Canto Grande: carcere di massima sicurezza
Cari amici, desidero raccontarvi la mia esperienza, senza la pretesa di fare letteratura, perche' e' stata per me fonte di emozione, di forte impatto, ma pure di tenerezza.
Per ovvi motivi, non citero' nomi o, se dovessi farlo, usero' pseudonimi.
Canto Grande: carcere di massima sicurezza.
Domenica 27 luglio 2003
Non dimentichero' mai questa...
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Cari amici, desidero raccontarvi la mia esperienza, senza la pretesa di fare letteratura, perche’ e’ stata per me fonte di emozione, di forte impatto, ma pure di tenerezza. Per ovvi motivi, non citero’ nomi o, se dovessi farlo, usero’ pseudonimi. Canto Grande: carcere di massima sicurezza. Domenica 27 luglio 2003 Non dimentichero’ mai questa giornata. Arrivato nei pressi del carcere di massima sicurezza di Canto Grande, a Lurigancho, per entrare sono dovuto passare attraverso almeno 7 controlli consecutivi. Prima, un baracchino dove i poliziotti mi hanno preso i dati e stampato sul braccio destro il primo “sigillo” (il disegno di un cannoncino), poi su per la salita, fino ad un cancello dove sono stato fermato perche’ la mia casacca non poteva passare in quanto di colore verde militare, non ammesso (chissa’ perche’?), cosi’ ho dovuto lasciarla in custodia ad una signora che vende bibite e altre cose. Superato il secondo controllo, c’e’ il terzo, dove mi e’ stata presa l’impronta digitale dell’indice destro e dove mi hanno scrutato un poco, evidenziando i segni particolari: il medio della mia mano sinistra ha l’unghia nera (ricordo dell’escursione a Paucartambo, durante la quale mi sono chiuso il dito nel finestrino del camion/bus…). Avanti fino al quarto controllo: lasciare il passaporto, quasi tutti i soldi (meno 100 soles) e le due carte di credito perche’ non ammesse. Quinto controllo: revisione della borsa e perquisizione. Sesto controllo: metal detector. Settimo controllo all’entrata del padiglione dei politici. Appena oltrepassata la porta, sono stato accolto da alcuni detenuti del MRTA (Movimiento Revolucionario Tupac Amaru) che mi hanno subito abbracciato. Inizia un’esperienza irripetibile. Uno stretto corridoio a cielo aperto conduce ad un patio circolare controllato da telecamere. Li’ si aprono alcuni cancelli che portano ai vari piani. Il patio e’ comune e parecchie persone gironzolano qua e la’. Vi sono anche dei “ristorantini” dove detenuti cucinano il “cebiche” (pesce crudo marinato nel limone) e altri piatti a poco prezzo. Vi sono solo detenuti politici, principalmente di Sendero Luminoso e del MRTA. Entriamo nel padiglione dei tupacmaristi e, prima di salire le scale, incontro l’amico con il quale ho scambiato alcune lettere nel passato. Pur non avendolo mai visto, lo riconosco all’istante. E’ un simpatico incontro e fra noi si instaura subito l’amicizia. Saliamo le scale in cemento e imbocchiamo il corridoio al primo piano, dove si trova, fra le altre, la cella del mio amico. Tutte le celle sono aperte e i detenuti sono liberi di girare a piacimento. Questo e’ un privilegio, ma a sfavore giocano altre cose, come il fatto di non ricevere i pasti. Li’ ognuno deve provvedere a se stesso ed e’ per questo che i politici si sono organizzati ed ora hanno a disposizione una spartana cucina comune, negozietti e altro. Alcuni hanno persino il cellulare, cosa che mi ha lasciato molto perplesso, visto il carattere di massima sicurezza del penitenziario; tuttavia, mi raccontano i guerriglieri, non ci si deve meravigliare perche’ il possesso del telefonino si puo’ rivelare un’arma a doppio taglio, dal momento che le linee sono controllate costantemente… Lo stretto corridoio nel quale si aprono le celle ha finestre prive di vetri e sicuramente la notte deve fare molto freddo. Entro nella stanzetta del mio amico: un buco stretto con un letto in cemento (niente altro mette a disposizione la direzione del carcere) sul quale i detenuti che ne hanno la possibilita’ stendono un materassino e le coperte, procurate dalle famiglie. Dietro al letto, una squallida latrina e un rubinetto dal quale non esce nulla. Alle pareti, le foto dell’innamorata e qualche altro manifesto. Parliamo a lungo, spesso interrotti da numerosi tupacmaristi che mi vogliono salutare, abbracciare, parlare. L’amico mi racconta molte cose senza farsi problemi, anche la storia del suo assalto ad un’armeria di Lima e pure di scontri a fuoco e morti. Entra un guerrigliero piu’ anziano, un’insegnante della Sierra centrale, appassionato di letteratura (mi ha affidato alcuni racconti che pubblicheremo nel portale) col quale parliamo un poco, sino a quando entra un tipo che mi pare essere uno dei capi, visto che il mio amico e il professore zittiscono, lasciandogli la parola. Parla molto di politica, delle origini del MRTA, ecc. E’ interessante e ascolto con piacere, anche se, a differenza degli altri, questo non accenna mai neppure ad un sorriso. Beviamo sprite, giriamo per il carcere, per le celle, conosco molte persone, cileni del MRTA catturati in Peru’, uno dei quali amico dello scrittore italiano Massimo Carlotto al quale girero’ i suoi saluti e faro’ sapere che il suo conoscente e’ vivo… E molti altri. Sono 63 i tupacmaristi presenti e vivono vicini ai senderisti che ho incrociato e salutato piu’ volte, ma senza scambiare una parola. E’ il momento del pranzo e mi invitano a mangiare riso e fave: assaggio per cortesia, ma solo un paio di forchettate perche’ non ho appetito. Viene il momento culminante. L’amico mi comunica che e’ stata approntata per me una piccola cerimonia (sono lusingato), cosi’ scendiamo le scale, entriamo in un grande recinto utilizzato per giocare a calcio e per la ginnastica, dopo aver attraversato il laboratorio di ceramica. Sono presenti altri visitatori, parenti e amici dei guerriglieri, e assieme a loro siedo su una panchina. Il “maestro di cerimonie” chiama a raccolta il plotone. Tutti i tupacmaristi si dispongno sull’attenti; riposo, attenti. “Combattenti tupacmaristi, intoniamo l’inno dei Tupac Amaru”. La mano destra chiusa a pugno, il braccio in fuori all’altezza della spalla e il pugno stesso quasi appoggiato alla mandibola, i 63 guerriglieri cantano orgogliosi. Contro il nemico, il governo, l’ingiustizia e per la lotta armata, il popolo, il comunismo. Cantano, questi ragazzi giovani e meno giovani, cantano con passione e col cuore, nonostante che molti di loro, come il mio amico, siano in carcere ormai da dieci anni. La cerimonia prosegue con il discorso del “Companero B.” e il suo saluto ai familiari e, in particolar modo, a me. Sono quasi commosso: non mi sarei mai aspettato tanto. Ringrazio gli amici con poche parole imbarazzate e abbraccio l’amico per tutti. La festa prosegue con la recita di un paio di poesie da parte di un guerrigliero e poi con la banda dei sicuris (flauti di Pan o zamponas) tupacmarista. Marciano dal fondo del cortile, intonando musiche andine molto affascinanti. Conclusa la cerimonia, stringo mille mani, abbraccio decine di persone: sono tutti ragazzi gentili, calorosi, sorridenti ed e’ facile dimenticare per un momento che questi stessi giovani hanno combattuto, assaltato, ucciso. Il primo movimento tupacmarista risale agli anni sessanta, in Uruguay, mentre il MRTA e’ molto piu’ recente (1982), successivo anche a Sendero Luminoso. Di ispirazione marxista, i suoi combattenti hanno operato contro il “nemico”, identificato con le forze governative, ma rispettando la popolazione, al contrario di Sendero che obbligava i giovani campesinos ad integrare le proprie fila, pena la morte. La loro lotta, dicono, era ed e’ finalizzata alla giustizia per il popolo e cio’ che il movimento desidera e’ di essere riconosciuto come partito politico legale, anche se mi pare quasi un’utopia, almeno per il momento. D’altronde. Anche il partito dell’ex presidente e attuale lider dell’opposizione (APRA), Alan Garcia, era fuorilegge ed etichettato come movimento terrorista. Dalle stesse fila dell’Apra sono usciti i quadri piu’ importanti del MRTA, come il comandante Vitor Polay, lider del movimento incarcerato presso la base navale del Callao, e Lucero Cumpa, lider femminile, che visitero’ domenica prossima, 3 agosto, nel carcere di Huaral. La visita si conclude con grandi saluti e la promessa di mantenere i contatti. Questi ragazzi non chiedono l’amnistia, ma un pocesso regolare, sino ad ora sempre negato. Cio’ che, nel mio piccolo, desidero fare per loro e’ assecondare questa richiesta, senza mai dimenticare, tuttavia, che la lotta armata e’ un errore che non paga. Esco dal carcere un poco piu’ maturo. Gabriele Poli http://www.peru.it