USA: Ovest selvaggio

Diario di un viaggio di B. Ranieri USA: Wild West Siamo quattro avventurieri: Betty e Giovanni, Paola e Lorenzo. Nati a distanza di una generazione ma con idee comuni ben precise, siamo sempre pronti a mettere in valigia la nostra voglia di viaggiare in quanto non solo abbiamo sete di nuove esperienze, ma siamo desiderosi di scoprire nuovi mondi e...
Scritto da: batina
usa: ovest selvaggio
Partenza il: 12/08/2009
Ritorno il: 30/08/2009
Viaggiatori: in coppia
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Diario di un viaggio di B. Ranieri USA: Wild West Siamo quattro avventurieri: Betty e Giovanni, Paola e Lorenzo. Nati a distanza di una generazione ma con idee comuni ben precise, siamo sempre pronti a mettere in valigia la nostra voglia di viaggiare in quanto non solo abbiamo sete di nuove esperienze, ma siamo desiderosi di scoprire nuovi mondi e di condividere magiche emozioni per poter vivere più serenamente la normale quotidianità. Ritornando da un viaggio si scopre, infatti, di possedere una carica interiore eccezionale che aiuta a convivere serenamente con il continuo logorio della modernità.

Con questo spirito che ci accomuna che livella la differenza di età partiamo, il 12 agosto 2009, con un boeing 737 alla volta di San Francisco da dove, con un fuoristrada, raggiungeremo il Gran Canyon tra paesaggi indimenticabili.

Io, Betty, attraverso questo diario, voglio aprire il mio animo, descrivere le mie personali sensazioni e arricchendo il mio carnet di viaggio mi soffermerò su quelle immagini che sono ben impresse nella mia memoria e che nessuno potrà mai più cancellare.

Dopo ben dodici ore di volo, trascorse all’insegna dell’assoluta tranquillità, atterriamo a San Francisco e raggiungiamo con un taxi il nostro hotel; è tardi e siamo molto stanchi ma ci catapultiamo ugualmente nella spettacolare e affascinante metropoli: un vero caleidoscopio di colori della California dream. Siamo desiderosi di assaporare aria nuova e di cominciare le nostre prime avventure tra le strade di questa città americana dal cuore europeo, un mosaico anticonvenzionale simbolo di un cosmopolitismo senza frontiere dove ognuno può trovare la sua vera identità. Ci fermiamo a San Francisco solo tre giorni durante i quali cerchiamo di vivere al massimo quell’atmosfera New Age che regna tra le sue strade. Da Unione Square, fulcro turistico del centro, nei cui pressi è situato il nostro hotel, come prima cosa, con un cable-car attraversiamo la città: un vero esempio di stile bohemien, una metropoli della quale ci si innamora facilmente e dove ognuno sogna di vivere. Ripercorrere queste strade collinose, immortalate dai famosi inseguimenti polizieschi, mi fa rinascere, le stesse strade da dove si possono ammirare magnifici scorci sulla baia, vedute mozzafiato sia del Golden Gate Bridge, il famoso ponte sospeso che svetta sopra le basse nuvole, che della mitica isola di Alcatraz. L’armoniosa insenatura con i suoi superbi gabbiani riesce letteralmente a stregarmi, rimango seduta per ore su una panchina ad ammirare questo incantevole angolo del mondo che esercita negli animi un’irresistibile attrazione; in silenzio, quasi per non rovinare l’atmosfera, resto immobile, ammaliata da questa vista di una bellezza incomparabile, fino a quando il tramonto avvolge con il suo velo rosso il ponte e lo rende ancor più vivo e misterioso.

Andiamo un po’ dappertutto. A Chinatown girovaghiamo senza limiti e, varcata la soglia del celebre Dragon’s gate, ci troviamo nel cuore del continente asiatico tra incensi e profumi; nel quartiere italiano arriviamo fino alla Coit Tower e ci sentiamo un po’a casa nostra, ammiriamo le graziose e aristocratiche case vittoriane, dalle candide facciate tra le pendenze estreme, che sembrano contrastare i grattacieli del quartiere finanziario; attraversiamo finanche Lombard street, la strada in fiore con i suoi stretti tornanti a serpentina.

L’indomani raggiungiamo la zona dei moli e il famoso Pier 39 di Fisherman’s wharf dalla festosa aria con i suoi coloratissimi negozietti trendy e i suoi tipici ristoranti dai deliziosi profumi di fritto; qui una colonia di leoni marini ha la sua fissa dimora: amano cullarsi e dormire beatamente su un molo abbandonato concedendosi, come delle vere star cinematografiche, a fotografi e cineasti amatoriali. Dal Pier 39 raggiungiamo con un traghetto Alcatraz. Affascinante è la vista dal traghetto sulla città, un lungo skyline con i suoi grattacieli dai design molto accurati tra i quali spicca imperioso il Transamerica Pyramid dalla caratteristica forma. Non dimenticherò mai quei gabbiani che ci scortano fino all’isola, volando sopra di noi: si fanno fotografare da vicino, veramente adorabili. Man mano che ci avviciniamo all’isola si respira, non so perché, un’aria di pace e di tranquillità; Alcatraz è stato un carcere federale che ha ospitato atroci criminali come Al Capone e Stroud ma quelle prigioni trasmettono sensazioni straordinarie che lasciano il segno. I detenuti scontavano pene per orrendi crimini e dall’interno del carcere potevano osservare un pezzo di mondo situato in uno dei posti più spettacolari della terra; quel mondo gli era sfuggito di mano e forse mai l’avrebbero potuto osservare da uomini liberi: questa era la pena più dura da scontare e sicuramente, da quelle misere celle, hanno apprezzato il prezioso valore della libertà. Tra quei corridoi e in quel cortile, reso famoso dal film “fuga da Alcatraz”, ascoltando la descrizione particolareggiata dell’audio-guida anche i detenuti nel mio animo sono stati redenti: sono uomini liberi in un’oasi felice. L’indomani a malincuore avremmo lasciato San Francisco e ora capisco perché è chiamata spesso: Everybody’s favorite city.

Come da programma comincia il nostro tour, a stretto contatto con la natura, nei parchi ovest dell’USA e con un fuoristrada partiamo di buon’ora alla volta di Yosemite, nel cuore della sierra Nevada, uno dei parchi più belli e più antichi degli Stati Uniti. Dopo aver attraversato immense pianure finalmente appaiono le montagne: rocce a strapiombo scolpite dalle glaciazioni. Che spettacolo! Che colori! Gli occhi sono inebriati da cotanta bellezza, questi panorami incanterebbero anche i peggiori tra gli increduli. Dopo una piccola sosta al Yosemite village ritorniamo al nostro lodge stanchi ma carichi di entusiasmo pronti ad affrontare una nuova giornata tra queste meraviglie della natura. Quella sera, dopo aver trascorso qualche oretta in terrazza tra incauti procioni che vogliono a tutti i costi invadere il nostro habitat, mi addormento cullata dal rumore dell’acqua del fiume che scorre tra i sassi: che musica dolce e soave. La tappa successiva è la Yosemite Valley, la grande cattedrale della natura, creata da un antichissimo ghiacciaio con il suo El Capitan, la falesia verticale di circa 900 metri ritrovo dei free climbers e siamo convinti di averne individuato alcuni: sembrano formiche in un mare di granito. Ci sentiamo veramente piccoli davanti a queste vertiginose pareti; ci fermiamo spesso per osservare queste rocce il cui tempo geologico ha dato origine a guglie di granito monumentale a forma di cupole, ad altissime cascate, a laghetti e a valli a forma di U ricche di morene. Dopo andiamo a Mariposa Grove nelle foreste delle sequoie gigantesche dove ci aspetta un percorso a piedi di oltre tre miglia; in quest’area boschiva ci sono sequoie che hanno visto fino a tremila primavere durante le quali sono state osservatrici dall’alto dei cambiamenti sociali e civili dell’umanità: tra l’altro hanno visto sviluppare e poi scomparire la civiltà indigena grazie all’uomo bianco e alla sua avidità di supremazia; questi giganti sono i veri vecchi dell’umanità che hanno sicuramente utilizzato uno sconosciuto elisir di lunga vita che ha permesso loro di sopravvivere a tante avversità e ora dalle cime più alte sembrano implorare i grandi della terra affinché combattano con tutte le loro armi a disposizione la guerra ambientale e possano salvare il pianeta terra. Ci sono sequoie da guinness dei primati, alte anche cento metri, che si innalzano verso il cielo mostrando la loro maestosità come il Grizzly gigante e con forme particolari come la sequoia tunnel e quella a forma di arco. Continuiamo in salita il nostro giro nella foresta incantati e sempre pronti a fotografare questi enormi alberi uno più bello dell’altro.

Ci fermiamo per dare l’ultimo sguardo dall’Amsted Point alla vallata e al suo panorama: Il Taj Mahal della natura sembra abbracciare l’intera valle. Ecco i leggendari personaggi trasformati in pietre: l’Half Dome e il North Dome, uno di fronte all’altro, li osservo in silenziosa reverenza, mi guardo intorno e scorgo sguardi sereni che parlano da soli: ognuno sembra essere in pace con se stesso e con gli altri, un traguardo molto ambito nel caos frenetico della vita giornaliera.

In questo posto che scatena emozioni così profonde nell’animo umano in cui l’acqua precipita tra nuvole di vapore trasportate dal vento, formando altissime cascate dette veli di sposa, la natura dimostra di essere un artista che non tramonta mai: è sempre all’apice del suo successo. Prima di raggiungere in serata il nostro lodge avvistiamo un cucciolo di orso che si lascia fotografare mentre fa un bel pic-nic tra l’erba e gli arbusti: grazie madre natura per averci fatto questo eccitante regalo.

La nostra prossima meta è Mammoth Lake, ma spinti dal desiderio di immergerci in un’atmosfera da Far West ci dirigiamo verso Bodie, una città fantasma al confine col Nevada, costruita a metà dell’ottocento, durante il periodo della corsa all’oro, dai cercatori di pepite e poi abbandonata e finita nell’oblio per decenni. In questa cittadina si va facilmente indietro nel tempo; le casette di legno, attraverso le sporche finestre dalle logore tende, ci mostrano gli arredi originali per cui con un po’ di fantasia si intravedono facilmente immagini pietrificate: nei saloon i pionieri che la sera giocano a poker, le ragazze dalle procaci scollature che intrattengono i forestieri ballando e cantando sui tavoli per qualche lauta ricompensa, i pistoleri sempre pronti a sparare che tracannano boccali di birra e bicchieri di whiskey. A Bodie ci scappa il morto facilmente. Oltre ai saloon ecco la chiesa, la caserma dei pompieri, la sede dello sceriffo, le pompe funebri sempre in piena attività, le scuole e le prigioni. Sbirciando da queste finestre, mentre cerco di catturare immagini del tempo, sento una carovana di pionieri a cavallo che ha raggiunto la terra promessa: Bodie e le sue miniere. E’sicuramente qualche fantasma del passato oppure l’effetto di un bicchiere di birra bevuta a pranzo, come osano scherzosamente affermare i miei compagni di viaggio.

Dopo aver attraversato immense praterie giungiamo a Monolake, un lago alcalino simile al mar morto in una zona da dove si possono ammirare le cime innevate della Sierra Nevada. Abbiamo davanti a noi un paesaggio lunare con dei blocchi calcarei alti anche dieci metri: delle torri di tufo bianche e ambrate che da oltre diecimila anni dominano il lago, un habitat di grande importanza per milioni di uccelli che vi nidificano. Questi monoliti emergono dall’acqua come delle stalagmiti e come delle sentinelle dominano il paesaggio e sembrano dire all’uomo: non deviare le mie acque, non vogliamo prosciugare, salva questo meraviglioso ecosistema che offre uno spettacolo da mille e una notte. Il giorno successivo ci dirigiamo verso la Death Valley e facciamo una sosta per rifocillarci un po’ a Mammuth, grande stazione sciistica e successivamente ci fermiamo a Convict Lake, un bellissimo disco dal colore verde smeraldo e facciamo una bella passeggiata tra gli alberi di pioppo che lo circondano. Riprendiamo il nostro cammino tra vallate sconfinate dove anche il parlare sembra inquinare quel silenzio profondo che domina. Ci fermiamo alla Bristlecone Pine Forest dove vivono i matusalemmi, pini secolari di oltre 4000 anni e facciamo un duro percorso in salita da dove si dominano le desertiche vallate. Mi sento come Ulisse attratto dal canto delle sirene: più il deserto infuocato avanza e più quella valle dai paesaggi lunari con le sue montagne “mosaico” dai diversi colori mi incuriosisce. Siamo in un vero forno naturale, ci dirigiamo subito verso Fornace Creek dove c’è il nostro hotel, una vera oasi di palme e bungalow. Dopo meno di un’ora siamo a Zabriskie Point per ammirare il tramonto sulle dune: un paesaggio a 360 gradi con formazioni rocciose uniche al mondo dalle colorazioni pastello; rimaniamo a sognare ad occhi aperti fino a quando il sole oscura completamente quelle meravigliose opere della natura. L’indomani ritorniamo per ammirare l’alba e l’effetto della luce mattiniera che lentamente dà vita a questo angolo indimenticabile. Partiamo subito diretti a Twenty mule team canyon, a circa un miglio da Furnace Creek e ci troviamo di fronte ad uno dei paesaggi più suggestivi della valle della morte: colline dalla luminosa terra bianca ricca di borace. Poi scendiamo fino a Badwater dove c’è la zona più bassa degli USA dove la terra sembra piegarsi sotto il sole e ci troviamo nel cuore del deserto salato: come un miraggio si scorge questo lago, il campo da golf del diavolo, asciutto, bianco e accecante dove ogni zolla è stata scolpita dal vento. Si riparte dopo una breve passeggiata sul lago infuocato e raggiungiamo attraverso strade strettissime e sinuose il Golden Canyon con le sue formazioni geologiche gialle, rosse, verdi e viola per la presenza di minerali come il ferro, la mica e il manganese. E’qui che il silenzio viene rotto da un caccia che sfreccia più volte tra le pareti rocciose in velocissima picchiata. No comment, good bye Death Valley. L’indomani partiamo per Las Vegas, la cattedrale del deserto del Nevada, e passiamo da bellezze quasi soprannaturali ad una città irreale che mostra un mondo perverso e consumistico dove tutto o quasi è concesso. Il giorno dopo siamo di nuovo in partenza alla volta di altri parchi e nello Utah visitiamo lo Zion National Park con paesaggi da biblica memoria dove anche le strade sono asfaltate di rosso per non contrastare l’ambiente: l’uomo sembra scusarsi con la natura. Le falesie, rastrellate sia in orizzontale che in verticale sono impressionanti, dagli incredibili colori che vanno dal beige all’arancione e al rosso e dalle forme svariate che rendono il paesaggio molto particolare: questi quadri naturalistici sono stati modellati dal tempo e la mano della natura li ha dipinti a suo piacimento e tu, uomo, puoi intravedere tutto ciò che la tua fantasia ti fa vedere. Sembra essere circondati da innocui mostri della natura che ci osservano sfoggiando con superbia la loro mole: ecco il castello dove vive la divinità imperante, ha diversi piani e all’apice tre o quattro ciminiere dalle quali fuoriesce amore e saggezza doti che hanno in gran parte gli uomini che rimangono colpiti da questo mondo incontaminato dove sembra regnare sovrana la pace. Il mio animo, inebriato da questi splendori, immagina un mondo privo di guerre e di ogni forma di violenza: inviterei i grandi della terra, che alcune volte sembrano giocare ai soldatini, a fare un summit tra queste montagne. Sacro ai mormoni e ancor prima agli indiani penso che abbia conservato col tempo qualcosa di mistico; mi guardo intorno e vedo ancora una volta tanti volti sorridenti che nella vita quotidiana sembrano in via di estinzione in quanto ognuno di noi è vittima del tram-tram frenetico che imperversa in ogni istante e non dà mai tregua.

La sera tardi arriviamo al Bryce canyon e l’indomani mattina presto siamo già pronti per ammirare questo enorme anfiteatro modellato dagli agenti atmosferici. Che meraviglia abbiamo di fronte: spettacolari guglie a forma di candela, i camini delle fate, pinnacoli longilinei, enormi labirinti ed imponenti archi, tra tantissimi pini che spuntano dal basso alla ricerca della luce di vita. Osservando sembra di intravedere il Partenone, colonne non solo greche ma anche romaniche, doriche e corinzie scolpite da una mano precisa e colorate con tecniche davvero inverosimili, dalle svariate sfumature che vanno dal rosso porpora al rosa pallido. In cima, sulla destra, si intravede Giove e il dio vulcano con le altre dee che sembrano soddisfatte del lavoro di madre natura. Sarà la dea natura l’ispiratrice dell’arte di tutti i tempi? Osservando ancora si intravedono da una diversa angolazione altri personaggi mitologici che ci guardano annichiliti: sono loro gli attori o noi? Quando lo sguardo dall’alto del Point va verso l’infinito intravedo città abbandonate, casette con tante finestrelle ed ho la strana sensazione che qualcuno ci osservi da lontano. La mia mente viene invasa da mille pensieri e da emozioni nostalgiche per cui lascio il Bryce canyon con le lacrime agli occhi ma serena, lo stringo al cuore e mando un bacio profondo verso l’immensità, mentre il vento continua ad accarezzare la mia pelle. Il tutto sotto un sole cocente ad un’altitudine di 8000 piedi. Da un altro Point si scorgono enormi caverne ciclopiche dai mostruosi antri con delle forme dentellate dai sorprendenti colori, sulla destra scorgiamo un mezzo busto di una statua romana che domina la sottostante foresta, sembra un condottiero soddisfatto per le sue gesta. Dopo aver fatto qualche miglio a piedi ci troviamo di fronte una finestra sulle bellezze della natura: un ponte naturale con una foresta di pini nel fondovalle. Da Rainbow Point sembra di scorgere un arcobaleno di colori che vanno dal bianco, al rosa e al mandarino, qui le vere dominatrici sono le aquile che sorvolano il canyon. Nel primo pomeriggio si parte per Arches National Park e la nostra prima sosta la facciamo a Capitol Reef, uno dei canyon più selvaggi della zona; attraversiamo un pietroso paesaggio semidesertico con le sue cattedrali, le sue piramidi, le sfingi, tantissime colonne stratificate ed enormi roccaforti che sembrano castelli incantati tra steppe desertiche. La sera tardi arriviamo a Moab e l’indomani mattina siamo pronti per avventurarci nei canyon con gli archi, figli delle notevoli escursioni termiche della zona; ci imbattiamo in rocce sbilanciate che sembrano ostacolare la forza di gravità, in rocce prosciutto, in un’enorme pecora con delle comari che confabulano tra di loro e in una torre di babele mai completata; dopo qualche miglio a piedi raggiungiamo il doppio arco: il primo è formato da due uccelli in fase di corteggiamento uniti dal becco, il secondo, quello posteriore sembra la proboscide di un elefante; più in là ecco un gigantesco cobra che sembra pronto ad attaccare la sua preda. In questi canyon del nuovo mondo sembra che ci sia scritta la storia di tutta l’umanità: questi dolmen stratificati che dominano le vallate narrano, come in un libro aperto, la vita geologica della terra e l’uomo vi può ritrovare la sua storia e la sua evoluzione culturale e sociale. Nei pressi di Arche visitiamo il Canyolands dai paesaggi tipicamente del vecchio west: archi, colonne rosse, pinnacoli di rocce striate bianchi e rossi e gole profonde dove scorrono il verde fiume Colorado e il Green River. Ci troviamo in dei veri parapendii sull’umanità. Dal Green River Overlook si scorge la sedia di Cleopatra e un turbante turco, guardando verso l’infinito sembra di vedere un’enorme città: è Mesa l’altopiano degli indiani un vero labirinto, uno dei posti più isolati degli Stati Uniti. Dal Grand View Point si hanno delle vedute incantevoli sulla confluenza del Green River nel Colorado, la presenza degli indiani è “documentata” anche da tantissimi totem naturali. L’indomani ripartiamo per Monument Valley, in Arizona, icona degli Stati Uniti in terra dei navajo, luogo mitico del cinema americano, il set di famosissimi film come Ombre Rosse, il Massacro di Forte Apache e Rio Bravo. Lungo la strada anche le nuvole sembrano dei colorati e stratificati canyon, anche loro ”hanno assorbito il colore ocra del terreno che ora orgogliosamente riflettono”. Man mano che ci avviciniamo alla valle monumentale le fortezze con le torri merlate sembrano sempre meno espugnabili; ecco un cappellone messicano che sembra darci il benvenuto. Il nostro hotel è nella Monument Valley e dalla nostra stanza si possono ammirare i famosi monoliti rosso ocra, veri capolavori di arenaria, simbolo dei western girati da John Ford; ci vuole poco per scorgere i cowboy con il lazo, gli indiani sul sentiero di guerra e John Wayne, il mitico e leggendario uomo leale e coraggioso del west. E’ sera, la Monument Valley viene avvolta dall’oscurità: sembra addormentarsi per sempre ma, all’alba del giorno dopo riappare lentamente nel suo splendore e i monoliti riacquistano il loro colore. Con il nostro fuoristrada facciamo il giro dei monumentali blocchi arenari: le tre sorelle, l’elefante, il cammello e quello dedicato a Cly, un ragazzo navajo colpito da un fulmine nella sua casa in questa valle. Ancora una volta i monoliti assumono sembianze di esseri viventi; in lontananza si intravedono gli hogan dei navajo che hanno continuato a vivere come i loro antenati: la loro privacy va rispettata. Nella tarda mattinata partiamo alla volta di Page, in Arizona, per poi raggiungere Antelope Canyon. Attraversiamo praterie semidesertiche e ammiriamo enormi falesie a picco sul lago Pawel: l’uomo ha costruito la diga sul Colorado e con essa ha dato origine ad un paesaggio maestoso, una delle poche volte in cui il suo intervento ha modificato in positivo l’ambiente. Page sorge in cima a Manson Mesa, un altopiano desertico dove si sta veramente bene: finalmente 26 gradi di temperatura, un’oasi fresca in un deserto roccioso. Secondo gli indiani questo posto, che evoca narrazioni bibliche, era il rifugio degli spiriti per cui era un luogo evitato dagli uomini, un posto dove anche gli alberi morivano per la paura. Dopo aver visitato la diga giungiamo a Horseshoe Bend Page dove la natura ci offre uno spettacolo a dir poco disarmante; dopo una passeggiata di mezz’ora ecco una scogliera a strapiombo e guardando nel vuoto, meglio sdraiati, si vede il fiume Colorado che disegna un collo d’oca, girando attorno ad un isolotto. Che paura! Ma ne vale veramente la pena. Ci arrampichiamo a stento su qualche piccolo promontorio per qualche foto da brivido. La sera mi rendo conto che la storia degli indiani, il buio del lago mi mette un po’ di tristezza che va subito via pensando al canyon sotterraneo del giorno dopo. L’indomani partiamo alla volta di Antelope Canyon e visitiamo per prima l’Upper Antelope dove giungiamo a bordo di un pick-up attraverso una pista sabbiosa e sterrata, accompagnati da una guida navajo che è una diretta discendente della pastorella che scoprì per prima il canyon, nei primi anni del novecento, che all’inizio veniva utilizzato solo per riti sacri; l’entrata, a fessura, dà l’idea di un violento colpo di sciabola e man mano che si entra ci si trova di fronte a delle bellezze surreali e inquietanti: un vero mondo fantastico e tranquillo fatto di pietra arenaria rossa scolpita da una mano misteriosa che ha tracciato delle onde rocciose, dimostrando di avere un gran senso artistico: sembra di osservare tante tele mosse dal vento i cui colori cambiano in ogni istante, un vero investimento per gli occhi e per l’anima. La magia di questo posto è dovuta alla luce del sole che penetra e modifica di continuo l’ambiente, creando dei coni luminosi che sono veramente surreali. Subito dopo raggiungiamo la Lower Antelope ed entriamo nel canyon attraverso una piccola fessura: sembra una vera e propria discesa negli inferi, il cuore batte, si riesce a stento a passare dagli stretti corridoi ma si rimane ben presto incantati dalla sinuosità delle rocce, un nuovo mondo surreale formato da tanti archi e spirali modellati dalla sabbia trasportata dal vento e dalle piogge torrenziali che hanno portato con sé anche dei tronchi che sono incastrati tra le rocce. Si intravedono forme di vari animali: aquile, orsi e leoni che sembrano i veri abitanti di un mondo veramente occulto, ricco di luce e di ombre: come è mai possibile che le forze della natura abbiano creato un posto cosi spettacolare? I raggi del sole passano attraverso le fessure e colorano le pareti di un rosso-arancione creando effetti cromatici che è molto difficile descrivere. Quando esco da questi canyon ho la sensazione di essere uscita da un mondo abitato dagli spiriti degli indiani e di aver danzato con loro tra quelle onde sinuose. La nostra prossima tappa è il gran Canyon North rime, lungo il percorso ci imbattiamo in una strada sterrata in una zona desertica, il nostro navigatore entra in tilt ma grazie ad un navajo riusciamo a ritrovare la strada maestra: in quelle strade sono stati sicuramente girati i più angoscianti thriller americani. Giungiamo finalmente, dopo aver attraversato immense praterie e foreste di pini e di abeti, al nostro lodge ben inserito nell’habitat: casette di legno molto confortevoli e di un romanticismo unico sparse nella foresta, un regno di fate in un bosco incantato con tanti mordaci scoiattoli che vagano indisturbati. E’ il tardo pomeriggio, giusto in tempo per ammirare uno splendido tramonto sul canyon dalle colorazioni e sfumature indescrivibili. Il Gran Canyon, che è in grado da solo di parlare dei 2/5 della storia della terra, è opera del Colorado che ha scavato un’enorme fessura seghettata: una vera meraviglia della natura, un fenomeno geologico tra i più sorprendenti lungo circa 445 km. Le piogge hanno completato l’opera contribuendo alla formazione di meandri sinuosi. L’indomani siamo pronti per le varie escursioni. Di mattina con una navetta osserviamo dai vari Point i silenziosi panorami e di pomeriggio, dopo essere saliti sulla torre Watch, facciamo la sorvolata del Canyon South rime. Il volo in elicottero è indimenticabile, per un vuoto d’aria l’elicottero impenna e si piega lateralmente per pochi attimi; io sono accanto al pilota e vivo questa esperienza con una certa freddezza. Non mi riconosco, non ho paura forse perché affascinata da quella enorme fenditura sottostante dai mille colori attraversata dal mitico fiume Colorado che fa da contorno a questo scenario rosso e luminoso che in ogni angolazione sembra avere un suo stile architettonico molto personale. In serata andiamo a vedere un documentario sul Colorado e sulla sua storia, lo schermo Imax ci permette di entrare nelle scene e di partecipare in prima persona all’esplorazione. L’indomani siamo pronti per ripartire, ma continuiamo a fermarci ad altri Point per assaporare le ultime meraviglie; dobbiamo raggiungere Las Vegas ma ci concediamo una deviazione: un tratto della route 66, quella leggendaria strada madre, simbolo della cultura degli americani, cantata dai Rolling Stones, che continua a vivere nei cuori dei nostalgici che vorrebbero ritrovarsi in quell’atmosfera di sogno e di magia. E ora via per il Nevada, avvolta in una coltre nebbiosa appare Las Vegas che dopo tante meraviglie ai nostri occhi sembra dominata dagli spiriti del male che vorrebbero travolgere l’uomo debole e indifferente e intrappolarlo con i suoi vizi e le sue debolezze. Ci sembra un vero monumento al cattivo gusto, ma siamo contenti ugualmente in quanto per noi è stata solo una città di transito sia all’inizio del tour che alla fine. Domani si volerà per Chicago alla volta di Francoforte da dove raggiungeremo la nostra Firenze.



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