Paucartambo

Paucartambo, Fiesta de la Mamacha del Carmen 15 luglio. Partenza da Cusco in camion-bus. Dopo qualche chilometro, ci fermiamo ad Oropesa, la capitale del pane. Durante i primi anni della dominazione spagnola, Oropesa divenne sede di un marchesato e la prima marchesa fu nientemeno che una stretta parente di S. Ignacio de Loyola, fondatore...
Scritto da: gabrielepoli
paucartambo
Partenza il: 15/07/2004
Ritorno il: 20/07/2004
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
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Paucartambo, Fiesta de la Mamacha del Carmen 15 luglio. Partenza da Cusco in camion-bus. Dopo qualche chilometro, ci fermiamo ad Oropesa, la capitale del pane. Durante i primi anni della dominazione spagnola, Oropesa divenne sede di un marchesato e la prima marchesa fu nientemeno che una stretta parente di S. Ignacio de Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti. Quasi ogni casa, in questo villaggio, possiede un forno artigianale. Il profumo di legna e pane caldo ci guida attraverso il primo patio che incontriamo. Blanca si ricorda che parte della sua genealogia discende da questo paese. Approfittiamo dell’occasione e percorriamo stradine sassose, divise al centro da un canaletto di scolo; seguiamo le tracce fecali di bovini e pecore, ficchiamo il naso in disordinati cortili, chiediamo informazioni a gentili persone che masticano poco lo spagnolo (fortuna che qualche parola di quechua la conosciamo…) e finalmente incontriamo i parenti di Blanca. Si tratta della famiglia di una lontana cugina, ma l’emozione e’ comunque presente. Entriamo in cortile attraverso una recinzione in mattoni di paglia e fango (adobe), lo stesso materiale usato per tutte le abitazioni di Oropesa, e veniamo accolti da due cani spelacchiati. Facciamo attenzione a non calpestare il mais in grani steso al sole, allontaniamo con decisione la capra che cerca di addentare i miei pantaloni, passando a fianco di una famiglia di cuy (porcellini d’india) che ci osserva incuriosita e incrociamo lo sguardo di una signora indigena che ci guarda con occhi sgranati. “Napaykukuiki primay” (ti saluto, cugina), esclamo sorridendo. La donna, vestita con una pollera (gonna tipica delle popolazioni andine) al ginocchio e una maglietta bucata, risponde al saluto imbarazzata; non comprende cosa stia accadendo, sino a quando Blanca le spiega di essere sua cugina di un qualche remoto grado di parentela. Be’, non possiamo proprio dire di aver suscitato entusiasmo, ma la cosa non ci sorprende. La diffidenza in questo popolo e’ innata, sin da quando gli invasori spagnoli prima e i missionari “estirpatori di idolatrie” poi, hanno causato morte e distruzione in questa gente umile, ma dolce e nobile d’animo. Tuttavia, il senso di ospitalita’ ha il sopravvento e siamo condotti all’interno di un successivo cortile, dove un piccolo forno partorisce pane profumato che mangiamo con allegria. La visita si conclude con un abbraccio e, veloci, riprendiamo il cammino. L’asfalto lascia il posto a sassi e ghiaia, la strada si fa sempre piu’ stretta, tortuosa, difficile e scende serpeggiando verso il Vilcanota, la’ dove il fiume, che assumera’ piu’ avanti il nome di Urubamba, da’ inizio alla Valle Sacra degli Incas. Il camion riprende a salire, arrancando, fermandosi di tanto in tanto per compiere pericolose manovre all’incrociare altri mezzi che ci incipriano di polvere. Una sosta veloce per ammirare le chullpas (tombe preincaiche di forma cilindrica) di Ninamarca e si riprende il cammino sino a Paucartambo in festa. “Wayqey panay, Mamachanchis hatu’n sonqonwan suyasunk”(Benvenuti a Paucartambo, citta’ della grande Mamacha, Vergine del Carmen). La provincia di Paucartambo appartiene al dipartimento di Cusco e il capoluogo si trova a circa 2950 metri di altitudine. Paucartambo significa “localita’ in fiore”, da Paucar (fiorito) e Tambo (luogo, magazzino, punto di ristoro). Anticamente, la zona era abitata dai Poques, sottomessi successivamente agli incas di Inca Roca. Oltre alla festa della Madonna del Carmen (che si tiene ogni anno dal 15 al 19 luglio), molte sono le attrattive che offre la provincia. Ho accennato alle chullpas di Ninamarca, ma vale la pena ricordare anche altri monumenti e localita’ di grande interesse. -Gruppo archeologico di Watt Oqto: si tratta di un sito in stile incaico, ubicato a 17 chilometri dal centro urbano, lungo la riva sinistra del rio Mapocho o Paucartambo. Il monumento e’ composto da una doppia cinta di mura di notevoli dimensioni, con recinti, finestre e andenes. -Ponte Coloniale Carlos III: nel villaggio di Paucartambo, spicca il delizioso ponte Carlos III, a forma di ogiva e base rocciosa, teso sopra alle acque turbolente del rio Mapocho. La sua costruzione risale al 1775 e sorge nello stesso luogo dove, antecedentemente, esisteva un ponte inca. -Santuario della Vergine del Carmen: si tratta di un monumento architettonico interessante, in buona parte in adobe (mattoni di paglia e fango) che ospita la statua della Vergine. -Tres Cruces, il fenomeno del Re Sole: Tres Cruces de Oro e’ un osservatorio naturale unico al mondo. “Porta dell’universo, finestra del firmamento”, cosi’ e’ denominata enfaticamnte questa localita’ dove e’ possibile ammirare -nei mesi di maggio, giugno e luglio- un fenomeno cosmico di unica bellezza. Narra la leggenda che il dio Sole degli Incas sale dalla terra (Hanan pacha) per portare il suo messaggio e saluto al cielo (Kay pacha) dove dimorano i suoi figli. 25 chilometri oltre Paucartambo, lungo la strada che porta in Amazzonia e a 3739 metri di altitudine, si arriva a Tres Cruces. Per ammirare il fenomeno che vado a descrivere, e’ necessario arrivare prima dell’alba, imbottiti di abiti caldi e, come nel mio caso, di una buona dose di Pisco. Piano piano, il buio della notte sfuma nell’infinito variopinto che annuncia il sorgere del dio Sole. L’astro infuocato non tarda a comparire: una palla di fuoco che danza simile ad un disco d’oro incandescente. La divinita’ riverbera, irradia i suoi raggi e l’orizzonte cambia colore di continuo, rosso, nero, verde, arancio, azzurro e giallo, dipingendo il velo di nubi che fluttua nel cielo. Infine, il Sole s’innalza poderoso e il giorno riprende il dominio sulla notte. Si tratta di un fenomeno fisico di rifrazione o ricomposizione della luce solare che attraversa la fredda cappa atmosferica di questa regione intermedia fra Sierra e Selva (Ande e Amazzonia). Un miracolo della natura. -Parco Nazionale del Manu: Dal passo di Tres Cruces, la carreggiata scende senza sosta verso la selva amazzonica, diretta la famoso Parco Nazionale del Manu. Questo parco, vero e proprio patrimonio culturale e naturale, si estende ad est della cordigliera orientale andina, fra i dipartimenti di Cusco e di Madre de Dios. Si tratta della riseva naturale piu’ grande di tutto il Sudamerica e la nona nel mondo. E’ un’area protetta, con la maggiore e varia biodiversita’ di tutta la terra. Nel 1973, l’UNESCO la dichiaro’ Riserva di Biosfera, proprio per l’importanza che rappresenta per il futuro dell’umanita’. Il parco copre un’estensione di 1881806 ettari ed e’ diviso in tre zone che vanno dai 4000 metri di altitudine nella parte andina, ai 365 metri della selva bassa, con climi variabili dal secco e gelido delle Ande, all’umido del bosco avvolto dalle nubi, fino al caldo della piana amazzonica. -Q’eros: da Paucartambo, lungo la strada sterrata che risale il rio Mapocho, si giunge in circa 7 ore di fuoristrada al termine della via, nei pressi di una piccola borgata dove e’ possibile noleggiare muli e cavalli. Di li’, in due o tre giorni, e’ possibile raggiungere la comunita’ dei Q’eros che sono ritenuti gli ultimi veri discendenti degli incas e che, da centinaia di anni, vivono in isolamento. Entrando nel villaggio, siamo accolti dall’allegria di mille bande musicali che percorrono il ciottolato delle vie, accompagnando ballerini vestiti con i tipici abiti tradizionali. A fatica, ci facciamo strada fino al patio recintato di una scuola dove piantiamo le tende. La giornata e’ splendida e noi siamo talmente emozionati e felici di poter partecipare ad una festa ancora incontaminata dal turismo, che la vista dei minuscoli bagni privi di acqua e gia’ intasati non ci impensierisce piu’ di tanto. In fretta, lasciamo l’accampamento e ci dirigiamo verso il santuario perche’ la festa e’ gia’ iniziata. Sono 14 i gruppi folcloristici che rallegrano la festa con le proprie danze e ognuno di questi e’ finanziato da un padrino (carguyoc) che si fa carico di tutti i costi che non sono certo poca cosa. Il padrino, oltre a pagare le spese per i costumi e gli accessori necessari al ballo, affitta una grande casa con patio dove, la sera, i ballerini si ritirano per continuare le danze con amici, invitati e chiunque altro desideri partecipare. L’entrata e’ libera e anche un passante occasionale sara’ ben accetto nella piccola comunita’ nella quale, senza spendere un soldo, potra’ cenare e bere birra o bibite a volonta’. La festa della Virgen del Carmen ha un significato ideologico che riassume le rappresentazioni artistiche e gli aspetti socioculturali di due civilta’ e di due religioni: l’incaica e la spagnola. Durante le celebrazioni, lungo le vie e le piazze del villaggio, si susseguono le danze rappresentative di mondi differenti, non ancora del tutto integrati. In mezzo ad una folla di indigeni e di turisti provenienti da ogni parte del Peru’, ci facciamo largo scambiando sorrisi con altri spettatori. E’ la mia prima volta e paghero’ di persona l’inesperienza. La prima banda di musicisti passa suonando flauti e buccine, strumenti tipici del Tahuantinsuyo (l’impero Inca). Sfilano i Chunchu, gli abitanti della selva, alleati degli Incas. Rappresentano una danza a carattere guerriero che evoca le gesta incaiche durante la battaglia contro gli invasori Qolla. E’ quindi la volta dei negri, discendenti degli schiavi importati durante la colonia spagnola, poi tocca ai demoni, con maschere spaventose e via via sfilano molte altre scuole di danza, dai mulattieri ubriachi che piroettano sui propri cavalli, ai guerrieri inca, dai malati di paludismo ai panettieri, dai funzionari corrotti ai soldati cileni -irrisi dal pubblico presente- che invasero il Peru’ durante la guerra del Pacifico, e cosi’ via, con gli artisti, i nobili spagnoli, le belle indigene, ecc. Ogni piccolo corteo e’ accompagnato da alcuni “apripista”, uomini masherati con nasi aquilini inverosimili, armati di frusta. Questi personaggi fanno schioccare a terra le proprie armi per liberare il cammino…sto filmando e non capisco il rischio che corro. Un “nasone” si avvicina minaccioso; sorrido divertito e continuo a filmare. L’aguzzino schiocca una volta a terra la frusta; continuo a sorridere fino a quando una stilettata colpisce le mie gambe, fortunatamente riparate da un robusto paio di jeans: “¡Carajo!”, ora ho capito perché la gente mi aveva aperto il passo senza protestare. Nella cattedrale e’ tutto un via vai di ballerini e musici che rendono omaggio alla Mamacha del Carmen con canti e balli; poi viene la sera e in mezzo alle vie di Paucartambo vengono accesi fuochi di paglia, rappresentazioni del purgatorio, che i nasoni calpestano di continuo, con i piedi protetti solo da leggeri sandali aperti. I fuochi d’artificio concludono le celebrazioni di piazza e ogni gruppo folclorico si ritira nella propria sede a bere e ballare sino all’alba, ospitando chiunque desideri festeggiare. Noi preferiamo tornare alle tende per essere freschi l’indomani e poter apprezzare in pieno le altre giornate di festa. Il secondo giorno le scuole di danza riprendono la sfilata. Ci avviamo verso la Plaza de Armas (piazza principale) e veniamo aggrediti dal tiro di decine di “nasoni”, assisi sopra ai tetti delle case. Su di noi e sugli altri spettaori piovono quantita’ enormi di banane, arance, giocattoli in legno e ogni altra cosa passi per le mani di questi burloni. E’ un vero e proprio tiro al bersaglio che infradicia di succhi vegetali i meno attenti. La festa durera’ altri tre giorni, in un susseguirsi di balli, bevute, guerriglie urbane, assalti, processioni, fino al 19 luglio, giorno di chiusura delle festivita’, quando la statua della Mamacha del Carmen tornera’, dopo aver percorso tutte le contrade del villaggio, al suo sito originale, nella cattedrale. Riprendiamo la via che ci condurra’ a Cusco, consci di avere assistito ad una festa ancora incontaminata dal turismo di massa e lieti di poter consigliare a tutti gli amici questa escursione davvero esaltante. Gabriele Poli


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