplici affreschi medievali sulle sue pareti. E secoli dopo, questo protettore delle arti, giace ancora in questa piccola chiesetta ed è ricordato con gratitudine a Vik attraverso una statua in suo onore, così come ci narra il ragazzino paffuto che guida i visitatori nella piccola chiesa. Terminata la nostra visita a queste due piccole perle architettoniche, riprendiamo il tragitto verso Voss, la nostra ultima meta della giornata. Saliamo in alta montagna, si abbassa la temperatura e ci troviamo di nuovo a tu per tu con la neve, su uno dei passi più elevati della Norvegia. Ci imbattiamo in casette e piccoli rifugi di montagna molto distanti l’uno dall’altro, immersi nella neve. Lo stesso, più a valle, dove vediamo pascolare le mucche in prati verdi, scoscesi e umidi. Giungiamo a Voss intorno alle 17, per cui troviamo già chiusi sia il Folksmuseet, sia la chiesa medievale in pietra, col tetto in legno, che proprio ora stanno riverniciando. Voss non è niente di eccezionale, per quel poco che abbiamo visto, ma dicono sia al suo top nel periodo invernale, grazie agli impianti di risalita. D’estate, invece, tanto paracadutismo, bungy jumping e kayaking. 4 agosto – Bergen La nostra destinazione odierna è Bergen, 165 km a sud di Voss. Purtroppo il risveglio è oscurato da un cielo ricco di pioggia, che non ci abbandonerà per tutta la giornata. I paesaggi lungo il tragitto ci appaiono offuscati da questo tempo inclemente, per cui varchiamo l’ingresso della città, che fu centro amministrativo della tedesca Lega Anseatica, senza una precisa idea di ciò che la circonda. Per entrare in città si paga un pedaggio, che verrà incorporato nel conto del noleggio dell’auto. Abbiamo scelto un albergo che si trova un po’ fuori dal centro, dalla parte del Bryggen, ma, dato l’acquazzone in atto, approfittiamo delle ultime ore prima della riconsegna dell’auto per visitare il decentrato Akvariet, poiché camminare per la città sotto lo scrosciare della pioggia e nel freddo pungente non sarebbe per nulla gratificante. Dicono che quello di Bergen sia uno dei maggiori acquari europei, con la più grande esposizione di pesci d’acqua dolce e marina. Nelle vasche esterne – sotto la pioggia! – possiamo ammirare, da una parte, i pinguini, grandi e piccini, che mangiano con gusto i pesci dati loro dai veterinari e, nell’altra vasca, l’esibizione delle foche giocherellone, che si guadagnano il cibo con i loro salti e il saluto con la pinna ai turisti. Decisamente un affascinante viaggio nel mondo acquatico…e si torna un po’ bambini! Scendiamo finalmente verso il porto di Vågen, al popolarissimo mercato del pesce, che ogni giorno attrae frotte non solo di turisti, ma anche di studenti provenienti da ogni parte del mondo, che invece di gustare le prelibatezze del mare norvegese, si mettono il grembiule e stanno dall’altra parte delle barricate, comportandosi da veri e propri venditori ambulanti. Le bancarelle, del resto, offrono, a grandi linee, la stessa merce, per cui bisogna in ogni modo cercare di tirare acqua al proprio mulino. Certo, per sentirci veri viaggiatori, avremmo preferito ricevere il salmone, i gamberetti e la speziata e scura carne di balena (per altro poco gustosa) dalle mani di un indigeno, piuttosto che da quelle di un italiano… Ma va bene lo stesso, perché il pesce, seppure un po’ costoso, è buono e riusciamo a gustarlo in piedi, nonostante la pioggia trapeli ogni tanto dai pesanti tendoni. Con lo stomaco pieno passeggiamo lungo il quartiere del Bryggen, quell’insieme di antichi magazzini medievali, dalle facciate in legno colorate e patrimonio dell’Unesco, che funsero da piattaforma per i commerci della Lega Anseatica in Norvegia. Ora, questa fila di edifici dai tetti spioventi è il contenitore di negozi di souvenir e pelletterie, ristoranti e piccole gallerie dalle insegne pittoresche e attraenti. Entriamo nei vicoli e ammiriamo le travi in legno che li costituiscono, le scale storte e gli stretti pertugi, immaginandoci mercanti e marinai del tempo che, indaffarati, si spostano nei vicoli e trattano con i loro clienti. Scarichiamo le valigie in albergo e restituiamo la macchina presa a noleggio. Chiudono la nostra giornata un giro a piedi per la zona della città opposta al Bryggen, e, poi, sul lato opposto della baia, una visita dei medievali Hakonshallen e Rosencratztarnet, che furono parte della vecchia fortificazione del castello di Bergen. 5 agosto – La Flåmsbana Siamo in viaggio per Myrdal, dove saliremo sul verde treno della Flåmsbana, la storica ferrovia che collega la montagna con i fiordi, percorrendo un tragitto che in soli 20 km presenta un dislivello di 800 metri tra il punto più alto, Myrdal appunto, e quello più basso sulle rive del fiordo, Flåm. Questa mattina ci siamo svegliati all’alba, perché senza auto siamo stati costretti ad attenerci agli orari dei bus. Diluvia. Arriviamo alla stazione di Bergen prima delle 9, ma il treno per Myrdal parte alle 10.28, quindi, sfidando la pioggia, decido di approfittarne per una visita veloce alla cattedrale di Bergen, la cui costruzione risale al 1150. Lungo il tragitto, passo anche accanto ad un bel cortiletto, su cui sbuca una stradina di vecchie case in legno. Piove, continua a piovere, piove sempre di più e io, con il solo k-way e senza ombrello, faccio in tempo a entrare in chiesa prima che inizi la messa e poi, via di corsa alla stazione. Non riesco a scattare nemmeno una foto, a causa della pioggia che scende di traverso, bagnandomi la macchina fotografica! In stazione, mi cambio i vestiti e le scarpe nei bagni a pagamento (che però non sono affatto ben tenuti), quindi saliamo sul treno. Il cielo è grigio e dai finestrini si vede poco o nulla: solo pioggia trasportata dal vento, nuvole e nebbia. Peccato non potere apprezzare questo viaggio. Arriviamo a Myrdal: siamo a quasi 1000 mt di quota, come attesta la montagna innevata proprio all’uscita della stazione, lì dove iniziano i binari della Flåmsbana. Saliamo sul treno verde scuro, dopo esserci liberati delle nostre valigie, che lasciamo in biglietteria per qualche corona, e ci accaparriamo due posti vicini ai finestrini, prima che il treno si riempia. La Flåmsbana viaggia lentamente, per lasciare ai passeggeri il tempo di gustare appieno il panorama montano, fatto di montagne sbiancate da irruenti cascate e valli solcate da copiosi torrenti. Ma la cosa veramente originale è potere vedere tutto ciò dall’alto, e, voltando lo sguardo verso i chilometri già percorsi, osservare il tragitto che si snoda come un serpente sui fianchi delle montagne, attraverso gallerie la cui struttura in legno riporta indietro nel tempo, donando a tutto quello che ci circonda, compreso il controllore in gilet viola, un sapore di tempi passati, come fossimo in un film. Di tunnel, tra quelli di legno o nella roccia, ce ne sono una ventina, per cui non sempre riusciamo ad avere una buona visuale del paesaggio. Per questo il treno rallenta in punti particolarmente panoramici, accelerando dove invece c’è meno da vedere. Una sosta decisamente e meritatamente lunga è dedicata alla Kjosfossen, un’impetuosa cascata i cui spruzzi arrivano fino al treno. I turisti possono scendere dalla Flåmsbana su una larga pedana in legno, da cui riescono ad ammirare da vicino la potenza che la natura sprigiona in questo maestoso getto d’acqua. E rimarranno tanto più stupiti e affascinati per un altra magia: al suono di una musica suggestiva, appare all’improvviso, dalle rovine accanto alla cascata, una danzatrice dai lunghi capelli biondi che si muove tra i ruderi di una vecchia malga. È la ninfa dei boschi, la cosiddetta Hulder, bellissima, ma ingannatrice: ha, infatti, schiena ispida e coda villosa. Leggende a parte, scopriremo poi, nelle nostre riprese, che si tratta di un uomo con parrucca bionda, imbottitissimo sotto l’abito viola fluttuante, per ripararsi dal freddo e dagli spruzzi. Il viaggio procede, tra piccole stazioni in legno di colore giallo e paesini montani immersi nel verde e dura, come previsto, 50 minuti, dopo i quali arriviamo a Flåm, sulla punta dell’Aurlandsfjorden (qui parte un traghetto per un gita sul fiordo, ma anche una bella crociera di 7 ore e mezza con destinazione Bergen). Visitiando il museo gratuito della Flåmsbana, abbiamo l’occasione di scoprire che la ferrovia fu costruita tra il 1924 e il 1944, subito dopo l’inaugurazione di quella di Bergen, agli inizi del Novecento. Torniamo a Myrdal e qui saliamo sul treno che ci condurrà a Oslo, ultima nostra tappa, quella che ci riaprirà gradualmente le porte al tran tran quotidiano in cui ci ritufferemo una volta tornati a casa, quando la magia della vita a contatto con la natura rivivrà solo nei ricordi di questo viaggio. Quanti paesaggi tipicamente norvegesi e favolosi segnano la via del lungo tragitto verso Oslo! Sembra di vedere, una diapositiva dopo l’altra, il documentario riassuntivo del nostro tour, che rende vivi e vissuti quegli incredibili scatti fotografici visti tante volte nei reportage giornalistici di viaggio: casette bianche, rosse e marroni sparse su colline d’erba e roccia, intervallate da specchi d’acqua e ruscelli oppure dai boschi…Peccato dovere gustare di sfuggita queste meraviglie… Ci fermiamo a Festness, la stazione che, a 2000mt di quota, è classificata come la più elevata stazione europea. Più avanti scorriamo accanto ad un paesaggio puntellato di betulle, mentre un incredibilmente loquace passeggero tedesco, con i 3 figli al seguito, si diletta in foto di ogni genere, dicendo che conviene approfittare ora che il paesaggio non è innevato per catturare ciò che più tardi gli si nasconderà solo sotto. In serata arriviamo a Oslo. È buio. Arrivati all’hotel, gestito da personale molto giovane e professionale, ci buttiamo sotto le coperte. L’indomani ci aspetta un denso tour di questa bella e grande città, che, per nostra fortuna, sarà inondata da un magnifico sole estivo. 6 agosto – Oslo Oslo ha molte attrazioni, ma siamo costretti a fare una cernita, perché il tempo rimastoci è poco. Usciamo dall’ hotel, dopo una gustosa colazione e, riscaldati dai raggi di un sole accecante, ci dirigiamo verso l’Aker Brygge, che costeggia il fiordo di Olso, incrociando qua e là per la strada lavoratori norvegesi diretti in ufficio. Il molo è ricco di ristoranti e più tardi si riempirà di gente. Come prima cosa, una volta superata la geometrica Radhuset (il municipio, dove si tiene, tra le altre cose, la consegna del premio Nobel per la pace), entriamo all’Akershus Slott, il castello-fortezza medievale che si affaccia sul porto di Oslo. Molto ben tenuto, risalta per il suo contrasto tra la pietra rossiccia delle pareti e il verde-azzurro dei vari tetti. L’entrata all’interno delle mura è completamente gratuita e ci delizia con una bella passeggiata nel verde, mentre le guardie marciano accanto a noi e danno il cambio ai loro colleghi. Entriamo nel cortile, dove si può accedere alle stanze del palazzo, che però decidiamo di non visitare per andare a prendere l’imbarcazione che ci porterà a Bigdøy, l’elegante quartiere residenziale di Oslo, sede di alcuni importanti musei che illustrano i punti cardine della storia e cultura norvegese, dai vichinghi alle spedizioni ai poli. Qui visitiamo il Norsk Folksmuseum, un immenso spazio in cui la storia norvegese si snoda attraverso l’evoluzione delle abitazioni e degli edifici di culto e commercio, ricostruiti con i materiali originali, per ricreare regioni, quartieri e piazze, in cui l’atmosfera di un tempo è ricreata da abili attori in abiti d’epoca, che ballano, suonano e coinvolgono il pubblico. Visitiamo le case di legno con i tetti erbosi, i granai, le fattorie e i magazzini; la vecchia Christiania (così come Oslo fu chiamata dopo l’incendio del 1624), con le sue case in pietra per contrastare la forza del fuoco; la Oslo delle taverne e quella più moderna, con le sue attività commerciali e la pompa di benzina degli anni Venti. Gustiamo una torta appena cotta in un antico forno; balliamo, accompagnati dal violino di un musicista dalle guance rosse e i boccoli biondi; seguiamo il carro, che attraversa il villaggio; sbirciamo nella mensa antica e nell’aula di una vecchia scuola, soffermandoci sui bambini che danzano insieme alle maestre in cortile; visitiamo la medievale chiesa in legno di Gol e ci abbassiamo per entrare in una tenda sami. Poi lasciamo il museo del folklore per andare a ritroso nel tempo, fino all’era dei vichinghi, la cui navi sono state incredibilmente riassemblate all’inizio del Novecento utilizzando i pezzi originali e resistentissimi, conservatisi nel terreno, sotto un tumulo funerario (una delle navi in mostra faceva, infatti, parte di una enorme e ricca tomba vichinga). Infine, facciamo un salto in avanti nel tempo, nel museo del Fram, la nave di costruzione scozzese che permise numerose spedizioni ai poli da parte degli esploratori Nansen, Sverdrup e Amundsen e che, nel 1911, con la sua linea smussata e la sua resistenza ai ghiacci, diede all’ultimo di essi quel che gli serviva per sconfiggere i ghiacciai antartici e conficcare la bandiera norvegese in suolo inesplorato. All’esterno del museo, si trova la Gjøa, l’imbarcazione con cui Amundsen compì le sue prime esplorazioni in Artide. Fu con questa imbarcazione che l’avventuroso norvegese scoprì il Polo Nord magnetico e attraversò il cosiddetto passaggio a Nord-Ovest, immagazzinando, inoltre, grazie all’amicizia instauratasi con le tribù eschimesi del luogo, quei preziosi insegnamenti, che gli sarebbero stati di importanza vitale nei successivi viaggi. La navetta ci riporta verso il municipio, dove ci concediamo un attimo di relax nei giardini laterali. Dopo una breve passeggiata in centro, prendiamo i mezzi – metro e bus – per raggiungere il VigelandsParken, che si trova un po’ decentrato. Ci attende una lunga camminata, ripagata, alla fine, da una immensa distesa verde, che ricorda ciò che, per noi, può essere il Parco di Monza, luogo di incontro nelle domeniche estive, ma in più arricchito da un’infinita serie di statue contorsioniste, catturate in movimenti energici o intrecciate tra di loro nella bellissima colonna umana dal retrogusto erotico. Eretto su uno spiazzo a nord del parco, questo cosiddetto Monolite è annunciato da una fontana, da una ruota di corpi e da aiuole sgargianti e ben curate. Naturalmente, tutto opera del grande scultore Vigeland. Torniamo in hotel, dispiaciuti di non avere visto di più di questa nordica città , ma contenti delle buone scelte fatte. Torneremo a Oslo per visitare il museo che raccoglie le opere di Munch e le molte altre attrazioni ancora inesplorate. Il nostro tour della Norvegia si conclude, così, solo sulla carta, perché i nostri cuori rimangono affascinati da questo fantastico paese, incredibilmente ricco sotto ogni punto di vista. Paese di miti e di fiabe, di storia e di leggenda, di suoni e di colori, che sempre risalteranno e faranno sbiadire quelli di altri paesi messi a confronto; paese di intenso connubio tra uomo e natura, in cui ognuno trova il suo spazio nel rispetto dell’altro; paese di civilizzazione estrema, onesta, discreta e pacatamente orgogliosa di se stessa; paese di serenità e intraprendenza, di silenzio e socievolezza. Di tutto questo è piena la Norvegia, di un’armonia che risuona dolce come il Mattino di Grieg, dall’alba… al tramonto… che, per noi, è valso un eterno risveglio.


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