Cartoline da una tigre asiatica

CARTOLINE DA UNA TIGRE ASIATICA (dal 28/07/2009 al 16/08/2009) L’IDEA Conoscere l’Estremo Oriente passando per la porta di servizio. E’ questa l’idea , comprese un paio di parentesi in Giappone e Quatar, che ci ha spinto in Corea del Sud. Una sbirciata in punta di piedi su un paradiso confuciano/tecnologico non certo così gettonato come...
Scritto da: 50lu
Partenza il: 28/07/2009
Ritorno il: 16/08/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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CARTOLINE DA UNA TIGRE ASIATICA (dal 28/07/2009 al 16/08/2009) L’IDEA Conoscere l’Estremo Oriente passando per la porta di servizio. E’ questa l’idea , comprese un paio di parentesi in Giappone e Quatar, che ci ha spinto in Corea del Sud. Una sbirciata in punta di piedi su un paradiso confuciano/tecnologico non certo così gettonato come altri ma di pari valore per quantità e qualità di esperienza.

SEUL E DINTORNI Cominciamo col dire che le nostre fonti di informazioni sono state per gran parte ricavate dalle guide pubblicate da Lonely Planet , tanto in traduzione italiana quanto in versione originale. Per quanto riguarda la Corea le versioni inglesi , Seoul e Korea, risultano migliori per ampiezza e qualità di informazioni. Abbiamo anche , prima della partenza, letto alcuni resoconti di viaggio in internet ed ascoltato in diretta testimoni. Il volo ,impeccabile, della Quatar Airways , per un totale di 17 ore e 50 minuti, ha previsto scali a Doha ed Osaka. Seul , illuminata come in uno spettacolo son e lumière, ci ha accolto in piena notte grazie ad una buona ora passata in taxi prima di raggiungere l’albergo , centralissima zona Downtown, preventivamente prenotato dall’Italia. Il primo giorno l’abbiamo dedicato alla conoscenza diretta della città con una lunga scarpinata che ha raggiunto il Deoksugung, storico palazzo con tanto di cambio della guardia acchiappa turisti al cancello di ingresso; il Gyeongbokgung , splendida reggia che rimanda direttamente allo splendore della dinastia Joseon (1392/1910), divenuta un vero e proprio collante nazionalista per la Corea; il quartiere di Insadong, un reticolo di vicoli e viuzze dove abbondano negozi di artigianato, gallerie d’arte, ristoranti e quant’altro serve a far felici turisti non necessariamente spendaccioni. La visita a Tapgol park, con rispettiva preziosa pagoda sotto vetro, appena prima della chiusura dei cancelli di ingresso, conclude l’itinerario. Sulla via del rientro operiamo le prime osservazioni: in Corea, grazie alle invasioni giapponesi, poco è fruibile in originale, palazzi e monumenti sono in gran parte ricostruiti; il caldo è umido ma sopportabilissimo; i coreani sembrano esterofili e amano riprodurre ma anche , fortuna nostra, acquistare in originale , quando possibile, i prodotti della tecnologia occidentali ( per esempio, i ciclisti adorano i marchi italiano come Pinarello e Colnago; i motociclisti fanno follie per Harley Davison, Ducati, MV Agusta, ecc.); i negozi sono raggruppati per articoli e dunque può capitare di incontrare una lunga serie di esercizi che , l’uno di fila all’altro, vendono solo ed esclusivamente motociclette, animali, sport e diventano punti di incontro per appassionati o ,più semplicemente, ritrovo tra amici; sarebbe meglio spostarsi in metropolitana prima di affrontare Seul “pedibus calcantibus”. La metropolitana costituisce infatti un reticolo che si sovrappone perfettamente all’area cittadina costituendo un mezzo economico , il biglietto costa in media 1.200 won (1 euro viene cambiato con circa 1.700 won), ed efficace per girare. Le biglietterie automatiche sono perfettamente funzionanti e digitando semplicemente ”English” si seleziona numero biglietti e destinazione. Viene richiesta una cauzione di 500 won che viene restituita , terminato il viaggio, inserendo la tessera nelle apposite macchinette. Le stazioni e le vetture sono perfettamente pulite e climatizzate, le indicazioni delle stazioni, direzione, numero di uscita perfettamente leggibili tanto in coreano quanto in inglese. Unico neo: l’esiguo numero di cestini. Per il resto, i coreani si fermano spontaneamente per fornire indicazioni e aiuto a chi vedono in difficoltà o semplicemente armeggiare con cartina alla mano. Le barriere architettoniche sono inesistenti e sono addirittura posizionate sul pavimento le impronte che servono a impostare la fila agli ingressi dei singoli vagoni. I tempi di attesa sono minimi e l’arrivo dei treni viene annunciato da un trillo. In poche parole, una lezione di efficienza e bon ton confuciano che difficilmente ritroviamo in Italia. La seconda giornata la dedichiamo al capoluogo Suwon, raggiunto utilizzando la linea 1 della metropolitana in circa un’ora, con relativa visita al palazzo ed alle mura. Visto il perimetro di circa 6 chilometri, consigliamo di tralasciare il palazzo, perfettamente in linea con quanto già visto a Seul, e concentrarsi ,per chi ha fiato e gambe soprattutto se la giornata è calda, sulle mura. Palazzo e parte delle mura sono a pagamento e dalla stazione ferroviaria sono raggiungibili con i bus (n.11,13,36,38,39) che partono dalle fermate limitrofe. Non è necessario in Corea acquistare preventivamente i biglietti del bus: il denaro richiesto viene direttamente depositato nella cassetta trasparente a fianco dell’autista. Non contenti, una volta rientrati a Seul, passeggiamo per Namsan Park, spingendoci fin quasi alla torre che domina la città. Una vera oasi verde abbastanza frequentata ,con tanto di fondo sintetico ed illuminazione per le ore notturne, ideale per chi vuole sudare, fare jogging o rilassarsi. La serata la trascorriamo in un ristorante coreano doc, con tanto di graticola posizionata nel bel mezzo del tavolo per grigliare direttamente le carni tagliate a strisce sottili. L’ esperienza con la cucina e le bevande coreane suggeriscono le presenti osservazioni: nei ristoranti non esiste il coltello ma è sempre possibile avere una forchetta per chi non usa le classiche bacchette; i piatti sono sempre raffigurati all’esterno del ristorante e sul menù; solitamente ai turisti viene consegnato un menù bilingue ed , in alcuni casi, direttamente scritto in inglese; l’aglio ,crudo e cotto, la cipolla, il porro e la bieta a costa bianca la fanno , marinati in intingoli agrodolci o piccanti, da padroni; la birra locale , per esempio il marchio Cass, è bevibile; il cosiddetto soju , distillato molto vicino alla vodka per colore e sapore, consumato disinvoltamente a tavola dai coreani regala solenni sbornie; nella peggiore delle ipotesi, per chi proprio non riesce ad ingurgitare cibo locale, c’è la possibilità di usufruire , tanto per colazione quanto per pranzo e cena, dei soliti Starducks, Paris Baguette, McDonald’s, KFC. La mattina seguente partiamo per una visita guidata , concordata telefonicamente nei giorni precedenti ( tel. (02)730-1090), alla DMZ, la zona smilitarizzata che di fatto segna il confine con la Corea del Nord. La guida parla un inglese perfetto e in mezza giornata visitiamo: un tunnel , per la precisione il terzo, che i nord-coreani hanno scavato per eventuali infiltrazioni in territorio nemico ed i sud-coreani hanno scoperto nel 1978; l’avveniristica Dorasan Station, una vera e propria cattedrale nel deserto, che attende il disgelo tra le due nazioni per entrare in funzione; il Dora Observatory, che permette di gettare uno sguardo binoculare sulla Corea del Nord e su quel paradiso naturale che è diventata questa terra di nessuno, 4 km di larghezza per 240 km di lunghezza, tra i due paesi. Ovviamente, il tuffo all’indietro verso la cosiddetta ’guerra fredda’ non può che fare riflettere sulle sofferenze che il popolo coreano ha dovuto sopportare nel Novecento, con l’occupazione giapponese prima e la guerra di Corea poi. La “pax americana” ,qui come altrove, ha comunque indicato la via e risolto la situazione prospettando una società del benessere , innestata perfettamente sull’onnipresente Confucio, alla portata di tutti. Nel pomeriggio visitiamo una delle tante chicche che l’architetto italiano Mario Botta ha sparso nel mondo: il Leeum. In sostanza, un edificio che ospita la collezione d’arte Samsung. Ignorato dalle guide, sorge a qualche centinaio di metri dalla stazione della metropolitana di Hangangin , linea 6, e , al di là dell’importanza architettonica, presenta , oltre ad altre sezioni, una scelta ed interessante collezione di arte moderna e contemporanea occidentale. GYEONGJU E’ l’ora di utilizzare il KR-PASS , una tessera sottoscritta tramite internet in Italia, sito delle ferrovie coreane (www.Korail.Go.Kr), ed attivata in Corea che permette per dieci giorni di viaggiare illimitatamente su qualsiasi tipo di treno. Anche in questo caso facciamo i conti con l’efficienza coreana: il personale dell’ufficio informazione della stazione di Seul parla perfettamente inglese ed abilita immediatamente i nostri pass rilasciando in contemporanea anche i biglietti per Gyeongju. Lo spostamento avviene utilizzando fino a Dongdaegu il treno superveloce KTX , che supera i 300 km/h, e prosegue con un mugunghwa , l’equivalente di un nostro locale, fino a destinazione. Anche in questo caso segnaliamo: puntualità, pulizia, cortesia; i sedili sono orientabili nella direzione di marcia del convoglio anche dal singolo viaggiatore; il biglietto , anche per un treno non superveloce, indica numero carrozza, classe, numero posto; sono previsti , sempre numerati, posti in piedi per i treni locali. Dopo la rutilante Seul passiamo per così dire in provincia, in una delle zone più ricche di reperti archeologici da vedere dell’intera Corea. Iniziamo con una bella camminata con visita al Parco dei Tumuli, serie di tombe principesche che appaiono come collinette ricoperte d’erba; al Cheomseongdae, forse il più antico osservatorio astronomico dell’Estremo Oriente; all’Anapji Pond, un giardino acquatico ideale per scattare fotografie; a Bunhwangsa, una pagoda con pregevoli incisioni e leoni in pietra. Noleggiare una bicicletta , come abbiamo visto fare , risulta una mossa vincente, visto che tante bellezze sono sparse qua e là e , è il caso Bunhwangsa, non proprio dietro l’angolo. Altro mezzo per raggiungere tanto ben di Dio è il bus, che prendiamo il giorno seguente per visitare il tempio di Bulguksa. Qui iniziamo a riflettere sul buddismo in salsa coreana. Infatti, incontriamo folle di turisti/pellegrini e non capiamo bene dove finiscano gli uni e comincino gli altri. Il clima è quello da sagra paesana con bambini vocianti, famiglie e umanità varia che ciondola tra monaci in preghiera ed edifici del tempio. Del resto, il buddismo pare una riscoperta tutto sommato recente per i coreani, visto che per secoli l’osannava dinastia Joseon l’aveva praticamente affossato. Lasciato il tempio, imbocchiamo un sentiero , che consigliamo solo a chi ama veramente camminare, e saliamo per più di 2 km fino alla grotta di Seokguram, con tanto di rotonda e Budda in pietra circondato da un bel numero di guardiani. Anche in questo caso il clima è quello sopra descritto, ma , a differenza di Bulguksa, l’impatto risulta molto suggestivo. All’esterno , qui come in altri tempi, un’infinita serie di ‘tegole’ nere votive con scritte in bianco nelle più svariate lingue. Non poteva mancare l’italiano: “Grazie per averci accoltoin questi sorprendenti posti che non avremmo mai scoperto grazie l’aiuto di un amico ‘coreano’ ”, firmato Mariantonietta e Cristina. Ritornati a Gyeongju abbiamo pensato bene di attraversare la città e raggiungere lo Stone Buddha, dove finalmente non abbiamo incontrato turisti ma solo pochi fedeli devoti raccolti in preghiera. Visto quanto offre la regione intorno a Gyeongju consigliamo di operare una scelta preventiva di quello che si vuole visitare, tenendo appunto conto delle distanze relative alle varie tappe.

BUSAN L’arrivo a Busan ci proietta nuovamente in una dimensione cittadina e meno provinciale. Rispetto a Seul qualche pecca è però possibile notarla. Per esempio, in metropolitana esistono meno scale mobili ed è quindi necessario salire qualche gradino in più. Anche in questo caso l’uso della metropolitana , vale quello che è stato detto per Seul, è vincente. Unica differenza: non viene richiesta la cauzione di 500 won ed è possibile avere direttamente un biglietto con validità giornaliera ad un prezzo molto conveniente, 3.500 won. Trascorriamo la giornata nella zona di Jungangdong, bighellonando tra l’International Passenger Terminal , informandoci su costi e orari per l’ormai prossima trasferta giapponese, e il quartiere finanziario, mentre la serata la passiamo Nampodong, vero regno dello shopping made in Busan scattando foto alle targhe ,con impronta della mano e firma, dedicate ai registi che hanno partecipato alle varie edizioni del locale festival cinematografico. Notiamo una consistente presenza di turisti russi. Presenza , Vladivostok è a portata di schioppo, confermata dalle scritte in cirillico che compaiono nei vari esercizi. Il giorno seguente visitiamo Beomeosa, ( linea 1 della metropolitana, quindi bus n. 90) gettonato tempio buddista , ovviamente rifatto, che però introduce alla pace e quiete delle montagne che circondano Busan. Aspetto montano del resto sottolineato dai vari negozi che vendono articoli per trekking ed affini. Il pomeriggio è invece dedicato a Seomyeon, l’altra grande area commerciale monopolizzata dai grandi magazzini Lotte. Riassumendo: grandi firme e lustrini ma vivacità inferiore a Nampodong.

KYOTO Dopo attenta riflessioni abbiamo optato per un volo aereo , Korean Air, fino ad Osaka . Visti i costi del traghetto e del pass indispensabile per viaggiare in economia sulle linee ferroviarie giapponesi, l’aereo è risultato l’opzione più conveniente. L’aeroporto internazionale di Busan è collegato al centro città con pullman/limousine da 5.000 won la corsa . L’hub è fornito di bagni tenuti in modo impeccabile e postazioni internet gratuite. In poco più di un’ora siamo ad Osaka, per l’esattezza il volo dura 1 ora e 25 minuti, dove prenotiamo l’albergo , grazie all’ufficio informazioni, e prendiamo al volo l’espresso “Haruka” utilizzando l’economico , 2.000 yen, JR-WEST RAIL PASS che ci permette di salire su una delle due vetture riservate a chi come noi non ha il numero di posto prenotato. Aeroporto, ufficio informazione e stazione sono praticamente collegati all’interno di un’unica struttura che ottimizza lo spostamento aereo/treno. La stazione di Kyoto , uno dei vanti della città, è una struttura avveniristica e per certi versi autoreferenziale. Oltre ai treni ospita infatti un’infinita quantità di negozi, ristoranti ed una specie di grande centro commerciale che si sviluppa su più piani, al secondo è ospitato un centro di informazione per turisti, terminando in un’immensa terrazza panoramica. Eppure basta uscire dalla stazione per raggiungere in una decina di minuti a piedi la Kyoto , come indicano le guide, dei bei tempi andati. Stiamo parlando della zona attorno al Toji Temple, con canali dove sguazzano carpe multicolori, viuzze strette, case basse , biciclette che ,scampanellando, richiamano all’ordine il pedone distratto. Il giorno seguente , segnato da un clima che con un eufemismo possiamo definire ‘torrido’, affrontiamo la prima parte di uno dei percorsi classici, ovvero la Higashiyama Area, raggiunta prendendo il bus n.100 dalla stazione con relativo pass “one day” da 500 yen. Il pagamento del biglietto avviene alla fine del viaggio, quando si sfila davanti a macchinetta ed autista che conferma verbalmente l’avvenuta regolarizzazione. Partiamo dal classico Kiyomizudera Temple e ,in sequenza, ci sciroppiamo il Nishi Otani Mausoleum, la Yasaka Pagoda, il Kodaiji Temple, il Maruyama Park, il Chion-in Temple e , last but not list, il Nanzenji Temple. Una maratona estenuante in compagnia di una folla di turisti che ,con cartina alla mano, non è facile completare. Nonostante i distributori automatici di bevande posizionati ogni 100 metri, le indicazioni , per questa prima parte del percorso, o non esistono o sono in giapponese. Inoltre, l’itinerario non è lineare ed è facile sbagliare direzione e impelagarsi nel dedalo di viuzze e vicoli di cui è ricca la zona. Le notizie storiche sui templi poi non sollevano la situazione: sembra infatti di essere al centro di una vera e propria guerra tra diverse scuole e maestri con scissioni e scontri durissimi senza risparmio di colpi. Davanti a tanta bellezza, il pensiero corre poi a quello che i giapponesi hanno combinato da altre parti , per esempio in Corea, ed al perché una grande cultura non abbia prodotto gli opportuni vaccini per accettarne altre. Vista la situazione, pensiamo bene di concludere la giornata davanti ad un’ottima tazza di Tempura Souba prima di finire ,stremati, in branda. Va decisamente meglio il giorno seguente, con clima piovigginoso ed umido ma non caldo. La base di partenza è sempre la stazione dove prendiamo il bus n. 5 che arriva nelle vicinanze del Ginkakuji Temple, quindi troviamo fortunosamente l’Honen-in Temple ed incrociamo la cosiddetta “Passeggiata dei Filosofi” che seguiamo per un tratto. Le cose sono decisamente migliorate: le indicazioni sono bilingue ed il tracciato più lineare. Il bus n. 205 ci porta al Kinkakuji Temple, il celeberrimo “Padiglione d’Oro” celebrato da Mishima, un vero splendore che troneggia nel bel mezzo di un giardino altrettanto magnifico. Da qui prendiamo il bus 102 e , dopo un tratto a piedi, raggiungiamo il Kyoto International Manga Museum (www.Kyotomm.Jp), articolato su più piani permette di intravedere quello che il futuro riserva ad un qualsiasi museo degno i questo nome con documenti consultabili, laboratori interattivi, esposizioni permanenti e temporanee, esibizioni dal vivo, tableaux vivants. Il resto della giornata la spendiamo in una lunga passeggiata, tra anonimi palazzi, fino alla stazione. Il ritorno a Busan prevede la stessa trafila dell’andata, con però l’Haruka pagato a prezzo pieno e partenza dal binario 30. BUSAN Arrivati a Busan completiamo la visita della città: iniziamo con una sbirciata all’avveniristico Gwangan Grand Bridge e relativa spiaggia. Il giorno seguente, condizionati dal maltempo, passiamo in rassegna: il Museum of Modern Art, dove non possiamo fare a meno di notare i tanti giovani che lo frequentano e le interessanti sezioni dedicate alla calligrafia; il Busan Movie Studio, vero e proprio cult per chi ama il cinema ( visite guidate il venerdì dalle ore 14.00) , con tanto di caffè offerto dai gentilissimi custodi e video di presentazione in inglese della struttura; il tempio sul mare di Yonggungsa, che raggiungiamo sotto la pioggia dopo una scarpinata di circa 3 km. A proposito di questo luogo sacro celebrato dalle guide ,che sorge in una posizione effettivamente splendida, qualche riflessione è d’obbligo: il bus che arriva più vicino alla struttura è il n.181 ,che parte dall’uscita n.7 della stazione della metropolitana Haeundae, e non altri bus indicati in guide e cartine; difficilmente si trova qualcosa di più kitch di questo complesso con statue e arredi vari che sembrano acquistate da un qualsiasi commerciante di articoli per giardini; un monaco non lo si intravede manco per sbaglio ed il tutto si traduce in una fiumana di turisti, molti con tacchi a spillo e minigonna, che scorrazzano e scendono nella grotta rivestita in plastica. SEUL Il ritorno a Seul avviene a bordo di un KTX, in circa tre ore. Non ci resta che tornare a Insadong per gli ultimi acquisti e visitare il “Seoul Animation Center” (www.Ani.Seoul.Kr), dove abbiamo la possibilità di consultare materiali vari su cartoons, fumetti e cinema d’animazione, oltre che sdraiarci comodamente sopra ergonomici sacchi ( una riedizione alla coreana della famosa poltrona sacco di Zanotta?) per visionare video di animazione a trecentosessanta gradi. Ultima visita dedicata al Seoul Museum of History (www.Museum.Seoul.Kr). Un museo interattivo con tanti bambini, insegnanti, classi , anche della scuola d’infanzia, dove non toccare è reato. Grande attenzione è dedicata all’epoca Joseon, mentre il periodo relativo all’occupazione giapponese a alla guerra di Corea è solo accennato. La visita si conclude con un incredibile plastico illuminato dell’attuale Seoul che sembra inneggiare alle “magnifiche sorti e progressive”.

DOHA Qui la musica cambia ed il caldo è soffocante anche la notte. Caldo che condiziona enormemente la vita di questa metropoli. E’ d’obbligo rifugiarsi in locali climatizzati, come gli immensi centri commerciali, almeno nelle ore centrali della giornata o cercare riparo all’ombra delle palme che punteggiano la Corniche, una passeggiata a falce di otto chilometri che incornicia il golfo di Doha. Noi arriviamo in città di venerdì, l’equivalente alla nostra domenica per l’Islam, ed appena possibile visitiamo il Museo d’Arte Islamica (ingresso gratuito), un vero e proprio gioiello che contiene la più completa e splendida collezione di arte prodotta dai singoli paesi islamici. Una decina di minuti a piedi e raggiungiamo il souq più titolato di Doha , presidiato da parecchi agenti, che offre , come tradizione, particolarissimi odori, come l’oud o il tabacco fumato nella sisa, colori e sapori, ed è il caso del classico tè alla menta. Doha appare una metropoli in costruzione, una specie di Dubai in divenire. Basta avventurarsi nei paraggi dai pochi centri commerciali per vedere come i grattacieli siano , per gran parte, scheletri ancora in costruzione, dove i nuovi dannati della terra (nepalesi, cingalesi, filippini) lavorano a ritmi e temperature impossibili. Un progetto architettonico basato su asfalto, vetro e cemento discutibile ed insieme illuminato, visto che l’Emiro ha donato appezzamenti di terra ai rappresentanti delle varie religioni presenti tra le maestranze per l’edificazione dei rispettivi edifici di culto.

giovanni.Invernizzi@infinito.It



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