Parchi e dintorni

Viaggio Il nostro viaggio nel West ha avuto una gestazione travagliata. Almeno un paio di anni fa abbiamo iniziato a leggere i racconti di questo sito ed è nato un itinerario. Abbiamo aspettato per un paio di anni che qualche amico si decidesse ad unirsi a noi, ma alla fine, stanchi di aspettare, abbiamo deciso di andare soli. Naturalmente a...
Scritto da: chstefy
parchi e dintorni
Partenza il: 26/06/2009
Ritorno il: 15/07/2009
Viaggiatori: fino a 6
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Viaggio Il nostro viaggio nel West ha avuto una gestazione travagliata.

Almeno un paio di anni fa abbiamo iniziato a leggere i racconti di questo sito ed è nato un itinerario. Abbiamo aspettato per un paio di anni che qualche amico si decidesse ad unirsi a noi, ma alla fine, stanchi di aspettare, abbiamo deciso di andare soli. Naturalmente a fronte di questo viaggio per lande desolate, deserti e dirupi, abbiamo dovuto rassicurare i nonni sul fatto che: a) non perderemo di vista un attimo il loro nipotino (che ormai ha 15 anni e che poi sarebbe anche nostro figlio ma questo pare non sia rilevante) b) ci sono scarse probabilità che la faglia di S.Andrea decida di sprofondare nel Pacifico proprio mentre attraversiamo il Golden Gate (almeno speriamo) c) gli indiani non inseguono più i viaggiatori per fargli lo scalpo ma solo per vendergli collanine I biglietti Delta Airlines sono stati acquisitati con CTS, anche se tutto sommato il sito della Delta offriva una cifra simile, diciamo che il costo della tessera viene ammortizzato dall’acquisto della polizza assicurativa per le spese mediche che con CTS costa meno rispetto all’acquisto in rete. Per il volo abbiamo speso 535 € a testa prenotando a fine marzo: andata: 26 giugno Malpensa – Atlanta (sosta di due ore) – San Francisco ritorno: 14 luglio Los Angeles – Atlanta (sosta di un ora) – Malpensa (arrivo il giorno successivo). Per fortuna, essendo in uscita dagli USA, non è necessario recuperare i bagagli e rifare il check-in come all’andata.

Attenzione, io ho fatto la prenotazione telefonicamente, la prima signorina (devo dire un po’ sbrigativa e mica tanto simpatica) con cui ho parlato mi ha detto che il volo sarebbe stato diretto Milano – S.Francisco e mi ha fornito una tariffa di 800€ a testa. Fatto il bonifico ho controllato sul sito della Delta (magari dovevo farlo prima eh?) ed ho visto che lo stesso volo costava molto meno. Ho richiamato e una signorina molto più disponibile e capace (Maria Grazia), mi ha cambiato la prenotazione trovando la tariffa più bassa (e non la prima che si è trovata sotto il naso), mi ha spiegato che voli diretti non esistono (e qui è la Delta che bara spacciando per scalo tecnico a New York quello che è una sosta di due ore con recupero bagagli) e mi ha chiesto i dati bancari per fare un bonifico di rimborso per la differenza con la prima tariffa (ci hanno messo circa un mese ma è arrivato).

L’auto l’abbiamo prenotata con National, ha prezzi più bassi rispetto ad Avis e Hertz (dove per avere un prezzo paragonabile a National sarebbe necessario pagare tutto in anticipo) e non richiede nemmeno la carta di credito per prenotare. Per la serie non facciamoci mancare niente, abbiamo scelto un bel gippone (4000 cc benzina, una follia da sboroni in Italia, un SUV assolutamente standard negli USA, col senno di poi anche piccoletto) alla quasi modica cifra di 800$ (circa 600€) per 18 gg, prelevato a San Francisco la mattina dopo il nostro arrivo e lasciato a Los Angeles la mattina del 14 luglio prima della partenza, il secondo autista è gratis.

L’albergo per la prima notte l’abbiamo prenotato vicino all’aeroporto. Considerando che l’arrivo è previsto per le 19.15 e che saremo sbarellati dalla stanchezza e dal fuso, abbiamo scelto un albergo a 2 miglia dall’aeroporto con shuttle compreso che il mattino successivo ci riporti in aeroporto per prendere l’auto a noleggio con la quale raggiungeremo l’albergo prenotato per le successive due notti.

Capitolo tasse, una vera barba per noi italiani. Anche su esplicita richiesta, gli hotel non ti danno mai l’informazione del costo totale, evidentemente per loro è inconcepibile. Per noi invece è come se ovunque (dall’hotel al ristorante al venditore di souvenir) ti dicessero i prezzi senza iva, con l’aggravante che la percentuale varia da stato a stato e a volte da città a città.

Capitolo mance, due anni fa a New York la mancia richiesta era intorno al 15% del totale e nessuno si sognava di inserirla nel conto, adesso viene esplicitamente richiesta una mancia del 18 – 20% e a volte viene inserita nel conto, così se non te ne accorgi rischi di dargliene due. Considerando che una cena per tre veniva mediamente sui 60-70 dollari, la mancia diventa non indifferente. Se veramente tutti facessero così la categoria dei camerieri dovrebbe essere tra le più facoltose del paese.

Riepilogo Spese: A parte volo, parcheggio e assicurazione acquistati in Euro, tutte le altre spese sono in $, la conversione dipende dal momento in cui leggete questo diario volo Delta € 535 x 3 = 1605,00 + tessere CTS € 30 x 3 = € 90 assicurazione spese mediche = € 75 x 3 = € 225 per una copertura di 75.000 € su spese mediche con Europe Assistance ma comprata tramite CTS Park to fly a Malpensa, convenzionato con CTS € 74 noleggio auto = $ 803,00 park pass: $ 80 Alcatraz Island: $78 Hotel 26/6 S.Francisco: Hotel Millwood inn $ 103,99 + tax (con colazione) 27-28/6 S.Francisco: Hotel Buena vista motor inn , Lombard Street $ 331,20 (con colazione e parcheggio) 29/6 Sequoia Three rivers: Comfort Inn &Suites $ 131,99 con colazione 30/6 Panamint Spring Resort $ 105,28 senza colazione 01-02/7 Las Vegas: Treasure Island $ 154,56 senza colazione 03/07 Springdale: Terrace Brook Lodge $ 100,39 con colazione (immangiabile) 04/07 Tropic: Bysbee Stepping Stone $ 77,38 senza colazione 05/07 Torrey: Rim Rock Inn $ 64,31 con colazione 06/07 Kayenta: Holiday Inn $129,76 senza colazione 07/07 Page: Rodway Inn $ 73,25 con colazione 08/07 Tusayan: Seven Mile Lodge $ 80,05 09/07 Kingman: Motel 6 $ 39.51 10/07 S.Bernardino: Rodway Inn $ 66,00 con colazione 11/07 Huntington beach: Sun and Sands $ 165,00 con colazione 12-13/07 Los Angeles: Travelodge $ 182,28 con colazione Totale speso compreso tuttissimo: viaggio, dormire, mangiare, ingressi ai parchi, assicurazione, noleggio auto, benzina, shopping (tanto), souvenir: 6839 euro. Praticamente 120 euro al giorno a testa, il costo di un buon villaggio in Toscana dove però è compreso solo vitto e alloggio, direi che il rapporto qualità prezzo non è discutibile.

26 giugno venerdì.

Il volo è previsto alle 10.45 quindi, diligenti, ci presentiamo al check-in (on line non si può fare ma ho comunque confermato e riservato i posti a sedere poco dopo aver comprato il biglietto) verso le 8.30 del mattino dopo aver lasciato l’auto al parcheggio remoto di Malpensa ed essere stati accompagnati dalla navetta al terminal 1.

Che strano, sul tabellone automatico il nostro volo schedulato per le 10.45 è previsto per le 17.00. Una signora molto ottimista e che evidentemente si sente esperta di voli, mi dice che quello è l’orario previsto di arrivo non di partenza. E allora come mai tutti gli altri voli hanno lo stesso orario schedulato e previsto? Usano il teletrasporto? Infatti al check-in la ferale notizia: l’aereo non è partito da Atlanta per un guasto, è stato sostituito (speriamo non l’abbiamo solo rattoppato) e quindi ha qualcosa come 7 ore di ritardo. Dopo un tentativo disperato ma fallito dell’addetto Delta di trovarci un posto sull’Air France, ci rassegniamo ad aspettare, arriveremo ad Atlanta, dormiremo a spese Delta al Crowne Plaza e ripartiremo per San Francisco il mattino dopo. Alla fine tutto il male non viene per nuocere, a parte la seccatura dell’attesa a Malpensa, abbiamo dormito una notte gratis visto che l’hotel di San Francisco avvisato via mail (col telefonino, perché il tanto osannato Malpensa non ha uno straccio di internet point) non ci ha addebitato la notte. E siamo arrivati a San Francisco abbastanza riposati perdendo meno di mezza giornata di vacanza.

L’aeroporto di Atlanta è enorme, ognuno dei 6 “Concourse” dove si trovano i gates (collegati da metropolitana interna tra loro e con i due terminal), è più grande di Malpensa, ma è perfettamente organizzato, con decine di impiegati che ti spiegano dove andare e addirittura la possibilità per chi parte di fare il check-in sul marciapiede prima di entrare. Gli addetti alla sicurezza sembrano molto più gentili di quelli di New York (forse siamo stati solo fortunati) e il personale Delta ci sta aspettando con i voucher dell’albergo assegnato, della cena (che non faremo per la stanchezza) e della colazione del giorno dopo, e ci spiega come raggiungere le navette per l’hotel. Ci ritirano anche la valigia per provvedere loro all’imbarco ed evitarci di trascinarcela dietro. Per fortuna che noi previdenti abbiamo tutto il necessario per la notte nel bagaglio a mano.

Al Crowne Plaza abbiamo il primo esempio di quanto gli americani siano spreconi. In camera ci saranno 17 gradi grazie all’aria condizionata a manetta che provvediamo subito ad abbassare al minimo, ma sul letto ci sono due piumoni. Vabbè, troveremo anche di peggio, tipo campi da golf verdissimi in pieno deserto. 27 giugno sabato.

Arrivati a San Francisco alle 10.30 in perfetto orario, con l’air train (metro sopraelevata interna ai vari edifici dell’aeroporto) linea blu che parte dal quinto piano, siamo arrivati ai noleggi auto. Alla National c’è pochissima fila rispetto alla Hertz e in 10 minuti sbrighiamo tutte le pratiche, andiamo al garage e scegliamo autonomamente, tra le auto a disposizione una Jeep Gran Cherokee Laredo che ci sembra un camion (io sono abituata alla Micra …). Non che usare il cambio automatico sia così difficile, ma il primo impatto è sconcertante, soprattutto se si aggiunge alle dimensioni dell’auto. A questo si somma il fatto che gli americani, così ligi al limite di velocità lontano dalle città, quando sono sulle freeway (sarà per il nome) si scatenano e noi che rispettavamo le 65 mph venivamo sorpassati a destra e sinistra da chiunque, infatti nell’agitazione sbagliamo strada e alla fine ci affidiamo al navigatore per arrivare al nostro motel in Lombard Street: il Buena Vista Motor Inn. Ve lo consiglio in quanto il Fishermann Warf è raggiungibile a piedi e volendo anche Union Square e Chinatown se siete dei buoni camminatori, le camere sono più che decenti e non solo la colazione (brioches caffè frutta e spremuta) è compresa, ma anche il parcheggio, cosa determinante nella scelta, dato che negli hotel del Fishermann Warf costa circa 40$ al giorno + tax e in strada non trovi un buco neanche a piangere.

Per il primo giorno ci limitiamo ad un giretto sul Fishermann Warf e finiamo a pranzare alle 14.30 in un ristorante sul Pier 39. Praticamente la zona è una sorta di centro commerciale a cielo aperto, però è carino, fintamente antico quel tanto che basta, si respira aria di mare, ci sono i leoni marini stravaccati sulle piattaforme galleggianti e ci si gode panorama dell’isola di Alcatraz e del Golden Gate. Al pomeriggio andiamo da Girardelli a prendere un gelato, beh, per i gusti americani sarà anche strepitoso, ma diciamo che noi siamo abituati a qualcosa di meglio in fatto di gelato.

Per cena ci fermiamo da Boudin a prendere dei panini da mangiare in camera, due ristoranti americani al giorno non sono sopportabili dai nostri stomaci italiani, e questa è una regola che seguiremo per tutto il viaggio. Se riuscite a fargli capire che non volete un litro di salsa nel panino o sulla carne e non volete un chilo di ghiaccio nella bibita, anche negli Usa si può sopravvivere, gastronomicamente parlando. 28 giugno domenica La mattina è dedicata al tour di Alcatraz, diligentemente prenotato e pagato da casa via internet, condizione necessaria e sufficiente per visitare l’isola, a meno che non vi fermiate a San Francisco almeno una settimana, dato che i primi biglietti disponibili erano per il mercoledì successivo. In un quarto d’ora il traghetto ci deposita sull’isola offrendoci un bel panorama dello skyline della città. La visita con l’audioguida è interessante e vagamente inquietante. Bisogna dire che gli americani turisticamente ci sanno fare un casino, riescono a valorizzare qualsiasi cosa. Ma pensate che se domani chiudessero San Vittore il comune di Milano organizzerebbe visite con audioguida? È vero che storicamente parlando, se non facessero così avrebbero veramente poco da offrire. Per quanto riguarda la natura invece è tutto un altro discorso, ma lo vedremo più avanti.

Dopo un hot dog sulla panchina del molo, prendiamo il tram storico per Market Street, a noi è capitata una vettura arrivata da S.Diego, ma abbiamo visto anche quelle di Milano. Arrivati in Market street siamo bloccati dalla sfilata del Gay Pride che si tiene questo fine settimana. È un vero spettacolo, è vero che di base può sembrare una carnevalata, ma non lo è, il sostegno ai diritti degli omosessuali è veramente sentito, tanto che sfilano polizia e vigili del fuoco, aziende (Google e Macy’s tanto per fare qualche nome), e udite udite … chiese!!!! Unione famiglie cattoliche, chiesa episcopale ecc… che appoggiano il diritto al matrimonio gay e sostengono che Dio ama tutti (come siamo lontani da Roma…). Gli eccessi ci sono ma non di chi partecipa alla sfilata che resta nei limiti della decenza. Solo qualche spettatore (pochissimi, 2 o tre in tutto nella massa) si aggira nudo come un verme per la strada ma viene sostanzialmente ignorato. In compenso siamo tornati con un sacco di souvenir: collane colorate, foulard di Macy’s e preservativi naturalmente.

Finita la sfilata un giretto per Union Square, per Chinatown, un riposino sul prato di Washington square e cena niente male in un ristorante italiano (in questa zona ce ne sono un sacco, è North Beach, il quartiere italiano). Dato che domani partiremo per il tour vero e proprio e non sappiamo come sarà il cibo, ci “portiamo avanti”. Non siamo fan della cucina italiana all’estero, solitamente ci adeguiamo alla cucina locale, ma quasi tre settimane sono troppe per non cercare un po’ di conforto ogni tanto in un piatto di pasta.

29 giugno lunedì.

Prima della partenza ci fermiamo al parcheggio alla base del Golden Gate ad ammirare il ponte avvolto nella nebbiolina mattutina. Anche lo skyline della città è velato dalla foschia e fa freddino. Tutto sommato a San Francisco siamo stati fortunati, il tempo è sempre stato bello e caldo. Ho sentito storie agghiaccianti (nel vero senso della parola) di amici e colleghi che in giugno sono stati costretti ad acquistare un giubbotto imbottito per sopravvivere al clima… Alle 9.00 siamo pronti per affrontare le strade della California che, una volta usciti dalla città sono semplici e poco trafficate. Quei praticoni di americani, hanno aggiunto alla macchina un’aggeggino utilissimo per essere certi di andare nella direzione giusta: dato che le strade vanno prese tenendo presente il numero e la direzione (nord, sud, est e ovest) e non il paese di destinazione, hanno pensato bene di mettere nell’auto una bussola. Eh già, sul cruscotto, a fianco della velocità esce N, S, SW … a seconda di dove andate, così se state puntando al Canada mentre dovreste dirigervi verso il Messico ve ne accorgete subito.

La prima tappa è Fresno dove ci fermiamo a pranzo da Denny’s, l’unica catena di fast food in cui si può mangiare decentemente anche se non si è americani o quindicenni affascinati dagli pseudo hamburger affogati in salse inimmaginabili che vengono serviti in posti come Mc Donald, Burgher King, Jack in the box ecc… che sconsiglio vivamente se non per disperazione. Mediamente da Denny’s abbiamo sempre mangiato bene in tre con circa 50/60 $.

Altro evento lievemente traumatico è l’impatto con la città di provincia. Scordatevi di cercare il centro, se la città è piccola lungo la strada che la attraversa trovate uno o più: distributori di benzina, supermercati, motel, fast food a seconda del numero di abitanti. Le case sono quasi invisibili e si estendono “in larghezza” partendo dalla strada ai due lati. Nelle città più grandi, dato che hanno un sacco di spazio, a volte sembra che la città sia finita mentre, dopo una zona abbandonata più o meno grande, le costruzioni ricominciano. Generalmente, soprattutto nei posti piccoli e non turistici, qualche bella casetta ed un gran numero di prefabbricati e case mobili squallidissime, attorniate di rottami e vecchie automobili scassate. Spesso i quartierini carini sono circondati da un muro. L’impressione è in genere di povertà, soprattutto nelle zone desertiche, tranne qualche notevole eccezione, niente a che vedere con quanto ci si aspetta di solito dall’America tutta bandiere e grattacieli. Nel pomeriggio arriviamo a Kings Canyon, facciamo un giretto tra le sequoie, ma le più belle sono senza dubbio nel Sequoia National Park, arriviamo fino al Generale Shermann e percorriamo buona parte del Congress Trail, tra giganti morbidissimi che è impossibile pensare di far stare completamente nelle fotografie e scoiattoli sfacciati. L’uscita dal parco verso Three Rivers è estenuante, la strada, per quanto abbastanza larga rispetto alle nostre strade di montagna, è piena di curve e per noi che non abbiamo ancora superato completamente il jet lag e siamo in strada da questa mattina è una fatica arrivare al paese. Fatica ricompensata però dall’orso che di punto in bianco ci attraversa la strada per arrampicarsi sul fianco della montagna, e dal cervo che passeggia senza nessuna paura delle auto a fianco della carreggiata. Fate attenzione, qui i cartelli “attraversamento cervi” vanno presi molto sul serio, non come tra le nostre montagne.

Ci fermiamo al Comfort Inn &Suites di Three Rivers, mangiamo in camera i panini che abbiamo preso in un supermercato e che si rivelano orribili, così impariamo a non comprare il prosciutto cotto al miele e il pane molliccio. Nei giorni successivi faremo i panini con le baguette (niente male,un po’ tipo quelle che si trovano nei nostri supermercati) e con roast beef e tacchino, confezionati – non esistono i salumieri che vi tagliano l’affettato – ma decenti. Piccolo consiglio, se appena potete portatevi il pc portatile, quasi tutti i motel, tranne quelli veramente scalcinati, hanno il wireless gratuito, a differenza degli alberghi più grandi dove è a pagamento. Alcuni hanno anche un pc a disposizione nella lobby, ma non sono molti. Può servire per le mail, per prenotare un albergo per il giorno dopo o per far passare la serata al figlio quindicenne che potrebbe soffrire di astinenza da internet, mentre gli adulti stramazzano sul letto alle 9 di sera.

30 giugno martedì.

Anche quella di oggi è una tappa niente male come lunghezza, non ne faremo altre così impegnative nel corso del viaggio. Ci dirigiamo verso la Death Valley, in cui entreremo domani, ma già oggi il deserto darà il meglio di se. Fino a Ridgecrest il paesaggio è abbastanza vario, il paese è adiacente all’area di China Lake, dove l’esercito Usa sperimenta le nuove armi aeree, speriamo che non gli sfugga qualche missile al controllo proprio oggi! All’uscita del paese non siamo sicuri di aver preso la strada giusta per la Death Valley e così facciamo un errore, chiediamo indicazioni ad un poliziotto … Evidentemente non è una cosa a cui sono abituati, o forse semplicemente è stato disturbato nel bel mezzo del pisolino pomeridiano, o forse non dovevamo scendere dall’auto, fatto sta che è sceso con la mano sulla pistola, ci ha chiesto da dove venivamo, e considerando che Ridgecrest è l’unica città nel raggio di 60 km e che la strada da cui arrivavamo veniva da lì non mi è sembrata una domanda molto intelligente. Ha intimato “stay ahead”, si è allontanato di qualche passo (mica che una famiglia di turisti italiani decidesse di aggredirlo) consultato la cartina per qualche minuto (ma ci sono quattro strade, un paese e lui sicuramente abita lì, che diamine c’era da controllare così accuratamente?) dopo di che ci ha detto di tornare indietro e uscire dal paese dall’altra parte. Sicuramente l’incontro con noi è stata l’attività più eccitante e pericolosa capitatagli nell’ultimo mese, nell’ufficio dello sceriffo ne avranno parlato per giorni.

Ci avviciniamo alla Death Valley, anzi per la precisione a Panamint Spring dove dormiremo, girando intorno a China Lake da sinistra invece che da destra come invece credo faccia la maggior parte dei turisti. Infatti la strada è completamente deserta, attraversa solo Trona, un paese squallidissimo nato intorno ad un paio di miniere che non si capisce se siano ancora attive o no, anche il paese sembra quasi abbandonato. In quasi 100 km incontriamo non più di tre auto, e la temperatura raggiunge i 117 Fahrenheit, equivalenti a 47,2 celsius. L’aria è così calda che mettere una mano fuori dal finestrino è perfino fastidioso, e mi nasce qualche pensierino preoccupato del tipo “e se buchiamo una gomma?” . Invece arriviamo a Panamint Spring senza problemi, l’accoglienza è molto gentile ma il motel non è dei migliori, il condizionatore stenta a rinfrescare la stanza anche se con l’aiuto delle pale a soffitto ed è abbastanza rumoroso, ma non si può neanche pensare di spegnerlo, infatti la notte sarà un tantino disturbata, in compenso il bucato si asciuga in un attimo… anche il ristorante non merita una menzione particolare, ma immagino che avere alimenti freschi non sia semplice da quelle parti, poco mi è piaciuto però il fatto che la mancia fosse già compresa nel conto ma che comunque venisse nuovamente richiesta nella strisciata della carta di credito (logicamente il campo è rimasto in bianco).

01 – 02 luglio mercoledì/giovedì Oggi attraversiamo la Death Valley per arrivare a Las Vegas. Visitiamo le mete turistiche classiche, Bad water, Devil’s golf course, Zabrinski Point e l’Artist Drive che secondo me merita una menzione particolare, i colori delle rocce tolgono veramente il respiro e la strada si tuffa a volte in improvvisi “dip” incastrati tra le pareti rocciose che la fanno sembrare un bizzarro ottovolante.

Usciamo dalla valle poco dopo mezzogiorno e ci dirigiamo a Las Vegas. Non che fuori dal parco nazionale il paesaggio cambi molto, sempre nel deserto siamo. E La città di Las Vegas che appare all’improvviso tra le montagne sembra da lontano un po’ una di quelle città dei film di fantascienza, che sorgono dove una guerra nucleare o una catastrofe meteorologica hanno reso la terra un deserto. L’impatto è un altro piccolo trauma per chi viene da chilometri (pardon, miglia) di strade deserte. Lo Strip, la via principale dove si affacciano i mega alberghi a tema è un unico grande ingorgo, grazie anche ad alcuni lavori in corso che creano una strozzatura. Lo spettacolo comunque è a suo modo affascinante, passiamo dall’Egitto al medioevo, da Parigi a Venezia solo transitando di fronte agli hotel dedicati e finalmente arriviamo al nostro Tresure Island, facciamo un po’ fatica ad arrivare dal “self parking” alla reception – certo che la pensione Rosa di Rimini è più semplice da affrontare che questo labirinto di negozi e slot machines. Stiamo anche per un momento in coda ad un bancone che credevamo la reception prima di accorgerci che invece vendono solo i biglietti per lo spettacolo di questa sera del Cirque du Soleil. Riusciamo ad avere la chiave della nostra stanza, che, considerando oltretutto il prezzo pagato (al cambio del giorno 56 euro a notte per dormire in tre) non è per niente male, sicuramente sono i letti più comodi in cui dormiremo in tutto il viaggio. In questi due giorni ce la prendiamo relativamente comoda, girando per i super alberghi e facendo shopping al premium outlet dove riusciamo ad approfittare anche dei saldi, che rendono i prezzi di marche come Timberland e Calvin Klein simili a quelli che hanno da noi le magliette vendute al mercato dai cinesi. Usciamo carichi di sacchetti, per fortuna siamo stati previdenti e siamo partiti con le valige semivuote. La mia personale classifica degli alberghi mette al primo posto il Venetian seguito immediatamente dal Ceasar Palace. È uno spasso vedere gli americani farsi il giro in gondola tra i palazzi di cartapesta (per quanto magnifici) con l’aria sognante di chi è veramente a Venezia, ascoltando il gondoliere che canta O’ sole mio amplificata dalle casse che si porta agganciate alla cintura. Ceniamo entrambe le sere in un ristorante italiano, la prima all’interno del Venetian, da Zeffirino’s non è proprio un ristorante, ma un caffè pasticceria, quindi ha dei prezzi un po’ più bassi di un vero e proprio ristorante e lì mangiamo delle tagliatelle con gli scampi che sarebbe una fortuna trovare così buoni in Italia per 80$ in tre. La seconda sera mangiamo al Ceasar Palace al ristorante Trevi, un filo meno buono ma comunque accettabilissimo.

Non perdetevi le fontane del Bellagio, alla sera partono ogni 15 minuti e tolgono veramente il respiro. Le cose più folli che ho visto tra le follie di questa folle città, sono gli Oxigen bar, all’interno degli hotel: praticamente sul bancone di quello che sembra un piccolo bar, ci sono dei contenitori con del liquido colorato, vi sedete, scegliete il profumo, la cameriera vi intuba neanche doveste fare un’intervento chirurgico e voi belli freschi passate un po’ di tempo ad inalare ossigeno profumato, mentre il liquido nei contenitori fa tante bollicine e la cameriera vi massaggia la nuca con una specie di batticarne arrotondato. Mah !!!! Piccolo consiglio, programmate il viaggio in modo da arrivare a Las Vegas in settimana, perché venerdì e sabato i prezzi degli hotel letteralmente raddoppiano.

03 luglio venerdì Oggi riprendiamo il tour. La nostra prima meta è lo Zion National Park, non è molto distante e ci arriviamo in tarda mattinata. All’uscita da Las Vegas troviamo abbastanza traffico, è il week end dell’Indipendence Day e c’è parecchio movimento sulle strade.

Arrivati a Springdale, alle porte del parco, cerchiamo subito un motel, è l’unico giorno in cui dobbiamo fare più di un tentativo, Troviamo una camera al Rock xxx, un po’ scalcinato e la colazione del giorno dopo è una vera ciofeca, la camera non è un gran che ma per una notte va sempre bene, peccato che i nostri vicini (forse indiani nel senso di provenienti dall’India) abbiano passato metà della notte a discutere e al mattino abbiano acceso la tele a tutto volume su un programma di miagolanti canzoni indiane intorno alle 6.00.

Entriamo nel parco nel pomeriggio portandoci i panini che ci siamo fatti fare (rigorosamente senza salsa, come al solito con grande scandalo della cameriera) e che mangeremo in riva al fiume con i piedi a mollo nell’acqua fresca. Zion è una specie di canyon che si inoltra tra le montagne rosse che fanno un bel contrasto con il verde degli alberi, si prende una navetta che ci lascia a fermate prestabilite in modo che sia possibile fare una passeggiata e poi prendere una navetta successiva. Qui abbiamo visto gli scoiattoli più ciccioni del viaggio. Peccato che intorno alle 17 inizi a piovere, un bel temporale che si trascinerà fino ad ora di cena, almeno rinfresca l’aria e ci consente di spegnere il condizionatore che fa più rumore di un camion a rimorchio. Rientriamo in albergo, i nostri vicini, non gli indiani, altri, sono spaparanzati sul letto a guardare la tele con la porta spalancata e il pavimento cosparso di bicchieroni di carta da mezzo litro l’uno vuoti, quando torneremo da cena sono ancora nella stessa posizione, sono solo aumentati i bicchieri vuoti quindi ne deduco che non mangino ma si facciano delle flebo di Coca Cola, o peggio di Root Beer, una bevanda che negli Usa va per la maggiore, con il colore della Coca Cola ma il gusto del peggior sciroppo per la tosse mai provato, un’esperienza da fare (non più di una volta nella vita).

04 luglio sabato Indipendence day, niente alieni all’attacco come nel film con Will Smith, ma sfilate e fuochi d’artificio. Al mattino alle 9.30, dopo aver abbandonato a metà la disgustosa colazione del motel, stiamo per lasciare Springdale alla volta del Bryce Canyon, ma ci fermiamo ancora un po’, dato che sta per partire la sfilata patriottica del 4 luglio. Certo che i carri non sono paragonabili a quelli del carnevale di Viareggio, qualche pick up agghindato di bianco rosso e blu, un paio di trattori che trascinano i carri del fieno carichi di bambini, l’autopompa dei vigili del fuoco e il sindaco in testa su una jeep scoperta, il tutto tra “Born in the USA” del Boss a tutto volume e lancio di caramelle che ci hanno fornito una scorta durata tutto il viaggio. L’entusiasmo di quei bambinoni di americani per la loro patria è quasi commovente e perfino contagioso … e ci sentiamo un po’ americani anche noi.

Passata la sfilata ripartiamo, Zion con le sue rocce rosse ci era sembrato bellissimo, ma era solo l’antipasto di quello che vedremo durante il tragitto verso Bryce, le rocce rosse sono sempre più rosse ed assumono forme sempre più strane, in contrasto con i campi verdissimi dove pascolano mucche ed anche bisonti (certo non siamo a Yellowstone, si tratta di animali nei recinti, ma fanno comunque una certa impressione). Abbiamo comprato i panini e, entrati al Bryce ci fermiamo al primo vista point dove c’è un’area attrezzata con tavoli e panche a consumare il nostro pranzo, in compagnia di un mule deer, non so come si chiami in italiano, è un cerbiatto senza corna ma con le orecchie lunghissime e di un uccellino completamente azzurro che viene a beccare le briciole a due passi da noi. Lo spettacolo vero e proprio inizia però dal vista point successivo, peccato che il cielo sia coperto, ma non tutto il male viene per nuocere, è vero che i colori sono meno smaglianti, ma senza il sole, la roccia assume una tonalità più cupa che fa risaltare ancora di più il contrasto con la vegetazione. Certo che il temporalone non ci voleva proprio… per fortuna non dura molto, aspettiamo in macchina che si sfoghi e quando usciamo recuperiamo le felpe, dato che la temperatura è precipitata a 17 gradi. D’altra parte siamo oltre i 2500 metri slm. Dopo qualche decina di foto e parecchi minuti di filmato che non renderanno assolutamente l’idea di quanto sia fantastico questo posto, usciamo dal parco per raggiungere il nostro motel a Tropic. Il Bysbee Stepstone è un piccolo motel a gestione famigliare, carino, con le coperte patchwork e la lampada sul comodino che si accende sfiorando il paralume o il basamento. Peccato che non abbiano pagato la card della tv via cavo e quindi la tele sia inutilizzabile, ci siamo affezionati al programma “American Gladiator”, con i concorrenti che si cimentano in prove come lanciarsi con le corde sugli avversari e farli cadere dal basamento su cui sono arrampicati, o spararsi palle di gommapiuma, o cose del genere, che neanche i bambini in colonia si divertono così, e bisogna vedere il tifo scatenato del pubblico!! Dopo cena torniamo verso l’ingresso del Bryce, dove si trova un villaggio formato solo da un insieme di alberghi ristoranti e negozi di souvenir, facciamo in tempo ad assistere ad un rodeo assolutamente “turistico” ma comunque divertente, una gara dove uno o due cowboy devono prendere al lazo un vitello nel minor tempo possibile, tra i concorrenti anche bambini di sette o otto anni. Alle 22.30 iniziano i fuochi d’artificio.

05 luglio domenica Lasciamo Tropic per dirigerci verso il Capital Reef National Park. Non è uno dei parchi di pietra più famosi, ma per raggiungerlo si viaggia sulla scenic byway 20, che è una delle strade più panoramiche degli Usa. Arrivati all’altezza di Boulder, facciamo una deviazione per il Burr Trail. È una strada che si inoltra nel Grand Escalate National Area, uno dei luoghi non ancora completamente esplorati degli States, la strada è praticamente deserta, e si inoltra tra rocce rosse di forme fantastiche, tanto che ad ogni curva bisognerebbe fermarsi per fare una foto. Ne percorriamo circa 15 miglia, ma poi decidiamo di tornare indietro, il tratto più scenografico è finito, più avanti la strada diventa sterrata e finisce in riva al Colorado da cui dovrebbe partire un traghetto, ma non sappiamo gli orari, meglio andare sul sicuro e seguire il piano originale. È comunque uno dei posti più stupefacenti che abbiamo visto, forse non sarà il Bryce, ma la solitudine ed i panorami che si aprono inaspettati dopo le barriere di roccia, lo rendono, almeno per me, ancora più suggestivo.

Tornati sulla byway 20 continuiamo verso Torrey, dove troviamo una camera al Rim Rock Inn. Il motel, dalla parte opposta della strada rispetto al Best Western, ha una vista meravigliosa, soprattutto se prendete le stanze a destra della piccola lobby facendo il piccolo sacrificio di non avere il parcheggio di fronte alla stanza. Prima di entrare nel parco, facciamo una breve deviazione per uno dei numerosi goosenek che troveremo nel viaggio, un bel panorama su un’ansa del fiume che scorre molto più in basso. Anche questo parco va visitato in auto, ma facciamo anche un pezzo a piedi, inoltrandoci in quello che sembra il letto asciutto di un fiume tra pareti di roccia. All’inizio del percorso che faremo in auto, una serie di frutteti sono aperti al pubblico, ma evidentemente arrivamo tardi, perché sugli alberi troviamo solo foglie!!! Alla sera ceniamo nel ristorante del motel, è molto carino, tutto di legno, un po’ caro, ma la trota con purè è decisamente buona, andrebbe tutto bene se non viaggiassi con un figlio sconsiderato che in un remoto angolo dello Utah decide di ordinare la “pasta del giorno” ed un marito che decide di sacrificarsi cedendo la trota al figlio per degluitire a naso tappato quelle che sembrano tagliatelle al pesto ma di cui è impossibile identificare gli ingredienti, per poi lamentarsi per i 4 giorni successivi di quanto si mangi male negli States. 06 luglio lunedì Quella di oggi dovrebbe essere una banale tappa di trasferimento verso la Monument Valley che meditiamo di visitare domani. Sarà invece un tragitto indimenticabile, uno degli migliori panorami del viaggio, con il Colorado che appare e scompare a fianco della strada ma parecchio più in basso e formazioni rocciose che lasciano a bocca aperta. Un discorso particolare merita la Moki Dugway, un pezzo di strada solo parzialmente asfaltato che scende con notevole pendenza e diversi tornanti dal Colorado Plateau fin quasi al paese (beh paese è una parola un po’ grossa) di Mexican Hat. Già parecchie miglia prima ci sono cartelli minatori sulla pericolosità della strada e su come percorrerla sia un rischio da valutare. Ti mettono un sacco di ansia, poi ci arrivi e vedi che, a parte il fondo non asfaltato ma senza una buca, ci passano due camper affiancati, e ti chiedi cosa farebbero gli americani se si trovassero che so, sulla strada per il passo Gavia o per il Mortirolo. Comunque anche da qui si apre una vista infinita che ti fa sentire piccolo piccolo.

Il programma prevedeva il pernottamento a Mexican Hat, ma visto che è appena mezzogiorno e il paese offre solo un paio di motel, ci fermiamo a fare un pic-nic sfruttando i tavoli all’ombra di un piccolo campeggio e poi ci avviamo per la visita alla Monument Valley. Dato che è uno dei paesaggi più conosciuti del pianeta inutile che ve lo racconti, solo state molto attenti alla strada, è fattibile anche con una berlina, ma è veramente dissestata, quindi è meglio se per guardare il panorama vi fermate, prima di lasciare la ruota destra in una buca perché state ammirando le “three sisters”.

Alla sera ci fermiamo a Kayenta, non è un paese eccezionale, ma non è peggio di tanti altri attraversati, ci fermiamo all’Holiday Inn e facciamo in tempo a concederci anche un paio d’ore in piscina prima di cena. Alla sera ceniamo nel ristorante dell’albergo, la cotoletta alla milanese (anche se loro la chiamano fried steak) non è male se li bloccate prima che vi ammollino l’impanatura croccante con un’altra delle loro innumerevoli salse.

07 luglio martedì Oggi raggiungiamo Page, non è molto distante, quindi arriviamo abbastanza presto e alle 10 siamo pronti per il tour dell’Upper Antilope Canyon. Visitarlo in tre ci costa la bellezza di 93$ tra parcheggio, ingresso e visita, più del Pass annuale per tutti i parchi nazionali americani che costa 80$ ad auto. Mi sa che con i proventi del canyon vive tutta la nazione Navajo, proprietaria del territorio. In effetti, a parte l’Antelope, la Monument Valley e la vendita di collanine, non si capisce di cosa possa vivere la gente da queste parti. L’orario non è il migliore, sarebbe meglio aspettare almeno un’oretta per godere dei raggi di sole che entrano a perpendicolo a illuminare le “onde” di roccia levigata tra cui passiamo. Ma lo spettacolo è comunque affascinante e almeno c’è un po’ meno gente. Il tragitto sul cassone della Jeep è alquanto “sballottato” ma fa parte dello spettacolo.

Dopo l’Antelope ci avviciniamo al lago, entrando dall’Antelope Point Marina, anche qui bisogna mostrare il Pass perché è un parco nazionale, quindi se non l’avete, l’ingresso è a pagamento. Troviamo un posticino comodo tra gli scogli e facciamo perfino il bagno nell’acqua che, per il contrasto con le rocce rosse che la circondano, sembra ancora più azzurra. Per la sera troviamo posto al Rodway Inn. Anche qui come ovunque, non abbiamo mai avuto problemi a trovare la camera per la notte, quindi, a meno che non andiate in agosto, non è proprio il caso di prenotare prima, è vero che normalmente si può disdire senza problemi fino al giorno prima, ma senza prenotazioni si è molto più flessibili, noi abbiamo modificato praticamente tutta la seconda parte del programma decidendo il giorno stesso. 08 luglio mercoledì Oggi Grand Canyon. Entriamo da Desert Wiew, nella zona est del parco. E’ impressionante quanto a maestosità. Il panorama fa uno strano effetto, le montagne sono talmente grandi che sembrano vicine, ma sono velate per la lontananza e quindi sembra l’effetto speciale di un film. Inoltre non pensate di “affacciarvi” e vedere il fondo del Canyon, la spaccatura principale corre parecchio più in là rispetto a dove siamo noi, e si vede solo qualche ansa del fiume in lontana. E’ bellissimo ma non è la cosa più bella del viaggio, forse se avessimo fatto il giro al contrario ci avrebbe colpito di più, ma dopo le meraviglie dei giorni scorsi (e con la stanchezza che inizia a farsi sentire) ci lascia meno entusiasti di quello che avremmo pensato prima di partire. Sicuramente per goderselo veramente bisognerebbe scendere fino al fiume, ma non è una cosa che si possa organizzare su due piedi, i 1600 metri di dislivello non si possono affrontare andata e ritorno in giornata, soprattutto con le temperature che ci sono, e il pernottamento va prenotato mesi prima. Ci fermiamo per un pic-nic nel campeggio, occupando “abusivamente”, ma solo per meno di un’oretta, una piazzola delle tante libere e pranziamo in compagnia di un cervo che viene a brucare un cespuglio a non più di 6 o 7 metri da noi, tra le tende e i camper. Nel pomeriggio percorriamo tutta la parte est, fermandoci ai vari vista point e nel pomeriggio usciamo dal parco per trovare alloggio. Ci fermiamo al 7 miles lodge, consigliato dalla Routard (che in questo modo si ripaga il costo dell’acquisto), che ad un prezzo decisamente concorrenziale rispetto agli altri alberghi di Tusayan, ci da una camera discreta con l’unico inconveniente dei pavimenti in legno che cigolano e schioccano non appena il vicino del piano di sopra anche solo pensa di fare un passo. Piccolo consiglio, dato che i pavimenti in legno sono molto diffusi negli States, ricordatevi sempre di chiedere una stanza “upstairs”.

Ceniamo in una steak house dove assieme alla bistecca ci arrivano la bellezza di cinque contorni a testa che è impossibile rifiutare perché sono compresi nel piatto ordinato.

09 luglio giovedì Rientriamo al Grand Canyon per visitare il lato ovest del South Rim. Dal centro visite principale prendiamo una prima navetta che abbastanza rapidamente ci porta all’estremità del Grand Canyon Village dove prendiamo una seconda navetta che costeggia il rim. Nonostante la notevole coda, sul pullman salgono solo le persone che possono stare sedute, in questo modo, alle fermate successive c’è sempre posto per chi vuole salire e la coda si fa solo all’inizio.

Dopo un paio di fermate scendiamo e percorriamo a piedi il sentiero verso i vari vista point. Il sentiero costeggia la strada asfaltata e qualche volta ci si immette, mentre a volte si allontana per avvicinarsi al bordo, è comunque pianeggiante e abbastanza comodo e consente di ammirare con calma il panorama, anche perché gli americani non amano molto camminare (soprattutto se hanno la stazza di quel signore che seduto sull’autobus occupava con la sua mole due sedili) e quindi siamo praticamente soli.

Anche oggi ci concediamo un bel pic nic in un’area attrezzata e poi usciamo dal parco per avviarci prima verso Williams e poi verso Seligman dove pernotteremo.

A questo punto, la faccenda pic-nic, merita una piccola digressione. In un supermercato, abbiamo comprato una scatola di polistirolo che serve da frigo, mettendoci un sacchetto di ghiaccio (in tutti i motel c’è la macchina del ghiaccio, a volte gratis, a volte pagando 50 cent) bibite e panini restano freschi tutto il giorno. Ma noi siamo turisti!!! I “locali” utilizzano per i pic-nic i contenitori termici di plastica (come i nostri che si trovano in Italia, non siamo mica così indietro), solo che hanno dimensioni epiche, mi viene da dire che comprino Suv giganti solo per poterci mettere nel bagagliaio frigoriferi portatili colossali e muniti di ruote (altrimenti sarebbero troppo pesanti per essere trasportati) nei quali travasano sacchetti da 10 kg di cubetti di ghiaccio che si comprano dai benzinai.

Williams è proprio carina, due strade parallele con limite di 20 miglia all’ora se ricordo bene, affiancate da negozi e locali decisamente anni ’60, nello spirito della route 66. Facciamo un giretto e poi ci avviamo verso Ovest, sull’autostrada che ha sostituito la mother road quando questa (una corsia per senso di marcia) si è rivelata incapace di sostenere l’aumento del traffico. Dopo un po’ però usciamo e seguiamo il vecchio tracciato fino ad un paesino dove facciamo una delle benzine più care di tutto il viaggio e compriamo qualche souvenir targato “66”. Anche qui sembra di essere precipitati all’interno del cartone animato Cars. Dato che, per quanto possano essere carini i paesi, i limiti sulla 66 rallentano molto il viaggio e comunque il paesaggio non è diverso da quello che si gode dall’autostrada, rientriamo per velocizzare un po’ il tragitto e arriviamo a Kingman dove alloggiamo al Motel 6 per la modica cifra di 39.50$ che ci faremo ripetere tre volte per essere sicuri di aver capito bene. La camera è quella classica da motel (le differenze sono minime, anche nei mobili e soprattutto nelle lampade, indipendentemente dal prezzo) peccato che l’ultima volta che i sanitari hanno visto uno straccio e un detersivo deve essere stato parecchio tempo fa. Comunque per una notte si sopravvive, Denny’s è vicinissimo, e questo ci consola,dato che il quartiere non sembra proprio Beverly Hills e che nel parcheggio del motel gira la sorveglianza privata. Restiamo anche affascinati dal cartello sulla porta di Denny’s che tradotto dice “vietato entrare armati perché in questo locale si servono alcolici”. Dimenticavo di dire che, fuori dalle strade principali, i cartelli stradali sono tutti sforacchiati da pallottole, certo succede anche da noi con i pallini dei cacciatori, ma lì non sono proprio pallini, quindi o si tratta di caccia grossa oppure (più facilmente) è lo spirito dei pistoleri da far-west che proprio non ne vuole sapere di estinguersi.

10 luglio venerdì Oggi ci riavviciniamo alla civiltà, intesa come traffico, smog, abitazioni ecc… Secondo il nostro itinerario inziale, oggi sarebbe una tappa di avvicinamento a Los Angeles, ma le modifiche che abbiamo apportato all’itinerario ci regalano un giorno extra che decidiamo di spendere sulla spiaggia. La costa è comunque troppo lontana per i nostri standard per arrivarci in un solo giorno, inoltre non avendo prenotato e non essendoci documentati sulla zona, non ci sembra il caso di arrivare troppo tardi all’inizio di un week end con il rischio di non trovare posto per la notte. Decidiamo quindi di fermarci a San Bernardino, che è ben posizionato per raggiungere domani in poco tempo le spiagge a sud di Los Angeles. Newport, Huntington ecc… Arriviamo a San Bernardino nel pomeriggio e da buoni italiani partiamo dal centro, senza pensare che nelle città americane, nel centro ci sono solo uffici e che venerdì pomeriggio sono già in parte chiusi, quindi le strade sono quasi deserte, a parte gli onnipresenti homeless e quale passante. Troviamo un motel nella periferia nord e dato che la città non sembra offrire un gran che, passiamo il pomeriggio in camera, cercando un ristorante sulla brochure che troviamo sul mobile. Decidiamo per un ristorante che ha anche la pizza (temerari!) e ci avviamo utilizzando la cartina. Certo, è un po’ in periferia, ma dove sta il problema. Il problema è che la strada che percorriamo, man mano che ci allontaniamo dal centro, sembra sempre più quella dove vive Clint Eastwood in “Gran Torino”; le prime villette decenti e anche carine, poi le villette si trasformano in casette di legno e poi in catapecchie, dove uomini in canottiera e bottiglia di birra siedono sulla veranda, e le facce degli occupanti le macchine che ci affiancano ai semafori ci lasciano alquanto inquieti. Prima di entrare al ristorante diamo un’occhiata dalla finestra per capire com’è la clientela e ci rassicuriamo, sono tutte famigliole con tanto di nonne e nipotini. La pizza come ci aspettavamo è una ciofechina, ma ci serve comunque a riempire lo stomaco. Alle 20.40 siamo gli ultimi clienti, la porta è già chiusa a chiave e non ci resta che tornare in albergo. Certo, fuori dai circuiti turistici i ristoranti chiudono presto, ma, anche dato lo spessore delle sbarre alle finestre, il dubbio che circolare la sera in questo quartiere non sia tanto salubre c’è rimasto.

11 luglio sabato Tra S.Bernardino e la costa incontriamo le uniche strade a pedaggio del viaggio, ma grazie alla cartina riusciamo ad evitarle ed arriviamo prima delle 10 a Newport. E’ una bella cittadina, ma trovare parcheggio già a quest’ora è un’impresa. Con un’immensa botta di fortuna una macchina lascia un posto libero proprio davanti a noi e nel parchimetro c’è già una buona parte del costo delle due ore di parcheggio consentite in zona. Siamo a 10 metri dalla spiaggia, grande e completamente libera, senza le cabine e le file di ombrelloni che da noi tolgono la vista del mare, una strada pedonale divide la spiaggia da una serie di casette a due piani affittabili per le vacanze dove sarebbe veramente piacevole trascorrere qualche giorno di relax, soprattutto dopo un viaggio impegnativo. L’oceano è parecchio agitato per i nostri standard mediterranei, ma l’acqua non è troppo fredda, almeno i piedi si possono mettere a mollo. Trascorse le due ore decidiamo di spostarci, è praticamente impossibile trovare un altro parcheggio e così risaliamo la costa fino ad Huntington Beach, the Surf City, come recita il cartello. E’ più grande di Newport e forse meno carina, con palazzi più alti e gli onnipresenti “pozzettini” di petrolio a bilanciere che punteggiano il lungomare. Ma è sicuramente caratteristica, con le spiagge enormi, tantissimi campi da beach volley e decine di surfisti. Cerchiamo un albergo e ci accorgiamo di come sia un mondo diverso rispetto all’interno. I prezzi non sono nemmeno paragonabili a quelli dei vari motel incontrati durante il viaggio. Il Best Western con vista su pozzo di petrolio costerebbe per una notte 260 $; troviamo l’ultima camera al Sand per 160$, mica un gran ché di camera, ma il costo è accettabile, anche considerando che è sabato, inoltre è abbastanza vicino al centro da poter lasciare la macchina nel parcheggio, dato che trovare un posto in strada è impossibile. Compriamo un telo da spiaggia e andiamo a crogiolarci al sole sulla spiaggiona, ci crogioliamo anche troppo, senza pensare che il venticello inganna e che la latitudine è quella che è, infatti alla sera sulla mia schiena ci si potrebbero cuocere le uova al tegamino.

12 luglio domenica Il programma prevedeva di passare almeno la mattinata in spiaggia, ma vista la batosta “solare” di ieri, partiamo con calma per avvicinarci a Los Angeles, programmando una sosta a Long Beach dove facciamo una passeggiata lungo il mare con vista sul transatlantico Queen Mary.

Los Angeles ci accoglie con i suoi svincoli a tre piani e le sue freeway a sei corsie per senso di marcia, dove nessuno rispetta il limite e dove bisogna stare attenti alle uscite che possono essere sulla destra o sulla sinistra, mentre suv enormi (e ci sembrava grosso il nostro Gran Cherokee) ci sorpassano da ogni parte. Prima tappa Hollywood che si rivela una grossa delusione. A parte la vista della scritta sulla collina che inizialmente entusiasma, il quartiere è abbastanza squallido, la folla si concentra sul marciapiede dove sono impresse le impronte degli attori, mentre per il resto è tutto parecchio desolato. Guide improvvisate (e più o meno avvinazzate) offrono coupon per il giro delle ville dei vip e i marciapiedi con le stelle ed il nome degli attori sono parecchio zozzi. Facciamo un giro veloce e dato che non ci interessa farci fotografare con il sosia di Elvis o con un vampiro improbabile si spostiamo rapidamente verso Beverly Hills. Certo che qui è tutta un’altra cosa, lasciamo la strada principale per le viette secondarie dove si affacciano ville e villette da sogno, e sono anche sono le più scarse, dato che quelle dei “vips” sono nascoste dietro siepi e cancelli. Qui solo negozi e ristoranti italiani, i prezzi non sono proprio popolari, ma dato che gli ingredienti sono italiani (per es. L’olio importato dall’Umbria) ma le porzioni sono decisamente americane, ce la possiamo cavare con bruschette come antipasto ed un piatto di pasta a testa, quindi il conto è accettabile. Per questa notte e la prossima cerchiamo un albergo vicino all’aeroporto, entusiasmati dai prezzi generalmente bassi dei pernottamenti USA, cominciamo a girare per i vari Hilton e Crowne Plaza, ma poi ripieghiamo su un più modesto Travel Lodge, decisamente a maggior portata delle nostre tasche. La chiave ci viene consegnata da un tizio alla reception che probabilmente è parente di Tyson, vista la stazza e l’espressione torva, tanto che dimentico di chiedere una stanza al primo piano, speriamo solo che i vicini della camera sopra siano clementi… 13 luglio lunedì Oggi fuochi d’artificio finali agli Universal Studios. Abbiamo scartato Disneyland perché siamo stati qualche anno fa a quello di Parigi. Arriviamo abbastanza presto, tanto che le attrazioni non sono ancora aperte, facciamo tempo a fare con calma il giro dei set con il trenino e ci piacerà tanto che lo rifaremo nel pomeriggio. La prima parte non è eccezionale, soprattutto se come me non siete dei fenomeni con l’inglese, perché le spiegazioni della guida hanno l’aria di essere molto interessanti. Siamo tra l’altro rimasti colpiti da come raccontino con un tono così entusiasta e coinvolgente da farti dimenticare che ripeteranno le stesse cose 20 volte al giorno per 365 gg l’anno. Non solo abbiamo fatto due volte il giro dei set godendoci il disastro aereo della “Guerra dei mondi”, l’attacco dello “Squalo”, il Bates motel di “Psyco” e un terremoto nella metropolitana di S:Francisco; ma abbiamo fatto due volte anche il giro di “Jurassic Park” con tuffo e spruzzatona finale, nonché le montagne russe virtuali dei Simpson. Per non parlare del Terminator 3D, insieme perfettamente riuscito di filmato tridimensionale ed attori in carne ed ossa, insomma 56 $ a testa ben ammortizzati.. L’ultima cena made in Usa, la consumiamo all’Hard Rock Cafè di Universal City, l’insieme di negozi e ristoranti che precede l’ingresso del parco. E dove la cameriera, saputo che siamo italiani si informa: “ma ciao si dice solo quando te ne vai o anche quando ti incontri?” Per fortuna abbiamo già praticamente fatto le valigie, visto che torniamo distrutti.

14 luglio martedì Giorno di rientro. Per prima cosa riconsegnamo l’auto alla National, in una traversa del viale che porta all’aeroporto un tizio ci accoglie, ci chiede se tutto va bene e ci saluta, tempo per la riconsegna 3 minuti (tanto hanno il numero di carta di credito e se ci fossero problemi saprebbero come rimediare). Con la navetta ci scaricano davanti al nostro terminal, un addetto ci accompagna a fare il check-in on line (anche se i posti li avevo confermati prima ancora di partire da casa due mesi prima). Soliti controlli e imbarco. Dimenticavo, nei voli interni, tranne le noccioline, il caffè è l’acqua non ci sono pasti offerti, in compenso, sugli schermi singoli touch screen, si può giocare ad una specie di trivial pursuit con gli altri passeggeri, e questo contribuisce parecchio a far passare le 4 ore e mezza che ci dividono da Atlanta.

Nonostante la partenza in ritardo, per fortuna recuperiamo durante il volo ed arriviamo ad Atlanta con solo 10 minuti di ritardo. E per fortuna, dato che abbiamo solo un’ora di tempo prima che parta il volo Atlanta-Milano. Peccato non aver considerato che Atlanta è un aeroporto enorme e che ci mettiamo 20 minuti ad attraversare le due piste prima di poter scendere dall’aereo. Naturalmente il nostro gate è l’ultimo dell’ultimo concourse (mentre noi siamo atterrati al primo, che strano eh?!), corsa mostruosa alla metropolitana interna, corsa mostruosa verso il gate superando al volo una compagnia di marines diretta a NY e ce la facciamo per un pelo, salvo poi aspettare 20 minuti il decollo sull’aereo. Viaggio tranquillo, anche se 9 ore sono lunghe, io riesco a fare una dormitina, ma il resto della famiglia aspetta l’arrivo ad occhi sbarrati. 15 luglio mercoledì Mi chiedo anche se le nostre valigie ci avranno seguito, considerando l’intervallo di tempo brevissimo tra i due voli e che il primo proseguiva per Buenos Aires, invece in poco tempo eccole sbucare dal nastro trasportatore. Chiamiamo la navetta del parcheggio che ci porta a riprendere la nostra auto, ci avviamo con cautela considerando che ci siamo completamente disabituati all’uso della frizione e del cambio ed arriviamo a casa in tempo per un ricco piatto di pasta al pomodoro. Il jet lag ci inganna, il primo giorno, salvo un pisolino pomeridiano sembra del tutto rientrato, per poi colpirci a tradimento due giorni dopo con notti insonni e fame notturna, vabbè, si sa che è il prezzo da pagare per visitare certe parti del mondo.



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