Quando pensiamo ad un viaggio a Roma la mente corre alla Roma antica, celebrata in documentari e film in tutto il mondo, oppure alla Roma cattolica con il Vaticano e S.Pietro. Più dimenticata è la cosiddetta “Roma dei Papi”, facendo riferimento con questa espressione al periodo successivo alla “cattività avignonese” dei Papi. Ricordiamoci che agli inizi del Seicento l’Italia è ancora il paese da cui escono le idee più innovatrici nell’arte e mantiene un ruolo di preminenza rispetto al resto d’Europa. Gli artisti d’avanguardia spesso facevano un viaggio “formativo” in Italia e Roma in quel periodo era la meta principale. Fra i molti artisti ne arriva uno per niente famoso, dalla Lombardia, senza la protezione di nessuno: Caravaggio. La sua presenza è documentata dal 1596; siamo in piena controriforma ma l’ambiente artistico che trova è quello dell’ultima maniera (“manierismo”), ancora rivolta a Raffaello e Michelangelo, anche se all’inizio è costretto a frequentare più la Roma popolana e delle taverne. Premesso questo, avendo a disposizione per una breve vacanza i tre giorni che precedono l’epifania (compresa), decidiamo di vedere le opere eseguite dal maestro a Roma. La Galleria Borghese è il museo romano che annovera il maggior numero dei suoi dipinti, ma occorre prenotare con un mese di anticipo; ce ne sono altrettanti nelle chiese, ed il fascino che le sue opere acquistano nella loro originaria collocazione, le cappelle gentilizie di queste chiese , lontano dalla ressa dei turisti, vale davvero la pena di non perderselo. Così ci appuntiamo queste Chiese, che decidiamo di non perderci insieme ad altre con capolavori del ‘600 : meno famose di molte altre e dimenticate dalla gran massa dei turisti ( l’unica opera – Madonna dei Palafrenieri- commissionatagli per S.Pietro gli è stata rifiutata per mancanza di “decoro”, destino comune a molte altre sue commissioni di arte sacra). Arrivati a Roma il 4 Gennaio con il pendolino verso le 15.00, facciamo in tempo a depositare i bagagli in albergo ed a dirigersi con la metro verso la chiesa di S.Maria del Popolo ( stazione Flaminia). Qualche foto in piazza del popolo davanti alle “Chiese gemelle” ed all’Obelisco Flaminio, un salto sulla terrazza del Pincio, in tempo per ammirare uno dei più bei tramonti su Roma, e finalmente visitiamo S.Maria del Popolo. La cappella Cerasi, nel transetto sinistro della chiesa, è davvero piccola ma Caravaggio dipinge grandi tele , che occupano tutta la superficie disponibile. In chiesa pochi fedeli e gruppi di turisti, che fanno il minuetto, più volte, sostando lungo i due metri, e poco più, di spazio disponibile di fronte alla cappella, quasi trascurando tutte le altre opere della chiesa pur meritevoli di ammirazione (Pinturicchio, Sansovino, Bramante, Bernini …) . I commenti sussurrati dai presenti tradiscono ammirazione e stupore per Caravaggio; non una parola sull’affresco di Carracci (altare maggiore della Cappella, Assunzione della Vergine), davvero inosservato. Sempre presenti, i due “body guards” della chiesa, stazionano quasi costantemente davanti alla Cappella, costretti ad ammonire i presenti dotati di fotocamera con flash, con più frequenza di quanto ho visto fare ai guardiani delle sale del Louvre! In breve, Caravaggio è adesso considerato un po’ il “pennello della controriforma” a Roma; molto per caso, è il nostro personalissimo parere. Alla grandissima qualità pittorica innata l’apprendistato che aveva fatto gli aveva consentito di aggiungere le più grandi innovazioni “italiane” : dalle esperienze della pittura lombardo-veneta , in particolare Tiziano e Giorgione, aveva appreso la pittura a olio su tela, rifiutando l’affresco. Nelle chiese , vicino agli affreschi , le tele risaltano in modo davvero particolare per ciò che riguarda la vividezza dei colori e la buona conservazione ; forse nel periodo di frequentazione del rappresentante del Vaticano per il Granducato di Toscana, il cardinale Del Monte, ha messo insieme notizie sulla camera oscura di Leonardo (Codice Atlantico) e gli specchi di Galilei :sappiamo per certo che aveva attrezzato il proprio studio come un’ originale (diversa si suppone dai pittori predecessori che ne avevano fatto uso) camera oscura; il risultato sono sciabolate di luce e contrasti violenti tra luce e ombra, che diventa costantemente lo sfondo delle sue opere; opere che raggiungono quasi la nitidezza e precisione della fotografia; dalla sua condotta di vita di artista bohémien nasce il suo trarre ispirazione dalla vita di strada e dai fatti di sangue e di malaffare a cui era abituato. Unendo in particolare tutte queste componenti nasce la sua arte “sacra” : la luce è redenzione della divinità che riscatta l’uomo, l’ombra è peccato, tenebre, follia e mistero. Questo buio è una specie di notte calata sul mondo, per assorbirne i lati più gradevoli, e lasciarvi solo paura e terrore : e Caravaggio si sente peccatore per la sua vita scellerata, vive nel terrore di una vita violenta che si è già macchiata del primo omicidio, prima di giungere a Roma. Ne risulta la pittura più drammatica mai vista fino a quel tempo, e rappresenta inevitabilmente quella oscurità, fatta di inquisizione e terrore, che sembra calata sulle coscienze dopo l’avvento della Controriforma. Altra grande novità è che egli non trasfigura ( a differenza dei predecessori del Rinascimento e del Manierismo,come il contemporaneo Carracci) mai i suoi soggetti. Con lui, in pratica, nasce il realismo nella pittura moderna. Se la modella per una madonna è una prostituta, nel quadro resterà tale! Questo è il “verismo” di Caravaggio, rivoluzionario e sconvolgente per l’epoca; nessun artista durante la controriforma sente la necessità di fare l’intellettuale “controcorrente” ; si ricordi , siamo nell’epoca di Giordano Bruno, Galileo Galilei … Eppure Caravaggio persevera imperterrito nella sua mancanta osservanza di “decoro” nell’affrontare temi sacri; ma quello che ne risulta paradossalmente è una pittura atta a “movére”, cioè a commuovere, ossia a coinvolgere emotivamente lo spettatore apprendendo la dottrina non dai testi scritti ma dalle immagini: la necessità più avvertita dai Padri della Controriforma riuniti nel Concilio di Trento era proprio questa! Tornando alla nostra Cappella Cerasi, ecco la Crocifissione di San Pietro. Dipinto di carattere volutamente antieroico , con il volto di san Pietro che ci appare, senza alcuna trasfigurazione, come un povero vecchio in carne ed ossa. La resa pittorica è fra le più “fotografiche” e personalmente mi sono dovuto allineare alla cornice della tela per capire che la pala ed il drappo (insolitamente blu … negli altri quadri inserisce drappi, sipari rosso “tiziano”, come ad evidenziare la teatralità e dinamicità delle sue opere), non fuoriescono, in una terza dimensione, dalla tela. Di fronte, la Caduta di San Paolo: Sono presenti nella scena un vecchio e un cavallo, il quale, grazie all’intervento divino, alza lo zoccolo (anche questo sembra fuoriuscire dalla tela) per non calpestare Paolo a terra, folgorato dalla luce della Grazia. I tre quarti del quadro sono in realtà occupati dall’immagine di un cavallo (ma chi è il Santo, Paolo o il cavallo?), che oltre tutto ci mostra il suo posteriore. Questo dà l’idea di quanto fosse poco ortodosso (e ripeto, siamo in piena Controriforma), e forse anche insofferente, Caravaggio per giungere ad una scelta iconografica così insolita. Terminata la visita, usciamo dalla chiesa , non senza qualche rimpianto per l’impossibilità di ammirare la Cappella Chigi : opera di Raffaello e abbellita da statue del Bernini, scelta anche dallo scrittore Dan Brown per l’ambientazione di una scena del suo “Angeli e Demoni”. Prendiamo subito via del Babuino per una sosta in un caffè molto originale.Trattasi di ciò che resta dell’atelier del Canova: fra i tavoli, modelli preparatori di opere finite conservate in ogni parte del mondo, sculture in marmo e in bronzo, strumenti del mestiere, tutto disposto secondo l’originario disordine che fu dello studio. Cena in Trastevere, zona dove lo standard della ristorazione è l’osteria, con una coda alla vaccinara unica pietanza non molto “mangiabile”. Il secondo giorno dalla stazione termini con il bus 70 raggiungiamo piazza Navona . Ci aspettano le vicine S.Luigi dei Francesi e S.Agostino, passando per il Pantheon . Nella prima ammiriamo (Cappella Contarelli) ben tre dipinti : sono la prima importante commissione che egli realizza a Roma. Nella vocazione di S.Matteo motivo principale del quadro è il fascio di luce che proviene da una finestra che non vediamo e come sempre dona ad alcuni dei presenti la Grazia, lasciando nell’ombra chi non vorrà scorgerlo; abiti seicenteschi ed ambiente che somiglia molto ad una taverna della Roma di quegli anni. Come a dire che il sacro non ha una collocazione lontana nel tempo e nello spazio, ma è sempre presente tra di noi. Una “chiamata” può sempre arrivare : immaginiamo i presenti vestiti in giacca e cravatta in un ufficio postale e questo ci cattura , coinvolgendoci nella scena. Nel martirio di S. Matteo Il groviglio di corpi rimanda a composizioni manieriste mentre i nudi sono di chiara derivazione michelangiolesca. Tra le persone ritratte si riconosce in fondo a destra un uomo con barba e baffi che probabilmente è lo stesso Caravaggio, pittore e peccatore, come se nella scena sacra volesse esprime una sincera e appassionata ricerca della verità e forse anche della fede… sull’altare S.Matteo e l’Angelo, con san Matteo che ha l’aspetto di un vecchio saggio, di certo non un analfabeta come nella prima versione (rifiutata), ispirato dall’ angelo; ancora “effetto terza dimensione” per lo sgabello su cui poggia il santo, che sembra sporgere dal quadro. Come in S. Maria del popolo anche in S. Luigi dei Francesi, Caravaggio calamita l’attenzione dei turisti. Lo stesso non possiamo dire per la vicina chiesa di Sant’Agostino (dalla splendida facciata rinascimentale miracolosamente scampata alle manomissioni barocche), dove la “Madonna dei pellegrini” è stata un po’ una delusione quanto a resa pittorica. Maria (la prostituta Lena ritratta molte altre volte) esce dalla porta di una vecchia casa, dall’intonaco fatiscente, e mostra il Figlio a due vecchi pellegrini, coi piedi fangosi e le vesti logore. Le figure appaiono grazie a sprazzi di luce: una fiaccola, uno spiraglio di finestra aperta. In questo modo l’immagine che si coglie è solo una parte della realtà: solo quel tanto che la debole illuminazione ci consente di vedere. Il resto rimane avvolto dall’oscurità, ancora dal mistero. È il buio che domina in queste immagini, quasi ad accentuarne la drammaticità. Ma qui il buio è davvero troppo; abbiamo pensato anche che l’impianto di illuminazione del quadro non funzionasse a dovere. Constatiamo la mancanza del consueto avvicendarsi dei turisti in ammirazione davanti all’opera del maestro. Due passi e siamo dietro Piazza navona per “ascoltare” Pasquino, la statua parlante più famosa. Apprendiamo che è in restauro da Ottobre, e la foto che gli scattiamo è quindi … storica. Figura 1 . Pasquino in restauro
“Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, cioè “Quello che non hanno fatto i barbari, hanno fatto i Berberini”. Questa frase molto famosa è una “pasquinata” dedicata a Urbano VIII Barberini : il papa che ha permesso di usare le decorazioni in bronzo del Pantheon per fare il Baldacchino di San Pietro in Vaticano. Il suo “braccio” è Gian Lorenzo Bernini, sicuramente l’artista di maggior rilievo di tutta l’arte barocca, colui che seppe incarnare e tradurre in immagini gli ideali ed i fremiti della sua epoca, dominando incontrastato la scena artistica romana per oltre sessanta anni.
L’arte barocca nacque a Roma durante la Controriforma (Caravaggio non è più a Roma , viene considerato precursore del barocco, qualcuno, arditamente, lo definisce già barocco), espressione dei dettami riguardanti anche l’arte ( Concilio di Trento).In questa breve visita alla Roma della Controriforma, all’insegna della ricerca dei capolavori dimenticati dalle masse dei turisti chiassosi, torniamo allora alla stazione termini per arrivare con la metro alla stazione Repubblica e raggiungere la chiesa di S.Maria della Vittoria . L’interno risulta uno dei più sontuosi esemplari di decorazione barocca in Roma, per la ricchezza dei marmi, degli stucchi e dei fregi.Ma l’attrazione principale è l’altare del transetto sinistro,la Cappella Cornaro con lo spettacolare gruppo scultoreo dell’Estasi di santa Teresa d’Avila . L’intero complesso sembra una sorta di palco teatrale, e il paragone con il mondo scenico è esplicitato da Bernini nei rilievi delle pareti laterali, con i personaggi della famiglia Cornaro che assistono alla scena da due palchetti. Tutto l’insieme è decorato da una profusione di ori, affreschi e marmi preziosi. L’ insieme è curato dal grande artista fin nei minimi dettagli, tutto incentrato sul gruppo scultoreo raffigurante S. Teresa trafitta dall’amore di Dio, cogliendo il turbamento spirituale e sensuale tratto dalla descrizione fattane dalla santa stessa. Il momento dell’amplesso mistico è simboleggiato dalla figura dell’angelo sorridente che sta per colpire con una freccia il cuore della santa. Il gruppo poggia sopra una nuvola sospesa a mezz’aria ed è avvolto da una luce naturale proveniente da una finestra nascosta. La luce celeste e misteriosa colpisce e glorifica la santa e il cherubino, accentua l’intensità drammatica e la transitorietà dell’evento e infine si materializza nei raggi d’oro. L’opera è un grande quadro vivente: l’osservatore, può avere visione di una divina rivelazione e può essere testimone di una realistica e convincente esperienza religiosa. Unico difetto, a parere nostro, la collocazione della scena troppo in alto e un po’ lontana da chi guarda, che perde il pregio dei dettagli di “primo piano” che si confondono nel bianco del gruppo marmoreo. Arriviamo al giorno dell’Epifania , come non vedere il più antico presepe inanimato? Figura 2. Vista della Basilica di S.Maria.Maggiore Di fronte al nostro albergo c’è la Basilica di Santa Maria Maggiore, la più grande dedicata alla Madonna. La tradizione di questa rappresentazione sacra ha origini sin dal 432 quando papa Sisto III (432-440) creò nella primitiva Basilica una “grotta della Natività” simile a Betlemme. La Basilica prese la denominazione di Santa Maria ad praesepem (dal latino: praesepium = mangiatoia). Da allora i numerosi pellegrini di ritorno dalla Terra Santa, portarono in dono preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum) oggi custoditi nella dorata teca della Confessione. Questa riproduzione della Sacra Grotta di Sisto III fu molto a cuore nei secoli successivi a diversi pontefici, finché Papa Nicolò IV nel 1288, primo francescano a salire sul soglio di Pietro, particolarmente devoto al culto della Natività come insegnato da Francesco d’Assisi a Greggio, incaricò Arnolfo di Cambio di ricostruire un Presepe per rinnovare la preghiera sulla “Sacrosanta Reliquia della Mangiatoia”, rendendo omaggio appunto alla devozione delle reliquie della mangiatoia e delle fasce del Bambino Gesù, che fanno della Basilica mariana la Betlemme d’Occidente. I resti del presepe scolpito da Arnolfo di Cambio (che per quasi un quarto di secolo fu il più importante artista attivo a Roma ), ridotto ormai a quattro elementi, si trovano nel museo della Basilica : Le figure arnolfiane interagiscono nello spazio quasi fossero scolpite in tutto tondo, anche se in molti casi sono solo ottenute in altorilievo su fondi marmorei dipinti. Le opere rispondono sempre al criterio definito di “visibilità”, cioè vengono realizzate solo nelle parti che risultano visibili e mediante una lavorazione studiata in base a determinati assi visivi, oltre i quali le immagini si deformano, perdendo consistenza e linearità. Sono questi criteri, insieme alla perdita dell’impostazione frontale, che dominarono le opere della maturità di Arnolfo di Cambio e caratterizzarono la realizzazione del Presepe di Santa Maria Maggiore. Nella deliziosa abbuffata di opere d’arte che la chiesa propone, si notano il pavimento cosmatesco (in gran parte rifatto nel Settecento) la Cappella Sistina, ideata da Domenico Fontana per il papa Sisto V e ornata di stucchi, marmi e dorature. Nel pavimento antistante alla cappella è situata la pietra sepolcrale di Gianlorenzo Bernini e della famiglia. Pietra semplicissima, paradossale antitesi della sua concezione artistica. Terminata la visita, una corsa ai Musei capitolini, per assaporare anche questa volta, un po’ di Roma antica (ma non perdiamo “La buona Ventura” e il “S.Giovannino”, in restauro ma visibile, di Caravaggio) e siamo di nuovo sul pendolino che ci porta verso casa.