Cronache irlandesi
È l’Irlanda che non ti aspetti quella che abbiamo incontrato. Nemmeno una goccia di pioggia durante i dieci giorni che hanno visto me (Francesco) e i miei amici Paolo, Laura e Marco attraversare le strade e i luoghi di questo bellissimo Paese. Tutto molto bene, dunque, ma devo confessare che almeno un giorno di pioggia avrei voluto vederlo....
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È l’Irlanda che non ti aspetti quella che abbiamo incontrato. Nemmeno una goccia di pioggia durante i dieci giorni che hanno visto me (Francesco) e i miei amici Paolo, Laura e Marco attraversare le strade e i luoghi di questo bellissimo Paese. Tutto molto bene, dunque, ma devo confessare che almeno un giorno di pioggia avrei voluto vederlo. Invece sole, sole e sole…torniamo in Italia abbronzati come se fossimo stati alle Canarie. La pioggia la troveremo al nostro rientro in Italia…quando si dice il colmo. È un viaggio che nasce quasi per caso. Non avevo programmato nulla di particolare per le mie ferie, quando una sera Laura, mia compagna di viaggi passati, per telefono mi chiede: “Vuoi venire in Irlanda? Siamo già in due”. Ed io “Cerco un’altra persona e ti faccio sapere”. Paolo, appunto. Ok, si prenota. Partenza il 4 agosto e ritorno il 14 agosto, le ferie non concedono di più. Scegliendo Rynair riusciamo a strappare un biglietto di andata e ritorno a 230€ (le tasse aeroportuali ci ammazzano ogni previsione di risparmio). Io e Paolo siamo “terruncielli” trapiantati a Bologna, Laura è di Pavia e Marco di Cremona. Nei giorni immediatamente precedenti mi tuffo sui libri e sulle guide alla scoperta di questa terra di cui so veramente poco. Poi scopro il sito di Turisti per Caso, stampo tutte le cronache di viaggio che riguardano l’Irlanda e ne faccio overdose. Prima di partire sono preparatissimo, pronto a mettere in pratica tutti i consigli dei nostri predecessori. La sera del 3 ci incontriamo per la prima volta tutti insieme a casa di Laura e la mattina dopo ci dirigiamo, in ritardo sfrenato, all’aeroporto di Orio al Serio (BG), da dove è prevista la partenza. Quando arriviamo al check in c’è una fila spaventosa di turisti diretti in ogni parte del mondo in attesa del controllo bagaglio, ma per fortuna ci fanno passare avanti non appena mostrato il biglietto. L’itinerario prevede un cambio di aereo a London Stansted per Dublino quindi dopo una sosta di qualche ora nell’aeroporto inglese affrontiamo un nuovo check in. Tutto sembra proseguire liscio finché non arriva la volta di Paolo: scatta l’allarme! Mentre Marco e Laura sono scomparsi dal nostro orizzonte, la security comincia a perquisirlo. Io preoccupato cerco nel suo sguardo una spiegazione, ma nulla, lui è stupito quanto me. Il controllo è molto minuzioso e, considerando che al mondo ci sono pochi uomini miti e innocui come Paolo, pensando alla situazione comincio a ridere. Alla fine lo chiamano a parte e, indicandogli lo zaino, cominciano un concitato interrogatorio di cui anche io, che nel frattempo mi sono avvicinato, non capisco molto. Esasperato dal fiume di domande Paolo fa capire all’inquisitore che può tranquillamente frugare nello zaino…e da qui spuntano le fameliche e famose forbicine che tutti i turisti previdenti dovrebbero sempre ricordare di infilare nel bagaglio non a mano. Povero Paolo, le aveva portate unicamente per tenere in ordine il suo pizzetto! Questo episodio crea un precedente: da quel momento in poi ogni volta che qualcuno di noi non capiva cosa gli venisse chiesto la risposta era: “Ah non lo so, guarda nello zaino di Paolo”. Apro una parentesi sulla nostra conoscenza dell’inglese. Laura è stata il nostro “ariete” e grazie a lei ce la siamo cavata nelle situazioni più difficili in cui bisognava soprattutto capire. Le mie conoscenze risalgono agli anni del liceo e ad un esame all’Università. Riesco a farmi capire ma ho dimenticato molte parole e non ho la “scioltezza” di un tempo. Paolo e Marco mi seguono a ruota. Tuttavia questa situazione ha contribuito a rendere più divertente il viaggio come quando, all’arrivo del bed & breakfast di turno, era d’obbligo parlare con i proprietari. Noialtri maschietti ci limitavamo a fare dei cenni di sì e no con il capo, a dire ok e a ridere o sorridere ogniqualvolta ci sembrava venisse detto qualcosa di divertente. Una volta saliti in camera chiedevamo sottovoce a Laura “Che ha detto?”. Arrivati a Dublino verso le 16.00 ora locale, il cielo non sembra promettere nulla di buono…avevano ragione i nostri predecessori: la pioggerellina sarà vostra compagna di viaggio. Ritiriamo la Toyota Corolla prenotata dall’Italia presso l’AVIS (la più economica, 450€ per 9 giorni con doppia guida) e perdiamo circa mezz’ora per capire come fare a telefonare o spedire sms. Dopo poco scopriamo che il gestore di rete della zona crea qualche problema ma che, in realtà, per chi ha attivato il servizio all’estero non ci sono grosse complicazioni nell’uso del cellulare. Col senno di poi mi sono visto come il classico italiano che non può fare a meno del suo telefonino…e forse me ne vergogno un po’. Gli impiegati dell’ufficio turistico all’aeroporto sono molto disponibili, oltre a darci le indicazioni per entrare in tangenziale ci procurano una sistemazione per la notte, pagando un contributo di 4€ e anticipando con carta di credito il 10% della tariffa pattuita (il sistema sarà lo stesso per tutti gli uffici turistici d’Irlanda). Ok, siamo pronti. Alla guida si alterneranno Marco e Paolo, io farò da navigatore e Laura ci leggerà spesso le informazioni delle nostre guide turistiche (Mondadori e De Agostini). La guida a destra sarà un problema? Vediamo. Usciamo dal parcheggio, giriamo a sinistra e…il primo marciapiede è nostro: rumori di copricerchi in sottofondo. Cominciamo bene! Per fortuna sarà solo un episodio. Sotto il cielo coperto di Dublino cominciamo a seguire il flusso delle auto che si snoda verso il centro. Noi dobbiamo prendere una specie di tangenziale (la M50) per andare verso sud-ovest, alla volta di Kilkenny. Per miracolo imbrocchiamo tutte le strade giuste nel susseguirsi di rotonde che incontriamo sul nostro cammino. Marco sperimenta i primi sorpassi a destra…dai, non è così difficile! Il morale della truppa è buono. Tutti si guardano intorno per captare ciò che di nuovo ci passa davanti. Ecco che comincia la campagna, ecco le prime mucche, le prime pecore, un’immagine che diventerà quasi costante! Le strade sono piuttosto scorrevoli, meglio così. Tra l’altro sono tenute benissimo, niente buche, niente lavori in corso e niente pedaggi (unica eccezione all’altezza dell’uscita 4 della M50, dove bisogna pagare 1,30 €). La nostra destinazione è Bennetsbridge, a 8 km da Kilkenny. Una casa bellissima, una delle migliori tra tutte quelle che vedremo. La padrona di casa, la signora Greer (è uno dei pochi nomi che mi ricordo perché citato in uno dei romanzi di Agatha Christie) è molto gentile, ci mostra le stanze e ci prepara un tè. La sala da pranzo è strapiena di oggettistica proveniente dall’Africa e si capisce che i proprietari amano viaggiare. Laura forse esagera troppo negli apprezzamenti e la padrona di casa un po’ imbarazzata si ritira, ci farà compagnia solo più tardi fornendoci qualche indicazione turistica. Una volta sistemati nelle nostre stanze organizziamo la serata. Lasciata la donna del gruppo nella propria stanza perché sfinita e ad un passo dal collasso, noi tre conqustadores usciamo per tuffare la bocca nella nostra prima pinta di Guinness. Entriamo in un pub della piccola cittadina e alcuni presenti all’ingresso ci salutano dandoci la mano, chiedendoci come stiamo e da dove veniamo. Era proprio tutto vero allora ciò che ci avevano raccontato dell’Irlanda, qui si fa presto a fare conoscenza. Mentre vado ad ordinare le birre sento che Paolo e Marco sono stati coinvolti in una discussione che verte sul calcio…mitico calcio, se non ci fossi tu! Pur non capendo tutto quello che dicono facciamo un po’ di conversazione, poi ci sediamo a un tavolo e cominciamo a scambiarci le prime impressioni. Una delle cose che sicuramente colpisce è vedere questi locali frequentati da persone di tutte le età, dai ragazzini agli anziani, in un clima di armonia generazionale che raramente ho incontrato in Italia. Qui ti salutano tutti, se incroci il loro sguardo non lo distolgono anzi ti sorridono o alzano la birra per un brindisi. Paolo fa la sua prima conquista con una donna attempata (sui 45 circa…), il fascino latino non manca mai di colpire! Si torna a casa, è stata una giornata lunga e domani cominceremo ufficialmente il nostro viaggio da turisti con alzata alle 7.00 e colazione alle 8.00. Ci svegliamo alle prime luci dell’alba con un verde brillante ad accoglierci attraverso i finestroni delle nostre camere, immerse nelle tinte tenui delle pareti e nel legno di cui sono fatti i pavimenti e l’arredo degli ambienti. Sembra di ritrovarsi in un piccolo angolo di paradiso. A nessuno di noi viene in mente che il sole non sorge esattamente alle 7.00 e che forse qualcuno (Laura!!!!!!) inaspettatamente ha dimenticato di spostare le lancette dell’orologio. Mi presento scoppiettante nella sala della colazione alle 7.00 ora locale, puntuale come stabilito. La signora Greer contrariata si sofferma a guardarmi ma capito l’errore mi sorride, indica l’orologio e mi fa intuire che è ancora troppo presto…nessun problema, ho ancora tempo…giusto un’oretta per strozzare Laura. Nonostante le ore di sonno è riuscita a combinare il suo primo disastro. Va be’, ne approfittiamo per vedere sorgere il sole, a quanto pare sarà una bella giornata. L’impatto con queste pantagrueliche colazioni è stato assorbito abbastanza bene da tutti. Personalmente, abituato a caffè e brioche, non credevo di ritrovarmi con un appetito tale da farmi mandare giù le cose più disparate, passando con disinvoltura dalle salsicce alle uova, dalla pancetta al pudding, dai pomodori ai toast con burro e marmellata, dal tè al succo di frutta, dai corn flakes allo yogurt. Più volte nel corso di queste abbuffate ho sentito il mio stomaco che diceva “Ma cosa c… stai facendo?”. Paolo che “sgraffignava ” le banane alla fine di ogni colazione mi ha ricordato Benigni in Jonny Stecchino. In realtà un pasto così abbondante ci è servito spesso per tirare avanti nel corso della giornata senza che il mangiare diventasse un assillo (con l’eccezione di Marco, il quale mangerebbe ad intervalli di mezz’ora, credo). Foto di rito nel giardino antistante, saluti e via verso la nostra prima meta: Kilkenny. È bello passeggiare per le strade di questa cittadina, che alterna pubs a negozi di souvenirs. Arriviamo fino alla Cattedrale di St. Canice e mentre io e Paolo passeggiamo tra le tombe più o meno antiche, gli altri due si sono già inerpicati sulla torre circolare per delle foto panoramiche. Ci dirigiamo verso il castello, l’attrazione della città. All’ingresso scopriamo che c’è la possibilità di acquistare la Heritage Card, che per 20 € consente l’ingresso a vari siti e monumenti d’Irlanda. Fatto un rapido calcolo valutiamo che sarebbe conveniente solo se acquistata in qualità di studenti cosa che, per fortuna o purtroppo, non siamo più da qualche anno. Ammetto che per un po’ di tempo mi sono portato dietro il tesserino magnetico, facendola franca in più di qualche museo ma questa volta l’ho dimenticato a Bologna, per cui vanno alla carica gli altri tre. Laura ha il suo bel tesserino che però indica una data di iscrizione che fa pensare a corsi di laurea ultra decennali…è quello che sembra dire la ragazza della biglietteria mentre sorride e scuote il capo. Marco ha un tesserino che non reca date, quindi nulla da fare. Paolo si porta dietro la tessera della biblioteca che è ormai ridotta a dei brandelli di carta ingiallita. Quando l’ha mostrata in biglietteria ho pensato ad una pagina della guida in cui è illustrato il famoso Book of Kells, uno dei codici miniati più belli del mondo, conservato al Trinity College di Dublino: uguaaaale! Questi italiani!!!! Niente Heritage Card dunque. Cominciamo il giro, la visita guidata è in inglese of course quindi ci perdiamo molto della spiegazione, anche se la maggior parte delle cose le capiamo a senso. Girando per le sale abbiamo un primo assaggio di quanti siano gli italiani che hanno scelto questa terra per le loro vacanze. Via via ne incontreremo sempre di più. Il castello è interessante ma non quanto le rovine della Rock of Cashel, verso cui ci dirigiamo nel pomeriggio. Il sole è ancora molto alto, visitiamo questa fortezza medievale passeggiando in mezzo ai resti della cattedrale, scattiamo delle foto, ci stendiamo a riposare sull’erba mentre in lontananza greggi di pecore e mucche pascolano beatamente. Si sta troppo bene e non fa alcun effetto prendere il sole in mezzo a un cimitero. Il vento soffia imperterrito e un silenzio rasserenante circonda il promontorio. Gironzoliamo ancora un po’ arrivando fino alle rovine dell’abbazia cistercense di Hore, attraverso una sentiero di circa 10 minuti. Nel piazzale antistante una coppia di americani, padre e figlio, giocano ad hurling, uno sport che da queste parti è famoso quanto il calcio. Hanno delle specie di mazze da hockey, in legno di frassino, con le quali sollevano una pallina e la sparano in alto verso il compagno. Un po’ noioso andare a recuperare la palla dopo ogni tiro, secondo me, ma comunque abbastanza d’effetto se giocato in mezzo a rovine del XV secolo o giù di lì… Riprendiamo il nostro viaggio nel tardo pomeriggio in direzione Cork e prima di arrivare in città, dove abbiamo prenotato un ostello, ci fermiamo a Cahir dove visitiamo un castello ben conservato del XIII° secolo. Cork non ci fa una bella impressione, sarà per il cielo coperto, sarà per questi quartieri da tipica città di mare, sarà la tinta grigia dei palazzi, sarà la sporcizia e l’odore forte di salsedine e petrolio dei porti, sarà che la ricerca dell’ostello ci porta via più tempo del dovuto. In macchina con cartina alla mano, mentre sono intento nella ricerca di questo benedetto Kinlay House Hostel, ad un certo punto soffermo il mio sguardo su una presenza indefinita che sento muoversi sulla mia pelle e lancio un urlo repentino: un ragno! Gli altri spaventati mi guardano preoccupati, pensando alla disgrazia imminente che stava per colpirci. Chi è aracnofobo può capirmi. Me lo sarò portato dietro da Cashel! Schizzo via dall’auto e ordino agli altri di uccidere la “bestia”. Evidentemente la cosa ci porta sfiga: l’ostello è una chiavica. La camera è da quattro (15€ a notte a persona), con vista su un cimitero antico (è davvero a dieci metri dai nostri letti!) ma i bagni sono nel corridoio, in comune. Laura sarà l’unica che non si cambierà e dormirà vestita dopo aver ricoperto il letto di asciugamani, temendo chissà quali forme di infezioni! Sarà per le macchie indefinite sul lenzuolo? I bagni…va be’, vi risparmio. Le docce…va be’, vi risparmio anche queste. La colazione…va bé quella non ve la risparmio, modesta ma più che dignitosa. Ci mettiamo in sesto alla meglio e passiamo la serata a Kinsale; davvero un bellissimo paesino tutto colorato, adagiato su una baia piena di barche e col sottofondo delle musiche e i canti della moltitudine dei pubs che si susseguono lungo tutte le sue strade. Sarebbe stato l’ideale prendere un B&B in questo angolino caratteristico, ma per questa volta ci dobbiamo accontentare e ci limitiamo a consigliarlo a chi intraprendesse un itinerario simile al nostro. Dopo un giro veloce scegliamo come locale il Mad Monk, dove stanno suonando, ma è talmente pieno che al tavolo in cui siamo ci arrivano solo la musica e le voci, senza riuscire a vedere nulla. Altro giro di birra, è bello provarne sempre di nuove. Torniamo in “quel ostello accanto al cimitero”; è la fine di una giornata molto intensa, siamo stanchi e domani ci aspetta il Ring of Kerry. Partiamo dopo una colazione “normale” dirigendoci verso Killarney. Oggi c’è un sole bellissimo e la cosa ci mette davvero di buon umore. Siamo un gruppo ben assortito e, nonostante le diverse esigenze di ognuno sulle cose da voler vedere, da mangiare, sui posti in cui dormire, sulla musica da ascoltare, riusciremo sempre a conciliarle tutte. A proposito di musica, qui si beccano pochissime frequenze e non fanno altro che parlare…dobbiamo assolutamente comprare dei CD. Ecco Killarney. Cerchiamo il B&B più carino che abbiamo visto sulla guida ma non ha posti liberi. È lo stesso proprietario che ce ne consiglia un altro: Torc Falls, a Mukross. Di questo B&B ricordo soltanto la serata passata a cacciare le farfalle di cui è piena la camera. Niente di particolare, pulito, carino, ma con prezzo troppo elevato (30€ a persona) se confrontato alle altre sistemazioni che troveremo nel resto del nostro viaggio. Il giorno dopo iniziamo a percorrere questo famoso Ring, cominciando in direzione nord e muovendoci in senso antiorario. Il primo tratto nulla di eccezionale fino a Killorglin, ma sappiamo che per scoprire i paesaggi migliori dobbiamo arrivare sino al mare. Diligenti decidiamo di abbandonare la strada principale e di visitare il laghetto di Caragh Lake, segnalato dalle nostre guide. Sulle sue rive sostiamo una mezzora, giusto il tempo per uno dei nostri spuntini. Varrebbe la pena affittare una barca per un rilassante giro del perimetro…ma il tempo è poco e ci aspetta sicuramente qualcosa di più suggestivo davanti a noi. Ripartiamo e…ecco qui l’oceano. È vero, il paesaggio si fa sempre più bello, arrivano le prime scogliere a picco sul mare e alla vista di alcuni scorci l’auto si ferma quasi da sola. Impossibile proseguire senza scendere un attimo, fare due passi verso il punto da cui si possono ammirare meglio questi splendidi scenari. Spesso, durante queste soste, restiamo in silenzio: chi si allontana un po’, chi si siede sull’erba o su un muretto, chi scatta una foto, chi legge sulla guida qualche notizia. Il tempo, del resto, sembra non passare mai. D’estate il giorno dura tantissimo, alle 18.00 il sole è ancora alto e se non ci sono nuvole, sulla costa c’è luce fino alle 22.00. Dopo una sosta a Caherciveen, dove veniamo immancabilmente catturati dai negozi di souvenirs e cartoline, facciamo una deviazione inaspettata, l’isola di Valencia. Vi si accede tramite un ponte a Portmagee. L’itinerario principale porterebbe verso destra, a Knightstown, ma noi scegliamo un sentiero a piedi sul lato opposto e non ce ne pentiremo. Ci dirigiamo verso la punta del promontorio più ad occidente di tutta l’isola, speranzosi una volta terminata la fatica di avere una visuale ampia di tutta la costa dalla parte alta della scogliera. È vero che più saliamo e più aumenta la nebbia ma ciò contribuisce a creare uno scenario davvero unico: se ci guardiamo alle spalle si estendono fino al mare i pascoli di pecore e mucche che brucano tranquillamente fino alle persone che camminano per il sentiero, a sinistra si scorgono le isole Skelligs che, come giustamente recita una delle nostre guide, sembrano cattedrali di roccia che emergono dalle acque, mentre sopra di noi, quasi come una coperta bianca stesa sopra l’isola, una coltre di nebbia che si muove velocissima e che, proprio per questo, ci fa sperare in qualche scorcio di sole quando saremo giunti sul punto più alto del lato ovest, a ridosso dell’Atlantico. Ma non è così e la nostra pazienza non viene premiata nonostante il rumore del vento e delle onde che si infrangono sulla scogliera sotto di noi siano una degna colonna sonora di questo ennesimo momento estatico. Un po’ a malincuore abbandoniamo la piccola torretta, punto di arrivo del sentiero e riprendiamo il Ring. Ci rendiamo conto che per vedere bene questa penisola un giorno non è sufficiente e infatti abbandoniamo la costa e “tagliamo” per Ballinskelligs. Come si fa a non fermarsi su questa spiaggia? Sono le 18.00 ma siamo ancora baciati dal sole. L’obiettivo per la nostra cena è Kenmare ma , giunti a Sneem (dove, scoprirò a posteriori, ci hanno girato uno dei film che mi è piaciuto di più nella scorsa stagione, Magdalene) non ci vediamo più dalla fame e ci fermiamo in un piccolo ristorante per provare qualche piatto tipico. Il “fish and chips” di cui tanto ho sentito parlare è una delusione: il pesce sembra un mega bastoncino Findus e le patate fritte sono patate fritte tipo Mac Donald’s. Il “supreme chicken” di Marco è “supreme” solo nel prezzo: 13,50 € per un pezzo di pollo e un po’ di insalata. E in più non si può ordinare birra: che criterio è? Boh! A conferma di quanto letto su altri racconti, questa “esclusività” si inverte la sera: nei pubs servono solo birra e liquori, neanche la speranza di uno stuzzichino, un crostino, una patatina. Ri-Boh! Vorremmo fermarci a Kenmare ma siamo davvero stanchi e tiriamo dritto per il nostro B&B. Ormai è notte, l’ultimo tratto di strada è completamente al buio. Ogni tanto ci sbucano davanti pecore che dormono sui bordi della strada senza la minima paura, una è addirittura sulla carreggiata…per fortuna le evitiamo tutte. Laura e Paolo dormono dietro, io cerco faticosamente di tenere gli occhi aperti, per fortuna Marco è più sveglio di noi e ci conduce a destinazione. Il giorno dopo, neanche a dirlo, una splendida giornata di sole. Ragazzi, se dovessi consigliarvi una cosa da fare assolutamente in Irlanda è quella di prendere una bici a noleggio (12€ per l’intera giornata) e fare il giro del Mukross Lake, all’interno del Killarney National Park. Noi ci abbiamo trascorso l’intera mattina ma ne è valsa la pena. Abbiamo cominciato il giro visitando l’abbazia, passando attraverso alberi altissimi, su e giù per le stradine del parco che vedono un flusso continuo di calessi attraverso i quali occorre fare degli slalom. Arriviamo fino alle “Torc Waterfalls”, delle cascate alte 18 metri che si gettano nel lago. Con rispetto parlando, di queste cascate in Italia ne abbiamo a centinaia e ci soffermiamo solo per una veloce foto di rito. Il parco è pieno zeppo di turisti ma scopriamo che non sono in molti quelli che scelgono di fare il giro del lago. Mi raccomando: il tour va fatto in senso antiorario, è obbligatorio. In alcuni tratti si prende parecchia velocità e son capitati spesso incidenti con chi veniva in senso inverso. Di questi ciclisti disattenti ne abbiamo incontrati due, neanche a dirlo, italiani…e va be’. Ci immergiamo in questo verde intervallato dagli scorci di azzurro brillante del lago e qua e là scorgiamo dei punti in cui ci si può anche bagnare e difatti ci fermiamo. Marco fa il bagno, noialtri ci limitiamo a bagnarci i piedi e a camminare nelle acque basse del lago che assume riflessi gialli e rossastri a causa del terreno che ha questi colori. Laura non smette di fare foto e Marco, con la sua digitale, non sarà da meno. Credo che a entrambi costerà più lo sviluppo e le spese accessorie che il viaggio! Riprendiamo a pedalare e giungiamo al punto di confluenza dei tre laghi dove, da sopra un ponticello, si possono ammirare i giochi delle acque che si incrociano e si mescolano. Sembra il paradiso. Ma è ora di andare. Voliamo verso la riconsegna delle bici, non vorremmo arrivare troppo tardi sulla penisola di Dingle. Sono emozionato. Sarà quello che ho letto su questa lingua di terra che entra nell’oceano e dei suoi tesori. E infatti Dingle è davvero un grazioso paesino pieno di negozi e di gente. Io e Marco non possiamo fare a meno di entrare nei negozi che vendono articoli sportivi: siamo alla ricerca di una maglietta “figa” da sfoggiare durante le nostre partite di calcetto. Ne trovo una molto bella, con lo stemma di Cork. Dietro di me un’anziana signora mi sussurra qualcosa su Cork e mi fa l’occhiolino. Credendo alludesse al fatto che non era consigliabile andare in giro con una maglietta di Cork da quelle parti, vi rinuncio. Più tardi incontreremo la stessa signora, su una panchina del molo, che mi chiederà se ho acquistato la maglietta. Quando le spiegherò che non l’ho presa lei mi dirà “Ma come, io sono di Cork, ti ho detto di prenderla perché è un ottima scelta!”…mi deprimerò per il mio inglese. Facciamo un giro lungo le banchine che entrano in una piccola baia, con l’occhio sempre attento per scorgere da qualche parte un segno di vita di questo delfino, Fungie, che sembra essere l’attrazione del posto. Ovviamente neanche l’ombra di Fungie. Dobbiamo raggiungere la punta del promontorio e poi proseguire verso nord per chiudere questo ennesimo Ring ma non credevamo che la sosta a Slea Head, il punto estremo della penisola, durasse così a lungo. E del resto come si fa a non fermarsi su una spiaggia bianchissima, chiusa a semicerchio dagli scogli, con le onde che si infrangono alte sui temerari bagnanti che sfidano queste temperature non proprio miti. Di temerari noi ne abbiamo due, Paolo e Marco. Io arrivo a bagnare le ginocchia in una passeggiata lungo tutta la spiaggia, Laura si gode il sole, il paesaggio, i gabbiani che le volano a due passi. Quando ripartiamo ci rendiamo conto che dobbiamo fare ancora tanta strada per arrivare a Ballybunion. Non riusciamo a chiudere questo Anello. Dobbiamo essere a destinazione alle 21 ma telefoniamo annunciando il nostro ritardo. Nessun problema, ci viene detto. Tuttavia i tempi si allungano quando ci fermiamo in un kebab pakistano per la cena: sperando in una toccata e fuga ordiniamo del kebab con carne di agnello. L’attesa è tale da farci immaginare questo benedetto agnello prelevato in un pascolo del Connemara, trasportato su un furgone, ucciso e finalmente cucinato. In compenso però è molto buono anche se si sono fatte le 22.00. Non ce la faremo mai a rispettare l’orario. È buio pesto quando attraversiamo Tralee e ci perdiamo la vista del famoso mulino a vento. Quando arriviamo a Ballybunion chiediamo informazioni ma il nome del B&B che la ragazza del Tourist Office ci ha scritto sul foglio di prenotazione sembra lo scarabocchio di una ricetta medica. Quando chiediamo ad una signora che capisce la nostra possibile destinazione mi trovo di fronte ad un rap ininterrotto di indicazioni! Non si fermava più e ho avuto la forte tentazione di cominciare a dondolare la testa avanti e indietro e a muovere le braccia e le mani con il tipico gesto delle corna usato dai rappers. La nostra Eminem comunque qualche dritta ce la da, ma sarà grazie ad un ragazzo che ci accompagna con la sua auto che, alle 23.15, giungiamo al B&B. Ma nessun problema per la nostra simpaticissima signora che, con un sorriso comprensivo, smorza le mille scuse che Laura ha cominciato a sciorinare. Questo sarà il nostro B&B più caro (35 €) anche se davvero bello, con dei finestroni che danno su un campo da golf e vista sul mare. In camera possiamo anche fare il tè e, ormai abituati a questa usanza del posto, ne prepariamo uno mentre studiamo la cartina per il giorno dopo, quello delle Cliffs of Moher. Decidiamo di ascoltare i consigli di chi ha già fatto questo viaggio e cioè di arrivare alle scogliere di sera. Ne approfittiamo per visitare Ballybunion e il suo bellissimo lido. Io, Paolo e Laura cominciamo un percorso lungo la scogliera, mentre Marco resta in spiaggia. Troviamo una piccola spiaggetta alla quale è impossibile accedere via terra, anzi no, ecco qualcuno steso a prendere il sole. Individuiamo un possibile accesso e già pregustiamo il sogno di una spiaggia (quasi) tutta per noi ma abbiamo appuntamento con Marco alle 12.00 e non ce la faremmo…sigh! Tutti in macchina quindi. Visto che dobbiamo prendere tempo , evitiamo l’attraversamento dello Shannon in traghetto e proseguiamo fino a Limerick dove facciamo un breve giro, prenotiamo un ostello e mangiamo nell’ennesimo fast food. Avevamo preventivato la visita al Bunratty Castle ma…arriviamo veramente troppo tardi e l’entrata per le visite chiude alle 16:30. Riprendiamo il viaggio e giungiamo finalmente alle Cliffs da Liscannor. Il flusso di gente non è poi così numeroso come ci aspettavamo. Più volte nei racconti ho letto delle difficoltà di trovare una sistemazione per la notte o dell’impossibilità di entrare in dei posti a causa dell’orda di turisti. Noi non abbiamo trovato questa difficoltà (con la sola eccezione delle isole Aran, come si vedrà). Forse è difficile trovare posto nei B&B convenzionati con i Tourist Offices ma dappertutto ce ne sono altri senza il simbolino dello shamrock che per 20/25 € hanno delle camere libere. Quando lo abbiamo capito abbiamo smesso di prenotare in anticipo, cercandoci noi direttamente il posto alla sera. Relativamente ai turisti: per me le orde sono quelle che ogni giorno dell’anno assaltano Venezia o, d’estate, Rimini e la costiera amalfitana non di certo quelle che ho trovato qui. E infatti, se sul versante nord di queste scogliere, verso la panoramica O’Brien’s Tower, gente ce n’è ancora, il percorso meridionale ci fa incontrare sempre meno persone. Arriveremo ad un punto in cui ci siamo noi, i gabbiani e dei fastidiosissimi moscerini. Lo spettacolo è indescrivibile, è da vedere. In alcuni tratti si cammina a due passi dallo strapiombo di oltre 200 metri, alla nostra sinistra i soliti, tranquilli greggi brucanti. Spesso ci fermiamo su questo tappeto d’erba, con i gabbiani che planano davanti a noi e sembra che si divertano un mondo. Il mare è calmissimo, fantastichiamo su come potrà essere lo spettacolo d’inverno, con le onde alte che si schiantano sugli scogli. Quando torniamo nel piazzale del parcheggio non troviamo quasi più nessuno, tanto meno l’addetto ai biglietti che, non capiamo per quale motivo, vanno pagati all’uscita. Poco male, risparmiamo 4 €. Approfittiamo dei tavoli per la nostra cena e partiamo per il nostro ostello che si trova a Carron, nel cuore del Burren. Ci era stato detto tassativamente di non arrivare oltre le 22.00 ma noi abbiamo ancora tempo. Abbiamo tempo? Uhm, le strade sono piene di curve e a molti incroci non ci sono indicazioni chiare. E poi questo Carron non lo conoscono in molti. Riceviamo informazioni contrastanti sulla strada da fare e diventa buio. Aumenta sempre più la convinzione che le strade che stiamo facendo non siano quelle giuste. Rinunciamo alle indicazioni suggeriteci e facciamo di testa nostra, seguendo una strada che, prima o poi, ci porterà all’ostello. Finalmente ci siamo ma, ahimè, sono le 22.04. Possibile che non ci aprano? Possibile! La reception è chiusa, non c’è nessuno. Peccato, da fuori sembra un bel ostello. Senza perderci d’animo ci mettiamo alla ricerca di un B&B e dopo qualche chilometro ne troviamo uno. Sono le 22.30 circa e la signora ci dice che lì non ha posto ma…ci può ospitare in casa sua a Corrofin. Quasi scusandosi con noi per il fatto di farci percorrere un po’ di strada, insieme al marito e a due fantastici bambini si mette in macchina per condurci alla nuova sistemazione. Ci accompagneranno nell’ennesima casetta da favola. Anche per questa notte è andata! Dopo la naturale diffidenza iniziale i bimbi a poco a poco cominciano a prendere confidenza con questi quattro stranieri. Fiona ha 5 anni e ha un visino bellissimo, classico, occhi azzurri e capelli biondi. Carl ne ha 3, un discolo. Per almeno un quarto d’ora salteranno tra le nostre braccia mentre in cucina la mamma ci prepara tè e biscotti. Io ho fame, ne berrò tre. Qui, anche se le giornate sono piuttosto calde e andremo in giro quasi sempre a maniche corte, la sera si dorme benissimo sotto il piumone…e che spettacolo alzarsi per la colazione e trovare il camino acceso. Salutiamo l’allegra famigliola e ci dirigiamo verso Galway. Oggi doveva essere il giorno delle isole Aran ma, un po’ perché è nuvoloso un po’ perché al Tourist Office perdiamo più tempo del previsto per prenotare il posto per la sera (e da Galway la traversata dura 2,5 h) vi rinunciamo (con enorme disappunto di Laura che comunque non si darà per vinta). Alla fine dobbiamo accontentarci di una camera per sette in un ostello di Letterfrack, nel Connemara. E infatti abbiamo deciso di anticipare di un giorno la visita di questa regione selvaggia. A mano a mano che ci spostiamo verso nord il paesaggio cambia decisamente. È un susseguirsi di varie sfumature di verde quello che ci circonda, quello di questi campi recintati con lunghe filiere di pietre a secco, dove spesso non si vede un albero per chilometri e dove dopo ogni avvallamento o curva non è difficile trovarsi di fronte ad un laghetto. E poi torbiere, ovunque. Ovviamente il cielo merita un discorso a sé stante. Se nei primi giorni eravamo quasi ossessionati dalla ricerca del segreto di questo “cielo d’Irlanda”, finendo per concludere che non è poi così diverso dal nostro, oggi ci rendiamo conto che non è proprio così. Le nuvole sembrano disegnate da un bambino di 6 anni, bianchissime. Mi fanno pensare alla panna montata, avete presente la sigla della mitica Heidi? Il terreno è chiazzato dalle loro ombre, così definite, così veloci. Giunti a Rossaveal decidiamo una deviazione. Ci sono tre isolette che sembrano essere collegate tra loro da alcuni ponti. È proprio così. Mentre raggiungiamo l’ultima abbiamo modo di guardare attorno gli effetti della marea. Dall’acqua affiorano scogli ed alghe marroni e il cielo semicoperto , il completo isolamento in cui siamo e il silenzio quasi irreale, contribuiscono a farci attribuire a questo posto il premio come paesaggio più decadente incontrato nel corso del viaggio. Decadente, ma affascinante allo stesso tempo. Ci fermiamo alla fine del sentiero e con il nostro pranzo a sacco raggiungiamo il mare, accompagnati da un cagnone che, intuendo il banchetto imminente, si è unito alla compagnia. A turno sfamiamo il nostro nuovo amico, seduti su degli scogli lisci tra i quali comincia ad insinuarsi il flusso crescente della marea. È l’unico rumore che si sente. Alla fine del pasto il commento di Paolo sarà “Abbiamo fatto Pasquetta!”. Saltelliamo da uno scoglio all’altro ma l’idea di restare su uno di essi intrappolati dall’acqua tipo vignetta della settimana enigmistica non è allettante, anche perché Laura, nel passare da uno scoglio all’altro deve fare delle acrobazie, restando spesso sospesa tra due rocce, mentre urla “Non ce la faccio, non ce la faccio!!”. Sarà uno dei ricordi più divertenti che porteremo con noi. Dopo il rischio di perdere Marco in mezzo a questa specie di palude, riprendiamo la strada maestra verso Clifden. Qui facciamo sosta. Il paesino è davvero invitante e ci mettiamo subito a caccia delle nostre magliette. Marco ne ha già trovata una a strisce bianche e verdi, io ne avevo acquistata una a Kinsale, col marchio della Guinness…la nostra ricerca continua. Una particolarità di queste parti è vedere tantissimi ragazzi e ragazze andare in giro con addosso la maglietta della loro squadra del cuore. Tra tutte, quelle di Cork e di Galway ma vanno alla grande anche quelle del Manchester United e dell’Arsenal…il calcio supera le divisioni. E non è raro incrociare delle auto che sbandierano i vessilli della propria contea. Da Clifden parte la cosiddetta Sky Road, ovvero l’ennesimo giro di un promontorio. Non ci colpisce in modo particolare e quando arriviamo ad un incrocio senza indicazioni ci accorgiamo che dietro di noi un’altra auto con cinque ragazzi si trova nella nostra stessa difficoltà. I tratti somatici di entrambi i gruppi ci fanno esclamare a unisono “Italiani!!”. Scendiamo a chiacchierare un po’ con loro e quando gli diciamo che alloggeremo all’Old Monastery Hostel si guardano tra loro, scoppiano a ridere e ci fanno tanti auguri per una serena notte! Ci raccontano che l’ostello è davvero uno dei peggiori visti (e loro girano solo per ostelli), un porto di mare, sporco e disorganizzato. Loro per fortuna hanno trovato posto nell’altro ostello di Letterfrack, decisamente migliore. Proveremo a cercare posto lì anche noi ma senza successo. Alle parole di Marco (“Io stanotte dormo in macchina”), senza passare dal Vecchio Monastero famigerato ci mettiamo alla ricerca di un B&B. Al primo non facciamo neanche in tempo a bussare che compare un omino tutto sorridente che sta per appiccicare alla porta un foglio con su scritto “no vacancies”. Ma già con il secondo ci va meglio e non costa nemmeno tanto, solo 22 €. Una costante di queste simpatiche casette sono i quadri e le immagini sacre che tappezzano tutte le pareti. E devo dire che anche qui Padre Pio va alla grande! Laura e Marco sono cotti e resteranno in camera. Io e Paolo, seppur sfatti, decidiamo di raggiungere l’unico pub del paese, che è affollatissimo e dove due uomini sulla cinquantina stanno suonando. Uno dei due, nonostante fosse impegnato con la chitarra, ci fa un cenno di saluto…incredibile! Attraversiamo il locale passando in mezzo a mani che stringono l’immancabile bicchiere di birra e ci defiliamo in un angolo meno affollato. Veniamo subito adocchiati da un ragazzo che viene a darci la mano e il benvenuto, chiedendoci da dove veniamo e quali sono le prossime mete del nostro viaggio. La musica sarà la migliore che avrò ascoltato in questi dieci giorni. In particolare mi colpirà un pezzo strumentale con flauto e chitarra che da qui in poi mi vedrà in ogni negozio di CD a fare la mia richiesta impossibile: cercare questo brano fischiettando al ragazzo di turno i due o tre accordi che mi ricordavo. La ricerca andrà avanti fino all’aeroporto di Dublino, l’ultimo giorno, ma senza successo. Sotto le note di queste tipiche ballate irlandesi Paolo va ad ordinare le birre. Sentirò da lontano un urlo: “Italiano??!!”. Il barman comincerà a tirar fuori tutto il suo repertorio di termini italiani, dalla Fiat Punto a Totò Schillaci, che da queste parti non hanno ancora dimenticato e per finire in bellezza con Cosa Nostra. Durante questo monologo la mano di Paolo è sempre rimasta stretta in quella di questo simpaticone, che alla fine ci riempie due pinte di Guinness, facendoci capire che offre lui. Davvero una bella serata questa. Per il giorno dopo abbiamo in mente una nuova passeggiata in bicicletta ma all’ingresso del Parco Nazionale del Connemara scopriamo che non è possibile prendere delle bici a nolo. Inoltre il parco è meno grande di quello che credevamo e a piedi si gira in un’ora e mezza, seguendo un percorso attraverso il quale avremmo dovuto incontrare forme di vita tra le più disparate, stando a quanto indicato nel museo del parco, ma gli unici animali in cui ci imbattiamo sono una lumaca nera senza guscio e, alla fine del percorso, un bel pony del Connemara. Incontreremo lungo il cammino anche il suonatore di flauto di ieri sera, che saluto e con il quale mi congratulo. È una specie di guardia forestale. Un po’ delusi partiamo per la Kylmore Abbey (7€ l’ingresso)…sì, carina, bello il contesto con le Twelve Bins alle spalle e il laghetto davanti, la chiesetta che sembra una cattedrale in miniatura e i giardini vittoriani (che raggiungiamo a piedi dopo quasi 2 chilometri, non essendoci accorti dell’esistenza di una navetta che fa costantemente avanti e indietro ma che col cavolo che si ferma…) ma…forse in Italia siamo abituati un po’ troppo bene a queste cose per cui il posto non ci colpisce più di tanto. La nostra strada per il nord finisce qua. A Leenane infatti prendiamo la deviazione che ci porterà a passare in mezzo a due grandi laghi, il Mask e il Corrib, alla volta di Cong. Nessuno di noi quattro ha visto il film che hanno girato da queste parti, “The quiet man” e la cosa un po’ ci dispiace. Ci fermiamo per mangiare i nostri soliti biscotti-patatine-mais-tonno-arachidi et schifezze varie sulle rive di un fiumiciattolo che attraversa il paese e che vede atterrare sulle sue acque una miriade di papere che si lanciano dal ponte, mentre vicino a noi viene a stendersi al sole un furetto (…o ciò che assomiglia a un furetto). Dopo un rapido giro per le rovine dell’abbazia andiamo dritti a sud, direzione: il Burren. Vogliamo fare un altro tentativo all’ostello disperso sulle montagne, ormai sappiamo come ci si arriva. Ma la strada è ancora lunga e abbiamo ancora qualche sosta da fare. A Kinvarra veniamo attratti da un raduno di pescherecci nel coloratissimo porto. È pieno di gente che mangia e, soprattutto, beve sui prati che circondano il molo. Qui, mentre passeggiamo tra le bancarelle e i corpi stesi a prendere il sole ci imbattiamo in un tizio che sarà il soggetto della foto migliore che faremo: è stravaccato per terra, addormentato, con la testa appoggiata ad un bidone della spazzatura debordante di lattine di birra. Chissà quante se n’è fatte! Mi metto dietro di lui e mentre ancora ridiamo, Marco scatta. Ci fermeremo altre due volte: per ammirare il Poulnambrone Dolmen che risale ad oltre 2000 anni prima di Cristo e presso una distesa di pietre dove scorgiamo delle piccole torrette che molti viaggiatori non hanno resistito ad erigere. Forse porta fortuna farlo e, neanche a dirlo, accostiamo per lasciare anche noi il segno del nostro passaggio. La maggior parte di queste costruzioni è a torre o a piramide, ma ci sono anche delle strutture a dolmen. Noi abbiamo creato un mostro, una costruzione informe che correva il rischio di cascarci addosso ad ogni pietra ulteriore appoggiata in cima. Alla fine abbiamo deciso che si trattava di un elefante. Mi scuso ufficialmente con gli elefanti. Un dubbio che mi attanaglierà per sempre è il seguente: perché, avendo milioni di pietre a un metro da noi, Laura le cercava a circa 100 metri per poi urlare, con un macigno in mano “Ehi, ne ho trovata unaaaa!!!”? E, sempre parlando di Laura e i suoi pesi: mentre noi tre maschietti alla sera ci portavamo dietro solo il nostro marsupio o la macchina fotografica, Laura non si separava mai da quella zavorra del suo zaino, che si trascinava ovunque pubs compresi, obbligandoci a turno a darle una mano. Ne ignoro ancora adesso il contenuto…Con le ombre che si allungano il paesaggio diventa quasi spettrale e non mi meraviglierei se da queste parti, di notte, si aggirasse la strega di Blair. L’ostello questa volta è aperto, ma non ha quattro posti per la notte. Armati di pazienza cerchiamo un B&B il più vicino possibile a Doolin, punto di imbarco per le Aran, il giorno seguente. Facciamo centro al primo colpo, a Kilfenora. La signora mi dice che ha camere libere a 25 € a persona, io capisco a 22. Ci renderemo conto del misunderstanding solo la mattina dopo, al momento di pagare, con gli altri tre che vorrebbero lapidarmi sull’elefante del Burren… Doolin è la patria della musica irish per cui stasera si fa un salto lì. Chiedo a dei ragazzi la strada ma, evidentemente, se dico “Excuse me, for Doolin?” non mi capiscono. Laura, mentre ancora ride, mi suggerisce la frase corretta. È anche vero però che siamo a due passi dalle Cliffs of Moher. Sono le 22.00 ma c’è ancora un po’ di luce e proviamo a fare una corsa disperata per catturare l’ultimo riflesso del sole che tramonta. Nel parcheggio, neanche a dirlo, solo qualche campeggiatore e noi quattro. Purtroppo arriviamo un po’ “lunghi” e ormai non ci si vede quasi più ma poco male, abbiamo salutato le Cliffs ancora una volta. A Doolin la sosta d’obbligo è il mitico O’Connor’s Pub. È molto grande e appese al muro ci sono le foto di tutti i personaggi famosi che son capitati da queste parti. Anche qui riusciamo a trovare posto ma lontano dalla musica che, tra l’altro, ci delude un po’, io ho ancora in testa le cantate di Letterfrack. Dopo l’ennesima pinta di birra di questi giorni andiamo a nanna. L’indomani è il giorno delle isole Aran. Laura è eccitatissima, lo sarà meno quando le diranno che i biglietti che ha fatto per la “modica” cifra di 25 € a persona ci porteranno solo nell’isola più piccola, Inisheer, perché su Inishmore, la più grande ed interessante, non c’è posto sui traghetti per il ritorno di stasera. Avremmo dato volentieri Laura in pasto agli squali o a qualche altra creatura marina durante la traversata ma…va be’, ormai è fatta, vedremo di rendere interessante anche questa giornata. Curioso l’imbarco: a causa della bassa marea il traghetto che ci porterà sull’isola non attracca nel porto, ma si ferma a circa 200 metri dal molo. Con dei barconi a motore ci trasportano verso il traghetto e, una volta accostati, trasbordiamo. Il mare, che dalla terra ferma avevamo giudicato liscio come l’olio, è invece piuttosto agitato. Mentre balliamo sulle onde, alla nostra sinistra, scorgiamo le ormai famigliari scogliere di Moher. Bello vederle anche sotto questa nuova prospettiva, bello restarne ancora incantati. L’isola la giriamo a piedi, non è così grande e poi dobbiamo ammortizzare il costo dei biglietti, quindi niente bici. C’è subito una spiaggia molto bella che cattura la nostra attenzione ma ci torneremo più tardi. Arriviamo sino al relitto di un peschereccio sbattuto sugli scogli da una mareggiata ormai nel lontano 1960, poi facciamo una passeggiata fino alla rocca da cui si gode una bella veduta. Ma sappiamo che se vogliamo dare un senso alla giornata dobbiamo andare a goderci la spiaggia e il mare. Vi passeremo l’intero pomeriggio. Strano che qui non facciano giochi con la palla, niente calcio, niente volley. Peccato, avremmo volentieri improvvisato un Italia-Irlanda alla maniera del Mediterraneo di Salvatores. Rossi come aragoste lasceremo l’isola rintronati dal sole sahariano che ormai non ci molla più. Mi raccomando, al ritorno prendete il traghetto all’ora indicata sul biglietto altrimenti rischiate di rimanere a piedi sull’isola, in quanto tutti i viaggi sono a numero limitato. Siamo già piuttosto stanchi quando ci rimettiamo in macchina e l’unico desiderio è quello di cercarci un B&B in prossimità di Galway. Il viaggio è accompagnato dalla musica dei quattro CD che abbiamo acquistato qualche giorno fa e che si alternano all’infinito intervallati da qualche tentativo di radio. Troviamo la nostra sistemazione per la notte al primo colpo. È vero che ci viene ad aprire una specie di incrocio tra Hannibal Lecter e Jack lo Squartatore ma questi ci chiama subito la madre che, dopo i soliti convenevoli, ci mostra le camere. Passiamo la serata a Galway per le vie e i pubs del centro che pullula di turisti, soprattutto italiani. Qui di pubs ce ne sono di veramente belli, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Durante la passeggiata lungo lo Shannon veniamo attaccati da una miriade di falene che ci sbatteranno contro fino a quando non ci saremo allontanati di un bel po’ dall’acqua…abbiamo rivissuto anche noi ”Uccelli” di Hitchcock, nel nostro piccolo…Bella città nel complesso, vale veramente la pena visitarla. Quasi senza accorgercene, la nostra vacanza sta volgendo al termine. Ci restano un paio di giorni pieni ma uno sarà di trasferimento verso Dublino. Il giorno dopo, infatti, dopo una breve sosta a Galway partiamo per Clonmacnoise, in direzione della capitale. Finora è andato tutto liscio, nessun contrattempo o imprevisto, per cui è bene provvedere a questa mancanza: nel parcheggio di un supermarket un’auto in retromarcia ci viene addosso e ci fa un bozzo con il gancio della roulotte. Porco cane! Scendiamo, il danno non è grave, si vede a malapena, ma ci facciamo lasciare i dati del tipo anche perché non troviamo i moduli per la constatazione amichevole (come cavolo si dice constatazione amichevole in inglese?). Beh, “i dati” è una parola grossa: solo nome, indirizzo e numero di telefono. Nessuno si sogna di prendergli la targa o il numero di patente ed assicurazione. Non ci ricordiamo nemmeno la marca dell’auto…quattro deficienti! Il pensiero costante del resto della giornata sarà: lo diciamo a quelli dell’AVIS oppure no? Se lo facciamo e non abbiamo i dati (a parte la figura di m.) cosa succede? Se non lo facciamo e se ne accorgono cosa succede? Va be’, ci penseremo domani…quattro deficienti! Eccoci al monastero medievale di Clonmacnoise dove svolgiamo riti più volte ripetuti: passeggiata in mezzo a quel che rimane delle chiese e della cattedrale, attorno alle torri, a zig zag per le tombe modello Dylan Dog, ammirando la Croce delle Scritture. Il filmino in italiano ci spiega un po’ di storia di questo posto, forse il più importante sito monastico dell’Irlanda. Ragazzi, leggete la storia dell’Irlanda e di questo popolo orgoglioso! Quando partiamo per Dublino escludiamo altre deviazioni preventivate e filiamo dritti in città alla ricerca dell’ostello di cui abbiam sentito parlare bene negli altri racconti, il Dublin Intenational Hostel. Non è male infatti e la cosa importante è che ha una camera da quattro con bagno e che è collocato in una zona abbastanza centrale. Lo prenotiamo per le nostre ultime due notti a 21,50 € per persona. Abbiamo un’intera serata per girare Dublino o perlomeno le principali vie del centro. L’impressione che ci fa non è delle migliori. Forse è l’impatto con la grande città, forse siamo usciti quando i negozi sono quasi tutti chiusi e non c’è l’animazione che invece incontreremo il giorno dopo e forse un po’ di malinconia si sta già impossessando di noi. Inoltre siamo davvero stanchi e anche se il quartiere dei pubs, Temple Bar, ci rivela dove è finita tutta la gente, girare da un locale all’altro alla disperata ricerca di un tavolo non contribuisce a cambiare il nostro umore. Finalmente ne troviamo uno, un po’ defilato anche perché gli altri sono blindati. La musica e la birra daranno il colpo di grazia alle nostre già pesanti palpebre…di certo non siamo i migliori esempi di “viveurs” delle notti irlandesi. Siamo però pronti a sfruttare al meglio il nostro ultimo giorno ma c’è l’auto da riconsegnare. Liberiamo Paolo dall’incombenza e lo lasciamo in giro per la città. Noi tre ripetiamo la parte da recitare ma è sicuro che ci “incarteremo”. Agli elementi in nostro possesso possiamo aggiungere che abbiamo telefonato al nostro “tamponatore” che si è rifiutato di darci ulteriori dettagli, consigliandoci di dare all’AVIS il suo nome…“Poi ci metteremo d’accordo noi senza mettere in mezzo le assicurazioni” (…tutto il mondo è paese…). Arriviamo in aeroporto e un simpatico ragazzone ci fa le classiche domande di rito tra cui “Avete avuto dei problemi?” e Laura comincia la nostra arringa difensiva mentre mostriamo la quasi impercettibile “bottarella”. Mentre si districa in mezzo ai termini tecnici che ha imparato stanotte, il tipo da un’occhiata e poi fa “Tutto qui? Nessun altro problema?”. Lo ripeterà per tre volte, Laura è troppo presa dal suo monologo. Quando gli confermiamo che quello è l’unico problema ci sorride e agita le braccia dicendoci “Ma è davvero roba da poco, non preoccupatevi…e poi avrei troppi moduli da compilare, quindi ssst!” e si mette l’indice davanti alla bocca con sguardo complice. Spero che non dovremo pagare questa insperata simpatia con un addebito sulla mia carta di credito, in futuro. Risollevati nel morale e anche per il fatto che non abbiamo perso troppo tempo prendiamo il 16A, ci piazziamo in prima fila sul piano superiore del bus e ci godiamo il viaggio verso il centro, dove, al Trinity College, abbiamo appuntamento con Paolo. Sceglieremo itinerari diversi. Io, Paolo e Laura optiamo per la National Gallery (che è gratuita) dove, tra gli altri, si possono ammirare Caravaggio, Picasso, Monet e una collezione di J.B. Jeats, mentre Marco, dopo un giro al National Museum (che io e Paolo vedremo dopo e che è gratuito anch’esso) va a visitare il tempio della birra, la fabbrica della Guinness. Faremo anche un giro per i giardini di St. Stephen, per la National Library e per Grafton Street che è davvero bella. In O’Connell Street trovo finalmente una bellissima maglietta bianca della nazionale di calcio irlandese. Ci ritroviamo insieme alle 18.00, su questo caratteristico Half Penny Bridge, dove ci raccontiamo le reciproche esperienze pomeridiane. Il resto della serata lo passeremo prima in un tal Abrakebabra, un kebab del quale ci chiedevamo perché mai ci fosse così poca gente…ve lo lascio immaginare. Ci consoliamo con le nostre ultime bevute di birra, brindando alla nostra salute e a questa bellissima vacanza. Per dieci giorni abbiamo dimenticato le beghe del quotidiano lavoro e siamo rimasti piacevolmente allo scuro di quanto accadeva in Italia. “Ci ricorderemo di te, Irlanda”, pensiamo, mentre l’aereo si stacca da terra e già compaiono la costa e il mare. Restiamo zitti, ognuno cerca di mettere a fuoco un ricordo, una sensazione…poi Laura rompe il silenzio “Ehi, perché non ci torniamo l’anno prossimo per vedere il nord?”