Islanda: terra, fuoco e ghiaccio

29 luglio 2006 Partiamo da casa di Diego poco dopo le 16.00 verso Malpensa. L’aeroporto è strapieno di gente, facciamo il check-in (Diego ha voluto arrivare prestissimo perché pare che la SAS sia nota per l’overbooking). Dopo un po’ di girare per negozietti e bar, leggiamo che l’aereo partirà con 45 minuti di ritardo: faremo appena in...
Scritto da: Chiara1976
islanda: terra, fuoco e ghiaccio
Partenza il: 29/07/2006
Ritorno il: 13/08/2006
Viaggiatori: in coppia
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29 luglio 2006 Partiamo da casa di Diego poco dopo le 16.00 verso Malpensa. L’aeroporto è strapieno di gente, facciamo il check-in (Diego ha voluto arrivare prestissimo perché pare che la SAS sia nota per l’overbooking). Dopo un po’ di girare per negozietti e bar, leggiamo che l’aereo partirà con 45 minuti di ritardo: faremo appena in tempo a cambiare aereo a Copenhagen (speriamo!). Sul volo Icelandair, che è stato ritardato di ca. 20 minuti, siamo pigiati nell’ultima fila, ci servono la cena (riso scotto e verdure con una fettina di carne) e poi ci addormentiamo, così il volo sembra molto più breve delle 3 ore effettive. Atterrati a Keflavik, andiamo a recuperare i bagagli e il mio sacco a pelo non arriva (Diego se l’era immaginato rotolare sulla pista dopo essere caduto dai carrelli che usano per il trasporto…). Vado a fare la denuncia e finalmente andiamo in taxi (pagato dall’albergo) all’hotel Keflavik (già prenotato da casa). 30 luglio 2006 Sveglia molto presto, e Diego mi dice che ha dormito pochissimo a causa del caldo e della luce. Dopo abbondante colazione, andiamo in aeroporto a prendere l’auto: una Kia Sorento con soli 6’000 km e immatricolata da poco più di un mese, ma parecchio già ammaccata (e non l’hanno neanche pulita!). Carichiamo i bagagli e ci dirigiamo verso sud. Il tempo è nuvoloso e pioviggina. Primo stop al ponte sopra i due continenti, praticamente un ponticello di ferro sopra una buca, ma c’è un cartello con scritto “siete in Nordamerica” da una parte e “siete in Europa” dall’altra. Poi andiamo verso il faro, c’è una scogliera e ci arrampichiamo sul promontorio sopra le rovine del vecchio faro. Nel tornare indietro passiamo accanto alle fumarole di Gunnuhver, dove c’è anche una centrale geotermica. Andiamo alla laguna blu, ma non appena accertiamo la coda di gente alla cassa decidiamo di tornare alla fine della vacanza, in settimana magari! Dobbiamo arrivare a Bakki per le 15 per prendere l’aereo per le isole Westmann, quindi ci avviamo lungo la strada 42. In teoria non abbiamo molto tempo, ma ci fermiamo (di corsa) a vedere un paio di bei punti lungo il lago Kleifarvatn e le pozze iridescenti di Seltun. Deviamo a sinistra sulla strada lungo la costa, sterrata e lunghissima! In breve ci rendiamo conto che non arriveremo mai in tempo. Non possiamo neanche chiamare perché non c’è campo. A 5 minuti dall’orario del check-in Diego riesce a chiamare. Ci dicono di arrivare alle 17 e ci ringraziano pure per avere avvisato! Tutti rilassati, proseguiamo, ci fermiamo un attimo a Eyrarbakki, e poi torniamo sulla strada principal. Di nuovo ci rendiamo conto che la strada per arrivare a Bakki è ancora lunga. Cerco di guidare il più in fretta possibile (il limite sulle strade principali sarebbe 90 km/h…) e arriviamo alle 17 in punto! Riempiamo un modulo e partiamo immediatamente a bordo di un piccolo aereo che, sorvolando l’ampia spiaggia nera, in pochi minuti ci porta a Westmannaeyjar. C’è la nebbia ed è fresco. Ci dirigiamo a piedi verso Heymaey. Giunti in paese, mentre come due turisti sperduti leggiamo la Lonely Planet, la proprietaria della guesthouse che avevamo scelto ci chiede se vogliamo alloggiare lì. Andiamo a cena al Café Maria, dove Diego osa mangiare la pulcinella di mare! Poi andiamo a vedere la proiezione del Volcanic Film Show, che mostra le immagini dell’eruzione del 1973. Fatico a tenere gli occhi aperti, mentre Diego si addormenta più volte. Dopo il film non vediamo l’ora di andare a dormire e speriamo di non svegliarci con la luce che c’è ancora alle 22. La tapparella non si chiude, ma siamo talmente stanchi che ci addormentiamo senza problemi. 31 luglio 2006 Sveglia col sole alle 6.45 e siccome abbiamo visto che caffé e supermercati aprono solo alle 11, ci prepariamo e partiamo a stomaco vuoto. Il cielo è limpido e c’è il sole. Per prima cosa, andiamo al forte di Skansinn, da dove si vede l’entrata per il porto. Camminiamo sopra al cimitero delle case, a fianco del paese, dove una serie di abitazioni è stata sotterrata dalla famosa eruzione del ’73, e ci dirigiamo verso i piedi dell’Eldfell, il vulcano apparso dopo l’eruzione. Ci spostiamo verso il campo di calcio e saliamo in cima all’Helgafell, lungo un ripido sentiero, da dove c’è un panorama magnifico. Facciamo il giro della bocca del vulcano e poi torniamo in paese il più in fretta possibile, ansiosi di fare colazione. Dopo esserci rifocillati, ci dirigiamo verso il campo da golf, dove sulla destra c’è il campeggio, in un’arena naturale formata dalle montagne, in cui annualmente, il 15 agosto, si tiene un festival di musica rock. Ci spostiamo sul sentiero che si snoda lungo la costa e avvistiamo le prime di una lunghissima serie di pulcinelle di mare. Si vedono nelle fenditure delle rocce e si alzano in volo quando ci si avvicina, e molte galleggiano sul mare come le anatre. Dopo un milione di fermate a guardare e fotografare pulcinelle, ci avviciniamo all’insenatura prima del promontorio dove finisce l’isola. Comincia a piovigginare, e, dopo essere passati vicino a due essiccatoi del pesce (tipo quelli del merluzzo che ho visto l’anno scorso in Norvegia, ma più macabri, perché lasciano appese le teste dei pesci, ormai rinsecchite), attraversiamo la strada e arriviamo sul sentiero al lato opposto dell’isola. Continua a piovere e tira anche vento, e quando arriviamo nei pressi dell’aeroporto, non abbiamo nessuna voglia di tornare indietro e perciò attraversiamo le recinzioni della pista, anche se sarebbe proibito! Arrivati in aeroporto stanchi morti, chiediamo se possiamo anticipare il volo. Partiamo alle 16.30, torniamo a Bakki, e infine a Hella, dove facciamo un po’ di spesa e io mi ricompro un sacco a pelo, visto che del mio non ho più saputo niente (alla fine ho scoperto che non era ancora partito da Milano!) Pernottamento in un cottage provvisto di bagno e frigo + stoviglie, al Café Arhus, dove ci fermiamo anche per la cena. 1 agosto 2006 Sveglia ore 6.00, colazione e preparativi. Alle 7.45 partiamo per Landmannalaugar. La giornata è splendida, mentre viaggiamo c’è un vento forte e il vulcano Hekla è privo di nuvole e si vede molto bene. In poco meno di 2.30 ore arriviamo a destinazione dopo avere anche guadato due fiumi. C’è un rifugio e un ampio spazio per il campeggio, pieno di tende piazzate. L’idea è di andare in direzione di Thorsmörk (c’è il sentiero di un famoso trekking di 5 giorni), fino alle fumarole di Storihver, deviando sul Brennisteinsalda. La passeggiata ci prende tutta la giornata fino alle 16.30, ma quanto vediamo è assolutamente superlativo: vallate splendide, colate di lava, montagne colorate o nere, coperte di muschio e solcate dai nevai, fino alla zona geotermica (dove c’è la famosa bocca dell’inferno). Al ritorno, stanchi morti, ci immergiamo nel fiume alimentato da sorgenti termali calde proprio accanto al campeggio. Si sta talmente bene che non vogliamo più uscire. Partiamo che sono già le 18 passate. Torniamo a Hella, facciamo benzina, spesa, bucato e cena. 2 agosto 2006 Sveglia alle 7, e la giornata non è delle migliori. Colazione, ci prepariamo e partiamo in direzione di Skogar. È nuvoloso e c’è la nebbia. Breve tappa alla Seljandsfoss, e poi giungiamo a destinazione. Facciamo qualche foto alla cascata e poi non sappiamo che fare. Andiamo all’hotel Edda con l’idea di aspettare un po’ bevendo un caffé per vedere come evolve la meteo. Scambiamo quattro chiacchiere con un fotografo italiano e miracolosamente il cielo si apre! Partiamo dunque per il previsto trekking verso Thorsmörk passando dal passo Fimmvördhuhals. Camminata lunga (14 km) e faticosa (1100 m di dislivello) lungo un fiume che forma tantissime cascatelle e poi in una distesa di rocce e muschi dall’aspetto un po’ lunare. Giungiamo ad una prima baracca piuttosto sporca e puzzolente e vediamo i ghiacciai Eyjafjallajökull e Myrdalsjökull che si incontrano sempre di più (ci camminiamo anche sopra per un pezzo) e, dopo avere attraversato un pezzo di ghiacciaio pieno di crepacci arriviamo al rifugio verso le 17.30. Ci riposiamo, prepariamo il letto e ci laviamo (con le salviettine pampers – come fanno ad usarle per i bambini irritanti come sono?). Verso le 19 tutti gli altri ospiti che erano fuori a prendere il sole (col freddo che faceva!) entrano per cenare. Noi ci facciamo il nostro risotto già pronto, dopo di che laviamo i piatti usando un quantitativo ultra-ridotto di acqua e cerchiamo di non intralciarci troppo con l’altra ventina di persone (tutte che parlano tedesco) che sono con noi nel rifugio. Dopo cena nanna (si fa per dire…) con tutto il casino che c’è e la luce che “non si spegne mai”. La notte non si dorme molto bene, fa molto caldo nonostante abbia il sacco a pelo completamente aperto e sia proprio sotto la finestra da cui spira un’arietta gelida. 3 agosto 2006 Sveglia alle 6, e c’è un nebbione e il vento. Diego è pure sveglio, mentre gli altri non accennano a volersi alzare. Mai visto in una capanna delle nostre gente che a quest’ora non è ancora in piedi! Alle 7 ci alziamo, impacchettiamo le nostre cose e ce ne andiamo, mentre tutti gli altri sono ancora a letto. La nebbia è molto fitta, ma fortunatamente ci sono dei paletti gialli che permettono di non perdersi sul ghiacciaio. Dopo un’ora abbondante di cammino, la nebbia si dirada un po’ e appare la splendida vallata sottostante. Il sentiero è molto ripido e in alcuni punti ci sono catene e corde. Man mano che scendiamo, tutto diventa più verde, erba, fiorellini e persino alberelli (betulle nane). Alle 11.20 arriviamo sulla pianura vicina al rifugio Basar e ci fermiamo ai geniali servizi igienici a darci una rinfrescata. Proseguiamo fino al secondo rifugio oltre il fiume (bisogna allungare parecchio il sentiero per passare sul ponte, se non si vuole guadare il fiume). Ci fermiamo a mangiare, ma in fretta perché col vento è freddissimo e proseguiamo per Husadalur. Ci arriviamo verso le 14, diamo un’occhiata alle infrastrutture e ci piazziamo in caffetteria ad aspettare il bus. In viaggio ci mettiamo a parlare con due italiani e così scopriamo che il bus raggiunge la ring road non a Hvolsvöllur come pensavo io, ma a Seljandsfoss, dove loro hanno l’auto e molto gentilmente si offrono per darci un passaggio fino a Skogar. Inoltre, ci consigliano di andare a vedere il museo del folclore, cosa che facciamo visto anche che piove. Merita per l’impegno che il curatore ha messo nel raccattare tutta quella roba! Proseguiamo con l’auto fino a Dyrholaey, dove c’è un buco nella roccia e si vedono le “5 dita” nel mare. Poi giungiamo a Vik e andiamo sulla spiaggia per fotografare queste bellezze naturali, ma non si vede molto (complice anche la nebbia), perciò cerchiamo di scendere in un altro punto più avanti per fare le foto. Siccome piove, Diego scende fino alla spiaggia (visto che c’era un cartello che indicava che con il 4×4 si poteva…) e così finiamo impantanati nella sabbia! Andiamo alla stazione di servizio e la cassiera ci dà un numero di telefono da chiamare. Risponde un tipo a Reykjavik che dice che proverà a contattare qualcuno in zona. Dopo pochi minuti la cassiera arriva insieme a un tipo che casualmente era proprio lì a cenare alla stazione di servizio. Lo aspettiamo finché finisce di mangiare, ci fa salire sul suo fuoristrada e torniamo alla spiaggia. Per prima cosa prova lui a guidare, poi attacca una corda al gancio della sua auto e dopo una lunga serie di tentativi ci tira fuori. Il lato sinistro dell’auto è tutto nero di sabbia e così ci fermiamo alla stazione di servizio a lavare l’auto. Peccato che tra il vento e il Diego che lava l’altro lato dell’auto, mi prendo anch’io una bella lavata. Ormai fradici, torniamo indietro prima di Vik a cercare la famosa spiaggia con le colonne di basalto sopra una grotta e poi ci dirigiamo verso Kirkjubaejarklaustur, dove cerchiamo l’hotel Klaustri (che sarebbe una scuola dove si può alloggiare in estate) che troviamo chiuso e con la piscina in ristrutturazione. Vista l’ora, ci rassegniamo ad andare all’hotel dell’Icelandair (15’000 corone, e non li valeva assolutamente!). Chiediamo se si può cenare e ovviamente ci rispondono di no. Andiamo al Sistra Kaffi e anche lì ci dicono che la cucina è già chiusa. Dobbiamo accontentarci di una zuppa di broccoli e cavolfiori (per la felicità del Diego che dopo la crociera alle Galapagos li adora!) e una specie di pizza. Siamo stanchi morti, ma finalmente posso farmi una bella doccia calda. 4 agosto 2006 Venerdì mattina, dopo un’abbondante colazione, perdiamo un po’ di tempo, perché Diego deve scaricare le foto sull’IPod. Ora che partiamo sono le 10.30. Prima tappa sempre a Klaustur a vedere le colonne di basalto che hanno formato un’area che sembra il pavimento di una chiesa. Poi andiamo a vedere la zona con i semi-crateri. Ci rimettiamo in marcia in direzione del parco nazionale di Skaftafell. Siccome il tempo non è dei migliori, ci limitiamo a fare la breve passeggiata che porta alla Svartifoss, che ha la particolarità di scendere in mezzo a colonne di basalto. Facciamo una breve tappa al centro turistico per comprare da mangiare e ripartiamo per vedere il ghiacciaio che incontra il mare a Jökulsarlon. Per prima cosa sulla nostra destra appare il sandur, una lunga piana di sabbia nera che ai tempi da lontano ingannava i marinai che pensavano fosse ancora mare, e una volta che la nave di incagliava, venivano inghiottiti dalle sabbie mobili. Giunti a destinazione, nonostante la fitta nebbia, rimaniamo impressionati dagli icebergs, molti dei quali azzurro turchese, che galleggiano nella laguna e nel fiume per poi finire in mare. Andiamo sulla spiaggia nera a fare un po’ di foto e poi prendiamo parte all’escursione di mezz’ora con l’anfibio (barca provvista di ruote). C’è un bel ragazzino poliglotta che dà tutte le spiegazioni e poi distribuisce un pezzetto di ghiaccio purissimo di 1500 anni da assaggiare. Umidi e infreddoliti, ripartiamo in auto con il riscaldamento a manetta e ci spostiamo verso i fiordi orientali. Il tempo fa talmente schifo che passiamo un fiordo senza neanche accorgercene. Facciamo benzina e prelievo di cash a Djupivogur e poi decidiamo di fermarci a Breidhdalvik. Ceniamo in una bellissima casetta di legno (Café Margret) dove si mangia (e si spende!) meglio del solito e alloggiamo nel molto carino hotel Blafell (col sacco a pelo, risparmiando metà del costo). 5 agosto 2006 La mattina ce la prendiamo con calma visto che purtroppo il tempo non è cambiato. Partiamo dopo le 10 (senza colazione) e, dopo che Diego ha rischiato di investire tre pecore, per primo passiamo il Stödhvarfjördur, poi il Faskrudhsfjördur e infine il Reydharfjördur, dove stanno costruendo un’enorme fonderia di alluminio. Mentre siamo in viaggio per Neskaupstadhur, mi chiamano dall’aeroporto per dirmi che hanno trovato il mio sacco a pelo… grazie ma è un po’ tardi! Pascoliamo un po’ per la cittadina (nel frattempo è uscito un po’ di sole) alla ricerca della panetteria, che non riusciamo a trovare, poi facciamo colazione in un bar. Per andare a Neskaupstadhur bisogna fare un passo che è il più alto d’Islanda (630 m di altezza!). Torniamo indietro e andiamo a Egilsstadhir, e da lì al Seydhisfjördur, che, secondo la Lonely Planet, sarebbe il più bel fiordo. Troviamo ormeggiata un’enorme nave da crociera, facciamo un giretto in città e poi andiamo al supermercato strapieno dei turisti americani passeggeri della nave. Anche per arrivare qui bisogna fare una specie di passo. Tornati a Egilsstadhir, ci decidiamo per il lungo circuito nord-orientale. Lasciamo quindi la ring road per la strada 85 e dopo moltissimi chilometri, arriviamo a Thorshöfn, che si trova dietro la splendida penisola di Langanes (il cui faro sull’estremità è raggiungibile solo tramite un sentiero). Proseguiamo fino a Raufarhöfn (dove c’è un bellissimo faro arancione) e giungiamo al punto più settentrionale d’Islanda (Hraunhafnartangi), a pochi chilometri dal circolo polare artico. Sulla strada è pieno di legna e altre cose portate a terra dalle correnti del mare. Scendiamo dall’auto e facciamo l’ultimo pezzo a piedi, ma non siamo sicuri perché non riusciamo a vedere il faro… che in effetti c’è ma è immerso nella nebbia! Qualche foto e torniamo all’auto e ripartiamo in direzione di Asbyrgi. Sulla strada verso Husavik, ci fermiamo a pernottare nella graziosa fattoria Holl, dove la proprietaria ci cucina una buona cenetta (peccato che la mia pasta è un po’ scotta, però siamo in Islanda!). 6 agosto 2006 Colazione alle 8 alla fattoria, che dura per le lunghe, perché ci fermiamo a chiacchierare con due americani che lavorano a Reykjavik per un programma televisivo per bambini con i burattini. Oggi in programma c’è il parco nazionale di Jökulsargljufur. Per prima cosa tappa ad Asbyrgi, il canyon a forma di cavallo. Facciamo la passeggiata che porta al laghetto, all’interno di un boschetto di betulle nane. Poi proseguiamo per le rocce dell’eco (hljodhaklettar), formazioni basaltiche un po’ particolari: bella la “chiesa”, per il resto ci vuole un po’ troppa fantasia (per esempio per vedere la faccia di un troll) che l’ennesimo giorno nuvoloso con pioggerellina ci ha tolto. Prima del giro, saliamo per sbaglio sull’Eyjan, da dove si gode di una bella vista sul canyon in cui scorre il fiume Jökulsà. Dopo di che, ci dirigiamo alle cascate, dapprima la Hafragilsfoss, poi la Dettifoss, la cascata più potente d’Europa (nei pressi della quale, a causa della pioggia, non mi accorgo degli spruzzi di acqua che arrivano, e così mi faccio un’autentica doccia) e infine la Selfoss, alta solo 11 m, ma molto larga. Tornati alla macchina, mi tocca togliermi tutto e negli scarponi c’è già 1 cm d’acqua! Ci dirigiamo verso Myvatn, dove vediamo le zone geotermiche, e ben presto ci rendiamo conto che non sarà facile trovare un posto per dormire la notte. Alla fine dobbiamo andare nel costoso e non molto bello hotel Gigur a Stutustadhir, a sud del lago. Se non altro la posizione è molto bella. Ci sistemiamo (l’acqua calda della doccia puzza di zolfo!) e poi torniamo a Reykjahlidh, dove prenotiamo alla guesthouse Eldà per la notte successiva e la molto costosa (9000 Isk) escursione ad Askja. Visto che il bar delle mucche di Vogur (dove si dovrebbero vedere le mucche durante la mungitura) è pieno, torniamo al ristorante del nostro albergo. 7 agosto 2006 La mattina sveglia presto e, a fatica, ci mettiamo in cammino per fare il giro degli pseudo-crateri. Il sentiero parte proprio dall’albergo. Non c’è il sole, ma una bella luce sul lago, gli uccelli e molta tranquillità. Torniamo in albergo e facciamo colazione. Dopo avere pagato partiamo: prima brevissima (giusto la foto) tappa alla linguetta di terra nel lago chiamata Höfdhi, poi Dimmuborgir, serie di conformazioni laviche dalle forme particolari. Ci incamminiamo per andare a vedere la più spettacolare (la chiesa), ma sbagliamo strada e finiamo ai piedi del Hverfjall. Già che siamo lì decidiamo di salirci. C’è un bel sole, ma io ho i sandali (gli scarponi sono ancora bagnati dal giorno prima) e il sentiero è sabbioso (sembra un’enorme duna). In cima vediamo bene il bordo del cratere, nel cui mezzo c’è un cono di sabbia. Torniamo sui nostri passi e andiamo finalmente a vedere la “chiesa”. Passiamo a Vogur e ci fermiamo al bar delle mucche per un costoso, ma molto goduto (ci piazziamo ai tavolini di fuori al sole!) spuntino. Dopo di che, andiamo a vedere due pozze termali: la prima (Storagià), di soli 28° C, ha solo una stretta e ripida fenditura per entrarci, la seconda (Grjotagià), di 50° C, ha delle aperture più grandi che creano begli effetti luminosi sull’acqua. In seguito, andiamo a visitare la centrale geotermica: ci mostrano le turbine e un filmato, ma non siamo tanto in chiaro su come funziona… Poi andiamo a Krafla: dapprima al viti (lett. Porta dell’inferno, il cratere d’esplosione), dietro al quale ci sono due laghetti, poi alla caldera del Krafla. Facciamo il giro più lungo in mezzo alla lava, alle pozze di fango e alle fumarole. Molto affascinante! Poi torniamo a Reykjahlidh, facciamo la spesa per il giorno dopo e prendiamo i biglietti per la laguna blu locale direttamente alla guesthouse. Siccome è già tardino, decidiamo di andarci dopo cena. Andiamo al Gamli Baerinn e reincontriamo la coppia che ci ha dato il passaggio da Seljandsfoss a Skogar. Ceniamo insieme a loro e Diego tiene conferenza tutta la sera con il racconto del suo viaggio in Sudamerica. Per finire, ora che arriviamo alla laguna blu sono le 23 passate (e alle 24 chiude!). Ci stiamo poco però ce la godiamo proprio: è quasi buio, non c’è quasi più nessuno e l’acqua ha come sempre quell’aspetto azzurrino lattiginoso. L’unico problema è la corsa da e per lo spogliatoio al freddo. 8 agosto 2006 Sveglia presto perché oggi abbiamo prenotato il lungo tour per Askja. La giornata come al solito è nuvolo-nebbiosa. Il bus parte alle 8 dal centro, fa tappa lungo un piccolo canyon scavato in poche ore dal fiume Jökulsà à Fjöllum e poi al primo campeggio, dove ci sono i resti di una costruzione in pietre dove si narra che nel XIX secolo un uomo destinato alla prigione in Danimarca sia sopravvissuto un intero inverno dopo essere scappato, mangiando carne di cavallo cruda e angelica (che cresce in abbondanza in zona). Lungo il tragitto ci sono due guadi di un certo rilievo e avvistiamo ben due grosse auto fuoristrada in panne, perciò ci rallegriamo di non esserci venuti in macchina (non da ultimo ci risparmiamo di dover guidare). Vediamo anche un laghetto in cui vive (incredibile! ma la guida manco ci dà il tempo di fare una foto) una coppia di cigni. Arriviamo al posteggio alle 12.30 e ci incamminiamo verso la caldera, nella cui parte più profonda c’è il lago Oeskjuvatn (217 m di profondità). All’interno c’è un cratere (viti) che contiene un laghetto d’acqua calda (25° C). Durante i 2 km di sentiero fa un gran freddo (vento e pioggerellina) e mi chiedo come faremo a fare il bagno in queste condizioni! In più, appena arriviamo, constatiamo che il sentiero che scende è molto ripido e fangoso! Camminiamo lungo il bordo del cratere fino alla lapide in memoria di due tedeschi che all’inizio del secolo scorso sono spariti non si sa come nel lago. Alla fine ci decidiamo a scendere, visto che siamo venuti apposto per quello! Scendere al lago effettivamente è dura e ci riempiamo gli scarponi di fango. Secondo problema: fare il bagno alla vichinga (ossia nudi), come si è tanto raccomandata la nostra guida, oppure in costume come quelli che stanno uscendo proprio in quel momento dal laghetto? Diego si fa coraggio ed entra, io aspetto un attimo, entro col costume e me lo tolgo quando sono in acqua, che tanto è azzurrina e lattiginosa. Si sta proprio bene in acqua e parte della parete del cratere ha dei colori stupendi. Peccato che abbiamo poco tempo, neanche mezz’ora e poi ci tocca uscire e rivestirci al freddo (per fortuna non c’è lo stesso vento che sul bordo del cratere). La salita (lungo un percorso alternativo) in mezzo al fango è faticosa, ma il bagno ci ha rigenerati! In più, vento e pioggia sono cessati e sulla via del ritorno apprezziamo meglio il paesaggio circostante (specialmente le collinette nere con le macchie rosse vicine al posteggio) e notiamo che camminiamo sulla pietra pomice posata su uno strato di neve vecchissimo! Al ritorno ci fermiamo al secondo campeggio, dove andiamo a vedere il canyon, facciamo pic-nic sul fiume e tentiamo di togliere il fango dagli scarponi. Tornati sull’autobus, la guida ci racconta un po’ di storie islandesi e tiene una lezione di musica popolare con qualche demo canora. E noi incantati come i bambini ad ascoltarlo! Arriviamo a Reykjahlidh alle 19.15, breve tappa al negozio di souvenir e poi ci mettiamo in strada per Husavik, dove giungiamo alle 20 passate. Proviamo in una guesthouse, dove ci dicono che doveva arrivare gente che però non è ancora arrivata. Nel frattempo andiamo a cena, poi Diego richiama e ci dicono che hanno posto. Ci sistemano in una stanza microscopica, ma tenuto conto del prezzo (3500 Isk) e del fatto che usiamo litri e litri d’acqua per il bucato a mano ne vale la pena. 9 agosto 2006 Sveglia con il solito tempo nuvolo-nebbioso, ma perlomeno non piove. La prima compagnia che offre il whale watching è già al completo, perciò andiamo alla seconda, che ha in programma la prossima uscita alle 9.45. Troppo presto per qualsiasi cosa, ci prendiamo il tempo per bardarci bene in vista di tre ore in mare aperto nel mare artico: due paia di calze, biancheria termica, vari strati di maglie e pullover, giacca e pantaloni da pioggia, più guanti, sciarpa e cuffia. E quando stiamo per imbarcarci arriva una compagnia di vecchietti inglesi vestiti abbastanza leggeri e io mi chiedo come faranno a resistere al freddo! Per fortuna sulla barca ci sono giacche e pantaloni da pioggia a disposizione. Gli avvistamenti ci sono: vediamo tre megattere (una ci mostra anche il muso con i bitorzoli). Sulla via del ritorno comincio a sentire congelare i piedi, ma poi esce anche un po’ di sole e ci servono una cioccolata calda con una strana pasta. Tornati a terra, andiamo al supermercato a comprare il pranzo e poi facciamo una breve tappa al museo fallologico, dove sono conservati peni di varie specie di animali (in attesa, grazie a quattro donatori, anche quello umano!). Poi partiamo per Akureyri. Per prima cosa ci fermiamo a vedere la Godhafoss. Giunti ad Akureyri, facciamo un giro nel centro (zona pedonale) e poi in un centro commerciale alla ricerca di un paio di cd di musica islandese consigliati dalla guida dell’Askja tour. Passiamo davanti alla statua di Helgi il magro (fondatore di Akureyri) e poi ce ne andiamo verso il Siglufjördur. Akureyri non è proprio nulla di speciale, solo una cittadina di una certa grandezza per gli standard islandesi. Passiamo da Dalvik e dall’Olafsfjördur e dopo avere percorso una strada lungo la costa che sembra un passo (c’è anche un tunnel) giungiamo in un villaggio inaugurato da una bella fabbricona. Siccome il sole che nel frattempo è uscito e le belle montagne circostanti non sono sufficienti ad indurci a restare, decidiamo di tornare verso sud, con l’idea di fermarci nel primo paese in cui è possibile pernottare: Hofsos. Piccolo, ma molto carino! Ci sistemiamo in una guesthouse tutta per noi, ceniamo in bel ristorantino sul porticciolo e scriviamo le cartoline. Alle 22 passate assistiamo al nostro primo e unico tramonto sul mare. Alla guesthouse approfittiamo spudoratamente delle due lavatrici e dell’asciugatrice: molto comodo, se si escludono le levatacce notturne per mettere le cose nell’asciugatrice e per toglierle, perché non volevano proprio farci beccare al mattino dalla proprietaria ad usare le sue macchine senza neanche avere chiesto! 10 agosto 2006 Sveglia un po’ più tardi e ora che partiamo sono già le 8.15. Per prima cosa andiamo a vedere le colonne di basalto sulla spiaggia proprio davanti alla guesthouse. Più avanti c’è una bellissima chiesetta con il tetto d’erba: è aperta e dentro è molto carina. Mentre siamo in viaggio ci fermiamo brevemente a Glaumbaer, dove ci sono diverse case col tetto d’erba ricostruite con il tipico interno delle fattorie. Proseguiamo fino a Varmahlidh per fare scorta di cibarie (e altri due cd) e poi andiamo a Osar, sulla penisola di Vatsnes, per vedere il faraglione di roccia nel mare (Hvitserkur) dalla forma strana (tanto per cambiare sarebbe un troll…) e le foche davanti all’ostello (c’è un sentiero che scende fino alla spiaggia, e le foche sono a un centinaio di metri di distanza sulla spiaggia di fronte, dunque non le vediamo tanto bene). Torniamo a Blonduös e appena possibile prendiamo la famosa strada F35. Passiamo a fianco del lago Blöndulon, dove c’è una centrale elettrica. Il tempo tanto per cambiare è nebbioso, perciò non riusciamo a vedere l’Hofsjökull. Proseguiamo fino ad arrivare alla zona geotermica di Hveravellir. Facciamo il giro a piedi e poi, nonostante il tempo gelido (pioviggina e tira vento), ci gettiamo nella pozza calda, alimentata da due tubi, uno di acqua fredda e uno d’acqua a 80-100° C. Il gran caldo della pozza mi ha fatto venire mal di testa (proprio adesso che dovrei dare il cambio a Diego alla guida). Prendo un’aspirina e proseguiamo, facendo una deviazione verso il rifugio sul lago Hvirarvatn, dietro al quale si intravede appena nella nebbia una lingua del ghiacciaio. Ci fermiamo pochissimo, perché tanto non si vede nulla. Anche alle montagne delle streghe abbiamo rinunciato a causa della scarsa visibilità. Viste le mie condizioni (mi è anche venuta una tensione alla cervicale a guidare su quella bella strada…), Diego riprende la guida fino a Gullfoss. Tappa per vedere la doppia cascatona da sopra e da sotto e poi andiamo a Geysir. Alloggiamo alla guesthouse e ceniamo al ristorante dell’hotel, dove consumiamo la nostra cena più costosa (per fortuna nel conto si sono dimenticati del mio dessert!) in una veranda con vista sul geyser. 11 agosto 2006 Quando ci svegliamo ci accorgiamo che c’è un pochino di sole, quindi andiamo subito a vedere la zona geotermica: c’è sì il sole, ma anche un vento che si fa quasi fatica a stare in piedi. Diego almeno si è bardato bene prevedendo lunghe attese per fotografare e filmare lo Strokkur, anche se la vista migliore è dalla panchina, dal vero! Approfittando dei pochi raggi di sole, torniamo a fare un paio di foto alla Gullfoss, e poi ci fermiamo a fare colazione al caffè. Da lì ci dirigiamo al parco nazionale di Thingvellir, dove c’è la spaccatura fra i continenti nordamericano ed europeo, che si vede molto bene, ed era anche la prima sede del parlamento, nonché luogo dove facevano le esecuzioni. Poi andiamo a Hverargerdi, dove ci sono delle serre (c’è il centro Eden, in cui crescono piante tropicali e dove ci fermiamo per uno spuntino) e una piccola zona geotermica, dove c’era un geyer che veniva utilizzato come discarica fino a che, durante un’eruzione, non ha deciso di restituire tutti i rifiuti! Torniamo sulla strada 1 e andiamo a Keflavik per cercare un posto per dormire. Dopo un paio di posti in cui troviamo tutto pieno chiediamo per la guesthouse dell’hotel in cui abbiamo dormito la prima notte. La ricezionista mi dice che c’è posto, mi fa riempire due moduli e poi mi dà la chiave di una stanza dell’hotel, al prezzo della guesthouse! Poi andiamo in aeroporto. Mentre Diego chiede se si può fare il check-in anticipato (figuriamoci, in quell’aeroporto di cui scopriremo tutte le virtù il giorno seguente!) io vado a recuperare il mio sacco a pelo, ma incredibilmente non lo trovano più e non sanno dove sia finito! Per concludere in bellezza la giornata andiamo alla laguna blu, dove sguazziamo per un paio d’ore, ci facciamo l’impacco con il miscuglio di minerali che sarebbero miracolosi per la pelle e re-incontriamo per la quarta volta i due che ci hanno dato il passaggio fino alla Skogafoss. Quando usciamo ci fermiamo a cena con loro nel ristorante del complesso. Nel frattempo, nonostante la doccia, mi accorgo che i capelli mi sono diventati incredibilmente stopposi. Breve tappa a riempire un bottiglione con l’acqua della laguna blu e poi in albergo mi rifaccio la doccia per togliere quegli strani minerali che mi sono rimasti addosso dopo il bagno. 12 agosto 2006 Sveglia abbastanza presto, colazione, pieno dell’auto e la riportiamo in aeroporto. Vado ad incassare i 100 $ di rimborso per il sacco a pelo, e mi dicono che l’hanno ritrovato (alla stazione dei bus di Reykjavik!). Mi danno il voucher per l’incasso e così comincia il nostro tour di apprezzamento dell’aeroporto. Prima un casino per andare alla banca a ritirare i soldi: lo sportello al pianterreno è chiuso (nonostante il cartello indichi che a quell’ora dovrebbe essere aperto!). Bisogna andare di sopra, ma non vogliono farci passare, perché ci sono i controlli di sicurezza. Dopo avere chiesto a diverse persone, lasciano passare soltanto me. Poi un altro casino per prendere il bus per Reykjavik: i bus partono solo quando arriva un volo, anche se l’unica persona che c’è in giro in aeroporto a quell’ora ci ha assicurato che ce ne sarebbe stato uno alle 10. Ci rassegniamo (dopo esserci incavolati con l’autista) e nel frattempo Diego si legge bene la guida. Ora delle 11 finalmente si riesce a partire, e in poco meno di un’ora giungiamo a Reykjavik. Per prima cosa andiamo a vedere la cattedrale, e c’è un ascensore che porta in cima, da dove si gode di una bella vista a 360° sulla città. Per il resto della giornata giriamo fra negozi di souvenir, piazze, case tipiche e particolari e andiamo anche al museo d’arte, dove vediamo l’esposizione di un artista (Errò) che fa dei quadri stile fumetti. Quel giorno c’è anche la Gay Pride: non riusciamo a vedere la sfilata, ma è pieno di gente che vende collanine di fiori, braccialetti colorati, magliette ed altri gadget. Verso le 19 andiamo a cena, poi facciamo un giretto nella zona del laghetto e infine andiamo alla stazione dei bus, perché l’ultimo bus per Keflavik parte alle 21, così che non abbiamo nessuna chance per assistere al famoso runtur. 13 agosto 2006 Sveglia alle 6, micro-colazione e poi ci portano in aeroporto, che a differenza del giorno prima alle 9.30 è strapieno di gente! Finalmente vado a recuperare il sacco a pelo, così poi ci metto 10 minuti a ritrovare Diego in mezzo a tutta quella fiumana di gente. Dopo il check-in, altra coda davanti alla banca per recuperare l’IVA dei souvenir (Diego è stato più fortunato e ha potuto recuperarla all’ufficio del turismo di Reykjavik). Nel frattempo, Diego si fa un giro al duty free shop, e si altera un pochino quando scopre che il brennivin che ha comprato il giorno prima a Reykjavik (nel negozio degli alcolici di proprietà dallo Stato) costa solamente ¼ del prezzo che ha pagato lui. A quel punto ne approfitto e me ne compro due bottiglie anch’io, già che devo spendere le corone che mi sono rimaste. Il volo parte in orario e atterrati a Copenhagen, ci attendono tre ore di scalo, che passiamo a fare shopping e a mangiare in un posto dove ci mettono una vita a servire tutti. Si riparte con un piccolo ritardo e arriviamo a Milano Malpensa verso le 19, dove ci accorgiamo che anche a casa nostra il clima è cambiato e che non c’è più una gran differenza con l’Islanda…


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