La nostra seconda patria
Ancor prima di conoscerci avevamo una passione, entrambi, per l’America del Sud, e per l’Argentina in particolare… anni prima, migliaia di nostri connazionali erano partiti alla volta di quelle terre infinite e sconosciute per costruirsi una vita. Adesso, molti argentini tornavano ai loro paesi d’origine, l’Italia e la Spagna, seguendo il percorso inverso. Un’italiana e uno spagnolo alla ricerca della cultura comune, delle radici perdute, delle certezze sradicate: quale destinazione migliore per il nostro viaggio di nozze, se non il paese in cui le nostre due culture si fondono, per dar vita a un carattere unico al mondo? Scelta la meta, volevamo scegliere anche il modo di viaggiare: non ci piacciono i tour organizzati e, soprattutto, non volevamo fare uno di quei viaggi in cui ogni due giorni prendi un aereo per volare da una punta all’altra del paese. Passare da Salta a Ushuaia in sei ore… no, grazie! Noi volevamo viverlo il paese, anche a costo di sacrificare qualche tappa. Fu così che decidemmo di escludere la Patagonia, che dev’essere un posto splendido, ma proprio per questo merita un viaggio a sé. Lasciammo perdere anche la parte nord-orientale, al confine con la Bolivia, dato che c’era un’epidemia di dengue in corso, malattia che non è possibile prevenire perché si trasmette attraverso le punture di zanzara. Alla fine, le nostre tappe erano le seguenti: Buenos Aires; selva nord al confine col Brasile; Rosario; Córdoba; Mar del Plata. Un viaggio un po’ fuori dai soliti circuiti turistici proposti in agenzia, per entrare, per quanto possibile, nelle viscere del paese. Ovviamente, la prima immancabile tappa era la capitale del tango, la città di Maradona, la prima terra argentina calpestata dai nostri connazionali nei tempi andati: Buenos Aires. Era marzo, la fine dell’estate, non troppo caldo ma ancora abbastanza per visitare i posti col sole, mentre sugli alberi spuntavano le prime foglie autunnali. I TAPPA: Buenos Aires 4 giorni Da Pisa partiamo alla volta di Madrid dove, grazie alle capacità logistiche dei dipendenti di Iberia, ci tocca aspettare più di dodici ore: beh, avendo vissuto più di quattro anni a Madrid, per fortuna gli amici da visitare non sono mancati! Arriviamo quindi, nel cuore della notte, alla Terminal 4 dell’aeroporto di Barajas, pronti per l’avventura. Viaggio accanto a una famiglia con cinque bambini (suvvia, dodici ore con le urla dei pargoli nelle orecchie, che saranno mai!) e finalmente eccoci all’agognata meta! A Buenos Aires è l’ora di pranzo, per il nostro orologio biologico dovrebbe essere sera, ma siamo talmente emozionati che ci sembra di non sentirlo neanche, il fuso orario (ne riparleremo verso le 20…). Dopo essere stati fregati dal tassista (fate sempre attenzione che sulla macchina ci sia scritto “Radio Taxi”, mi raccomando!), arriviamo al Gurda Tango Hotel, lo avevamo prenotato su booking.Com per solo 80 euro a notte: si tratta di un albergo con poche camere, ognuna a tema (la nostra era la stanza “ippica”, c’erano foto di mandriani, i gauchos, pelli di mucche appese alla parete e frustini), delizioso, con dipendenti gentilissimi, a pochi passi dal centro, nel quartiere popolare, adesso sede di numerosi bar e localetti notturni, denominato San Telmo… Un po’ la Montmartre di Buenos Aires insomma! Infatti usciamo subito a mangiare e scolarci un birretta alla Plaza Dorrego, dove la domenica si riuniscono le coppie di “porteños” (ossia gli abitanti della capitale) per ballare il tango, e poi andiamo a scoprire il centro storico. Lì troviamo un’enorme manifestazione – eravamo arrivati proprio il giorno della festa nazionale e non lo sapevamo – delle “madres de mayo”, le madri dei desaparecidos della dittatura, che, nonostante siano passati trent’anni, non si danno per vinte e rivendicano giustizia.
Rimaniamo un po’ nella piazza principale, che però era invasa dai manifestanti, facciamo un giro fino ad arrivare alla piazza della Repubblica, con un enorme obelisco in mezzo e una strada a 14 corsie, punto di snodo di tutto il traffico cittadino! La sera ceniamo in un ristorantino accanto all’hotel (che si trova fra la calle – via – Defensa e Brasil: sì, perché a Buenos Aires si parla di “cuadras”, cioè isolati, e non si va coi numeri civici ma con le intersezioni tra le strade) consigliato dalla ragazza della reception: è un posto di quelli di quartiere, non è turistico, si mangia benissimo e con una quindicina di euro ci facciamo la nostra prima parrillada con una bella bottiglia di vino: ¡bienvenidos a Argentina! Il giorno dopo visitiamo la città: ne approfittiamo per vedere la Casa Rosada, dove sta il Presidente, e che il giorno prima era inavvicinabile per via della manifestazione. Andiamo anche a Puerto Madero, il quartiere dei grattacieli e dei locali sofisticati, proprio sulle acque del Río de la Plata. È impressionante vedere come siano diversi i quartieri tra di loro, sembra di essere in un’altra città; si passa dalla povertà più assoluta alla ricchezza più estrema in pochi chilometri, per non parlare poi di tutta la bidonville ubicata alla periferia della città… Comunque, mettermi i sandaletti non è stata certo un’idea grandiosa: arrivo alla sera che non posso neanche appoggiare i piedi a terra, avremo percorso almeno 15 km a piedi! Una pizza (eh sì, data la grande affluenza di italiani, gli argentini sanno fare benissimo la pasta, la pizza, le lasagne, ed hanno dei gelati meravigliosi!) e poi a nanna.
Il giorno dopo avevamo prenotato su Internet una gita in traghetto – il buquebus, www.Buquebus.Com – per arrivare a Colonia de Sacramento, in Uruguay; in poco più di un’ora di navigazione sul marronissimo (la terra della selva, in cui passa il fiume Paraná che poi va a finire lì, è rossa) mare di Buenos Aires siamo in un altro paese. Colonia è una città, come indica il suo nome, dall’architettura coloniale, molto gradevole per passarci la giornata, con delle case e delle strade in pietra, tutte adornate da piante e fiori tropicali. La sera, finalmente, riusciamo anche a uscire un po’ e vedere qualche pub; mio marito è un patito dell’heavy metal, così entriamo in un bar hard-rock: è carino, ma niente in confronto a ciò che vedremo a Rosario… Il nostro ultimo giorno a Buenos Aires andiamo a La Boca, il quartiere di Maradona, ovviamente grande idolo nazionale; lì si trova lo stadio della squadra – il Boca Juniors – in cui ha mosso i suoi primi “calci” in campo professionistico, accanto a Caminito, quartiere in cui andavano a vivere i primi immigranti di inizio Novecento, la cui peculiarità sono le case dipinte: per rendere un po’ più piacevoli le loro umili case, le pitturavano con colori sgargianti, conferendo al posto un’aria gitano-artistica oggi apprezzata da molti turisti. Addirittura, abbiamo visto alcuni fotografi che facevano un reportage con delle modelle (bellissime); unico neo: bisogna stare attenti a non allontanarsi troppo dalla strada principale, soprattutto di sera, onde evitare di essere derubati, dato che si tratta di un quartiere marginale in cui la delinquenza non manca.
Il primo pomeriggio ci dirigiamo verso l’aeroporto per prendere l’aereo per Iguazú (l’unico volo interno che faremo). Arriviamo e… sorpresa sorpresona… “Signori, il vostro volo è stato anticipato, vi abbiamo mandato una e-mail per avvertirvi”. Non era assolutamente vero… che facciamo? In un quarto d’ora, la compagnia Lan ha già risolto tutto: abbiamo un volo prenotato per l’indomani mattina presto, intanto col taxi ci portano in un hotel 4 stelle vicino all’aeroporto, dove abbiamo la cena pagata e un taxi prenotato per la mattina dopo, addirittura ci danno una scheda telefonica per avvisare l’hotel di Puerto Iguazú del disguido… im-pec-ca-bi-le! II TAPPA: La selva – 4 giorni La mattina dopo, verso le 7, prendiamo l’aereo che, in un’ora, ci porta a Puerto Iguazú, base strategica per andare a visitare le famose cascate al confine col Brasile. Una cara amica era stata lì non molto tempo prima e ci aveva consigliato di andare all’ostello Marco Polo Inn, dove per 15 euro ti danno una stanza con vista sul giardino e accesso alla piscina, oltre ad essere un modo per conoscere altri viaggiatori.
Che dire della selva: già dall’aereo ci si rende conto della sua immensità, un mare di alberi e fiumi che ci fanno capire veramente la potenza della natura… la selva, una volta che ti entra nel cuore, rimane lì per sempre. Almeno così è stato per me! Ci prepariamo rapidamente e andiamo a visitare le cascate; per vederle bene, ci vogliono almeno due giorni, uno per la parte argentina e uno per la parte brasiliana. La nostra amica ci aveva consigliato – a ragione – di vedere prima la parte brasiliana: infatti quest’ultima dà più una visione d’insieme delle cascate e dei paesaggi, però nella parte argentina si arriva proprio sotto le cascate; se si fa il contrario, si rischia di rimanere delusi dalla visita alla parte brasiliana. Attraversiamo quindi un altro confine: Argentina – Brasile. Arrivare alle cascate è un’avventura: bisogna prendere un autobus che ti porta fino al confine, scendere per mostrare i passaporti e risalire per un altro tratto, dopo di che si scende in mezzo al nulla, e ci si siede ad aspettare un nuovo autobus che passerà, sì, ma non si sa bene quando… Ma comunque, alla fine, si arriva. Il parco è bellissimo, ci sono vari percorsi possibili, si possono anche scegliere escursioni in barca se si vuole. In alcuni punti, troviamo migliaia di farfalle colorate che si avvicinano senza timore, oltre agli uccelli e ai coatíes, una sorta di scimmiette della selva. Le cascate sono, a dir poco, impressionanti.
Il giorno seguente visitiamo la parte argentina, in cui si arriva fino alla “Garganta del diablo”, cioè la gola del diavolo… vi lascio immaginare la portata del fiume, l’imponenza dello spettacolo davanti ai nostri occhi, da rimanere senza fiato.
La sera, per finire in bellezza, andiamo a vedere uno spettacolo di danze brasiliane, beh, che dire, un po’ acchiappa-turisti, ma alla fine ci sta anche quello! Nota culinaria: ci sono diversi pesci del fiume Paraná che vengono cucinati come piatto tipico, primo fra tutti il “pacu”, un grosso luccio niente male, se preparato alla griglia merita di essere assaggiato.
Il giorno dopo decidiamo di continuare a vivere la selva, ma in un posto meno preso d’assalto dal turismo mondiale; optiamo quindi per andare a San Ignacio Miní, a cinque ore di autobus, dove troviamo, per una decina di euro a notte, un ostello con un giardino immenso, le amache, il barbecue a disposizione e la piscina… un sogno insomma! San Ignacio è famosa per le “reducciones” gesuitiche, cioè: i gesuiti andavano nella selva, prendevano i vari Guaraníes, gli abitanti del posto, che vivevano sparsi, e li portavano nei villaggi costruiti da loro, dove vivevano tutti insieme. Ovviamente, uniti gli indigeni erano più protetti sia dalle fiere sia dalle popolazioni che volevano assaltarli, però in cambio i Gesuiti li indottrinavano con la loro religione. Comunque, il centro gesuita rimasto a San Ignacio è uno di quelli conservati meglio, e con un biglietto di pochi euro si può entrare sia alla visita diurna con guida (competentissima), sia in notturna con tanto di illuminazione e musica di sottofondo… suggestivo! All’hotel potevamo anche affittare le bici, così il giorno seguente decidiamo di arrivare fino al fiume, a pochi chilometri dal paese, in cui possiamo fare il bagno; il Paraná è veramente immenso, quasi non si vede l’altra sponda! Risoluti a lasciare la selva per un’esperienza un po’ più metropolitana, cerchiamo un passaggio per la stazione di Posadas, da dove partono i pullman per Rosario; un amico dei ragazzi che lavorano all’hotel deve andare proprio lì, e per un contributo spese ci porta volentieri. Inizia la terza tappa! III TAPPA: Le città di Rosario e Córdoba.
Gli autobus argentini non hanno niente a che vedere con i nostri: sono concepiti per percorrere distanze lunghissime; si può attraversare tutto il paese, da nord a sud, a bordo di un autobus. Ci sono tre classi: la turistica, la prima classe, e la classe super-lusso; in realtà, la prima classe offre già un ottimo rapporto qualità-prezzo, con tanto di pasto freddo e caldo, copertina e posto per allungare le gambe: eh sì, negli autobus argentini, di notte, si riesce anche a dormire! Quando ci svegliamo, la mattina, il paesaggio è completamente cambiato: non più gli alberi fitti della selva, bensì le distese infinite delle pampas, la famosa pianura argentina. Rosario è una città molto grande, per niente turistica, piena di grattacieli e di cemento; ci passa il fiume Paraná, e c’è un isolotto in mezzo al fiume che la fa sembrare una piccola Manhattan. Non c’è molto da vedere a Rosario, e non è neanche una bella città, ma i locali notturni sono ineguagliabili.
Ceniamo al centro culturale basco, poiché pare che a Rosario ci sia molta immigrazione proveniente dai Paesi Baschi, e poi ci buttiamo in un pub bellissimo, con musica rock a tutto volume, proiezioni, cocktail buonissimi e un sacco di giovani “trasgressivi”, proprio come noi, he he.
A proposito, al contrario di ciò che pensavamo, in Argentina non si può più fumare in nessun luogo pubblico, come in Italia: ormai, la vecchia immagine del locale pieno di fumo con i ballerini di tango lascia posto alla campagna salutista antitabacco! A parte i bar notturni non c’è molto da vedere a Rosario, così ci muoviamo verso la prossima meta: Córdoba.
A Córdoba c’è una “manzana jesuítica” (l’isolato gesuita) stupenda; è uno dei patrimoni dell’Umanità dell’Unesco.
Il nostro hotel si trova proprio sulla piazza principale della città, Plaza San Martín, e la stanza è all’ultimo piano, con vista della città dall’alto: maledetta speculazione edilizia, le stupende chiese della città, oltre ad essere nere di smog, sono affiancate a dei palazzi osceni stile anni Settanta, un vero attentato al buon gusto. Che peccato… Anche Córdoba è una città piena di vita notturna, si tratta di una città universitaria, quindi con zone di localini e ristoranti a buon prezzo, oltre agli alberghi. Da notare che, a parte l’hotel a Buenos Aires e l’ostello a Iguazú, non avevamo prenotato nient’altro, anche perché volevamo decidere l’itinerario mentre eravamo in viaggio, però non abbiamo mai avuto problemi di alloggio.
Oltre alla città, nella zona di Córdoba merita una visita la Sierra, ossia le montagne intorno; soprattutto in autunno, quando siamo andati noi, le foglie degli alberi hanno un colore stupendo, sembrerebbe un vero e proprio quadro se – purtroppo c’è un se – non ci fossero tante cartacce e sacchetti di plastica in giro. Ebbene sì, sia in città sia, cosa ancor più grave, in montagna, non c’è nessun rispetto per la natura, e non è raro vedere a terra cartacce e rifiuti vari; bisognerebbe fare una campagna di sensibilizzazione, perché in questo modo si rovina un paesaggio stupendo.
Comunque, per chi vuole andare alla Sierra, noi sconsigliamo la meta turistica dei cordobesi durante il week-end, cioè Villa Carlos Paz, che non è niente di che, meglio andare un po’ più su, verso La Falda.
Tornati dalla nostra giornata di gita in montagna, cerchiamo un localino dove riempire i nostri stomaci e, del tutto casualmente, troviamo un ristorante pazzesco: si chiama “La nieta e la Pancha”, si trova sull’attico di un palazzo, ma è stato decorato talmente bene che sembra di essere in un giardino di una villa; a prezzi contenuti, si possono mangiare delle delizie tipiche della regione… da non perdere! Al ritorno, proprio nella piazza davanti all’hotel, ci imbattiamo in un centinaio di persone che ballano il tango fino all’una di notte… un po’ come quando alle nostre feste dell’Unità si balla il liscio insomma! E, con questa immagine negli occhi, ci organizziamo per la nostra prossima e, ahimè, ultima meta: il mare.
IV TAPPA: Cariló – 4 giorni Una sera, quando ancora stavamo organizzando il viaggio, andammo a cena a “Aires del Plata”, un ristorante argentino (molto buono, tra l’altro, anche se un po’ caro) a Bologna. La cameriera è di Buenos Aires, e le chiedemmo consiglio perché volevamo trascorrere gli ultimi giorni del viaggio sul mare, in completo relax, ma senza allontanarci troppo da Buenos Aires, da cui partiva l’aereo di ritorno.
Lei, senza esitare un momento, ci disse: “dovete assolutamente andare a Cariló”. Beh, aveva ragione: tra le località di villeggiatura dei porteños, Cariló è senza dubbio unica nel suo genere. In generale, il mare “intorno” (per le distanze del paese, “intorno” significa a 300-400 km) a Buenos Aires non è un granché, e posti come Pinamar o Villa Gesell non sono belli per noi che possiamo andare al mare Amalfi o in Sicilia, però Cariló è diverso, è qualcosa di speciale… certo, non ha niente a che vedere con l’Argentina vera, ma è un luogo in cui, grazie al tasso di cambio così favorevole – per noi -tra peso argentino e euro, anche noi comuni mortali ci possiamo permettere un albergo di lusso, con Spa e tutti i confort possibili e immaginabili, in un posto letteralmente da favola. Il paese, infatti, è in mezzo a un bosco che sembra quello degli gnomi: cent’anni fa non c’era niente, solo dune di sabbia sull’oceano; poi, arrivò un signore con molti soldi e buone idee e piantò centinaia di alberi, così crebbe un bosco proprio sul mare; in questo bosco ci sono solo alberghi e case per turisti, costruiti come se fossero baite di montagna: tutto legno, con architetture più o meno azzardate ma sempre rispettose dell’ambiente. Si tratta di un mondo falso, è vero, ma per pochi giorni è veramente piacevole dedicarsi ad andare al mare, a farsi fare i massaggi, a fare escursioni nel bosco in bici e poi cenare in ristoranti di lusso… il tutto per meno di 60 euro a testa al giorno! E poi c’è il mare: è, forse, un po’ grigio, ma è pur sempre l’oceano, con delle spiagge enormi dalla sabbia così fine… Insomma, per finire in bellezza una vacanza di avventure come la nostra, Cariló ti offre il meritato riposo, senza contare che in un viaggio di nozze ci deve essere anche un po’ di lusso, in fin dei conti, si fa solo una volta nella vita! IL RITORNO Da Cariló prendiamo l’autobus che ci porta a Pinamar, da dove parte l’altro pullman per Buenos Aires, a 5 ore di strada. Torniamo al Gurda Tango Hotel – ci era piaciuto così tanto che già lo avevamo prenotato per l’ultima notte – e andiamo a mangiarci un buon bife de chorizo al nostro ristorantino in calle Defensa, alla nostra salute e a tutte le avventure che ci aspettano… Il giorno dopo, mentre andiamo all’aeroporto, non riesco proprio a non pensare a quando torneremo al nostro albergo di Buenos Aires, magari per fare tappa prima di visitare la Patagonia, magari in tre.