NICARAGUA – COSTA RICA – PANAMA’ di Seconda Parte
Approfittiamo del tempo che manca alla partenza per fare colazione e cambiare da un coyote qualche dollaro e gli ultimi cordoba avanzati in colones.
Il nostro bus finalmente parte e dopo 3 ore e mezza e tre interminabili posti di blocco per controllo documenti, veniamo scaricati sul ciglio della strada, dove un taxi che sembrava quasi aspettare noi ci raccoglie e ci porta a Puntarenas, giusto in tempo per prendere il traghetto che salpa alle 14.
Sul ponte del traghetto c’è un piccolo bar che serve birre ghiacciate, uno stereo spara musica latino americana a volume altissimo. Ci sediamo su una panchetta a sorseggiare una bevanda e intanto ci godiamo la brezza iodata che ci accarezza il viso, mentre piano piano la verde costa frastagliata della Penisola di Nicoya si fa sempre più vicina. La traversata di un’ora scorre liscia, non come l’ultimo tratto per arrivare a Montezuma: una strada tutta curve e saliscendi nel mezzo della natura incontaminata, percorsa su un piccolo bus affollato di gente sudaticcia e non certo profumata, Mi ci metto anche io nel gruppo, contando che stiamo viaggiando dalle 7 di questa mattina… Dopo un’ora e mezza circa, la strada diventa sterrata e inizia a scendere ripida verso il mare. Eccoci finalmente a Montezuma, un piccolo pueblito che si affaccia sul Pacifico all’estremo sud della Peninsula di Nicoya, un luogo remoto che attira da decenni vecchi hippy, nuovi freak e viaggiatori all’avventura come noi, costantemente in cerca di buone vibrazioni.
17.8 Montezuma Ha piovuto tutta notte e il cielo delle otto di mattina non promette nulla di buono. Grigi nuvoloni hanno tutta l’aria di non aver ancora esaurito il loro carico di pioggia.
Facciamo colazione con gallo pinto, huevos revueltos, pane burro e marmellata, frutta e succo di guaiabana.
Il paesino ci mette poco a rivelarsi a noi nella sua interezza: tre stradine abbarbicate a ridosso del mare, circondate da spiagge selvagge e natura prorompente.
Come per magia in poco tempo i nuvoloni si diradano, lasciando spazio ad un sole perfetto per una giornata dedicata a lunghe camminate sulla sabbia e relax all’ombra degli alberi che si protendono sino alla spiaggia.
Sono seduto di fronte all’oceano, in quell’attimo del giorno in cui leggera inizia a scendere la sera e i colori si fanno un po’ più tenui e impastati dalla spuma delle onde alzata dal vento. Penso a quanto sia incredibile che io sia la stessa persona che solo meno di un mese fa era in ufficio, seduto davanti al pc, a sudare e a sognare di partire.
Per fortuna questa brutta immagine vola via lontana come uno sbuffo di fumo e in un attimo non resta altro che il Costa Rica intorno a noi.
18.8 Montezuma – Monteverde Il mattino successivo un sole meraviglioso illumina la nostra nuova partenza e ci fa pensare che, forse, un altro giorno in questo posticino nascosto tra la giungla e l’oceano non sarebbe stato certo di troppo.
Ma abbiamo tanta strada ancora da fare e le montagne ci aspettano.
Giusto il tempo di acquistare in una panaderia del pane al cocco e alla banana per il viaggio e alle 8.30 il nostro bus parte per Paquera. Da qui il traghetto ci porta di nuovo a Puntarenas e durante il tragitto, mentre osservo il sole che brilla sulle lievi increspature del mare e la brezza salmastra mi accarezza il viso, credo di sentire distintamente il profumo della libertà.
Appena attraccati, un taxi ci porta alla stazione dei bus di Puntarenas e qui, su questo abbastanza squallido tratto di malecòn popolato da venditori ambulanti di improbabili dolciumi e questuanti malconci pronti ad intonare un motivetto sguaiato in cambio di qualche colon, attendiamo l’autobus delle 14.15 per Monteverde, lasciando che lo sguardo spazi un’ultima volta sull’orizzonte ondulato dell’Oceano Pacifico.
Sta iniziando il lento coast to coast che in due tappe intermedie ci porterà sull’altra costa dell’America Centrale, quella bagnata dal Mar dei Carabi.
L’autobus parte puntuale e si lascia in fretta alle spalle Puntarenas, addentrandosi a poco a poco nella Meseta Central. Ad un tratto abbandoniamo la carretera principale per una stradina sterrata che si inerpica per le colline verdeggianti di foreste e pascoli. Ogni tanto incontriamo qualche fattoria, per il resto nessun altro agglomerato umano popola questo territorio apparentemente incontaminato.
Via via che la strada si fa più ripida, anche il paesaggio inizia a cambiare e, come nel sogno di un naturalista pazzo, conifere e palmizi condividono improbabilmente la stessa terra.
Ma le sorprese di questo territorio fantastico non sono finite: siamo ormai in montagna immersi nella foresta nebulare, le nuvole basse coprono come un manto gli alberi a monte, e ad un tratto, dopo un tornante, l’orizzonte si apre come un sipario sull’Oceano. Il mare blu brilla in lontananza e il sole velato disegna i contorni sfumati della Penisola di Nicoya.
In breve tempo siamo immersi in una fitta nebbia, intorno a noi tutto è grigio e impenetrabile e i burroni che costeggiano la strada sembrano baratri senza fondo. L’autobus arranca per le stradine in salita tagliando la coltre di goccioline d’acqua sospesa, sbuffando come un convoglio fantasma in un film in bianco e nero.
In questa atmosfera surreale arriviamo finalmente a Monteverde. Prendiamo possesso della nostra stanza in un hotel che pare una baita di montagna e ci incamminiamo lungo la stradina principale del paese.
Sarà l’aria tersa e fredda. Sarà che è iniziata a scendere una fitta pioggerellina sottile, sarà che la nebbia nasconde il paesaggio intorno, lasciando immaginare vette innevate, sarà la poca gente in giro vestita con il k-way, ma noi, da un momento all’altro, ci aspettiamo che compaia qualcuno con gli sci in spalla camminando a scatti nei pesanti scarponi da neve.
19.8 Monteverde Monteverde è come Disneyland. La foresta nebulare tutt’attorno offre innumerevoli attrazioni e centinaia di tour operator sono ben felici di offrirtele in partici pacchetti preconfezionati.
Canopy, canyoning, camminate notturne nella foresta per avvistare gli animali, esplorazioni al parco nazionale, ponti sospesi in cima agli alberi, passeggiate a cavallo, piantagioni di caffè, ranari, rettilari, insettari, mariposari. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: tu decidi a quale attrazione dedicarti e un pratico shuttle ti viene comodamente a prelevare in hotel per portarti poi in giro per le montagne circostanti a caccia di avventura e adrenalina liofilizzata.
La mattina il sole inaspettatamente compare e quindi noi ci dedichiamo al canopy, volando a 100 metri di altezza sulla foresta nebulare, appesi come salami ad una carrucola che corre su cavi lunghi anche fino ad 1km e tesi sulla cima degli alberi e su vallate rigogliose. Un’esperienza sicuramente insolita e divertente, che facciamo seguire da una ben più tranquilla visita al ranario e al mariposario e quindi, al calar dell’oscurità, da una passeggiata guidata nella foresta, durante la quale, illuminati dalle nostre torce, avvistiamo vari tipi di insetti, tarantole, bradipi e altri animali arrampicati sugli alberi di cui, francamente, è impossibile ricordare il nome.
La notte, stanchi per l’intensa giornata alle spalle, ci addormentiamo nella nostra baita di legno accoccolati sotto le coperte e cullati dal canto dei grilli che viene da fuori.
20.8 Monteverde – La Fortuna Lasciamo Monteverde attraversando paesaggi verdeggianti, con vacche al pascolo e ruscelli trasparenti, e a tratti ci pare di essere in Svizzera più che in Costa Rica.
Ma subito la straordinarietà di questo Centro America torna a sorprenderci. In lontananza compare la specchio d’acqua liscio della Laguna Arenal e sullo sfondo, maestoso tra le nubi che lo avvolgono, l’omonimo Vulcano.
Prendiamo una lancha che solca silenziosa le acque scure del lago e nel tragitto facciamo la conoscenza di Tom, ragazzo olandese che festeggia la laurea viaggiando per i fatti suoi in Costa Rica. In breve sbarchiamo sulla sponda opposta e un colectivo ci porta a La Fortuna.
Sono le 13, il caldo è soffocante e a tratti vengono giù intensi scrosci di pioggia. Ciò nonostante, dal terrazzino del nostro hotel Pura Vida (gestito da cinesi…), riusciamo a godere della vista della cima del Vulcano Arenal, non proprio sgombra, ma ricoperta da un corto e sottile mantellino di nubi che ne lascia intravedere i contorni. Evento raro, se si pensa che la cima di questo maestoso vulcano è visibile solo per il 30% dell’anno.
E infatti, a conferma del detto secondo cui le cose in questi posti cambiano molto velocemente, in mezz’ora cala una fitta coltre di nubi che nasconde completamente la montagna, tanto che ora come ora la possiamo solo immaginare. E come se non bastasse, piove così forte che il cielo sembra voglia annegare il mondo intero.
Alle 15 parte il tour a cui ci siamo uniti, che in teoria dovrebbe nella prima parte portarci sul versante nord-ovest del vulcano per osservare le colate di lava rossa, che regolarmente ogni mezz’ora vengono rigurgitate direttamente dal centro incandescente della Terra.
Ci imbacucchiamo col k-way come pescatori che si apprestano ad affrontare una tempesta e, dopo un breve tragitto in pulmino durante il quale la guida dall’improbabile nome Faurizio ci spiega la storia del Vulcano Arenal e delle recenti devastanti eruzioni, ci addentriamo nella foresta pluviale sotto un diluvio probabilmente paragonabile a quello universale.
La situazione effettivamente potrebbe essere alquanto disagevole, ma camminare su piccoli sentieri fangosi in mezzo al silenzio della foresta, interrotto solo dal rumore della pioggia incessante sulle foglie e da richiami lontani di animali sconosciuti, è un’esperienza quasi surreale.
E in più il gruppo è composto da gente particolarmente simpatica. Oltre a Tom l’olandese solitario, ci sono una serie di personaggi che non lesinano la chiacchiera, compreso un ragazzetto newyorkese di origine indiana, in vacanza con i due compiti genitori, che assolutamente non interpellato a riguardo inizia a spiegarmi con fare furtivo come trovare da fumare al Greenwich Village.
Ad un certo punto Faurizio interroga il gruppo chiedendo quale sia secondo noi il motivo per cui le scimmie arrampicate sugli alberi abbiano i testicoli bianchi e un ragazzo spagnolo, giustamente, risponde “Why not??”. Avranno i loro buoni motivi, conveniamo tutti.
Terminata la passeggiata, durante la quale la foresta pluviale ha modo di tenere fede al suo nome, con il pulmino ci dirigiamo nell’oscurità ormai calata ad un punto panoramico dal quale, insieme ad un bel po’ di altri turisti, dovremmo riuscire ad osservare le colate di lava dalla cima del vulcano. La pioggia solo ora ci sta dando una piccola tregua, ma in compenso le nubi sono talmente basse e fitte che del vulcano non si intravede nemmeno la sagoma. L’Arenal si nasconde alla nostra vista ed è quasi come se volesse farsi beffe di questi ometti che comprano il biglietto e pretendono di trattarlo come fosse un animale allo zoo.
Il tour finisce, nuovamente sotto una pioggia incessante, alle Baldi Hot Springs, enorme centro termale composto da una ventina di vasche all’aperto con l’acqua calda, gli idromassaggi e le cascate massaggianti.
Pioggia e stanchezza ce ne fanno godere solo un paio, poi la serata termina sui divanetti dell’Hostal Backpakers, a bere birra e a scambiare contatti con Tom e Tony Peluce, ragazzo californiano di Venice Beach assai orgoglioso delle proprie vaghe origini calabresi.
21.8 La Fortuna – Puerto Viejo Ieri sera abbiamo fatto il record della vacanza, andando a letto addirittura a mezzanotte e mezza e stamattina la sveglia che suona alle 6.30 è un trapano che ci perfora il cervello.
Ma la vita del viaggiatore compresso in tre settimane, si sa, è dura e alle 7.30 parte il nostro colectivo per Guapiles, cittadina ad un paio di ore verso est, da cui, si spera, un autobus pubblico dovrebbe portarci a Puerto Viejo de Talamanca, sulla costa caraibica.
Veniamo così lasciati lungo uno stradone a due corsie percorso da enormi camion a rimorchio probabilmente carichi di banane. Il Terminal Caribeño di Guapiles altro non è che una piccola costruzione in pietra presso il quale puoi mangiare una comida veloce aspettando il tuo bus per la costa del Caribe. Il nostro, proveniente da San Josè, passa con una ventina di minuti di ritardo rispetto all’orario che ci è stato detto, giusto poco prima che iniziassimo a pensare di essere rimasti a piedi nel bel mezzo di chissà dove. Ma si sa, a queste latitudini bisogna solo avere pazienza e, prima o poi, qualcosa passa di certo. In fondo, essere abituati ad attendere invano i tram di Milano aiuta.
Man mano che ci avviciniamo a Limon, principale cittadina sulla costa caribeña, il paesaggio cambia e tutt’intorno si possono vedere sterminate piantagioni di banane e ananas.
Finalmente, dopo un paio di ore di viaggio, la carretera inizia a costeggiare il mare e, a tratti, lunghe spiagge deserte orlate di palme.
Guardo fuori dal finestrino e anche così, attraverso il vetro, il profumo dei Caraibi mi inebria e mi fa sorridere.
Arriviamo a Puerto Viejo e subito l’atmosfera caribeña ci accoglie con i suoi ritmi lenti e rilassati. Qui la popolazione è in gran parte di origini afro e infatti si incontrano tantissimi ragazzi rasta che ciabattano in giro per le viuzze sterrate con la loro tipica camminata molleggiata, lanciando qua e là occhiate e cenni interrogativi.
Veniamo sedotti dal lento ritmo in levare che proviene da un baracchino di fronte alla spiaggia e ci sediamo a goderci una comida cullati dal reggae e dal mare.
Puerto Viejo è un paesino abbastanza turistico, la strada principale che corre per poche centinaia di metri lungo la costa è costellata di ristorantini di vario genere, localini con musica dal vivo e bancarelle di souvenir, ma riesce tuttavia a conservare ancora quelle che sono le caratteristiche tipiche dei caraibi: vita rilassata, tempi lenti, l’assoluta assenza di ragioni per cui si debba accelerare il passo.
La sottile spiaggia del pueblo, poi, è poco frequentata sia di giorno che di notte e sedersi sulla sabbia fina aspettando il tramonto sorseggiando una cerveca Imperial ci regala momenti di vera pace.
Appena cala il sole i mosquitos iniziano a diventare molesti e ci spingono a ritornare alla nostra camera a prepararci per la cena.
Anche oggi è stata una lunga giornata, il viaggio da Monteverde è stato abbastanza faticoso e la stanchezza si fa decisamente sentire.
Andiamo a dormire relativamente presto, pronti ad iniziare la seconda metà del nostro viaggio.
22.8 Puerto Viejo A sud di Puerto Viejo, nei 12 km di strada sterrata che lo separano dal piccolo pueblo di Manzanillo, si susseguono una serie di spiagge lunghe e incontaminate, orlate da fitti palmeti e da innumerevoli altri alberi da cui pendono frutti a noi sconosciuti.
Il sole per fortuna splende alto nel cielo e ne approfittiamo per programmare un’escursione proprio fino a Manzanillo.
Consapevoli dei nostri limiti ciclistici, peraltro già ampiamente dimostrati sulla Isla Ometepe in Nicaragua, evitiamo le biciclette e affittiamo uno scooter a 24 dollari per quattro ore in un posto gestito da un tizio di colore e da un altro strano personaggio, che tutti chiamano Don Pedro con una certa reverenza e che non fa altro che starsene seduto su una sedia fumando il sigaro dietro un paio di occhiali scuri e ad annuire biascicando qualche parola in inglese quando interpellato. L’impressione che ne abbiamo è quella di un gerarca nazista nascosto sotto mentite spoglie in questo sperduto angolo di Centro America.
Percorriamo la strada sterrata che lascia Puerto Viejo e corre lungo la costa, cercando di evitare le grosse buche che compaiono all’improvviso e godendo della rigogliosa natura tutt’intorno a noi.
Dopo circa 6 km ci fermiamo a Punta Uva, magnifica spiaggia di sabbia bianca, dove l’unica preoccupazione è quella di evitare di essere colpiti dai noccioli lasciati cadere dalle decine di scimmie che popolano le fronde degli alberi protesi fin sull’arenale e che si nutrono voracemente di questi frutti verdi di forma vagamente simile ad una mandorla.
Le ore corrono e, prima che arrivi il momento di dover riconsegnare lo scooter, raggiungiamo Manzanillo e la sua lunga e sottile spiaggia, dove un gran numero di famiglie locali preparano lauti barbeque arrostendo carne su grandi griglie ossidate dal tempo.
Rientriamo quindi lentamente a Puerto Viejo, giusto in tempo per riconsegnare lo scooter. Il tizio di colore sostiene che siamo arrivati con 10 minuti di ritardo, che per questa volta ce la fa passare ma che “next time squeeze!”, ed esprime quest’ultimo concetto fissandoci dritto negli occhi con uno sguardo sinistro e minaccioso, quasi come se spremere i poveri turisti ritardatari sia una delle sue perversioni preferite. Proviamo a protestare un poco sostenendo la nostra innocenza, ma senza troppa convinzione. Tra il nero indiavolato e l’enigmatico Don Pedro seduto a fumare il sigaro che ci fissa da dietro gli occhiali scuri, decidiamo che forse è il caso di andarcene senza tirare troppo avanti la discussione.
Compriamo quindi qualcosa da mangiare in una panaderia e ci rilassiamo sulla spiaggia del pueblo, godendoci il sole e l’acqua trasparente dei Caraibi fino al calar della sera.
23.8 Puerto Viejo Questa mattina ci concediamo qualche ora di sonno in più rispetto al solito. Abbiamo viaggiato tanto nelle ultime due settimane, svegliandoci sempre ad orari che neanche quando vado a lavorare, quindi un po’ di riposo è decisamente quello che ci vuole.
In più questa mattina piove intensamente e pertanto restare un poco nel letto attendendo che le nuvole si diradino è un dolce oziare.
A metà mattinata smette finalmente di piovere e un sole timido occhieggia tra le nubi spazzate dalla brezza.
Andiamo quindi a fare due passi nel pueblo, comprando cartoline e qualche maglietta “pura vida” da sfoggiare nel prossimo grigio autunno milanese.
Per puro caso nella via principale incontriamo Aurelio e Franziska, i due ragazzi svizzeri con cui avevamo compartito il taxi per San Juan del Sur in Nicaragua. Ci fermiamo a scambiare quattro chiacchiere con loro, stupendoci per l’ennesima volta di quanto viaggiando sia facile incontrarsi e poi ritrovarsi senza il bisogno di alcun appuntamento. Viene da pensare a come spesso per poter vedere una persona che vive nella nostra stessa città sia necessario mettersi d’accordo sul giorno, sull’ora, sul luogo e sul perché, cercando di liberarci da tutti quegli impegni quotidiani che ci ingarbugliano la vita e da quella pigrizia mentale che dopo una giornata di lavoro ci spinge sul divano con la televisione accesa e il cervello il più delle volte spento.
In fondo è proprio questo uno degli aspetti più belli del viaggiare: incontrare gente proveniente da ogni parte del mondo, aver modo di parlare, ascoltare e condividere storie, osservare la propria vita attraverso punti di vista diversi ed arricchirsi di nuove esperienze. Nel corso di questo viaggio stiamo incontrando davvero tante persone interessanti e divertenti e questo è senza dubbio un valore aggiunto alla bellezza delle terre su cui stiamo camminando.
Il caldo inizia a farsi sentire con prepotenza, goccioline di sudore ci imperlano la fronte e pertanto salutiamo gli amici svizzeri e ci dirigiamo ancora una volta alla spiaggia del pueblo, ritagliandoci il nostro angolino di pace su questa soffice striscia di sabbia bianca bagnata dal mare calmo e trasparente.
Ancora una volta il sole ci regala un pomeriggio di puro relax caraibico. In questi momenti non esiste altro che il qui, l’ora, l’esserci, e nessun pensiero negativo può giungere da lontano a velare il cielo e lo sguardo, proprio perché in questi momenti di pace l’ultimo pensiero che si ha è proprio quello di dover pensare.
Quando scende la sera torniamo al nostro hotel (Lizard King) posizionato sulla strada principale giusto appena fuori il pueblo, e il patio con piscina e musica lounge soffusa è perfetto per aspettare l’ora di cena scambiando quattro chiacchiere con un gruppetto di ragazzi romani, anch’essi in cerca di relax e pura vida in giro per il Costa Rica.
E’ la nostra ultima sera qui e decidiamo quindi di festeggiare gustandoci una succulenta aragosta alla parrilla in un romantico ristorantino di fronte al mare e ad uno spicchio di luna.
24.8 Puerto Viejo – Bocas del Toro (Panamà) E’ giunto il tempo di lasciare il Costa Rica. Alle 8.30 prendiamo un autobus diretto al confine e salutiamo in silenzio questo paese così ricco di meraviglie naturali. In confronto al Nicaragua senza dubbio il turismo è una risorsa molto ben radicata e sfruttata e ciò, forse, rispetto al popolo nica, fa perdere ai ticos un po’ di quella genuinità data dalla disabitudine ad avere a che fare con i visitatori. Certo, noi abbiamo cercato di evitare quelle località ormai colonizzate da frotte di gringos schiamazzanti e ubriachi in cerca di nuove Las Vegas tropicali, e ciò ci ha aiutato per lo meno a godere dell’incredibile biodiversità di questo paese non deturpata dall’immancabile M di Mc Donald’s a stagliarsi sullo sfondo.
Durante il tragitto di un paio d’ore per Sixaola, ultimo piccolo pueblito prima del confine col Panamà, costeggiamo interminabili piantagioni di banane e sul bus salgono e scendono contadini, braccianti, donne indigene, tutti diretti ai campi, alle scuole e alle proprie faccende quotidiane. In fondo oggi è lunedì, e mentre noi viaggiamo senza nemmeno sapere che giorno sia, la gente intorno vive la propria semplice e lenta routine, così lontana da quel correre cieco e ottuso dei nostri ricchi paesi occidentali.
Arriviamo in breve a Sixaola e ci mettiamo in coda per ottenere il timbro d’uscita dal Costa Rica.
In questo punto del confine i due paesi sono uniti da un vecchio ponte ferroviario, costruito chissà quanti decenni fa per permettere ai treni carichi di banane di superare un largo e placido fiume limaccioso. Ormai nessun treno passa più da queste parti, ma in compenso enormi tir con rimorchio percorrono questi 200 metri sospesi, facendo scricchiolare sinistramente con i pneumatici le semplici tavole di legno che li separano dal vuoto.
Attraversiamo il ponte a piedi, osservando attraverso le assi il fiume marrone che scorre sotto di noi e, dopo una seconda coda per ottenere il timbro d’ingresso, siamo in Panamà.
(continua) (per commenti, domande o per condividere esperienze di viaggio, tra i forum di viaggio ne trovate uno intitolato “Nicaragua – Costa Rica – Panamà”)