La donna del lago

Sono una donna del lago. Sono cresciuta in una grande casa in riva al lago e l’acqua ha sempre riempito il mio orizzonte visivo. E’ per questo che le voglio molto bene. Quando ero bambina il lago era il luogo dei giochi e dell’immaginario. Solo d’estate si potevano esplorare concretamente le sue acque limpide e le sue profondità e si...
Scritto da: sonosilva
la donna del lago
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Sono una donna del lago. Sono cresciuta in una grande casa in riva al lago e l’acqua ha sempre riempito il mio orizzonte visivo. E’ per questo che le voglio molto bene. Quando ero bambina il lago era il luogo dei giochi e dell’immaginario. Solo d’estate si potevano esplorare concretamente le sue acque limpide e le sue profondità e si poteva gioire della sua leggerezza. D’inverno il lago era il limite oltre cui si poteva navigare solo con la fantasia, l’occhio spaziava verso l’orizzonte e l’altra sponda era anche il luogo dei ricordi, dove si era giunti nelle rare esplorazioni.

Ho passato delle bellissime estati aspettando la fatidica ora in cui finalmente si poteva sguazzare e divertirsi in interminabili bagni con gli amichetti. Vi sono state giornate indimenticabili dove con altri ragazzini abbiamo osato allontanarci parecchio.

Avevamo una piccola barca a remi che tenevamo legata ad una boa. Ricordo che una volta ci è sfuggita. Rammento ancora, al ritorno da scuola, il senso di smarrimento e la perplessità mentre lo sguardo cadeva là dove avrebbe dovuto essere e non c’era. Gli adulti avevano smesso di risolvere tutti i nostri problemi, ma nella difficoltà ci hanno aiutato. Con loro l’abbiamo ritrovata semiaffondata, non molto lontano da casa. Si era arenata su una piccola spiaggia dove confluiva la corrente. L’abbiamo a fatica tirata su, svuotata e a forza di braccia riportata a casa.

Che piacere vederla lì capovolta sui cavalletti. Poi l’abbiamo rimessa in acqua, ma da allora per sicurezza facevamo nodi su nodi creando enormi grovigli di corde che poi faticavamo a disfare. Il problema sollevava sempre grandi discussioni tra noi ragazzi poiché tutto quello che sapevamo fare era una serie di nodi semplici, tirando a più non posso, sperando nella loro resistenza.

L’estate finiva sempre troppo in fretta ed arrivavano i lunghi inverni. Finiti i bagni, inventavamo i nostri giochi in riva al lago. Ci arrampicavamo sugli alberi spogli costruendo rifugi che per noi erano regge immaginarie e luoghi solo nostri. Qualcuno pescava con il bilancino o con la canna. Guardavamo il lago, lui era là con il suo oscuro verde e il suo profondo blu. Poi ho cambiato casa e mi sono spostata in “periferia”. Purtroppo in quel luogo così carico di vista e contatti con il lago vivevo in affitto. In “periferia” sul lago significa essere lontani dall’acqua. Il paese cresceva a vista d’occhio e le case prendevano il posto dei campi. Anche i miei giochi crescendo cambiarono, ed anch’io ho seguito il mutevole corso della natura. Sono arrivati gli anni dell’adolescenza e dell’impegno scolastico, ma anche del divertimento sfrenato, dei segreti tra ragazze, delle idee rocambolesche. Il lago è rimasto un luogo presso cui recarsi, sulle cui sponde respirare una boccata d’aria buona, possibilmente con un’amica con cui raccontarsi tutto. Quando ero ragazza, in verità, verso il basso lago trovavo spesso l’acqua non molto pulita ed i miei lunghissimi bagni si sono ridimensionati. E’ stata l’età delle esplorazioni ed abbiamo visitato tutti i porticcioli, abbiamo percorso tutti i sentieri che ci portavano sulle colline, abbiamo risalito i torrenti che confluiscono nel lago e cercato le piccole fonti che li alimentano. Talvolta in estate l’appuntamento serale erano i fuochi in riva al lago sulle spiagge. Tra noi c’erano ragazzi che suonavano e ci sedevamo in circolo. Guardavo quei fuochi e mi chiedevo cosa ci fosse sotto il Baldo, quanto fosse profondo il suo cuore incandescente.

Poi col passare degli anni ci siamo staccati dalla natura ed abbiamo cominciato a diventare assidui frequentatori dei bar e delle birrerie.

Quando mi sono sposata non abitavo sul lago, ma nel cercare casa ho voluto nuovamente trovare quel contatto con la natura che mi aveva accompagnato durante la mia vita da bambina. Quella sensazione di percepire l’odore dell’aria, quel miscuglio di malinconia ed umidità che il lago ti suscita nelle giornate grigie.

Dopo lunghe ricerche, ho preso una piccola casa isolata di quelle che un tempo fungevano anche da fienile. Era alta sulla montagna ed esposta al sole. Intorno il terreno era scosceso ma, tenuto su da pali e pietre, vi era uno spazio per fare l’orto. Davanti alla porta vi era anche uno spazio piano dove far giocare i bambini.

Da lì si godeva la vista del lago in lontananza. Nelle giornate più limpide si vedeva anche la sponda veronese.

Vicino a questa casetta c’era una fonte che alimentava un vecchio lavatoio e poi confluiva in un torrentello. E’ un posto molto bello, l’acqua sgorga alla stessa temperatura tutto l’anno ed alimenta due vasche. Due volte la settimana mettevo i vestiti nello zaino e scendevo al lavatoio. Da una parte insaponavo, dall’altra sciacquavo. Ho vissuto senza lavatrice per otto anni, lavavo i panni di quattro persone, il marito ed i due figli. L’acqua di questa fonte era poco calcarea e lavava molto bene. Mi aspettava un enorme platano, tanto grande e bello da farmi sentire in un posto privilegiato. Al di là della stradina, basso e protetto da una lamiera vi era il lavatoio con le sue due vasche di cemento ed i piani per fregare gli indumenti di pietra. Qualche volta con i bambini abbiamo misurato la circonferenza di quel platano abbracciandolo, servivamo tutti e tre. Mi ricordava la maestosità degli alberi che crescono in riva al lago.

Quando arrivavo, tramite una saracinesca, deviavo l’acqua dalla fonte al lavatoio affinché ne arrivasse la massima portata. Poi mi mettevo al lavoro ed era un piacere vedere lo sporco andarsene così facilmente. Procedevo con metodo, prima insaponavo i capi più sporchi e li accantonavo, poi lavavo i più puliti, infine ripassavo i più sporchi. Nel risciacquo invece partivo dai più delicati e finivo con i più voluminosi, quelli che intorbidivano molto l’acqua. Non eccedevo nell’uso del sapone, quel torrentello portava acqua pulita al lago.

Solo io ed un’altra donna anziana frequentavamo questo posto. Era una donna che viveva da sola ed abitava lì vicino. Sentiva gli anni e si lamentava spesso dei mille acciacchi ed era sempre in cerca di complicazioni forse anche per vincere la noia. Sapeva anche essere allegra talvolta, soprattutto ricordando i bei tempi quando diceva essere stata una donna di mondo, una ballerina, una moglie perfetta, una madre esemplare. Ricordava spesso la miseria ma anche le amicizie e la solidarietà con i paesani. Conosceva parecchie erbe selvatiche e sapeva fare tanti lavori di campagna. Io le chiedevo le ricette e talvolta mi regalava la verdura del suo orto.

Era contenta che andassi al lavatoio. Le prime volte aveva controllato scrupolosamente che tutto restasse in ordine dopo il mio passaggio, poi aveva capito che servivano energie nuove e che usarlo significava tenerlo in vita, preservarlo dall’abbandono. Le mie giovani forze potevano riattivarlo, strappavo i rampicanti invadenti, lo ripulivo dalle foglie dopo i temporali.

Ad ogni stagione dell’anno la fonte mi ha accolto con un abito diverso.

L’autunno ero subissata dalle foglie, era tutto un pulire, farsi spazio. L’autunno l’umidità dà i suoi frutti e il lavatoio profumava di funghi e di castagne. I boschi lì intorno erano la meta delle mie successive ricerche e mentre lavavo mi vedevo già in perlustrazione. Mi godevo l’ultimo sole e un po’ di caldo, rammaricandomi dell’accorciarsi delle giornate.

L’inverno era quasi triste, si percepiva un senso di immobilità, quasi di vuoto. Un silenzio troppo vasto, rotto solo dal gorgoglio dell’acqua. Gli alberi spogli, i campi fermi, quasi inutili. Pensavo agli uccelli migratori. Cercavo di apprezzare quella solitudine. In compenso più faceva freddo, più l’acqua si sentiva tiepida. Tuttavia in inverno bisognava mantenersi attivi, lavorare di lena per scaldarsi. Soprattutto risciacquando le mani si arrossavano. Spesso finito il lavoro passavo dalla vicina a bere un caffè per trovare l’energia per buttarmi su dalla salita, carica fino a casa, alla stufa.

La primavera a lungo attesa arrivava improvvisamente e portava tanta acqua. Ovunque spuntava un germoglio, da un giorno con l’altro l’ambiente si trasformava, mostrandosi nei suoi colori. Col primo sole un anno è arrivata una salamandra, cercavo di non farla scappare e sono riuscita a farla vedere anche ai bambini. Con la salamandra alla fontana ci si sentiva meno soli, ma era birichina e non sempre faceva capolino tra i sassi.

L’estate la fonte diventava il luogo dell’ozio. I panni non li sciacquavo più, lasciavo che si sciacquassero da soli. Deviavo tutta l’acqua verso la seconda vasca e mi sedevo sul muretto al sole. Talvolta passava qualcuno, per lo più anziani che riempivano un cesto di bottiglie d’acqua. Alla fonte non si arriva con la macchina quindi erano solo pochi volonterosi. Di solito ci si scambiava qualche convenevole sulla bontà dell’acqua, sulla sua leggerezza.

Talvolta anch’io riempivo qualche bottiglia e quando a casa venivano gli amici gli facevo bere un bicchiere di acqua dell’acquedotto e poi uno di fonte. Li invitavo a dirmi quale fosse la più leggera e in molti ci riuscivano.

Passava anche l’estate.

Ho comprato la lavatrice solo quando sono tornata a vivere a fondo valle. Ho cambiato casa per far crescere i bambini in un paese vicino alle scuole ed ai loro amici. Ho ricominciato a lavorare a tempo pieno e non più stagionalmente come quando vivevo in montagna. Così il tempo è diventato un bene prezioso ed ora non potrei fare a meno degli elettrodomestici. La fonte è di nuovo abbandonata, ma l’acqua sgorga e qualcuno tiene pulito lo scarico. La vecchia vive ancora lì, ma non esce quasi mai.

Ora abito in una zona industriale vicino ad un fiume ma non è affatto pulito. Purtroppo a fondo valle è così. Non vedo più neanche il lago da casa mia, ma quasi ogni giorno prendo la macchina per andare a lavorare e vi ritorno.

Cammino sul lungolago, controllo che il Baldo sia sempre al suo posto, lo aspetto orlato di neve dopo ogni pioggia autunnale. Mi piace vederlo vestito di bianco, anche la neve ha un buonissimo profumo.

Faccio due passi, guardo le barche ed immagino di salirci e prendere il largo. Mi stupisco della grossezza dei pesci e sono contenta di veder che l’acqua è pulita. Controllo quanto è limpido il fondo.

Aspetto come sempre l’estate. Pregusto i bagni che farò ancora nel lago. A volte penso di comprarmi una canoa, piccola da caricare sulla macchina. Così potrei riprendere le mie esplorazioni. Vorrei avvicinarmi hai giardini che si affacciano sul lago per veder gli alberi secolari, vorrei trovare ombra tra le fronde dei salici. Vorrei immaginare le antiche coltivazioni del lino, vorrei rincorrere le anatre e divertirmi a farle volare via. Posso ancora misurare con gli occhi la purezza dell’acqua e la profondità del fondo, osservare le infinite forme dei sassi con il loro stratificarsi, annusare l’acqua, oziare, nuotare per tenere dritta la schiena. Pensare alle mille forme delle onde, cercare gli estuari dove si incrociano i destini.



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