Sul tappeto volante in Uzbekistan
Un cielo blu e un soffio d'aria calda ci accolgono all'uscita dall'aereoporto di Tashkent, chiudiamo gli occhi ed ecco pronto il tappeto volante. I viali alberati lasciano in ombra i marciapiedi di terra battuta.La città risente, negli edifici, nelle piazze grandi dai monumenti massicci dell'eredità sovietica.Piazza dell'Indipendenza è grande e...
Un cielo blu e un soffio d’aria calda ci accolgono all’uscita dall’aereoporto di Tashkent, chiudiamo gli occhi ed ecco pronto il tappeto volante. I viali alberati lasciano in ombra i marciapiedi di terra battuta.La città risente, negli edifici, nelle piazze grandi dai monumenti massicci dell’eredità sovietica.Piazza dell’Indipendenza è grande e imponente; a spezzare questo rigore sono i becchi delle cicogne di pietra che sporgono da sopra le colonne e osservano oltre dove il parco Navoi lascia le nuvole bianche delle spose camminare tra il verde e i fotografi. Il l velo di una fanciulla copre il viso;lontano retaggio di un Islam che qui non richiede segni o il nascondimento di riccioli neri. Le limousine attendono mentre le antiche trombe uzbeke chiamano gli invitati:occidente e oriente, modernità e tradizione! E’ tra le case basse di fango e paglia dalla porticina color pastello a una bracciata da quelle di fronte nel vicolo che un’umanità si muove e la calura rallenta e adagia le cose in un silenzio sospeso. Al bazar Chorsu ,sotto la cupola antica c’è un agitarsi continuo dove razze, lingue, culture si fondono : visi chiari dai capelli neri degli iraniani, visi larghi dal naso camuso e gli occhi a mandorla dei mongoli, i visi orientali dei cinesi e quei visi tagiki dove anche occhi chiari e labbra sottili sono il compendio di più continenti.I frutti sono disposti in piramidi dai colori decisi; piccole mele , pere, susine e le uova che riflettono la luce e incorniciano visi cotti dal sole.Nella penombra tutto si illumina come i piccoli pezzi di vetro di un caleodoscopio. Una folata di scirocco ci fa salutare Taschkent e nel cielo blu si intravede il minareto Kalta-Minor di Khiva dalla forma tozza, a cilindro dal diametro potente; mosaici di mattonelle verdi, turchese, bianche lo decorano e alllungano nei tagli netti delle ombre il loro riflesso sulla fortezza color sabbia che lo circonda.La città è vuota, i suoi luoghi testimoniano antichi fasti;, la necropoli della dinastia di Pakhalavan Makhmund, Santo protettore di Khiva poeta, filosofo, lottatore professionista e pellicciaio, secondo la leggenda sepolto nella sua bottega, il mausoleo dalla doppia cupola ,o crudeltà di schiavi messi in catene e portati dalle tribù del deserto. I loro lamenti salgono dalla prigione nel Khuna Arck e a ridosso del minareto più alto dell’Uzbekistan. Nell’harem si intravedono i fantasmi velati di giovani donne e le maioliche intense intrecciano con loro attese e paure. Il silenzio riempie la fantasia e carovane di cammelli si muovono tra le porte: profumo di pane cotto nel forno di argilla o di carni saporite e grasse sugli spiedini… I racconti di “Mille e una notte ” si confondono e trovano argomenti e protagonisti in questi spazi di fuoco dove il colore del cielo è quasi meno accecante dell’azzurro turchese delle maioliche. Ma è a Bukhara che ritroviamo la gente in un giusto connubio tra mura e volti tra antichità e passi. la vasca “hanz” di pietra riempita d’acqua è il punto focale di chi attorno sui tavolini tra i gelsi antichi ritrova la frescura e le parole per ridere e chiacchierare sorseggiando una birra Azia ghiacciata in attesa di cenare al Lyabi-hauz con Shshluk ,carne arrostita allo spiedo o con il dimlama ,brasato con cipolle e patate ,tra pagnotte decorate rotonde piatte o con il bordo rialzato. Persi tra i labirinti dei vicoli commerciali ci lasciamo riempire dagli aromi del bazar delle spezie e delle erbe: zucche gialle e arancioni in bella vista tra sacchi bianchi con polveri dalle gradazioni color cannella e piccoli rudimentali decora-pani dall’impugnatura di legno e ricami di chiodi. Voliamo alla Maghoky Attar la madrasa con l’azzurro e l’ocra, con l’azzurro e sabbia, con l’azzurro e l’oro, con l’azzurro e il bianco. Una prospettiva profonda ci suggerisce un colpo d’occhio sulle arcate laterali: una geometria di luce e linee purissime. Dentro le celle minuscole e scure le stoffe colorate dei negozianti sorridono e si muovono tra le mani che allungano ma non insistono. Il caravan serraglio ha un giardino fiorito e al piano di sopra un burattinaio muove con abilità marionette che in usbeko si arrabbiano, si amano, si sposano; i vestiti frusciano e il viso di lei ha due riccioloni neri dipinti ai lati delle guance. Il tappeto dai disegni rossi grandi poi sempre più piccoli solleva le frange e via ancora sopra le nuvole alte verso Samarkanda e i monti Zara Folhon da dove sgorgano i fiumi.. “Musica di tamburelli fino all’aurora…Salvami salvami grande sovrano…” le parole di Vecchioni danzano tra gli spazi immensi di piazza Registan. L’immaginario collettivo di una generazione, quella del 1968, è qui: i sogni che evocano itinerari fantastici tracciati sulla via della Seta tra carovane in viaggio verso la Cina,l’India, la Persia li raccogliamo tra le colonne , tra le cupole rotonde e scanalate. Il cielo si abbassa e le due tigri, nelle lunette dell’edificio centrale, muovono le striature arancioni e accecano chiunque osi fissarle tra lo stridio degli storni .Sulla facciata un’iscrizione loda il sovrano “…Egli costruì una tale madrasa per cui la terra fu portata fino all’apice del cielo che è bandiera della loro reciproca bellezza,,,L’aquila dell’intelligenza con la forza e la diligenza delle sue abili ali, ancora per anni non riuscirà a raggiungere la cima del suo portale.Il dotato acrobata del pensiero ancora per secoli non raggiungerà camminando sulla fune della fantasia, la cima dei suoi minareti proibiti…” Ma è Tamerlano il grande condottiero, signore di Samarcanda che si materializza per ripopoolare le antica vestigia del suo impero. Dalla moschea di Bibi Khanym si ode lo sconsolato pianto della moglie amata ma costretta, per il suo tradimento con l’architetto dell’edificio, a portare il velo per sempre e dalla necropoli l’anima si ricompone nella bara di giada verde scuro mentre il mausoleo offre al mondo una ricchezza senza fine. Gli zoccoli del suo cavallo risuonano nella valle verso la “porta”, il corridoio strategico oltre altri mondi e altri confini. Piegando il biglietto da 500 sum dove lo slancio del cavaliere passa di mano in mano in perenne memoria, il tappeto scivola via e noi rispettosi e attenti salutiamo l’Uzbekistan.
SAMARCANDA L’anima sgretola le cupole e schegge di cielo tra le mani affondano il mistero.
Sfuma il silenzio tra polveri dorate e cristalli di luce avvolgono il muezzin che tace d’incanto dal minareto. LUISA MARIA Siamo partiri dalle località della Valtellina , non abbiamo trovato grosse difficoltà nelle strutture ricettive ad eccezione delle soste di trasferimento dove bisogna armarsi di spirito di adattamento sia per consumare il pasto sia per usufruire di servizi igienici . Le infrastrutture in generale sono carenti ma in compenso la cucina è buona e ricca di frutta e verdura .