Diario giordano:è lungo,se hai tempo leggi
Abbiamo preso il taxi per Madaba, senza poter contrattare il prezzo:20 dinari (20 euro). Sembra infatti che gli unici bus a disposizione fossero solo per Amman. Qui abbiamo notato per la prima volta una grave carenza delle Giordania: la mancanza di punti di informazione competenti soprattutto sui trasporti pubblici.
Siamo arrivati al Mosaic City Hotel dove abbiamo trovato subito il personale molto gentile. L’albergo è a conduzione familiare, gestito dalla madre con l’aiuto dei tre figli di età compresa fra i 20 e i 25 anni. Parlavano bene inglese e l’abbigliamento era occidentale. L’albergo era semplice, ma curato e pulito e i proprietari sempre disponibili a dare informazioni che altrimenti sarebbero state difficili da ottenere. La stanza era carina e pulita, il bagno piccolo, la doccia un po’ rotta, ma nel complesso il rapporto qualità/prezzo era assolutamente soddisfacente.
La nostra prima cena è stata in un ristorante vicino all’albergo, dove abbiamo mangiato i nostri primi piatti giordani, come l’hummus e i falafel. Tutto ottimo. Il locale era pulito.
DOMENICA 08 NOVEMBRE Alle 4.10 di mattina abbiamo fatto una salto sul letto svegliati da un forte lamento che proveniva dall’esterno. Dopo qualche secondo di sbigottimento abbiamo realizzato che era la preghiera cantata dal muezzin che attraverso la voce registrata e diffusa dagli altoparlanti della moschea si diffondeva nell’aria con forza prepotente. Da lì in poi ogni nostra mattina, in ogni luogo, sarà stata allietata da questa preghiera. Solo nel deserto non siamo stati svegliati dal muezzin! La colazione non era forse ricca come ci saremmo aspettati in un albergo di categoria simile in occidente, ma andava bene. Peccato che il pane non era così buono come pregustavamo. Abbiamo capito poi, nei successivi alberghi e ristoranti, che il pane arabo è buono se sfornato da poco, altrimenti già dopo qualche ora perde la sua fragranza.
Ci siamo affidati al taxi “convenzionato” con l’albergo per il nostro primo tour. Sarà che noi non avevamo ancora ben capito come funzionava, sarà la lingua, ma non era stato chiarissimo quanto tempo avremmo avuto a disposizione con il tassista. Per 30 JD abbiamo ottenuto un tour di circa 4 ore. Siamo andati sul vicino monte Nebo (9 km circa) ed entrati nel sito archeologico (1 JD) dove si possono guardare alcuni mosaici, l’esterno della basilica chiusa per lavori e il famoso punto panoramico da dove Mosè vide la Terra Promessa prima di morire. A quel tempo probabilmente l’umidità era minore. Sia dal punto di vista archeologico sia dal punto di vista panoramico la visita è stata un po’ deludente. E’ difficile che si possa vedere Israele perché la vallata scende fino al Giordano e raramente il vento spazza via la persistente cappa di umidità che si estende fin sopra il Mar Morto. Siamo poi scesi fino alla spiaggia di Amman riservata ai turisti occidentali. Il comune di Amman gestisce due spiagge: una per i locali (costa pochi dinari) e una per i turisti (12 dinari). Il nostro tassista ci ha detto che l’altra spiaggia non era bella, che non c’erano docce, che non c’erano donne in costume ecc.., e quindi per noi era assolutamente preferibile andare nella spiaggia più cara. Non sappiamo se fosse vero o no (la guida Lonely Planet scriveva il contrario), ma a partire da questa escursione abbiamo avuto l’impressione che in molte situazioni esistono due livelli di prezzi e di servizi: uno per i locali e uno per i turisti da mungere. La spiaggia era comunque bella, con due piscine di acqua dolce unite da una cascata, un ristorante (con prezzo fisso e buffet, che il nostro autista continuava a consigliarci), bagni discreti (perfino spogliatoi ricavati da toilet a cui erano stati tolti i water), security box, lettini e panchine vicino al mare, un servizio di spalmatura dei fanghi (3 JD) e naturalmente la salatissima acqua. Davvero curiosa l’esperienza di nuotare nell’acqua. Ti accorgi subito della differenza appena ti distendi per galleggiare, perché la spinta dell’acqua preme sul tuo sedere molto più che nei nostri mari; nuotare è difficile in quanto le spalle faticano ad immergersi e risulta alquanto ridicolo vedere le persone che cercano di fare poderose braccia in stile libero con la testa sotto l’acqua (da non fare! Il sale brucia come il demonio!). In qualche punto ci sono sacche di fango marrone (gratis quindi) che ti puoi spalmare sulla pelle. Il fango a pagamento è nero come la pece e contiene indubbiamente concentrazioni maggiori di sali benefici. E’ interessante vedere le formazioni “rocciose” sul fondale: se stacchi le placche sotto i tuoi piedi ti accorgi che in realtà non è pietra, ma sale solidificato che si sgretola fra le dita. Dopo 2 ore siamo dovuti partire per tornare a Madaba. Pensavamo che per il prezzo pagato avremmo avuto più tempo, ma c’è stata un’incomprensione. Al ritorno classica tappa per turisti in una fabbrica che produceva mosaici con vendita diretta al pubblico, con un magazzino che vendeva anche tutta una serie di prodotti di bellezza preparati con il fango del Mar Morto, oltre a tutta una serie di cappellini, statuette, piatti, magliette, portachiavi ecc.. Noi abbiamo acquistato per 20 JD una crema per il viso e una per il corpo.
Una volta tornati abbiamo visitato Madaba. La città di per sé non è proprio bellissima, ma comunque è interessante: ti offre la possibilità di vedere un centro abitato giordano, fuori da quei quartieri fatti apposta per i turisti, di vedere le vie, le case e la vita quotidiana giordane, senza il caos e la frenesia della capitale Amman. Andare a chiedere informazioni al Visitor Center di Madaba è stato come entrare in una nostra pro-loco mal organizzata. C’erano due giovani ragazzi che avevano a disposizione i soliti depliant di Madaba reperibili ovunque. Erano comodamente accoccolati sul divano a bere the (che ci hanno offerto come è tipico in questo paese) e a fumare. Abbiamo chiesto informazioni su come raggiungere Wadi Musa (Petra) con i mezzi pubblici, per evitare di spendere 60 JD di taxi dall’albergo. In 20 minuti abbiamo costatato che i due non avevano la più pallida idea di come si potesse fare, dato che dopo essersi corretti l’uno con l’altro ci hanno indicato prima un pullman per studenti che andava fino a Karak (e poi da lì?), poi un bus che andava fino alla stazione centrale di Amman, da dove avremmo dovuto prendere un pullman fino a Wadi Musa, poi un altro bus fino ad un’altra stazione ad Amman. E’ saltata fuori anche l’ipotesi di andare fino ad Aqaba (ancora più a sud!) per poi risalire con un altro mezzo di trasporto, pubblico o privato. Oltre ai due ragazzi sono intervenuti anche due poliziotti di una stazione a fianco del Visitor Center e mentre stavamo per andarcene sconsolati perfino un passante si è aggiunto al gruppo che stava cercando di capire come raggiungere Wadi Musa. Abbiamo capito alla fine che esiste un mezzo pubblico che parte alle 8 di mattina da Amman dalla stazione di Abdali e forse un altro nella giornata. Abbiamo capito quindi che avremmo pagato i 60 JD per il taxi. Apprezzabile la disponibilità nei confronti dei turisti, che coinvolge chiunque sia nei paraggi e abbia qualche minuto libero per dare il suo contributo.
A Madaba abbiamo visitato il Parco Archeologico (2 JD) che non è molto grande, ma interessante ed il prezzo è basso. Stupisce la facilità con cui ti puoi avvicinare o addirittura toccare i reperti archeologici in mostra. Questa caratteristica l’abbiamo riscontrata anche nelle nostra successive mete (a Petra e ad Amman). Molto bello il mosaico nella chiesa di San Giorgio (1 JD).
Alla sera abbiamo cenato all’Haret Jdoudna (27 JD per due): assolutamente delizioso. Camerieri come al solito disponibili ed efficienti.
LUNEDI’ 9 NOVEMBRE Colazione e poi via con il taxi lungo la Strada dei Re. L’autista stavolta era il fratello del precedente, Jihad, ma Jegi per gli amici. Tutto sommato i 60 euro si sono rivelati una buona spesa. Il viaggio nel complesso è durato circa 6 ore per 228 km lungo l’antichissima via di comunicazione che offre molte attrattive degne di visita. Ci sono 2 modi per raggiungere il sud della Giordania: la rapida (ma occhio ai numerosissimi dossi artificiali e ai check point) Desert Highway e la Strada dei Re, che si snoda attraverso valli e villaggi. La seconda è più lenta, ma più interessante. Oltre che per i siti archeologici, la Giordania è un paese da godere per i suoi paesaggi, per i colori della roccia, per le viste mozzafiato nelle valli (Wadi) che serpeggiano fra le montagne. Ci siamo così fermati in vari punti panoramici ad osservare Wadi Mujib e la sua diga, Karak, Wadi Hasa e la diga e la vallata della riserva naturale di Dana. A Karak ci siamo fermati un’ora per visitare il castello (1 JD). La struttura è ben conservata e vale assolutamente la pena di camminare sotto le mura e dentro il castello, che offre numerosi accessi alle stanze buie e misteriose. Una torcia elettrica in questo caso è necessaria. Noi non abbiamo noleggiato una guida e né ne conosciamo il prezzo, ma ascoltando quelle degli altri turisti abbiamo capito che sarebbe stato interessante, soprattutto per comprendere come venivano destinate i vari ambienti del palazzo e intuire la vita al tempo dei crociati. Bellissimo anche da qui il panorama. Ancora una volta abbiamo rifiutato l’insistente invito del nostro autista di mangiare per 10 JD un ricco buffet al ristorante per turisti (forse che ci sia un accordo?) e siamo riusciti a farci portare in un “piccolo” bar frequentato solo da giordani, poco più sotto, dove per 1JD entrambi abbiamo mangiato due deliziosi falafel nel pane arrotolato! Altro che MacDonald! Durante questo viaggio abbiamo avuto modo di conoscere il nostro guidatore. Continuava a ripetere di essere un cittadino americano; in realtà ci ha mostrato una vecchia green card scaduta, rilasciata vent’anni prima quando aveva trascorso qualche mese negli States. Ci ha fatto sorridere la giustificazione che portava quando non capivamo quello che ci diceva con il suo inglese maccheronico: era colpa del suo accento americano troppo forte! Ci ha raccontato che lui spende ogni mese per se e per la sua famiglia (moglie e tre figli) circa 1.000 euro. A noi è sembrata una cifra esagerata, dato che affermava che il salario medio mensile è di 100-200 dinari. Si è poi avventurato in un interessante discorso sulla pillola anticoncezionale: dopo essersi stupito che non avevamo figli, ha riportato i pareri che il medico di sua moglie le aveva ripetuto più volte. La pillola fa male e provoca delle malattie nei figli. Quindi le donne non dovrebbero prendere la pillola. Anche dalle nostre parti si sentono discorsi di questo tipo.
In serata siamo arrivati al Shara Mountain Hotel. Dopo il classico the di benvenuto, abbiamo salutato il simpatico Jegi e siamo saliti in stanza. Questo hotel era nella lista degli ostelli ed effettivamente il livello era quello, a parte il fatto che la stanza era una doppia con bagno in camera. Diciamo che tutto seguiva un certo stile: il portasciugamani che quasi si staccava, il tubo della doccia che si schiacciava, la doccia senza tenda (ma basta avere dei giornali da stendere per terra!), la tavola del water che si staccava, la gruccia appesa che pendeva storta perché una parte di un braccio era rotta, le lenzuola (sia quelle che coprivano il materasso sia quelle sotto la coperta) corte al livello della caviglia (con la spiacevole sensazione di toccare il materasso e la coperta non proprio pulitissimi) e la mancanza di un armadio vero e proprio. Comunque la sistemazione era economica ed il proprietario gentile (anche se incuteva timore data la mole). Tutto sommato per 3 notti andava discretamente.
Abbiamo cenato da Al-Arabi, con prezzo scontato per gli ospiti dello Shara Mountain Hotel (solo per il nostro?): buona cena, forse meno dell’ultima di Madaba, ma come al solito il rapporto qualità/prezzo è decisamente favorevole. Esperienza positiva.
In albergo abbiamo acquistato il biglietto per “Petra by night”, allo stesso prezzo della biglietteria ufficiale (12 JD), e siamo stati accompagnati gratuitamente all’entrata (1 km più in basso). La camminata notturna sotto la volta stellata, le tenui luci delle candele poste lungo il sentiero e l’inquietante attraversamento del siq si sono rivelati un’esperienza emozionante. Spettacolare la vista finale del Tesoro, illuminato da centinaia di candele, e lo spettacolo offerto da due solisti: due beduini che hanno suonato prima un loro caratteristico strumento a corde e poi un flauto. Ci hanno offerto il the (il the beduino ha la caratteristica di essere molto zuccherato) e poi un attore ha recitato in inglese un pezzo di cui però non abbiamo ben compreso le parole. Sia all’andata che al ritorno ci ha salutati un simpatico gattino che probabilmente viveva nel siq. Unica pecca: i turisti. Tanti e troppo chiacchieroni. Spagnoli e italiani in primis.
Alle 22.30 eravamo già in albergo (il corpulento proprietario ci era venuto a prendere in macchina: più che apprezzato!). A nanna presto pronti per la Petra di giorno! MARTEDI’ 10 NOVEMBRE Alla mattina ci ha allietato la solita sveglia del Muezzin. La colazione era rappresentata da un uovo sodo bianco (che abbiamo capito fa parte del menu di gran parte degli alberghi), il tradizionale pane arabo (buono, ma un po’ gommoso perché non fresco), marmellata e burro nelle piccole confezioni.
Mahammud (il proprietario) ci ha accompagnati all’entrata di Petra. Il biglietti per due giorni costano 26 dinari (21 per 1 giorni, 31 per tre). Non costa poco, ma, come avverte anche la nostra inseparabile Lonely Planet, il sito archeologico è davvero grande e c’è ancora tanto da fare in termini di manutenzione degli edifici. Speriamo che i soldi siano ben gestiti! Il personale degli enti che gestiscono la città di pietra è presente ovunque, dall’entrata dove i controlli sono rigorosi (con tanto di registrazione di nome, hotel, n. Biglietto e firma sull’elenco dei visitatori e anche la firma sul biglietto che diventa così non trasferibile) ai vari siti sparsi all’interno.
Nel corso della nostra visita di due giorni Petra si rivela essere molto più vasta di quanto pensassimo: si tratta in sostanza di una vallata al cui interno si alzano numerose colline di roccia e tortuosi sentieri che portano i visitatori a vedere le centinaia di tombe scavate nella roccia. Oltre ai tradizionali percorsi battuti dai migliaia di turisti che invadono ogni giorno questi spazi, esistono percorsi non segnati e non controllati che seguono i letti asciutti di fiumi o si diramano dalle principali vie, raggiungendo località e tombe remote dove raramente di spingono i turisti.
Dall’entrata si procede lungo il sentiero che porta dopo poco al primo monumento: le case del Djiin (spirito). Tre monumenti enormi poco distanti dalla strada. Poi sulla sinistra, separati dalla nostra via da un fossato, si eleva la prima grande tomba nabatea, con i suoi cinque obelischi in cima, che ci lascia stupiti, ma sarà solo un primo assaggio di quanto avremmo visto nella giornata. Intorno a noi notiamo tante piccole cavità nella roccia, che rappresentavano tombe di minore importanza. Tutte queste costruzioni risalgono al periodo compreso fra il III secolo a.C. E il I d.C., durante cioè il regno dei Nabatei, una popolazione nomade, abile nel commercio, che creò nei secoli una società stabile ed evoluta in grado di espandersi fino all’Arabia Saudita, con capitale Petra, distinguendosi qui per la capacità di canalizzare una risorsa preziosissima come l’acqua. Con l’arrivo dei romani il regno fu annesso a Roma. Pur vivendo nella città, utilizzavano la loro abilità di scultori della pietra arenaria solo per costruire le tombe (partendo dalla parte superiore), continuando a vivere nelle tende. Maggiore è la tomba e maggiore era lo status del defunto. I nabatei erano dei grandi viaggiatori e hanno trasferito tutto quanto avevano imparato dell’architettura egiziana, romana e greca in questi magnifici monumenti.
Il sentiero porta fino all’inizio del siq, un percorso lungo più di un chilometro infilato fra alte pareti rocciose. In alcuni punti la larghezza si riduce a 3-4 metri. Prima del siq, sulla destra, ci si può arrampicare sulla collina per vedere alcune tombe interessanti e godere del panorama.
Tutte le tombe internamente sono delle cavità spoglie o al massimo con delle sepolture scavate nella roccia. Talvolta l’interno merita una fotografia per le incredibili sfumature che assumono i colori della pietra.
Percorrere il siq significa camminare con il naso all’insù per ammirare le pareti rocciose, ma bisogna prestare attenzione a dove si mettono i piedi. Passano molte carrozze trainate da cavalli, per turisti, e questi poveri animali hanno i loro bisogni! Durante la camminata abbiamo salutato il solito gattino del siq.
Ci siamo stupiti nel notare lungo tutto il siq il canale scavato nella roccia che serviva per portare l’acqua all’interno di Petra partendo dalla diga costruita all’inizio del siq. Purtroppo l’erosione negli anni ha rovinato in molti punti quest’opera, ma rimane ancora ben visibile. Dopo la tomba e la scultura del cammello con cammelliere, siamo arrivati al termine del siq e si apre davanti a noi la splendida vista del Tesoro. L’interno non è visitabile, ma la facciata è stupenda ed imponente. Si possono notare le tacche ai lati della facciata e stupirsi nell’immaginare l’impalcatura che avevano montato per scolpire la tomba.
Nello spazio davanti al Tesoro si concentrano centinaia di turisti intenti a scoprire tutte le angolature possibile per fotografare l’elegante pietra rosa del monumento. Da qui in poi noteremo anche numerosi gatti ben pasciuti e qualche cane.
Dal Tesoro parte la Strada delle Facciate, che permette di vedere numerose tombe: le maggiori e meglio conservate sono segnate da una breve descrizione. Si può anche cercare il sentiero che sulla destra porta in alto fino ad ammirare il Tesoro da sopra; noi non siamo saliti per mancanza di tempo (e di energie!), ma ne sarebbe valsa la pena. Abbiamo proseguito e siamo arrivati fino al teatro. Bello e ben conservato! Non siamo potuti entrare e scendere i gradini per la recinzione installata per i lavori di conservazione, ma comunque si può arrivare fino al margine della scalinata.
Per fortuna eravamo ben forniti di acqua (comunque disponibile in numerosi chioschi), perché la temperatura era alta (comunque l’aria secca la rende meglio sopportabile del caldo in Pianura Padana!) e poca era l’ombra disponibile. Siamo saliti poi sulla destra sul sentiero che porta alle tombe reali. Una più bella dell’altra: non siamo andati alla Tomba di Sesto Fiorentino (purtroppo bisogna tener conto che in Novembre alle 16.30 il sole inizia a tramontare), ma abbiamo goduto, oltre che dell’immancabile splendida vista di Petra e delle sue montagne rocciose, della bellissima Tomba del Palazzo.
Durante i due giorni a Petra, qualunque fosse il sentiero battuto dai turisti che percorrevamo, incontravamo sempre le bancarelle dei beduini che ci proponevano con molta, ma cordiale insistenza, collane e braccialetti. A gestirle le donne e i bambini. Gli uomini, invece, si occupano dei punti di ristoro (immancabile il the) e del trasporto con gli animali, rappresentato da: le carrozze a cavallo (dall’entrata al Tesoro), i muli (per arrampicarsi sulle colline, principalmente verso l’Altura del Sacrificio e verso il Monastero) e i cammelli (dal punto di ristoro vicino alla Strada delle Facciate fino al centro di Petra dove si trovano i due ristoranti).
Vicino alla Tomba del Palazzo abbiamo deciso di cedere e comprare per 3 JD una graziosa collana fatta con ossa di cammello (o almeno così abbiamo capito). Abbiamo accettato l’invito della donna a sedere con loro per il tradizionale the di benvenuto. Intorno a noi giravano due bambini scalzi e abbastanza sporchi, con due begli occhioni curiosi e divertiti per gli ospiti inattesi. Seduti su una pietra (e altrimenti su cos’altro?!) abbiamo filmato la preparazione del the: una vecchia teiera è stata riempita con acqua, foglie di the e zucchero (ovviamente il tutto preso con le mani, ma non eravamo preoccupati: per fare il the l’acqua bolle) e posta sopra dei rami secchi in una buca nella terra; i rami sono stati accesi e l’acqua fatta bollire per circa 10 minuti. Nel frattempo i bicchieri sono stati prima risciacquati accuratamente con le dita all’interno, in una specie di mini bacinella ricavata dalla confezione di qualche yogurt o gelato. La signora ci ha offerto anche dello yogurt bianco tiepidino per il sole che aveva battuto sopra tutto il giorno. Dopo aver ringraziato per la squisita cortesia, abbiamo rifiutato. Prima di riempire i bicchieri di vetro, ha dato una sciacquata con the bollente. Poi un brindisi e via con uno dei più zuccherati the che abbiamo mai bevuto. Buono. La signora ci ha raccontato che ha dieci figli, mentre un’altra giovane donna, intervenuta successivamente, ne aveva per il momento solo 4. La prima cosa che ci hanno domandato stupite è perché noi non abbiamo figli! E crediamo anche di aver notato un filo di pena nei loro occhi, come se la mancanza di progenie fosse causata da impotenza o malattia. Abbiamo ringraziato per il the e salutato queste donne davvero carine per la loro gentilezza.
Siamo scesi dalla collina e per continuare verso il centro di Petra, attraverso la Strada Colonnata. Da qui inizia una pavimentazione che porta ai diversi monumenti e costruzioni, come i Mercati e il complesso del Tempio. Di questo rimane l’enorme superficie rettangolare e i tre livelli, oltre alle colonne e ai resti di un edificio interno. Molto bello davvero. A destra occorre salire sulla collina e cercare i resti del Palazzo Reale, del Tempio dei Leoni Alati e della Chiesa Blu; merita attenzione particolare la Chiesa di Petra, per mosaici bizantini all’interno.
Dopo aver sceso la collina e ci siamo avviati verso il punto di ristoro, costituito da un grande ristorante beduino (ripete la struttura di una tenda) e dal ristorante gestito dall’albergo Crowne Plaza. Solito buffet a prezzo fisso di 20 JD. Abbiamo deciso di mangiare i nostri snack e di tenerci appetito e soldi per una gustosa cena.
Dopo un breve riposo abbiamo ripreso la strada di ritorno arrivando nei pressi del sentiero che porta alle Tombe Reali. Dalla parte opposta parte una ripida scalinata che porta sul Jebel (monte) Madbah, dove si trova l’Altura del Sacrificio. Decidemmo di dare fondo alle nostre ultime energie e di compiere la salita, percorrendo una miriade di gradini in pietra che mise a dura prova la nostra preparazione atletica (ben scarsa, chiaramente). Durante la salita abbiamo incontrato diversi ragazzini che ci offrivano di salire a bordo dei muli, ma vedendo le cinghiate che queste povere bestie si prendevano, l’idea non ci è passata nemmeno per la testa. Salire sulla collina mentre il pomeriggio sta avanzando verso il tramonto significa abbracciare nuovamente il panorama favoloso di Petra, cogliendo le sfumature dei colori che cambiano lentamente con il variare dell’inclinazione del sole. Si passa da una gradazione di gialli ad una di rossi, da un rosa pallido ad un arancione acceso.
Arrivati con il fiatone in cima, sorpassate le solite bancarelle di altre beduine, arrivammo su uno spiazzo dove si potevano vedere i resti dell’altare dove venivano sgozzati gli animali ed il canale di scolo del sangue. Qui abbiamo incontrato una donna beduina, sbucata da chissà dove, con una cesta colma di pietre da vendere, collocata in equilibrio sulla testa, che ha cercato di venderci qualcosa. Non riuscendoci, ci ha regalato due piccole pietre levigate, chiedendo poi se avevamo del chewing-gum. Avevamo una scatoletta già iniziata di gomme senza zucchero (e visti i denti che aveva probabilmente sarebbe stato meglio uno spazzolino) e gliela abbiamo regalata. Ci siamo salutati e siamo tornati sui nostri passi.
Questo come altri luoghi di interesse archeologico, non sono ben segnati e talvolta vengono dei grossi dubbi saltando da un masso all’altro con il rischio di cadere e farsi delle belle rotolate fino a valle! La presenza delle bancarelle è rassicurante: dove c’è una bancarella, lì c’è un sentiero per turisti. E le beduine sono sempre molto disponibili a dare indicazioni, senza pretendere nulla in cambio.
Tornati giù, ci siamo avviati verso il siq (dove abbiamo fatto un’ultima coccola al gatto) e quindi verso l’uscita. Impossibile non fermarsi ancora davanti al Tesoro per fare delle fotografie con la luce del tramonto.
Al ritorno abbiamo comprato del pane e dei dolci per la colazione presso un fornaio frequentato da persone del posto. Per qualche dinaro ci siamo riempiti la borsa. Ad un internet cafè, dove ci eravamo recati per trovare informazioni sulla nostra meta successiva, il deserto del Wadi Rum, abbiamo incontrato due simpatiche ragazze olandesi. Avevano noleggiato l’auto ad Amman ed erano arrivate come noi a Petra con l’intenzione di andare nel deserto. Ci siamo scambiati le informazioni raccolte. Nasceva quindi l’idea di partire insieme giovedì.
In quel cafè abbiamo deciso che probabilmente avremmo trascorso la notte nel deserto nel Sunset Camp, segnato anche dalla nostra guida.
Siamo andati a mangiare al Al-Wadi Restaurant: è stata la cena meno buona in Giordania. Non era cattiva, ma in altri ristoranti abbiamo mangiato decisamente meglio. Interessanti i piatti beduini (gallyah e mensaf).
In albergo abbiamo chiesto informazioni sulla possibilità di arrivare fino al Rum Village. Ovviamente l’unico modo che ci hanno proposto è stato il taxi per 30 JD. Ci hanno offerto inoltre la possibilità di andare trascorrere la notte ed effettuare le escursioni nel deserto (fanno sempre parte di un unico pacchetto) presso un loro amico, ad un prezzo davvero speciale solo per noi (cioè 50 JD, esattamente lo stesso che il Sunset Camp aveva pubblicato sul sito internet!).
MERCOLEDI’ 11 NOVEMBRE Secondo giorno a Petra. Percorriamo più veloci del giorno prima il sentiero ed il siq (salutati dal gattino) e ci fermiamo davanti al Tesoro per altre foto. Questo giorno sarebbe stato dedicato all’altro percorso, quello che dallo Jebel Madbah porta fino al centro di Petra, costeggiando la montagna e poi su fino al Monastero. Di nuovo ci siamo arrampicati su per la scalinata. Non abbiamo svoltato per l’Altura del Sacrificio, ma abbiamo aggirato gli Obelischi fino a scendere nella vallata dietro. Questo percorso è meno ricco di monumenti, che sono meno imponenti ma non meno interessanti; permette però una panoramica a 360 gradi sulla vallata di Petra.
Abbiamo seguito il sentiero e le bancarelle verso il Monumento del Leone (una scultura ancora riconoscibile di un leone, dalla cui bocca probabilmente sgorgava l’acqua che veniva canalizzata dall’alto) e poi giù lungo una ripida scalinata che ci ha portato alla Tomba del Giardino. Anche qui siamo rimasti stupiti dall’ingegneria idraulica nabatea: dall’alto della montagna l’acqua scendeva lungo un canale (attraverso la bocca del leone) fino ad arrivare ad una cisterna, da cui si diramavamo ulteriori canali che la portavano al giardino (oggi solo rocce) e poi ancora giù verso le zone sottostanti. La tomba è bella, così come la Tomba del Soldato Romano e il Triclinio del Giardino, poco più sotto. Aggirate altre tombe meno note, ma comunque affascinanti e abbiamo salito di nuovo una collina che custodisce i resti del palazzo Az-Zantur e la misera Colonna del Faraone. Dal palazzo si può meglio osservare la vallata che un tempo era attraversata dalle carovane che spuntavano dal passo in mezzo alle montagne rocciose, provenienti dall’Arabia Saudita e dirette verso altre città del Medio Oriente. Qui abbiamo distribuito degli snack dolci ai bambini che ci circondavano.
Siamo scesi fino al Colombario (tralasciando una nuova pesante salita verso il Forte dei Crociati), caratterizzato dal una moltitudine variopinta (colori della roccia!) di piccole nicchie scavate nella grotta. Ancora più sotto si trova la Tomba Incompiuta: è interessante capire come la scultura partiva dall’altro e in questa tomba lasciata a metà si vedono chiaramente le colonne nascere improvvisamente dalla roccia. Peccato che non sia raggiungibile.
Dopo un breve ristoro nei pressi del ristorante (ma ancora abbiamo rifiutato il buffet!), abbiamo intrapreso la lunga salita (45 minuti con un buon passo interrotto dalle solite tante foto dei paesaggi che si aprono da sempre nuove angolature) verso il Monastero. I ragazzini beduini ci hanno offerto il passaggio a bordo del mulo, ma abbiamo rifiutato. Ci sono certi punti dove i passaggi sono così stretti che l’idea di essere ad un metro da terra sul mulo non ci attirava di certo. Lungo questa salita si può ammirare il profondo crepaccio che si apre sotto la scalinata.
Prima di arrivare in cima si passa davanti alla Tomba dei Leoni.
Il Monastero è stupendo quanto il Tesoro. Ampio, imponente, ben conservato. L’ampiezza dello spazio in cui è inserito permette di ammirarlo anche da distante, a differenza dell’altra tomba che distava solo poche decine di metri dalla parte rocciosa di fronte.
Si può ancora proseguire e salire fino ai punti panoramici. E’ stato uno sforzo, perché ci domandavamo se dopo tutti i panorami che avevamo visto valeva ancora a pena sforzare le gambe per un’ulteriore salita. Ne valeva la pena. Anche se l’aria non era limpidissima, si poteva arrivare con lo sguardo fino ad Israele e a sud fino al Wadi Araba. Innumerevoli le foto dei pochi turisti che giungevano fino a là. E’ proibito soffrire di vertigini! Al ritorno abbiamo incontrato una bambina beduina scalza e un po’ sporca, di non più di 6 anni. Dopo averci domandato con un ottimo inglese dei “bon bon” ha iniziato una conversazione sulle telecamere, domandandoci le caratteristiche della nostra, dimostrando una padronanza del linguaggio e della materia che ci ha lasciato stupiti. Solo lo squillo del suo cellulare l’ha interrotta.
Siamo tornati con il tramonto già avanzato. Salutare Petra è stato triste. E’ stata un’esperienza davvero ricca. Durante i nostri brevi colloqui con i beduini che gestiscono i vari servizi nella città ci siamo sentiti abbastanza ignoranti: con ogni turista riuscivano a scambiare una parola nella lingua madre del turista stesso (spagnolo, italiano, tedesco, russo e ovviamente inglese). Il bello è che prima ancora di aprire bocca sapevano di che nazionalità eri. Lo riconoscevano dai vestiti, dalla pelle, dalla fisionomia.
Ultimo saluto al gatto del siq.
L’ultima cena abbiamo deciso di farla al già sperimentato Al-Arabi. Buono come la prima volta, anzi di più. Questa volta il baffuto cameriere ci ha fatto anche qualche sorriso. Curioso il lavandino in mezzo al ristorante per lavarsi le mani.
Per la seconda volta della giornata (la prima nei pressi del Monumento del Leone) abbiamo incontrato le ragazze olandesi. Abbiamo quindi fissato l’appuntamento per il giorno dopo alle 7.15 davanti all’albergo per andare nel Wadi rum.
GIOVEDI’ 12 NOVEMBRE Arrivano le ragazze a bordo di una C2. Carichiamo le nostra valigie nell’abitacolo e ci prepariamo a viaggiare stretti stretti. Alla mattina salutiamo il fratello di Mahammud; dopo aver caricato le valigie, molto simpaticamente ci dice che da Wadi Musa parte ogni mattina un pullman verso Rum Village per 5 dinari!! Grazie dell’informazione! Il viaggio verso Wadi Rum è stato tranquillo e al check point non hanno voluto nemmeno vedere i passaporti, dopo averci chiesto le nostre origini.
Dopo 1 ora di viaggio (un po’ strettini a dire il vero, ma la compagnia era buona) siamo arrivati al centro visitatori. Lì abbiamo trovato delle guide che facevano riferimento al Sunset Camp (o meglio, loro hanno trovato noi!) e dopo aver pagato 2JD l’ingresso nella zona protetta, li abbiamo seguiti. Siamo arrivati al Rum Village, dove abbiamo conosciuto Mohammed, il proprietario del campo. In un vecchio edificio, seduti su delle poltrone bassissime (praticamente sdraiati), abbiamo bevuto il tradizionale the dolcissimo di benvenuto. Ad accoglierci anche la cognata Nora, originaria di Chicago. Parlando scopriamo che esiste anche la possibilità di trascorrere dei periodi come volontari del campo: si viene ospitati in cambio di piccoli lavoretti. Dopo aver ascoltato le diverse escursioni possibili, scegliamo tutti e 4 quella di 6 ore per 40 JD, con pernottamento, cena e colazione inclusa. Aggiungiamo altri 25 JD per il ritorno in cammello (in totale 65 JD a testa). In realtà scopriremmo poi che l’escursione sarebbe durata 5 ore, più che sufficienti per i luoghi che ci avrebbe fatto visitare.
Il nostro autista beduino (o almeno così diceva di essere) era un giovane silenzioso che parlava poco inglese e non si è dimostrato quindi una buona guida. L’attrazione principale del deserto è… il deserto stesso! Viaggiando con la jeep si vedono scorrere paesaggi fatti di sabbia rossa e gialla, rocce colorate, alte e frastagliate, altre lisce dalle forme più strane. La formazione di queste montagne risale a 50 milioni di anni fa e le varie composizioni sono frutto di lunghi e continui processi di erosione della pietra arenaria.
La prima attrazione sono state le rovine di un grande tempio nabateo, sulle cui colonne si potevano ancora leggere delle iscrizioni (i tratti sono molto simili a quelli del moderno arabo).
La casa di Lawrence è costituita da un muro di mattoni e qualche rovina intorno. Tranquillamente evitabile. Siamo poi saliti su una delle più famose dune rosse del deserto: si ratta di un grande cumulo di sabbia rossa che si stende come un velo a cavallo di una formazione rocciosa. Dopo essere saliti in cima, ci siamo divertiti a correre giù saltando sulla morbida sabbia, riempiendoci le scarpe della polvere rossa! Abbiamo visto le incisioni nabatee nella roccia e sinceramente qualche dubbio ci à venuto, sulla loro autenticità. La roccia era liscia, come se qualcuno fosse passato con una gigantesca lima, e la profondità delle iscrizioni era di uno o due millimetri: possibile che con il vento che sbatte la sabbia contro la parete non siano cancellate le iscrizioni? A quante pare no, dato che anche le guide confermano quanto illustrato dal nostro poco loquace beduino, e questo rende ancora più misteriose le incisioni. Dato che il deserto non ci sembrava ancora abbastanza avventuroso, ci siamo inventati di salire (scalare!) una roccia che portava al Ponte di Roccia di Umm Fruth. Alla faccia delle norme di sicurezza dei nostri siti occidentali! Ingoiata la sensazione di vertigine, ci siamo avventurati su questa lastra di roccia sospesa ad almeno 20 metri da terra! La roccia era inaspettatamente porosa, ruvida e le suole delle scarpe aderivano bene alla superficie rendendo la nostra discesa “abbastanza tranquilla”. Durante la nostra escursione abbiamo fatto una pausa con il the beduino. Peccato che il giovane autista non si sia aggregato a noi, ma sia rimasto in disparte. Ci sarebbe piaciuto conoscere di più riguardo la vita in questi luoghi selvaggi e affascinanti. Abbiamo visitato anche un paio di sorgenti, ma nessuna di queste valeva la pena di perdere del tempo. Insignificante anche il pozzo dei nabatei. In realtà tutte queste avrebbero potuto essere anche interessanti, se qualcuno ci avesse spiegato cosa stavamo vedendo e perché era interessante.
Siamo arrivati al Sunset Camp nel primo pomeriggio. Si trovava sopra un piano leggermente inserito nella roccia. C’erano una serie di tende costruite con pesanti e coloratissime stoffe supportate da muretti in cemento. Poi un altro edificio in mattoni ospitava i letti del cuoco e di un altro inserviente e i bagni. Al centro c’era una tenda rotonda con il camino, mentre attaccato all’edificio la grande tenda per il ritrovo. Dopo di noi sono arrivati altri ospiti ad occupare le tende e alla sera complessivamente eravamo: 2 neozelandesi, 2 canadesi, le due ragazze olandesi, noi due, i due volontari (un canadese e un olandese), il cuoco (sudanese), il fratello di Mohammed (l’unico beduino, se era un beduino, che non ha mai parlato), Nora e una giovane ragazza francese (viaggiava da sola, dimostrazione del fatto che la Giordania è un paese sicuro). Per tutti e 14 i bagni erano costituiti da: 1 toilet con porta rotta, water e sciacquone non funzionante; 1 toilet con vaso da riempire tutte le volte per sciacquare alla meglio (noi abbiamo portato dentro un secchio usato per le pulizie, dopo aver constatato che spesso il vaso era insufficiente), 1 vespasiano, 1 doccia non funzionante, 1 doccia funzionante (acqua che scendeva dalla cisterna) e 1 doccia che non abbiamo sperimentato. All’esterno due lavandini per le minori esigenze. Possiamo quasi dire che il nostro alternarsi nei bagni ha contribuito alla coesione e alla creazione di intimità nel gruppo…
E’ stato molto bello scambiare le nostre esperienze con quelle degli altri viaggiatori, tutti armati di Lonely Planet, e scoprire tante somiglianze e diversità fra persone provenienti da ogni parte del mondo.
L’umidità ha spento un po’ il tramonto ammirato dalla cima di una roccia, ma il rossore del sole che spariva dietro le montagne ha comunque scaldato i nostri spiriti. L’aria invece ha iniziato a farsi più fredda ed il nostro pullover diventava appena sufficiente.
Verso le 17.30, quando il buio era sceso nel campo, con le nostre torce ci siamo fatti strada verso la tenda principale, dove ci siamo tutti riuniti a fare quattro chiacchiere. Verso le 18.30 è stata portata la cena: ci aspettavamo dei tipici piatti beduini, ma purtroppo il cuoco sudanese, come lui stesso ha affermato, ha cucinato “sudanese-international food”! Abbiamo mangiato pollo con un sugo al pomodoro, manzo, una spadellata di verdure e del riso bianco come contorno. La cena era abbastanza buona, ma non tipica come ci saremmo aspettati in mezzo al deserto lontani chilometri dal primo insediamento urbano. Dopo cena il personale del campo è andato a letto (verso le 21), lasciandoci soli alle nostre chiacchiere. Questa è stata la seconda delusione: il sito internet del Sunset Camp prometteva musica beduina e ci aspettavamo almeno un po’ di intrattenimento (nessun scimmiottamento, bastavano due parole!). Per fortuna il volontario olandese ha acceso un fuoco ai limiti del campo e per un paio di ore ci siamo riuniti in cerchio a parlare. E quando non c’era niente da dire ci limitavamo a guardare il fuoco o le stelle che sovrastavano le nostre teste. In mezzo al deserto senza alcuna luce artificiale, il cielo appariva come una tappeto di velluto nero cosparso di migliaia di piccole gemme luccicanti. Con la nostra fidata torcia a pile ci siamo alla fine diretti verso la tenda per dormire. Non avendo i sacchi a pelo ci siamo sdraiati vestiti sui materassini e sulle coperte. Queste erano veramente pesanti e dopo un po’ che eravamo coperti abbiamo dovuto ridurre il numero per il caldo eccessivo. A nostro avviso c’erano circa 12 gradi. Durante la notte abbiamo sentito dei passi intorno alla nostra tenda, o meglio, sembravano quasi rumori generati dagli zoccoli di un cavallo. La nostra tenda era ben chiusa con le nostre valigie appoggiate sopra i lembi dei teli che costituivano l’aperture, quindi eravamo tranquilli.
VENERDI’ 13 NOVEMBRE Alla mattina abbiamo trovato delle piccole orme, ma ancora ora non sappiamo cosa potesse essere stato! Comunque i due canadesi, che avevano dormito all’aperto, erano ancora sani e salvi! Non siamo riusciti ad alzarci per vedere proprio l’alba che illuminava le rocce, ma comunque abbiamo colto i colori del mattino che le montagne mostravano ai noi piccoli avventurieri.
Dopo una veloce colazione a base di patate, pane, hummus e chalva, ci siamo preparati al ritorno. Le valigie sono state caricate sulla jeep, mentre noi siamo stati caricati sui cammelli. Cavalcare un cammello è un’esperienza curiosa: a parte qualche piccolo dispetto, i cammelli hanno camminato in modo pacifico fino al Rum Village. Spesso si fermavano a mangiare i cespugli che incontravano lungo il tragitto. Il cammelliere camminava avanti e non parlava una parola di inglese. Spesso rideva e non sappiamo se per l’imbarazzo di non saper parlarci o perché ai suoi occhi apparivamo tanto ridicoli. Dal colore della pelle abbiamo dedotto che non era molto beduino, forse anche lui sudanese, e anche questo ha un po’ ridotto il fascino che il campo inizialmente ci suggeriva. Le selle erano comode, anche se il dorso ampio del cammello ci obbligava a tenere le gambe allargate. Anche se durante la mattina non sentivamo particolari dolori, alla sera abbiamo scoperto entrambi dei lividi distribuiti in posti diversi dei nostri sederi! Arrivati al villaggio, dopo aver bevuto il the di benvenuto (o di commiato), siamo saliti sulla C2 in direzione di Aqaba. Lì avremmo poi preso il pullman per Amman.
Ad Aqaba abbiamo trovato un ambiente completamente diverso da quello visto fino a quel momento: sia per l’affluenza turistica sia per il fatto che è una città franca, Aqaba è una città che si mostra ricca, con le strade larghe e pulite, grandi alberghi eleganti e un clima tipico delle città di mare. Abbiamo salutato con un caffé le nostre simpatiche compagne di viaggio.
Per 6,75 JD abbiamo preso il pullman per Amman, verso la stazione di Abdali, una fermata poco sopra l’albergo che avevamo prenotato all’internet Cafè di Wadi Musa, il Toledo Hotel.
Dopo aver acquistato il biglietto occorre passare prima per il controllo bagagli fatto dal servizio d’ordine (probabilmente per evitare che i giordani si portino fuori prodotti senza pagare le imposte), ma ai turisti in genere non viene controllato nulla. Dopo aver ricevuto il bollino si può convalidare il biglietto nuovamente dentro la biglietteria.
Il viaggio è stato tranquillo, lungo la Desert Highway, seduti abbastanza larghi su sedili puliti. Ogni tanto, davanti a me, vedevo spuntare fra i sedili la testolina di una vecchietta con il velo che ci guardava incuriosita. Appena ci soffermavamo a guardarla si ritraeva e spariva dietro al suo sedile. Buffa. Anche qui abbiamo bevuto il the di benvenuto, per 0,50 JD. Durante il viaggio abbiamo visto scorrere dal nostro finestrino le montagne del deserto, che stendeva i suoi confini sabbiosi fino alla strada.
All’arrivo, verso le 18, prendere le valigie è stato un po’ come conquistare la palla al gioco del rugby. In fianco a noi, però, una piccola giapponese che viaggiava da sola e che non osando buttarsi nella mischia chiedeva la valigia con vocina leggera, ha ottenuto il suo bagaglio dai alcuni giovani giordani che prontamente l’hanno accontentata. Intorno a noi si sono gettati come avvoltoi i tassisti che volevano portarci ovunque. Essendo il nostro hotel troppo vicino per valere la pena, ci proponevano alberghi “migliori”, ma chiaramente più distanti. Abbiamo scelto il più discreto fra di loro e ci siamo fatti accompagnare per 0,50 JD.
L’albergo, a 7 piani, in passato probabilmente era un albergo a 4 stelle: mostrava un’eleganza pesante e datata. Comunque la stanza era molto grande, nel bagno c’era il bidet, gli ambienti puliti ed il letto enorme. E’ stata indubbiamente la nostra migliore sistemazione in Giordania (per 70 JD). Dopo una doccia veloce siamo usciti in taxi (1,5 JD) per andare al ristorante Fakhr el-Din. Ottima scelta. Il servizio era professionale e i camerieri pazientemente rispondevano alle nostre mille domande riguardo il cibo e perfino al caffé. Abbiamo scoperto che esiste il coffee-man, cioè una sorta di maitre che si occupa solo di fare un buon caffé. Il nostro caffé turco era effettivamente buono. Che buona la cucina giordana! Fuori dal ristorante 5 o 6 tassisti aspettavano l’uscita dei clienti per portarli all’albergo per 3JD.
A nanna.
SABATO 14 NOVEMBRE La mattina si sabato abbiamo finalmente preso le cose comodamente, ci siamo alzati con calma e placidamente siamo scesi a fare colazione (più ricca di quelle fino a quel momento avute, ma comunque niente di eccezionale). Un po’ per stanchezza e un po’ per pigrizia, abbiamo deciso di non andare a vedere Jerash, anche se la cosa ci è un po’ dispiaciuta. Abbiamo deciso di dedicare l’ultimo giorno disponibile ad Amman. Ci siamo avviati a piedi scendendo fino ad Amman centro per poi salire sulla collina successiva fino alla Cittadella (Jebel al-Qala’a). Ci siamo trovati di fronte alla collina nella quale è incastonato il bel Teatro Romano, circondato da una miriade di vecchie case appese alla parete del monte. Molto gentili i passanti che intuendo la nostra meta ci indicavano la via da seguire. In prossimità della cima ci siamo fermati qualche secondo a guardare dentro una bottega e subito siamo stati invitati ad entrare. Calorosamente e cordialmente il ragazzo ci ha mostrato la tipografia dove lavorava, le stampe e i volantini da loro prodotti e le vecchie macchine che stavano usando. Dopo questo break abbiamo raggiunto la Cittadella. Da là sopra abbiamo potuto godere di una vista a 360 gradi di Amman e notare l’enorme bandiera giordana che sventola sopra il palazzo Raghadan. Immancabile il canto del muezzin che si rivelava come un inseparabile compagno di viaggio. Non c’era nessuna biglietteria e siamo entrati senza pagare; non sappiamo se la gratuità del sito archeologico fosse un evento occasionale o stabile. Nuovamente all’interno ci siamo stupiti del libero accesso ai monumenti, come la possibilità di entrare nel tempio, passeggiare sopra i muri, toccare le colonne, ecc.. La visita è durata complessivamente circa 1 ora. Le tabelle esplicative non erano sempre posizionate in modo chiaro e anche con la nostra guida abbiamo avuto talvolta difficoltà a capire cosa stavamo guardando. La maggior parte della zona è occupata dal palazzo degli Omayyadi (VIII secolo d.C.), di cui sono rimaste le fondamenta e i muri di alcune stanze. Interessante il sistema di canalizzazione dell’acqua che permetteva di raccogliere l’acqua piovana e distribuirla nei vari ambienti del palazzo, con dei collegamenti che scendevano fino alla parte più bassa di Amman. Abbiamo visto anche il Tempio di Ercole, con i suoi interessanti reperti esposti alla luce del sole. Non siamo andati invece nel museo archeologico.
Siamo scesi nella caotica Amman. Clacson, traffico, bancarelle che occupano i marciapiedi, venditori che cercano di proporti la loro merce, le vie colme di persone. Abbiamo di nuovo ritrovato la cordialità giordana in un simpatico tabaccaio, presso cui ci eravamo fermati a prendere cartoline e francobolli. Dopo averci spiegato i modi in cui si esprime il valore delle monete (dopo una settimana non avevamo ancora avuto modo di vedere monete diverse dal mezzo dinaro, cioè 500 fills, dato che i prezzi per i turisti sono tutti tranquillamente arrotondati), ci ha mostrato la sua collezione di francobolli.
In genere Amman è una città poco turistica, quindi a partire dai taxi fino agli alimenti si possono trovare dei prezzi decisamente più economici. Qui non abbiamo sentito come in precedenza l’esistenza di una serie di prezzi per i turisti e una per i giordani. Piuttosto esistono ristoranti, caffé e negozi riservati a chi ha maggiori disponibilità economiche, che siano turisti, giordani o ricchi iracheni emigrati dal loro paese dopo le ultime visite della famiglia Bush. In questi locali è possibile vedere giovani donne giordane, qualche volta senza il velo che copre loro i capelli, ma per la maggior parte della volte che indossano dei bei foulard e vestiti attillati, pantaloni e che fumano i narghilé.
Abbiamo girato per le vie del centro alla ricerca del ristorante indicato nella guida. In uno dei suq ci siamo concessi un aperitivo analcolico, a base di centrifuga di melograno. Il proprietario della bottega dei succhi era un uomo curioso: in questo buco di 10 metri quadri, coperti quasi totalmente dal bancone e dalla frutta, ci mostrava gli articoli di giornale che trattavano proprio dei suoi prodotti: in arabo e in lingua russa. Preparava dei formidabili cocktail di frutta! Prezzo del succo: per i locali non sappiamo, ma per noi 1,5 JD, poi sceso fino a 1.
Abbiamo pranzato nel celebre (presente nella Lonely Planet) ed economico Hashem Restaurant, che è costituito in pratica da una viuzza stretta con tavolini e sedie di plastica, un locale dove cucinano il take-away, uno di cui non abbiamo capito la funzione e la sala principale dove c’è la cucina (dei fornelli recintati da un bancone), qualche altro tavolo e la cassa. Il re e la regina sono ospiti occasionali del locale, graditi dalla popolazione perché di solito pagano il pranzo a tutti i presenti. Se non si va troppo per il sottile in termini di tovaglie e posate, si possono mangiare dei deliziosi falafel e una salsina di hummus squisita per pochi dinari (2,7 JD per due), saziandosi completamente. Attorno a noi c’erano per lo più giordani e turisti con la nostra guida in mano (nelle varie lingue).
A stomaco pieno ci siamo infilati nei caotici suq. Questi mercatini si sviluppano principalmente lungo una strada estesa e le stradine che da essa si diramano. Si suddividono per categoria merceologica: negozi che vendono frutta, che fanno succhi e frullati, negozi con frutta secca, botteghe di spezie ed erbe, venditori di vestiti eleganti e venditori di abbigliamento sportivo, bancarelle di scarpe, ferramenta, negozi di elettrodomestici, ecc.. Noi abbiamo comprato per pochi dinari fiori di camomilla, petali di rosa e cardamomo, oltre a due saponette speciali realizzate con olio: prezzo offerto 12 dinari, prezzo pattuito 8.
Durante la nostra passeggiata (e che passeggiata!) abbiamo incontrato una simpatica americana. Era una signora californiana intorno alla cinquantina, sposata ad un giordano proprietario di un negozio, convertita all’Islam, che amava profondamente la Giordania. Siamo stati con lei quasi un’ora, durante la quale ci ha parlato del paese, della povertà, degli stili di vita. E’ stato interessante vedere come l’atteggiamento dei negozianti cambiava appena lei si avvicinava salutando in arabo. Ci ha spiegato che il vero musulmano (con particolare preferenza ai sunniti) accoglie sempre come un fratello un altro musulmano. Il loro saluto è un modo per riconoscersi, per dimostrare l’appartenenza alla religione. Se un musulmano riconosce un altro musulmano sa che potrà fidarsi di lui e quindi lo tratterà con onestà e cortesia. In parole povere, quando lei si faceva riconoscere come musulmana, i prezzi che pagava erano più bassi di quelli che normalmente pagano i non musulmani. Infatti dopo che l’abbiamo salutata, al negozio di spezie dove abbiamo acquistato le erbe, il proprietario ci ha chiesto più volte se eravamo parenti o amici della signora che si era fatta riconoscere come musulmana: come se volesse capire che tipo di trattamento riservarci. Imparare a salutare in arabo può essere quindi molto utile. La dolce americana ci ha anche regalato un pacchetto di arachidi tostate e salate, comprate in una bottega del suq: anche quelle erano deliziose, molto più buone di quelle che si comprano in occidente al supermercato.
Dopo un buon caffé turco in un locale caratteristico, ma moderno (Cafè-Restaurant Jafra), ci siamo avviati sulla strada principale per tornare in albergo. Ormai era buio già da un po’ e i nostri piedi chiedevano una tregua. A differenza degli avvertimenti della guida, non abbiamo trovato così pericolose le strade trafficate di Amman: il caos era tremendo, ma certi grandi città italiane sono sicuramente molto più micidiali! Dopo la solita contrattazione per tornare in albergo (da 3 dinari a 1,5), abbiamo chiesto al nostro ultimo tassista la disponibilità per la mattina seguente per andare in aeroporto: 20JD, contro i 30 del taxi dell’albergo.
Dopo la mangiata del pomeriggio all’ Hashem Restaurant, abbiamo cenato in albergo con un paio di modesti piatti.
DOMENICA 15 NOVEMBRE Alzataccia alle 4:45! Abbiamo chiamato al cellulare il tassista per confermare la partenza. Il viaggio verso l’aeroporto è stato un triste saluto a questo paese bello e interessante. Mentre l’alba sorgeva rischiarando i campi sabbiosi, tramontava la nostra splendida vacanza.
In aeroporto ci aspettavamo di pagare 5JD a testa come tassa di uscita, come più volte avevamo letto, utilizzando le ultime due banconote da 5 apposta risparmiate. Non abbiamo trovato nessuno che le chiedesse né cartelli che segnalassero tale tassa.
Non è stata una vacanza economica come forse ci aspettavamo all’inizio, quando ancora in Italia stavamo programmando le diverse tappe. E’ stato un viaggio molto intenso e interessante, bello e affascinante: ne valeva proprio la pena!