Una settimana in Tamil Nadu
Avevo solo una settimana per il tour, quindi mi sono limitata alle tappe più importanti, escludendo a priori la visita a Chennai, che, per i miei interessi, non sembrava offrire nulla di significativo da visitare.
In sintesi il tour, dal 23 al 30 agosto, ha toccato: Mahabalipuram – 3 notti – Hotel GRT Temple bay Pondicherry – Hotel The Promenade (poi Le Dupleix) Tanjore – Hotel Parisutham Chettinadu – Hotel Visalam Madurai – Hotel Taj Gateway La scelta della agenzia locale a cui far riferimento per la prenotazione degli hotel, l’auto con autista ed un volo interno è stata molto facile: su qualche sito italiano era ben recensita Moksha Tours di Chennai, che sui siti francesi, in particolare quello della Routard è addirittura osannata come l’agenzia più affidabile per l’India del Sud: http://www.Routard.Com/forum/inde/48.Htm In effetti ho mandato la richiesta di preventivo ad altre 2 agenzie, ma il prezzo fatto da Moksha, la loro precisione e tempestività nelle risposte, mi ha confortato nella scelta.
Il prezzo finale per 7 notti nei migliori hotel disponibili di ogni singola località, in camera doppia uso singola, con prima colazione e l’uso di una Toyota Innova (un mini van molto ampio) con autista per 7 gg., comprensivo di tutte le spese è stato di 1000 Euro, che ho versato in contanti all’arrivo a Chennai. Non mi è stata chiesta nessuna caparra prima dell’arrivo, come da loro prassi.
Il servizio che hanno reso è stato davvero preciso e puntuale. L’autista è stato impeccabile e, anche se nel prezzo pattuito non dovevano essere comprese le guide, per scusarsi di un problema avuto con l’hotel di Pondicherry (non imputabile comunque a loro), mi hanno “regalato” la guida che mi ha seguito a Tanjore, Trichy e Madurai.
Vaccinazioni: ho fatto solo la profilassi anti-tifica, non ho fatto la antimalarica perché la ritenevo inutile vista la zona ed in effetti di zanzare ne ho viste pochissime.
All’arrivo a Chennai vengo accolta da Murti (il mio autista, un ragazzo di 24 anni molto prudente e molto esperto nonostante la giovane età) con una bella collana di gelsomini, a dire il vero un pò troppo sgocciolante d’acqua, ma questo è stato il primo assaggio del profumo di fiori che mi accompagnerà per tutto il viaggio.
I gelsomini sono i fiori che si trovano dovunque in Tamil Nadu, tra i capelli delle donne, nei piattini delle offerte per la puja nei templi, dai tanti venditori che li offrono per strada o in spiaggia a Pondichery, nei reparti benessere degli hotel. Il loro profumo, misto a quello del sandalo, riempie l’atmosfera umida e scura dei corridoi che portano ai sancta sanctorum dei templi.
Il primo impatto col Tamil Nadu è più che positivo, belle strade, ampie e ben asfaltate, conducono da Chennai a Mahabalipuram. C’è il solito caotico traffico indiano, ma niente a che vedere con la confusione del nord dell’India. I rickshaw non sono pieni all’inverosimile e sembrano quasi nuovi, le auto sono quasi tutte recenti e per strada non si vedono mucche… e poi palme, palme, alte e belle palme ovunque! Anche la prima impressione dell’hotel GRT Temple Bay è più che positiva: stupenda lobby sotto un bel porticato, impiegati gentili che si danno subito da fare per farmi avere una camera vista mare (anche se la mia prenotazione non al prevedeva).
La proprietà è così ampia che la parte recente (quella della lobby e delle nuove villette attorno al lago-piscina) è collegata alla parte vicino al mare con un servizio di macchinine elettriche. Il giardino è bellissimo, rigoglioso di palme e piante tropicali in mezzo a verdi prati inglesi. La parte sul mare e la piscina “infinity” è stupenda… La mia camera è al primo piano di un cottage in riva al mare. E’ enorme, con un bel balcone, ma è abbastanza vecchiotta ed il bagno ha qualche problema con gli scarichi… comunque la vista del mare ripaga di tutto.
Purtroppo fa davvero caldo, un caldo umido e soffocante, che non da tregua nemmeno di notte. Resterà così per due giorni, solo l’ultimo giorno uscirà un bel sole e l’atmosfera sarà più pulita.
Il mattino dopo vado subito a far colazione appena apre il Coffee Shop alle 7. La colazione è davvero grandiosa, di tutto e di più, dal cibo indiano, a quello asiatico, ad immensi vassoi di dolci e di frutta tagliata.
Ho deciso, con grande stupore di Murti, di andare da sola a piedi a visitare lo Shore Temple.
Purtroppo non si può raggiungere dalla spiaggia, perché è riparato dal mare con una alta scogliera artificiale (costruita dopo lo tzunami del 2004). Quindi devo passare dal paese, che alle 8.30 è ancora in fase di “risveglio”: i bambini, con le loro ordinate divise, alcuni a piedi nudi, si avviano per andare a scuola, la stazione degli autobus è affollata di pendolari verso Chennai, solo alcuni negozi sono già aperti e le bancarelle che friggono puri e dosa (la colazione tipica degli indiani) sono in piena attività.
La strada principale di Mahabalipuram è tutta un susseguirsi di piccoli hotel, guest house e semplici “ristoranti”. Ogni tanto incontro qualche sparuto turista occidentale, ma si capisce subito che è bassa stagione ed i pochi turisti che incontrerò al tempio sono quasi tutti indiani.
La strada verso il tempio è circondata di negozietti di souvenir ancora chiusi.
Che pace… nessuno che mi chiama o mi ferma per offrirmi la sua mercanzia.
Il biglietto di 250 Rupie comprende sia la visita allo Shore Temple che ai Five Rathas, l’altra maggiore attrazione della cittadina.
Il tempio è piccolo, antico e solitario, al limite della spiaggia. Nella parte nord della spiaggia c’è la zona dei pescatori, con le loro barche e qualche ristorantino, la parte sud, oltre il tempio, è la “spiaggia” vera e propria, dove i turisti ed i locali vanno a fare il bagno, anche se le guide sconsigliano di farlo per le correnti pericolose.
Decido di tornare in hotel in riskshaw, fa troppo caldo per rifare la strada a piedi. Me la cavo, senza troppo contrattare, con 30 rupie… ne valeva la pena! Con Murti abbiamo appuntamento alle 11 per andare vedere il resto di Mahabalipuram: i Five Rathas, l’Arjuna’s Penance ed i templi sulla collina.
I monumenti sono molto belli e suggestivi, peccato faccia davvero caldo! Se avessi saputo che il tempio apriva alle 6, forse avrei fatto delle scelte diverse per gli orari… Passo il pomeriggio tra la piscina dell’hotel ed un massaggio Ayurvedico al centro benessere dell’hotel.
Il massaggio è più “vigoroso” di quanto immaginassi, ma il risultato in termini di relax è eccellente! La sera ceno con una ragazza italiana, che ho incontrato il pomeriggio nel mio stesso albergo, al ristorante “The Warf” posto sulla spiaggia, nella zona più vecchia dell’hotel.
Si mangia davvero del buon pesce, magari a prezzi un po’ cari per lo standard indiano, ma con 1300 rupie (20 Euro) facciamo una buona cena in due! Il giorno dopo partenza per l’escursione a Kanchipuran, famosa per i templi Pallava e per le sete.
Con Murti facciamo il piano dei templi da visitare, tenendo conto degli orari di chiusura. La ragazza italiana incontrata la sera prima mi ha informato che alcuni non chiudono affatto alle 12 come è scritto sulle guide, ma il bramino è disposto a farlo visitare a qualsiasi ora, in cambio di una “donazione” al tempio.
I templi del Tamil Nadu sono abbastanza diversi dai templi hindu che avevo visto in Rajasthan. Sono molto più antichi, l’architettura è profondamente diversa e sono molto più ampi, formati spesso da più livelli concentrici di mura e con grandi cortili aperti. Tutti hanno una grande vasca con l’acqua per le abluzioni.
All’ingresso, come al solito, ci si deve togliere le scarpe, che ho scoperto è molto più comodo lasciare in macchina, visto che i percorsi per strada sono brevissimi. Purtroppo le “passeggiate” nei cortili assolati dei templi, sulle pietre arroventate dal sole non è un vero piacere… per cui il calzettino è davvero provvidenziale! Sempre all’ingresso si viene avvicinati o da un bramino (un sacerdote che presiede alle funzioni nel tempio, le puja, che si riconosce benissimo perché porta un dhoti bianco con una striscia colorata al bordo, ha il torace nudo con delle cordicelle che lo attraversano), o da qualcuno che dice di lavorare per il tempio, che si offre come guida.
Spesso parlano solo inglese (di solito molto comprensibile), anche se ormai sanno anche qualche parola di italiano e possono essere di aiuto per spiegarvi le varie divinità o le parti più interessanti da visitare, se non avete già una guida per conto vostro. Si può dare loro dalle 50 alle 100 rupie (se proprio sono stati molto utili). In alcuni templi provavo in continuazione ad attirare i turisti verso altari laterali dove bramini “interessati” tentano di vendere delle puja personalizzate, il problema è che poi chiedono un sacco di soldi… ed è difficile sganciarsi! Sono numerosi i templi in cui la parte centrale del sancta sanctorum (quella dove viene conservata l’immagine della divinità principale) non è visitabile per i non hindu ed in tutti oltre una certa soglia non si possono fare foto o riprese all’interno.
Il primo tempio che visito è il Varada Raja (dedicato a Vishnu dispensatore di grazie), ed è quello che alla fine si rivelerà il meno interessante, anche se è il più antico e la sala delle 100 colonne è molto bella (ma è la sola cosa visitabile).
Il secondo è il ben più grande Ekambareswarar, con dei bei “gopuram” colorati (le alte strutture sopra le porte di entrata al complesso del tempio). Purtroppo la “guida” è davvero poco simpatica e cerca continuamente di portarmi verso gli altarini delle puja per i turisti. Mi lascia prima dell’entrata del sancta raccomandandomi di stare attenta ai borsaioli che si insinuano tra la folla all’interno. Sono veramente indispettita: sono sicura che il rispetto. Che gli hindu hanno per quel luogo sacro. Lo rende più che sicuro, come del resto le strade delle città. Non mi piace il suo tentativo di instillarmi una paura non motivata, o meglio forse motivata solo dalla sua speranza che io gli dia una mancia più alta… Gli rispondo che forse l’unica persona di cui c’è poco da fidarsi in quel tempio è proprio lui e lo liquido alla svelta.
Il Kamakshi Amman è uno dei pochi templi dedicati a Shakti-Parvati (l’espressione della energia vitale femminile) e la visita è stata una mia richiesta (non sarebbe stato compreso nel programma, ma Murti mi accompagna volentieri). La parte visitabile però è davvero limitata, l’unica cosa simpatica è l’elefante che accarezza la testa dei fedeli, in segno di buon augurio, in cambio della monetina.
Molto bello è invece il Kailasanathar temple (dedicato a Shiva), è fuori dalla città, molto più piccolo e più intimo. C’è un anziano bramino davvero gentile, che mi apre una specie di tabernacolo per farmi vedere un gruppo di statue che mi illumina con una candelina per farmi capire l’effetto del lato maschile e del lato femminile nella stessa statua. Gli lascio dei soldi sul piattino davanti alle statue che lui non guarda nemmeno… Per pranzo invito Murti al ristorante Saravana Bhavan, uno dei tanti di una catena di ristoranti di cucina vegetariana di buon livello che si trovano a Chennai, a Kanchipuran ed in altri stati asiatici (questo è il loro sito: http://www.Saravanabhavan.Com/. È interessante per capire la filosofia del locale e il tipo di cibo servito).
Questo locale, in particolare, si trova nella via principale di Kanchi, ed è suddiviso in una sala principale ed una laterale con aria condizionata.
Servono tipici piatti vegetariani, con molta scelta, a prezzi contenuti (abbiamo speso 120 rupie per un buon pranzo in due) e con un buon livello di igiene e di servizio. Molto consigliabile!! Dopo pranzo Murti mi chiede se voglio vedere un negozio di sete… Come dirgli di no, anche se so benissimo che è il solito “negozio per turista”? Il negozio è piccolino, con nel cortile il solito “artigiano civetta”, ovvero il tessitore, lo scultore, il pittore… o quello che è, che finge di essere quello che produce la mercanzia in vendita, oppure che dà una dimostrazione di come si produce. Succede ovunque nel mondo… non solo in India! In questo caso è un ometto che traffica davanti ad un telaio coperto di polvere, su un poco probabile sari in fase di tessitura.
Comunque hanno delle belle sciarpe di seta, di diversa qualità e diverso prezzo e ovviamente quelle davvero belle sono anche molto costose. Dura trattativa e riesco a spuntare uno sconto del 30%, ma il negoziante, che prima aveva pianto calde lacrime davanti allo sconto, alla fine sorride sardonico alla vista della mia carta di credito… Di negozi di seta, Kanchipuran è piena e se ne vedono tanti anche nelle altre città, soprattutto a Madurai. Peccato che quelli “per indiani” abbiano quasi solo sari (da 5 metri e passa) e dupatta (le sciarpe abbinate ai salvar kameez, i completi pantaloni e casacca che portano alcune donne) che non possono essere vendute singolarmente… alla fine se si vogliono delle normali sciarpe “occidentali” si deve finire per forza nei negozi per turisti! Ma se si ha tempo, un giro per questi grandi negozi di sari fatelo lo stesso, è una meravigliosa sinfonia di colori e di ricami, e magari si possono trovare delle belle stoffe da acquistare.
Il mattino dopo, finalmente dopo 2 giorni di nuvole, esce il sole e lasciare il GRT Temple Bay, i cui giardini sembrano ancora più rigogliosi col sole, è proprio un peccato. La strada verso Pondicherry è davvero bella e con poco traffico. Attraversa zone di “backwater”, canali naturali che il mare si conquista verso l’entroterra. In alcuni di questi si possono fare delle escursioni con delle barchette.
E’ facile vedere pescatori immersi nell’acqua bassa tirare le reti e stormi di uccelli che migrano, visioni di grande pace… Prima di entrare nello stato di Pondicherry (e prima del pagamento del pedaggio), Murti mi propone la visita ad Auroville.
Auroville http://www.Auroville.Org/ è stata fondata da Mère, la compagna spirituale di Sri Aurobindo, un Maestro spirituale di nazionalità indiana, ma cresciuto ed educato in Europa e che poi è tornato in India impegnandosi della lotta di liberazione dal dominio inglese.
Auroville è la città della speranza in “un mondo in cui le persone di qualsiasi nazionalità, razza, cultura e religione possano convivere insieme ed insieme lavorare per costruire una Umanità migliore”. E’ il “sogno” di Mère fatto realtà. All’interno convivono ancora oggi circa un migliaio di persone che svolgono varie attività.
Non è certo un posto turistico e la comunità cerca di farlo capire in tutti i modi… è una “esperienza di vita” e ci vuole una sottile predisposizione per calarsi nella atmosfera di questo posto.
L’entrata è gratuita e la parte più interessante da visitare è il Matrimandir, un centro energetico, costituito da una struttura rotonda, con una copertura dorata, che al centro contiene una sala per la meditazione completamente bianca.
Purtroppo l’accesso all’interno è permesso solo previa prenotazione da fare il pomeriggio precedente.
Si può invece visitare la zona esterna con l’ausilio di un pass gratuito che si riceve vicino all’ingresso, dopo avere visto un breve filmato introduttivo.
All’interno c’è anche un book shop, una caffetteria con cibo discreto a prezzi davvero bassi e dei negozi che vendono abiti ed oggetti prodotti all’interno della comune (davvero molto belli, ottimi gli incensi e gli aromi prodotti a mano!).
Il percorso verso il Matrimandir è in una specie di foresta di eucalipti, una bellissima passeggiata di meno di mezz’ora, in un ambiente molto “naturale”. Prima del Matrimandir si incontra un enorme baniano (un ficus), uno dei più antichi della zona. I giardini intorno al Matrimandir sono una vera oasi di pace ed armonia. Peccato non ci si possa avvicinare di più, se non durante le visite guidate del mattino.
Tornando scopro che c’è anche un servizio di rickshaw che fa la spola verso l’ingresso del centro visitatori. Sul rickshaw incontro una coppia di anziani indiani, il cui marito, in uno stentato inglese, comincia a farmi l’”interrogatorio” di rito: da dove vieni, sei sposata, hai figli, cosa fai in India… e come al solito spiegare che viaggio da sola e che non sono sposata, suscita stupore, se non un misto di imbarazzo e perplessità! Lasciata Auroville ci dirigiamo verso Pondicherry.
Pondy (come viene chiamata spesso) è la città meno “indiana” di questo viaggio. La parte verso il mare è composta da file parallele di stradine ordinate e pulite con ville e vecchi palazzotti stile francese (la città è stata una enclave a dominazione francese). Tutti i migliori ristoranti e gli hotel “di charme” sono in questa zona.
Il lungomare è molto bello, con una grande statua di Gandhi nel mezzo; la sera questa è la parte più vivace della città. Appena all’interno un grande parco pubblico ed un museo sono le “attrazioni turistiche” di Pondy.
Il mio soggiorno è previsto all’hotel “The Promenade” (che dovrebbe essere sulla carta il migliore della città). La posizione è davvero buona, lungo la passeggiata sul mare, ma già dal primo impatto l’ambiente non mi soddisfa. La reception è nella stessa area di un ristorante affollato e rumorosissimo, il personale è scostante e la camera che mi viene assegnata è molto vecchia, con il bagno non in buone condizioni e confinante con il motore dell’aria condizionata di tutto l’hotel. Il rumore è infernale… chiedo che me la cambino e, dopo discussioni e trattative varie, vengo spostata all’hotel “Le Dupleix” della stessa catena.
“Le Dupleix” è in una stradina più appartata ed è una struttura molto più piccola, ma mi danno una bella camera spaziosa all’ultimo piano e sono ben più soddisfatta. In hotel farò anche la cena la sera in compagnia di un’altra amica italiana conosciuta “per caso”: la cucina è stile francese è non è affatto male, ci sono anche degli ottimi dolci al cioccolato e faremo una bella cena in due al costo di 1200 Rupie! Il pomeriggio vado a visitare l’ashram di Sri Aurobindo http://www.Sriaurobindoashram.Org/ In effetti è questa visita per me il vero motivo della tappa a Pondy, se non il motivo di tutto il viaggio nel Tamil Nadu. Avevo conosciuto qualche tempo prima Sri Aurobindo leggendo qualche libro sul suo pensiero ed in particolare “Sri Aurobindo e l’avventura della coscienza” di Satprem (un francese, diventato discepolo di Mère), che consiglio vivamente a tutti quelli che vogliono avvicinarsi a questo Maestro.
L’ashram è una serie di casette ordinate e ben tenute e semplicissime, in una strada perpendicolare al lungomare, nel quartiere francese.
Dalla parte opposta della strada, sul marciapiede, ci sono delle strutture dove lasciare le scarpe e l’entrata è una porticina quasi anonima. All’interno c’è un piccolo giardino e breve percorso porta al cortiletto principale dove si trova il Samadhi (la tomba che custodisce le spoglie mortali di Sri Aurobindo e di Mère). E’ posizionato sotto un grande baniano ed è coperto di fiori che un addetto mantiene umidi con un piccolo innaffiatoio. Tutto intorno molte persone sedute per terra in preghiera ed un SILENZIO che io non ho mai sentito prima in vita mia! Mi sembrava impossibile che tante persone riunite in uno stesso posto potessero muoversi senza produrre il così minimo rumore… Evidentemente è il senso di “sacralità” che quel posto emana a fare il piccolo miracolo. Ovviamente foto e riprese sono proibite. Alcune persone a turno si avvicinavano al piccolo Samadhi per pregare appoggiate alla tomba, ma tutto con molto ordine e semplicità.
Ed è nel piccolo cortiletto che riconosco, seduta proprio accanto a me una ragazza italiana la cui “presenza” a Pondy mi era già stata annunciata da un altro amico che era passato da lì qualche settimana prima. Con estrema spontaneità mi invita ad andare a prendere il the con lei a casa di un anziano pensionato indiano che ha conosciuto all’ashram e che ci aspetta in fondo al cortile.
Il resto del pomeriggio lo passiamo nell’appartamentino semplice e dignitosissimo di Gaurav (non sono sicura che fosse questo il suo nome, ma il suono era simile e poi Gaurav significa “rispetto” e mi piace ricordarlo così). Ci racconta della sua vita, della sua famiglia, dei suoi anni passati all’ashram e delle tante persone che vi ha incontrato; ci parla di Mère (che ha conosciuto personalmente) e si rivolge a lei guardando le foto che ha appeso alle pareti di casa. Oltre al the ci offre dei dolcetti che tiene gelosamente conservati in piccoli barattolini e ci dà consigli pratici sulle cose più disparate.
Il mattino successivo ripasso all’ashram per un momento di meditazione e per comprare un po’ di pubblicazioni in italiano nella biblioteca della fondazione. Mi spiace lasciare questo posto di pace, ma il viaggio deve continuare… Dopo un paio d’ore arriviamo al Nataraja temple di Chidambaram, un tempio molto ampio ed importante, dedicato a Shiva danzante, dove anche il sancta sanctorum è visitabile dai non hindu. La guida è un gentile signore che mi fa vedere la vasta parte esterna, la bellissima vasca e molti dei loggiati interni. Mi lascia all’ingresso del sancta sanctorum, visitabile in questo tempio.
Appena all’interno del sancta sento un fortissimo suono di campanelli e mi avvicino ad una piccola folla di fedeli in attesa davanti ad una stanza rialzata chiusa da portoncini d’argento. Subito dopo le porte vengono aperte (accolte da una vera ovazione) ed un gruppo di bramini fa un rituale con dei piccoli bracieri colmi di fuoco e recitano delle preghiere a voce molto alta.
Si sente, tangibile, la partecipazione fervente dei fedeli al rito e l’energia della loro fede per la divinità, la cui l’immagine si intravede appena nella stanza in penombra.
Alcune famiglie salgono in una delle stanze laterali per farsi fare delle puja speciali dai bramini.
E’ veramente una esperienza “forte” che certamente non mi aspettavo e che meritava davvero di essere fatta, anche perché, a parte me ed una coppia di spagnoli, non ci sono altri turisti.
Lasciata Chidambaram ci dirigiamo verso Darsuram, una piccola cittadina dove si trova l’Airavateswarar temple, un piccolo capolavoro della architettura chola, dove viene venerato l’elefante bianco. Anche in questo caso il custode che mi accompagna è davvero gentile, aspetta i turisti, con l’anziana moglie, all’ingresso del tempio e io sono la sua unica cliente in quel momento.
Le sculture sono molto raffinate ed a ragione il tempio è stato appena inserito nei siti protetti dall’Unesco. Murti mi accompagna per il pranzo in un hotel in un zona di campagna sulla strada verso Tanjore.
Il posto è davvero bucolico e anche l’hotel è molto ben messo e pulito.
Pranzo sulla terrazza, anche se fa caldo, ma non mi perdo il giardino dove scorazzano libere un gruppo di belle oche grassocce… A Tanjore il pernottamento è previsto nell’anonimo hotel Parisutham; il personale non è dei più cordiali e la stanza è veramente “standard”, anche se pulita ed ordinata. Guarda su una piscina che però ha poco di invitante. Nel pomeriggio ci raggiunge Shiva, la guida che mi accompagnerà in quasi tutti i prossimi 3 giorni.
E’ un uomo sulla trentina, di aspetto piacevole, molto gentile e che parla un ottimo inglese. L’unico difetto è la sua mania di farmi i quiz alla “Millionaire”… Abbiamo deciso di visitare il tempio Brihadishvara, dedicato a Shiva, nel tardo pomeriggio, così da vederlo illuminato al calare della sera. Il complesso del tempio è molto vasto e si nota l’imponente toro Nandi, di granito nero, unto di ghee (burro chiarificato) e con la base fasciata da un panno bianco.
Incontriamo il solito elefante che tocca la fronte dei fedeli, ma di fedeli in questo tempio non ce ne sono poi molti, sono soprattutto famiglie e sembrano più turisti in gita, che fedeli.
I vari monumenti diventano via via sempre più rosati alla luce del sole che tramonta e, con il buio e la luna, l’illuminazione rende lo spettacolo dei cortili e degli alti gopuram veramente suggestivo.
Il mattino successivo partiamo per Trichy (Tiruchirapalli) a circa 50 km da Tanjore. La strada è molto piacevole tra campi di riso e coltivazioni di palme da cocco. Solo intorno alla città il traffico è più inteso anche per i numerosi cantieri. La prima tappa è al piccolo gath in riva al fiume che separa la zona del tempio dalla città vera e propria. Siamo fortunati: al ghat incontriamo una piccola e rumorosa folla di pellegrini che, con banda ed elefante, stanno raccogliendo l’acqua del fiume per andare in processione al tempio. I costumi sono bellissimi e colorati e si sente un’aria da “festa di paese”, con dei ragazzi che portano dei lunghi bastoni ai quali sono appesi sacchettini di zucchero filato rosa.
Il complesso del tempio è enorme. Il Ranganathaswamy Temple è il più grande tempio hindu al mondo ancora in funzione ed è composto da 7 file concentriche di mura. Nelle prime è inglobato un vero e proprio paese, dove alloggiano le tante famiglie che lavorano in qualche modo per il tempio. I gopuran sopra le porte di ingresso sono altissimi, il più alto misura 73 mt. E sono coloratissimi.
Shiva mi conduce all’interno della parte “religiosa” del complesso, che è comunque vastissima, c’è persino una cucina che cuoce i pasti per i pellegrini, molte bancarelle e tante persone che praticamente vivono all’interno. Tra questi incontriamo un nano, amico di Shiva, che ci conduce su di una terrazza da cui si vede il panorama di tutti i cortili, bellissimo! Al suo piccolo amico, Shiva fa comprare del riso al tamarindo e delle polpettine di verdure fritte, che mi offre e che saranno il suo pasto. All’inizio sono un po’ scettica, il riso è avvolto in un foglio di giornale, ma mi dico che dopo quasi due settimane in India ormai mi sono fatta gli anticorpi e lo assaggio: davvero molto buono e saporito e buonissime le polpettine! Il nano è davvero socievole, sopravvive accompagnando i turisti e parla qualche parola in molte lingue. Quando scopre che sono italiana mi sciorina tutto il suo italico sapere: dalla pizza alle squadre di calcio.
Fuori dal tempio mi attende la sorpresa della visita alla sede di Trichy di Moksha tours, che è ospitata in una delle casette attorno al tempio.
Lì conosco Murali, che avevo già sentito più volte al telefono, ed un suo collaboratore.
La stanza dove mi fermo a parlare è molto semplice, con due “divani indiani”, ma intuisco che al piano di sopra devono esserci gli uffici. Murali non sa più cosa offrirmi, dal the a delle altre polpettine fritte appena cotte… ancora più buone! Facciamo una bella chiacchierata sul turismo in India e sulla mia esperienza di viaggio fino ad allora e ci salutiamo.
Le polpette sono state provvidenziali e mi daranno energie per “scalare” (con ai piedi solo i soliti calzettini) il Rock Fort, posizionato sulla collina che svetta nel centro di Trichy.
L’ingresso è in un vicolo della parte più vecchia della città e niente fa presumere cosa ci sia al di là dell’anonimo portone.
In effetti da lì partono le scale (437 gradini) che, un po’ intagliate nella roccia, ed un po’ all’aperto, salgono fino alla cima della rocca dove è appollaiato un piccolo tempio (poco più di una stanza) dedicato a Lord Vinayaka, il Dio elefante.
La vista dalla cima è spettacolare, da un lato si vede tutto il complesso del tempio che si sviluppa nella parte sottostante, con la piccola cupola dorata che copre il sancta sanctorum e la distesa della città, inframmezzata da palme e giardini. Dall’altro lato scorre il fiume ed il Ranganathaswamy Temple in lontananza con i suoi 21 gopuram.
Dopo un veloce pranzo in un anonimo ristorante di un hotel in città, ripartiamo per raggiungere la regione di Chattinadu, o meglio il piccolo villaggio di Kanadukathan. Prima di arrivare all’hotel Murti si infila in una stradina sterrata e Shiva mi spiega che andiamo a vedere un “tempio di campagna”, particolare perché nel viale di accesso sono allineate centinaia di statue di cavalli di terracotta, delle specie di ex-voto che le famiglie portano al tempio in segno di preghiera o ringraziamento. In effetti la cosa è davvero singolare, i cavallini sono ora nuovi e dipinti a colori vivaci, ora vecchi e malandati, alcuni quasi distrutti dalle intemperie.
Il “tempio” vero e proprio è solo un piccolo altarino all’aperto, con delle piccole statue di divinità coperte da sari dai colori vivaci e dietro l’altarino una piccola montagnola di bamboline di terracotta, alcune, anche in questo caso, nuove e tante altre rotte e malandate.
La nostra presenza attira un vecchio “sacerdote” ed una vecchietta che cammina con difficoltà, appoggiata ad un nodoso bastone ed a mala pena coperta da un vecchio sari. Shiva dà una offerta al sacerdote che ci fa una piccola cerimonia col fuoco. Però la banconota viene passata subito alla vecchietta. Forse è lei che ha più bisogno di quelle rupie… L’hotel Visalam è uno dei tanti palazzi dei ricchi mercanti che abitavano questa regione, trasformato in hotel, rispettando lo stile e l’atmosfera di allora. Non è grande, in fondo solo una ventina di camere, ma il palazzo è imponente e molto ben tenuto. Le camere, ricavate dai locali attorno al patio, sono vastissime: ingresso, camera-armadio, un bagno grande e una enorme stanza con due lettoni alla francese con baldacchino. Il mobilio è antico e tutto è di grande fascino e… non c’è televisore in camera! Sul retro del palazzo ci sono delle belle aree di soggiorno e un piccolo giardino con una piscina.
Il personale è davvero gentile e disponibile e quando arrivo scopro che è in corso una riunione di tutto il personale, organizzata dalla direzione a scopo formativo.
La struttura appartiene alla catena CGH, che ha come filosofia proprio la gestione di hotel inseriti nel contesto culturale di un luogo e con una attenzione particolare ad un turismo meno di “massa”, da qui la scelta di non mettere televisori nelle camere.
Una ragazza della reception, in un impeccabile sari verde, mi spiegherà la loro strategia aziendale e mi seguirà con particolare attenzione per tutto il mio soggiorno.
In effetti, l’albergo è pressoché deserto, solo 2 camere sono occupate quel giorno, la mia e quella di una coppia di signori francesi che avrò modo di incontrare più volte, anche da altre parti.
La ragazza mi suggerisce, prima di cena, di fare una piccola passeggiata esplorativa per il villaggio, ma declino l’invito (perché dovrei “passeggiare” per le strade caotiche di un villaggio indiano, quando c’è quest’oasi di pace tutta a mia disposizione?) e mi godo la piscina deserta, con idromassaggio… una pacchia! Dopo meno di mezzora il cielo si rabbuia ed ecco un temporale. Mi rifugio in una zona relax coperta, a fianco della piscina, ad osservare la pioggia che rende il giardino ancora più rigoglioso e profumato. Capisco perché gli indiani amano il monsone (quando non fa disastri!): oltre ad aumentare le riserve d’acqua ed a smorzare la calura, l’umidità, quell’umidità scrosciate di vita, è come se ravvivasse il verde dei prati, è come se nutrisse, a vista d’occhio, le piante assetate d’acqua, è come se ridesse vitalità e gioia all’anima… In questo viaggio ho avuto diverse volte occasione di incontrare la pioggia ed il modo con cui gli indiani la affrontano mi ha sempre stupito.
Noi cerchiamo in tutti i modi di ripararci, di evitare di essere “toccati dalla pioggia”: ombrelli, impermeabili, scarpe adatte… loro no.
Gli indiani quando piove, semplicemente, “prendono” la pioggia. Certo, qualcuno ha l’ombrello, ma la maggior parte continua a fare quello che stava facendo con la massima naturalezza… Qualcuno ha la testa e le spalle coperte da un piccolo asciugamano, ma è ben misera cosa ed è subito zuppo. E non credo sia solo un fatto di povertà, credo sia un atteggiamento interiore: la pioggia è una cosa naturale e benefica e loro non la sfuggono… anche perché non potrebbero fare altrimenti! Il mattino successivo c’è un bel sole e la mia guida locale (Shiva è tornato a Madurai in autobus per non lasciar soli un’altra notte la moglie e il figlio piccolo), è un signore di mezz’età, che mi spiega lavora all’hotel nella “accoglienza clienti”, mi accompagna a visitare il famoso villaggio.
La prima impressione è quello di un normale villaggio indiano, bancarelle di frutta e verdura, piccoli chioschi dove si mangia, confusione… ma poi comincio a vedere nelle strade laterali un sacco di camion, camper e fili che corrono dovunque. Mi spiega che il villaggio è usato spesso da troupe cinematografiche per girarvi dei film e tutta quella confusione è finta…! In effetti mi accorgo che la gente per strada è “particolare” e che stanno ancora lavorando per costruire la scena.
Capisco perché la ragazza dell’hotel mi aveva consigliato la passeggiata: non si tratta per niente di un normale villaggio indiano, ma di strade disegnate con rigore, su cui si affacciano solo dimore signorili, a volte più piccole, ma a volte veri e propri palazzi, tutti contornati da mura di cinta e con bei giardiniall’interno.
La regione del Chettinadu è famosa proprio per questi palazzi costruiti tra l’800 ed il ‘900 da una comunità di ricchi banchieri e commercianti, provenienti dal sud est asiatico e trasferitisi in questa zona dell’India in cerca di maggiore sicurezza.
Purtroppo oggi la maggior parte dei palazzi è molto trascurata, anche perché molte famiglie si sono trasferite negli USA o a Singapore.
Alcuni di questi palazzi sono stati recentemente venduti ed appunto trasformati in “hotel di charme”.
Il signore che mi fa da guida mi accompagna a visitare uno dei palazzi più grandi, che è stato messo a disposizione della comunità locale, dalla famiglia proprietaria, come museo.
Il palazzo ha, molto più in grande, la struttura del Visalam e contiene ancora molte sale riccamente arredate con i mobili ed i cimeli di famiglia dei proprietari. E’ tutto un susseguirsi di cortili e di loggiati attorno ai quali si sviluppano centinaia di stanze. Oltre a noi, c’è solo un altro gruppetto di visitatori, composto da un anziano bramino, con il classico torace nudo, il nonno, e da due nipoti, di cui uno vestito con il lungo dhoti bianco bordato d’oro e una camicia, ma l’altro è in perfetto stile “attore tolliwooddiano (l’industria cinematografica Tamil è ormai sviluppata come la Bollywood di Mumbai)”: jeans di marca, occhiali da sole e cellulare sempre alla mano… un altro dei contrasti dell’India moderna! Sempre la guida mi accompagna in un’altra zona del villaggio e mi spiega che vuole mostrarmi la sua “casa”. Sono un po’ perplessa, ma capisco che lui ci tiene molto ed in effetti la “casa” è un altro palazzo, purtroppo molto mal conservato. All’ingresso troviamo una giovane donna che sta pulendo, non capisco se è una domestica o una donna di famiglia, che comunque lui non mi presenta. Nel cortile interno c’è molta confusione e panni appesi ai balconi dei piani superiori. Chiedo in quanti abitino lì e mi risponde che abitano in 5, ma hanno più di 30 stanze… All’improvviso un’altra ragazza attraversa il cortile vestita solo della gonna che le indiane portano sotto il sari e del corpetto, ha i piedi nudi ed capelli spettinati e tra le braccia porta degli altri panni… strana sensazione di “miseria e nobiltà”! Con Murti riprendiamo il viaggio verso Madurai, la nostra ultima tappa. La città è la più grande e la più moderna di quelle che ho visto finora in Tamil Nadu. Alla periferia della città Murti mi fa vedere il nuovo mercato dei fiori. In effetti sembra di sentire in profumo dei gelsomini anche dall’interno dell’auto ed intorno c’è un incredibile via vai di donne con sacchetti pieni di fiori da intrecciare in ghirlande.
Il Taj Gateway è fuori dalla città vera e propria ed è una vasta proprietà che occupa tutto un lato di una collina, da cui si vede un bel panorama verso la città e le rade colline circostanti dalle forme singolari.
E’ stato acquisito da poco dalla catena Taj e vi ritrovo un sentore di “nobiltà decaduta”. La hall ed alcune camere sono in una vecchia palazzina che era la residenza di un dignitario inglese. I tappeti sono un po’ logori e tutta l’atmosfera è resa un po’ cupa dalle pareti coperti da antiche boiserie di legno scuro. Mi mostrano una camera al piano superiore, ma è così buia e triste che non me la sento di passare la mia ultima notte di questo viaggio in un posto così tetro. Chiedo se si può avere una camera migliore e mi mostrano una camera molto spaziosa e con una bella veranda che domina la città, in una delle palazzine più moderne di cui è disseminato il grande parco. Decisamente un’altra atmosfera… Nel pomeriggio ritrovo Shiva che, prima mi accompagna a visitare il palazzo Thirumalai Nayak, una antica residenza disegnata da un architetto italiano, dove le opere di restauro hanno ridato splendore solo al grande cortile ed alla sala della musica, e poi mi organizza un giro da sola in rickshaw (quello con la bicicletta) attorno al palazzo per vedere un mercato (Shiva non sa più cosa fare per farmi piacere… visto che gli avevo detto che amavo i mercati).
Peccato che tra lui ed il vecchio guidatore non si intendano e mi faccia fare solo un giretto attorno al palazzo. A me va benissimo così: passare tra le strade trafficate di moto, auto e bus, su quel trabiccolo, è una avventura che non amo prolungare! Per quanto mi possa essere abituata al traffico indiano, viverlo in modo così diretto mi sgomenta ancora… Per finire mi attende la visita al famoso Meenakshi temple, non il più grande, ma certamente il più frequentato tempio del Tamil Nadu, dedicato alla dea Parvati, ma che all’interno contiene anche un tempio dedicato a Shiva.
Il tempio è nel centro della città e si nota da subito che è un posto molto frequentato: a lato dell’ingresso esterno hanno costruito delle nuove tettoie per il deposito delle scarpe con tanto di scontrino. Nei primi padiglioni sono ospitati 4 corridoi dedicati a 4 generi diversi di venditori: i sarti ed i venditori di stoffe, i venditori di pentole ed oggetti per la cucina e le bancarelle di “bigiotteria”, noi la chiameremmo così…
L’effetto è incredibile, 4 stretti corridoi delimitati da antiche colonne scolpite, che contengono: il primo decine e decine di sarti, tutti in fila, che lavorano su vecchie macchine da cucire a pedale e tantissime bancarelle di stoffe colorate. La seconda un distesa di pentolame di alluminio di ogni grandezza e forma, dai piccoli pentolini, alle enormi giare per l’acqua… Il terzo una fitta schiera di bancarelle piene di braccialetti coloratissimi e brillanti, fermagli e nastri per i capelli, collanine, fiori finti. Un tripudio di colori, a cui le visitatrici del tempio, soprattutto le ragazze giovani, non possono sfuggire… Più avanti attraversiamo il portone del tempio vero e proprio. I portoni d’ingresso sono sormontati da gopuram dipinti a colori molto vivaci, anche se non altissimi. E’ tutto coperto, senza i grandi cortili aperti che avevo visto negli altri templi, solo la vasca per le abluzioni è spaziosa e con un grande fiore di loto dorato nel mezzo.
Nel tempio c’è un grande dispiegamento di polizia che controlla che tutto si svolga con ordine e che soprattutto controlla i comportamenti “anomali” dei fedeli. Shiva mi fa notare due poliziotti che vanno a controllare i documenti di una coppia che si era seduta un po’ troppo in disparte lungo le scalinate della vasca… La gente è davvero tanta e, visto che siamo quasi al tramonto e che il tempio alle 19 chiude, si sta accalcando per le ultime puja della sera. Assistiamo al rientro di alcuni baldacchini con delle statue di divinità che vengono ricoverati per la notte all’interno del tempio. Ad ognuna di queste piccole processioni la piccola folla di fedeli si lancia in invocazioni ad alta voce e vigorosi gesti di fede.
Non so se è il caldo, o l’aria chiusa del tempio, o l’odore dei fiori, o le urla dei fedeli, ma l’energia che si percepisce è davvero intensa, anche se è una energia, secondo me, intrisa più di superstizione che di vera e propria fede.
Shiva mi chiede se voglio fare un giro da sola per i corridoi del tempio, ma mi sento veramente “oppressa” da quella atmosfera pesante e preferisco uscire.
Fuori la luce del tramonto regala ai colori delle statue sui gopuram delle sfumature particolari, come particolari sembrano diventati i colori dei sari delle donne che fanno gli ultimi acquisti nei negozietti che stanno per chiudere.
Prima di arrivare alla macchina Shiva compra in un banchetto e mi regala un bustina di assafetida, una spezia molto usata per i piatti della cucina indiana, introvabile in Italia.
Ritorniamo al Taj Gateway, io e Shiva ci salutiamo e davanti alla mancia mi regala un gran bel sorriso! Con Murti decidiamo invece che il mattino dopo lo passerò in hotel e l’appuntamento con lui è solo in tarda mattinata per accompagnarmi all’aeroporto.
La mattina vengo svegliata dalle “grida” dei tanti pavoni che scorazzano nel giardino del Taj ed in mezzo ai pavoni percorro, di prima mattina, il sentiero verso il centro ayuverdico.
Il massaggio è piacevole e rilassante e mi aiuta a distaccarmi dal Tamil Nadu.
Spendo le ultime ore a sistemare le valige e scrivere gli ultimi appunti, affacciata sul panorama di Madurai e dei gopuram del tempio che svettano, in lontananza, tra le case della città.
Sull’aereo per Mumbai, nel sedile davanti al mio, c’è una ragazza con una lunga ghirlanda di gelsomini tra i capelli. Di nuovo il profumo dei gelsomini… ed è come se mi stessero augurando, con la loro intensa fragranza, il “buon viaggio” verso casa. E’ passata solo una settimana dai gelsomini di Murti e sembra sia passato invece un tempo infinito: il tempo antico dei templi, il tempo lento dei pescatori che ritirano le reti, il tempo paziente della natura rigogliosa nelle distese di palme, il tempo giovane dei tanti bambini con le loro uniformi ordinate… il tempo magico dell’India, che tutto dilata e tutto rende così intenso e fantastico!