Un’estate indiana di prima parte

Dalla valle del Gange alle spiagge del Kerala e del Tamil Nadu Diario di viaggio di Mauro Salmoria16 Aprile- 22 Maggio 2008 Mauro e Vito tra sole, sole e ancora sole… Viaggio nella calda estate indiana… cinque settimane di sole cocente e quasi un’ora di pioggia… Partiamo da Delhi e dopo aver girovagato un po’ tra le città...
Scritto da: Mauro53
un'estate indiana di prima parte
Partenza il: 16/04/2008
Ritorno il: 22/05/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Dalla valle del Gange alle spiagge del Kerala e del Tamil Nadu Diario di viaggio di Mauro Salmoria

16 Aprile- 22 Maggio 2008 Mauro e Vito tra sole, sole e ancora sole… Viaggio nella calda estate indiana… cinque settimane di sole cocente e quasi un’ora di pioggia… Partiamo da Delhi e dopo aver girovagato un po’ tra le città sul Gange facciamo rotta verso sud, verso siti archeologici, grotte e templi per poi piegare ad ovest e buttarci tra le onde dell’oceano delle spiagge di Goa… … scendere sempre più a sud e finire il viaggio sulla costa del golfo del Bengala.

5300 chilometri percorsi viaggiando da nord a sud dell’India utilizzando il treno, i bus di linea, i bus locali lentissimi, i taxi e i tuc-tuc.

…E per fare questi chilometri siamo stati in viaggio per 125 ore… ora più ora meno… Preludio alla partenza La preparazione La vigilia della partenza è sempre bella. Si sono lasciati alle spalle i pensieri del lavoro e la mente finalmente può correre solo ad immaginare i colori e i luoghi dell’imminente viaggio.

Fare lo zaino è sempre un’impresa perché ogni volta sembra che ci sia troppa roba… e come ogni volta svuoto e riempio fino a che non sono soddisfatto. Pochi vestiti, caffè, grappa e qualche medicinale e già non ci sta più nulla… E poi pesa sempre troppo.

A Torino c’è un bel sole e un cielo azzurro che dona una temperatura primaverile ideale. I miei pensieri mi portano al sole che troverò in India… so che farà caldo, del resto è la loro estate, e mi aspetto tante belle giornate.

Quello che ancora non so è che troverò un sole talmente affettuoso che sarà devastante… E’ il mio nono viaggio in India e non vedo l’ora di partire.

Con me ci sarà il mio amico Vito anche lui un “affezionato” di quei luoghi lontani.

Insieme taglieremo l’ India da nord a sud, torneremo in posti già visti e ne vedremo di nuovi. Oramai abbiamo un po’ di pratica di come muoversi e di ciò che incontreremo e le distanze che dovremo percorrere, con i loro lenti mezzi, non ci spaventano più di tanto.

Mercoledì 16 Aprile Alle sei e mezza del mattino, senza aspettare il suono della sveglia, siamo già con gli occhi spalancati… La giornata è bella e il cielo sfodera un azzurro intenso.

Il nostro volo dovrebbe partire alle 9.40 ma come spesso succede partirà in ritardo.

Saliamo finalmente sul Boeing dell’Air One alle 10.40 e dopo cinquanta minuti arriviamo a Roma.

Facciamo un lungo giro nell’aeroporto prima di raggiungere il trenino che ci porterà nell’area internazionale dove partirà il nostro aereo della Kuwait Airlines.

I negozi sfavillanti e la gente di tutte le razze che vanno e vengono ci mettono già nello spirito del viaggio, naturalmente guardiamo ma non compriamo nulla visto i prezzi che sono in vetrina… Prima di partire abbiamo tutto il tempo per un ultimo pasto all’italiana, e così ci mangiamo panini e patatine… e poi, con nostra gioia, ci spostiamo di poche decine di metri dove è stata posta una stanza per fumatori… Fumiamo avidamente l’ultima sigaretta prima di inoltrarci nell’area in attesa del volo. Il nostro aereo dovrebbe partire alle 14.30 ma anche questo è in ritardo.

Alle 15.00, finalmente, il grosso aereo lascia la pista di Fiumicino e inizia il suo lungo volo che ci porterà a Kuwait City.

Come sempre i posti sono stretti e un po’ scomodi e il cibo è scadente, ma questa è una costante di tutti i voli e di tutte le compagnie che conosco. Ho già lo stomaco chiuso e l’odore del precotto al curry mi fa desistere ancor di più dal cenare… Per fortuna il nostro viaggio non è troppo massacrante e il personale sempre sorridente e simpatico. Il tempo passa in fretta e con il buio della sera arriviamo finalmente all’aeroporto di Kuwait City, sono le 20.40 ora locale, per il fuso orario qui siamo avanti di una sola ora rispetto all’Italia.

Un caldo afoso ci da il benvenuto. In breve tempo guadagniamo l’aria condizionata della grande hall dell’aeroporto. Ci ritroviamo in mezzo a una piccola folla di razze e vestiti diversi, è sera e c’è molta agitazione. La gente corre, chi da una parte chi dall’altra alla ricerca del proprio aereo, mentre i più fanno la fila davanti ad una improvvisata reception che funge da punto-informazioni.

Il posto dove siamo, adibito al transito internazionale, è un lungo e largo corridoio dove si affacciano i gate per le partenze con negozi luccicanti e piccoli bar stile occidentale. I poster illuminati alle pareti riflettono paesaggi da sogno che rapiscono la nostra attenzione ma se lo sguardo va a ciò che si ha tutto attorno si nota come un senso di trasandatezza.

Le luci al neon e i colori sfavillanti dei negozi avidi di tecnologia e profumi invitano i passeggeri-turisti ad una breve sosta mentre lunghe file di passeggeri-lavoratori seguono disciplinatamente gruppetti di militari che li “accompagnano” al loro gate.

Dopo le lunghe ore interminabili in aereo troviamo anche una stanza per fumatori…Dove non serve neanche accendere una sigaretta, basta respirare l’aria… Giriamo un po’ tra negozi luccicanti e commesse sorridenti.

L’attesa per il prossimo volo è breve, il nostro bolide dell’aria dovrebbe partire alle 22.30, ma anche questa volta c’è un po’ di rilassamento e partiremo un’ora dopo.

Lasciamo il caldo afoso del Kuwait per buttarci in quello super afoso del nord dell’India.

L’aereo rulla, parte, sale e subito dopo arriva la cena… sono le undici e mezza di sera e l’odore del curry (e neanche troppo buono) ci toglie quel poco di fame che avevamo.

Cerchiamo di dormire ma si sta scomodi… molto scomodi… e le ore sembrano non passare mai.

Spesso con questi voli si arriva in India poco prima dell’alba (quando in Italia è da poco passata mezzanotte) stanchi e con le ossa rotte. E non si è ancora usciti dall’aeroporto… Giovedì 17 aprile Alle quattro e mezza del mattino giungiamo finalmente a Delhi. Non è la prima volta che arriviamo in questo aeroporto e appena sceso dall’aereo riconosco i corridoi un po’ disadorni e l’odore di caldo umido. Prima di arrivare nella grande hall dove controllano i documenti bisogna percorrere una lunga strada tortuosa fatta di corridoi che danno su anonime stanze d’attesa. Ci sono le stesse statue di legno delle altre volte che ingentiliscono le nude pareti un po’ deteriorate dal tempo. Non pare cambiato nulla se non fosse che finalmente stanno facendo un po’ di ristrutturazione. Tra il controllo dei passaporti, l’arrivo dei bagagli e il cambio di euro in rupie passa circa un’oretta…Quando usciamo è ancora buio e l’aria è fresca.

Si sta magnificamente, c’è un venticello piacevolissimo che rinfresca e, altra nota positiva, non c’è la ressa ad accaparrarsi il turista… Dopo due o tre “no” dati ai più intraprendenti non c’è più nessuno che ci assalta e possiamo decidere con calma il da farsi.

L’idea che abbiamo è quella di non passare da Delhi, che in parte già conosciamo, dove il traffico è caotico e le stazioni sono prese d’assalto da migliaia di viaggiatori, ma di trovare subito un mezzo per arrivare a Mathura, la nostra prima tappa.

Ci informiamo presso il servizio taxi dell’aeroporto che ha prezzi standardizzati per ogni luogo si voglia andare. Per portarci fino a Mathura, a 170 chilometri verso sud-ovest, il costo è di 2400 rupie (40 euro).

Siamo un po’ stanchi e il prezzo non ci pare eccessivo. Accettiamo e dopo pochi minuti lasciamo l’aeroporto. Il cielo si sta schiarendo, è l’alba, e il nostro viaggio è appena incominciato… La strada che percorriamo è un po’ dissestata e il traffico a mano a mano che passa il tempo si fa sempre più intenso.

Ai semafori c’è la coda di bimbi e bimbe che si avvicinano all’auto e tentano di vendere improbabili collanine. C’è chi chiede l’elemosina e chi ti mette un cesto davanti al naso e fa uscire il suo cobra… Siamo stanchi e la comodità dei sedili manda dopo breve tempo Vito nella valle dei dormienti.

La macchina continua rombando la sua corsa e alle otto del mattino l’aria fresca dell’aeroporto è solo un ricordo.

Anche io imito un po’ Vito chiudendo gli occhi più volte. Poi mi accorgo che anche il nostro driver, che ha degli occhi rossi come il fuoco (chissà da quanto tempo non dorme) ha momenti di difficoltà nella guida.

Il sonno mi passa in un baleno, il pensare di fare un incidente per un colpo di sonno al primo giorno di ferie non è cosa molto gradita… Mi accendo una sigaretta e ne offro una anche a lui, lo faccio parlare per tenerlo sveglio… almeno così spero di tenere la situazione sotto controllo.

Vito sul sedile posteriore continua beatamente a dormire (senza sapere il pericolo che ha corso) anche se gli scossoni lo riportano spesso alla realtà. Alle nove del mattino arriviamo finalmente a Mathura, in cielo non c’è una nuvola, il sole è già all’opera e fa caldo, molto caldo. Mathura Il nostro taxi lascia la strada a due corsie per inoltrarsi in una in parte sterrata tra case basse e un po’ datate. Capiamo ben presto che il nostro assonnato driver non sa dove sia l’hotel che gli abbiamo detto (ma non è una novità).

Si ferma più volte chiedendo informazioni e ogni volta andiamo in un direzione diversa. Dopo un po’ finalmente il nostro bolide si ferma davanti ad una piccola casa a tre piani. E’ il nostro hotel.

Il Gaurav Boarding House (che in realtà significa pensione) è una piccola casa a tre piani un po’ pretenziosa che ha prevalentemente ospiti indiani che paiono per lo più commercianti o assicuratori. La nostra stanza al primo piano è piccola ma graziosa, è luminosa e da sulla parte anteriore proprio sopra l’entrata. Peccato che un po’ più in là ci sia un poderoso generatore…Adesso fortunatamente spento… Ci riposiamo un po’, il viaggio è stato lungo e siamo stanchi.

Un buon caffè, una doccia e dopo poco siamo già pronti ad uscire per tuffarci nel traffico indiano.

Il sole è alto in cielo e noi siamo già per strada a curiosare in questa città che ancora non conosciamo.

Conosciuta come Brij Bhoomi questa città adagiata sullo Yamuna (affluente del Gange) è un centro di pellegrinaggio molto importante per gli induisti.

Si dice che Mathura abbia dato i natali a Krishna (l’ottava reincarnazione di Vishnu) e che nella vicina cittadina di Vrindaban il dio si divertisse a trastullarsi con le sue “gopi” (lavandaie). Qui si narrano le leggende di Krishna e qui c’è il quartiere generale degli Hare Krishna.

Una volta per le strade di questa città ci rendiamo conto che di turisti qui non se ne vedono molti. Anzi, girando in questa odorosa, colorata e assolata cittadina ne abbiamo incrociati solo un piccolo gruppetto, a sera, nei pressi del grande tempio dedicato a Krishna.

Per chi vuole conoscere un po’ l’India e i suoi ritmi Mathura è senza dubbio una di quelle città che la rappresentano meglio. Abbiamo girato in lungo e in largo a piedi, con i tuc-tuc e con i ciclo-risciò, sotto un sole cocente e con l’aria un po’ pesante a causa della polvere delle strade molto, molto dissestate.

Siamo arrivati fino al fiume Yamuna (abbastanza in secca) dove sorgono piccoli templi e le rovine di un forte. Siamo passati tra stradine piene di negozi e di gente dove si vende di tutto. Si ha la sensazione infatti di essere sempre in un grande mercato, ma non essendo una città turistica i negozi sono esclusivamente per i locali e quindi pochissimo artigianato (ma questo non ci turba più di tanto perché siamo all’inizio del viaggio e faremo acquisti altrove).

Abbiamo incontrato molte mucche con vitellini al seguito e tori con grosse gobbe che girovagavano senza meta tra le stradine tortuose della città vecchia (anche se distinguerla con la parte nuova risulta un po’ difficile…).

E poi molti scoiattoli, di stazza piccola ma molto veloci, ma su tutto tante e tante scimmie. Le trovi ovunque, a gruppi o solitarie, sono dappertutto.

Siamo andati alla stazione dei treni dove avere informazioni è risultato un pò difficile. C’era un’unica biglietteria aperta con un folto gruppo di indiani che si spingevano l’un l’altro per riuscire a parlare con il tipo al di là del vetro… Abbiamo cercato gli orari dei treni ma le uniche scritte erano in lingua locale, di scritte in inglese neanche l’ombra.

Finalmente siamo riusciti a parlare con un ferroviere che una volta ascoltatoci ci ha detto che i treni sono tutti pieni almeno fino a domenica e ci ha rimandato alla biglietteria vista prima … Di fare la lunga coda non ne abbiamo proprio voglia e così andiamo alla stazione dei bus, ma anche qui le informazioni risultano difficoltose. C’è molta gente e i bus che arrivano vengono assaltati dai passeggeri ancora prima di fermarsi del tutto… Il luogo è veramente caotico e l’animazione cresce in misura degli arrivi dei bus. Pochissimi parlano inglese ma alla fine riusciamo ad avere le indicazioni giuste: per Agra, la nostra prossima tappa, ne partono un paio ogni ora e non c’è bisogno di prenotazione, chi prima sale prima parte… Lasciamo il grande spiazzo assolato della stazione per ributtarci tra strade affollate di bancarelle e persone, di animali e ciclo-risciò, di scimmie e colori, tra odori terribili ed altri più passabili… Poco prima del giungere della sera torniamo verso il nostro hotel. Siamo stremati dal caldo e dalla fatica, chiediamo alla reception dove sia possibile telefonare in Italia ma non sanno darci una risposta convincente. Anzi, sembrano un po’ scocciati della nostra richiesta. Ci indicano un paio di posti ma senza troppa convinzione, intuiamo che qui capita molto raramente che qualcuno telefoni in un altro continente.

E’ l’altra faccia della medaglia di un posto dove non c’è turismo: pochi parlano inglese, difficoltà di telefonare e il cibo molto, molto indiano… Mentre siamo in camera a gustarci il sapore di un buon caffè appena fatto ecco che si mette in moto il generatore. Fa un po’ di rumore e noi ne approfittiamo per scendere al pian terreno dove c’è il ristorante dell’hotel.

Io ho lo stomaco un po’ imballato, gli odori del cibo sull’aereo mi hanno lasciato un senso di nausea e per tutto il giorno non ho mangiato quasi nulla. Anche Vito non pare avere molta fame.

Siamo andati avanti a sigarette, bibite gasate e acqua e abbiamo camminato molto ma nonostante questo abbiamo gli stomaci in subbuglio e pochissima fame.

Il ristorante è una semplice stanza disadorna dove ci sono pochi tavoli in formica. E’ vuoto, non c’è nessuno… Leggiamo l’unto menù senza troppa convinzione, Vito ordina due sandwich ma riesce a mangiarne solo uno, io ordino una tomato soup che risulta abbastanza decente. Serata tra caffè e grappa, fuori il caldo torrido del giorno ha lasciato il posto ad una calda notte. Il buio si è rimpossessato della città e i pochi lampioni illuminano lenti ciclo-risciò che portano gli ultimi clienti. Verso le undici di sera finalmente ci addormentiamo, stanchi, un po’ ubriachi e con lo stomaco abbastanza vuoto… Venerdì 18 aprile Alle tre di notte io e Vito ci svegliamo, il sonno pare essere volato via.

Ci fumiamo una sigaretta sul balcone proprio sopra l’entrata. Con nostra sorpresa la temperatura è leggermente fresca, si sta divinamente… Sotto, per strada i primi ciclo-risciò sono già al lavoro. Vanno veloci sulle loro biciclette senza luci (qui le luci spesso non le hanno neppure i tuc-tuc) zigzagando tra buche e sabbia.

Mentre loro già sudano portando i primi clienti noi ce ne torniamo a dormire.

Al mattino, dopo una colazione molto leggera a causa dei nostri stomaci un po’ imballati (ma fortunatamente abbiamo il nostro caffè…) ce ne usciamo alla ricerca di un mezzo per andare a Vrindaban a una decina di chilometri verso nord.

Ci fermiamo nel grande incrocio proprio di fronte al nostro hotel e aspettiamo fiduciosi un primo tuc-tuc vuoto. L’attesa dura poco.

In quasi tutte le città indiane infatti i mezzi di trasporto cittadini paiono di gran lunga superiori alle necessità e così basta fermarsi ed attendere che in breve tempo c’è sempre qualcuno che si ferma e ti chiede dove vuoi andare.

Non sono ancora le nove del mattino quando seduti sul piccolo bolide giallo e nero lasciamo le affollate strade di Mathura.

Fa caldo, molo caldo, e il sole è ancora basso… Prima di arrivare a destinazione ci fermiamo un paio di volte a visitare due templi.

Il primo il Gita Mandir è una costruzione recente bianca e rossa attorniata da un grande giardino. Il secondo il Pagai Baba è invece completamente bianco. Le sue guglie che si stagliano in un cielo che più azzurro non si può lasciano a bocca aperta.

Verso le dieci arriviamo finalmente a Vrindaban.

Si narra che in questo piccolo villaggio, adagiato sulle sponde del fiume Yamuna, Krishna (ottava reincarnazione di Vishnu) si trastullasse amorevolmente con le sue gopi (pastorelle di mucche) e si divertisse a rubare loro i vestiti quando queste facevano il bagno al fiume. Qui il dio coltivava i suoi piaceri adolescenziali.

Ogni giorno molti pellegrini giungono fin qui per pregare nei tanti templi dedicati al “mandriano divino” (in altre parole Krishna).

Le stradine che percorriamo sono molto pittoresche e quelle che portano al fiume e ai templi già in parte affollate di pellegrini.

Se il sole prima era caldo adesso è bollente…E noi sudiamo come caimani… Ci dicono che qui le scimmie sono un po’ invadenti, cercano di rubarti i sacchetti dove intravedono del cibo o saltano per prenderti ogni cosa colorata che posi inavvertitamente. Anche gli occhiali le attirano e spesso è successo che li rubassero saltando con un sol balzo addosso alla gente.

Tutte queste storie ci paiono un po’ forzate ma ci accorgeremo presto che non erano racconti inventati ma molto reali… Una volta arrivati sulle sponde del fiume ci fermiamo all’ombra di una baracca-bar a bere: abbiamo sete, molta sete.

Lo Yamuna è abbastanza in secca, non ci sono molti alberi e senza ombra sotto questo sole è una faticaccia passeggiare.

Intorno allo stretto fiume grossi maiali neri e rosa sguazzano in pozzanghere maleodoranti, più in là un barcaiolo fa la spola tra una riva e l’altra. Gruppetti di mucche un po’ magroline se ne stanno sdraiate sotto il sole ruminando incuranti dei corvi e dei merli che saltellano attorno.

Percorriamo la strada che costeggia il fiume, sulla destra, al di là del fiume ci sono solo alberi e boscaglia, a sinistra i palazzi vetusti di Vrindaban. Le case sono un po’ rovinate dal tempo ed alcune sono veramente messe male, altre invece hanno bellissimi portoni finemente scolpiti. Davanti alle case maiali e mucche girovagano tra scimmie molto curiose e gli umani intenti ai lavori quotidiani.

Oltre agli scoiattoli, che sono ovunque e passano il tempo a ricorrersi, abbiamo visto anche una mangusta che ha attraversato velocemente la strada per poi nascondersi tra la sterpaglia.

Ogni volta che troviamo un po’ di ombra ci fermiamo a riprendere fiato, il caldo è insopportabile. Decidiamo di rientrare nei vicoli della città per andare verso il tempio più importante e maestoso: il Govin Dev, naturalmente dedicato a Krishna.

Girovaghiamo tra strette e tortuose stradine e ci accorgiamo di essere i soli turisti… la gente ci saluta e ci sorride. Gruppi di bambini ci corrono intorno e ci chiedono una fotografia. Vito con la sua macchina digitale la fa e poi fa vedere la foto e loro urlano di gioia … Anche io li fotografo ma la mia macchina non è digitale e per vedere la foto devo aspettare di tornare a casa…E loro mi guardano delusi… Girando senza meta arriviamo in una stretta strada affollata dove si affaccia un coloratissimo tempio. La musica di un gruppo di suonatori e i loro canti ritmati rimbomba tra gli stretti vicoli e l’odore dell’incenso e delle spezie riempie l’aria. Le donne hanno bellissimi sari colorati mentre gli uomini sono vestiti per lo più di bianco. Entrambi formano un fiume di gente che entra ed esce senza sosta dal tempio.

In più ci sono tanti piccoli negozi che vendono cibo molto speziato e tanta gente che mangia. C’è folla dappertutto. Lasciamo la musica, l’odore delle spezie e la folla per continuare a girare per queste vie molto pittoresche. E’ un continuo susseguirsi di piccoli negozi, molti sono per la casa, altri vendono tessuti e altri ancora servono da bere e vendono di tutto.

Naturalmente ci fermiamo più e più volte a riposarci e bere acqua, tanta acqua.

Verso la fine del nostro giro avviene il fattaccio… Mentre passeggiavamo tranquillamente mi sono sentito portare via gli occhiali e un attimo dopo ho visto una grossa scimmia sedersi in terra a pochi metri da me con gli occhiali in mano.

E’ stata una azione fulminea, è saltata da dietro ma non ho sentito nessun peso sulle spalle ed ha preso gli occhiali senza toccarmi… Senza badare alle mie grida ha cominciato a rosicchiare allegramente le stanghette con i suoi terribili denti. Ho cercato di spaventarlo sperando che lasciasse gli occhiali ma con un salto è balzata su un basso lampione. Si è avvicinato un indiano che aveva un carretto colmo di sacchetti di arachidi e ha tentato di distogliere l’attenzione della scimmia dai miei occhiali offrendogli delle noccioline, ma invano.

L’animale ha lanciato un ultima occhiata agli umani e poi è saltata su un terrazzo nascondendosi alla nostra vista portando con se la preda tra i suoi denti aguzzi.

Immediatamente l’indiano si è rivolto a me con gesti e mi ha fatto capire di stare tranquillo, poi ha preso un sacchetto di noccioline ed è corso alla ricerca della scimmia.

Dopo due o tre minuti è ritornato con gli occhiali e me li ha ridati. Contento degli occhiali tornati in mio possesso gli ho regalato delle rupie ma lui non pareva soddisfatto della cifra… Guardandolo mi è venuto il sospetto che la scimmia e l’indiano fossero d’accordo… e se l’indiano l’avesse addomesticata al punto da fargli recitare la parte della ladruncola e lui quella del salvatore? Aveva il banchetto proprio li…E poi come ha fatto a prendere gli occhiali in così poco tempo? Una domanda a cui non posso ancor oggi dare una risposta. Il dubbio rimane.

E’ già pomeriggio quando lasciamo la bella Vrindaban e torniamo a Mathura.

Una volta in stanza ci riposiamo un po’ e ci facciamo un buon caffè. Ci voleva. Prima che giunga la sera scendiamo per un ultimo giro e andiamo alla ricerca di un internet-point per avere un po’ di notizie dal mondo e da Torino.

Lo troviamo. Il posto è un po’ buio ma si può fumare e i ventilatori rinfrescano l’aria: per un oretta lasciamo la calura del giorno e i rumori del traffico indiano.

Una volta usciti ci fermiamo in un minuscolo bar davanti ad una strada polverosa con case molto degradate dal tempo, un vecchietto ci indica il telefono sul piccolo bancone e ci dice che si può telefonare in Italia. Siamo un po’ scettici perché siamo stati in diversi posti e in tutti i telefoni non erano abilitati. Lui nota il mio scetticismo e mi invita a provare. Prendo in mano il telefono (è un modello che da noi sarebbe già considerato antiquariato…) e un attimo dopo parlo con mia madre… e si sente benissimo… Per cena decidiamo di andare in un ristorante tra i più chic di Mathura: l’ Heera Invitation.

Il posto è vicino alla nostra pensione e così ci andiamo a piedi. Il ristorante è al piano terreno di una struttura in vetro e cemento molto lussuosa se la si confronta con le strade, la povertà e le case di questa città.

La grande sala dove pranziamo non è per la gente comune, anche se per noi i prezzi sono bassi qui vengono a mangiare solo gli indiani con un reddito alto e i turisti. Guardando il menù cerchiamo qualcosa di semplice, i nostri stomaci non sono ancora pronti per cene sostanziose e si devono ancora assestare… Ci sono solo un paio di tavoli occupati e tre o quattro camerieri molto solerti.

Mangiamo poco ma con gusto.

Zuppa di pomodoro e noodles ai vegetali, anche perché il ristorante è rigorosamente vegetariano.

Usciamo soddisfatti e ci rituffiamo nel caldo della sera dopo aver lasciato l’aria condizionata del ristorante.

E’ buio pesto e le fioche lampade dei lampioni non fanno intravedere le buche e le montagnole di spazzatura che sono sempre in agguato.

Serata in camera tra caffè e grappa a volontà tra racconti e discussioni. Ci addormentiamo belli sbronzi ma nonostante le fatiche del giorno e l’alcool dormiamo poco. Sabato 19 aprile Ci svegliamo presto e dopo una leggera colazione lasciamo il Gaurav Boarding House per la prossima meta: Agra.

Non facciamo in tempo a posare gli zaini sul marciapiede che due ciclo-risciò ci fermano. Ci facciamo portare alla stazione dei bus.

Anche oggi il cielo è completamente azzurro e non si vede una nuvola.

Arriviamo alla stazione in una manciata di minuti: c’è tanta gente in attesa sul grande spiazzo e, dietro la gente, una montagna di bagagli… L’autobus per Agra non c’è ancora.

Posiamo i nostri zaini e aspettiamo.

Ci sono molte famiglie e tutte con al seguito tanti bambini. Sembrano tutti pazienti ma non è così… A ogni arrivo di un autobus c’è la corsa ad accaparrarsi il posto. Il mezzo non fa in tempo a fermarsi che lo assaltano da entrambe le parti ed entrano anche dai finestrini. La cosa più comica è che viene presa d’assalto principalmente la porta e chi cerca di entrare non fa uscire quelli che sono dentro. Si forma un ingorgo di corpi che si spingono, si schiacciano, si incastrano e lottano chi per entrare e chi per uscire… Una cosa assurda.

Io e Vito ci guardiamo e speriamo che non succeda così anche con il nostro… Finalmente arriva il nostro autobus e come gli altri viene preso d’assalto pure lui. Cerchiamo di far comprendere a chi ci è vicino che è meglio prima far uscire quelli che sono dentro ma i più non vogliono sentire ragioni.

C’è anche qui chi comincia a buttare dentro i bagagli dai finestrini e poi entra dallo stesso finestrino.

Tra spintoni e urla i più facinorosi sono riusciti, sudando non poco, ad impossessati di tutti i posti a sedere. Cinque minuti di pura follia e di sudore per salire su questo autobus molto, molto vetusto… Vito trova un piccolo spazio proprio dietro il guidatore mentre io mi faccio il viaggio in piedi… ma non me la prendo più di tanto perché non dobbiamo fare molta strada.

Ci sono solo una sessantina di chilometri tra Mathura ed Agra, la nostra prossima tappa.

Il vecchio e lento bus rosso lascia la stazione quasi subito (qui gli orari paiono indicativi, quando un mezzo è pieno parte…).

Alle 9.40 siamo già in periferia, il grosso bolide sembra viaggiare spedito lasciandoci sperare di arrivare a destinazione in un baleno.

Ma non abbiamo fatto i conti con le fermate…Essendo un locale si ferma ovunque. Arriviamo ad Agra poco dopo le 11.00…Un po’ lento non c’è che dire… Con un tuc-tuc ci facciamo portare all’hotel Surya (dove abbiamo già alloggiato nel viaggio del 2002).

Dopo aver visto un paio di camere ho come la sensazione che i ricordi fossero più belli della realtà… quelle che mi fanno vedere non hanno finestre che danno sull’esterno, non c’è luce e le piccole finestre danno su larghi corridoi. Il sole qui non arriva mai… Sono tetre e creano come una sensazione di mancanza d’aria.

E’ una costante di molti hotel in India, creare ampi corridoi dove si affaccino le porte e le finestre e non avere invece aperture verso l’esterno. Non capisco perché rinunciare alla luce naturale per vivere giorno e notte solo con i neon… Poi, finalmente, mi fanno vedere una camera ad angolo, è piccolina ma almeno ha due finestre che danno sulla strada. La prendiamo.

Una doccia, un caffè e un breve riposino prima di uscire sotto il sole cocente di Agra… Agra Agra è stata la capitale dei Moghul, importante dinastia a cavallo tra la metà del cinquecento e l’inizio del settecento, e i suoi importanti monumenti risalgono proprio a quel periodo, compreso tra il XVI e il XVII secolo. Ospita uno stupendo forte rosso e quella bellissima costruzione che per molti turisti rappresenta l’unica meta del viaggio in India: il Taj Mahal.

Con i suoi vicoli affollati e gli autisti di risciò sempre in attesa di clienti, questa città sulle rive del fiume Yamuna assomiglierebbe a qualsiasi altro centro urbano dell’India settentrionale se non fosse per i suoi imponenti monumenti Moghul.

La città sorge lungo la sponda occidentale del fiume Yamuna, 204 chilometri a sud di Delhi. A nord del forte si trova la parte antica della città, quella dove è situato in una stretta via il Kinari Bazar, il mercato principale.

Una volta usciti dall’ hotel prendiamo un tuc-tuc per andare alla stazione e prenotare i biglietti per il treno per la nostra prossima meta (Varanasi).

Se non lo fai in tempo (con tutta la gente che viaggia…) rischi di non trovare posto. E in questo periodo, in cui molti indiani sono in vacanza,(e noi non lo sapevamo ancora) è molto più difficile.

Il piccolo veicolo a tre ruote sgomma tra i vicoli tra una miriade di risciò, taxi, motorette, pedoni, mucche, asini e maialini per poi arrivare finalmente davanti all’Agra Fort Railway Station.

Fa caldo, molto caldo. Le strade polverose e il fiume quasi in secca danno l’idea della situazione: è la stagione secca e il termometro resta costantemente sopra i quaranta gradi.

Nella grande hall della stazione il caldo è un po’ mitigato da grandi ventilatori che scendono dall’alto soffitto, davanti alle biglietterie aperte ci sono le solite code un po’ anarchiche dove il più grosso e intraprendente supera allegramente chi gli sta davanti. Dopo un’ora di coda e un po’ di spintoni riusciamo finalmente a fare l’agognato biglietto per Varanasi. Mentre ci faceva il biglietto il tipo ci diceva qualcosa ma tra il vetro spesso che ci separava, il caos degli indiani in coda e il suo parlare veloce non ho capito un gran che… Capiamo solo che in questo periodo dell’anno ci sono molti pellegrinaggi e trovare posto sui treni è molto difficile. Bisogna prenotarsi almeno cinque giorni prima altrimenti si rischia di non trovare nulla o, nel migliore dei casi, di trovare solo treni molto lenti che fanno mille fermate… E noi abbiamo trovato uno di quelli… In pratica ci ha fatto un biglietto per un treno locale che per fare meno di 500 chilometri ci metterà un intero giorno… Ma tutto questo ancora non lo sapevamo… Con l’agognato biglietto usciamo finalmente dalla stazione alla ricerca di qualcosa di fresco da bere.

Con un ciclo-risciò ci facciamo portare davanti al Forte Rosso dove sappiamo esserci bancarelle, bar e tanta gente che va e viene. Girovaghiamo un po’ tra le strade Li salutiamo e con un altro tuc-tuc ce ne torniamo in hotel. Siamo un po’ stanchi e questo caldo è devastante.

Una volta in stanza ci rilassiamo con un buon caffè.

Pensavamo di crollare dalla stanchezza ed invece passiamo il tempo a chiacchierare, a leggere un po’ di informazioni che la guida ci da del posto e a guardare la televisione. Con il giungere della sera ci prepariamo ad andare a cena in un posto speciale: all’ Only Restaurant.

Questo ristorante è, secondo me, uno dei migliori che ho trovato in India. Ci sono capitato per caso una decina di anni fa e ci sono tornato con Vito e Valter nel 2002 e abbiamo sempre mangiato molto bene.

Dentro la grande sala hanno fatto alcuni piccoli cambiamenti ma per il resto è rimasto tutto come anni fa. Una decina di tavoli di grandezze diverse ricoperti da tessuti scuri con sopra un velo di plastica occupano gran parte della sala, alle pareti stretti batik sono ancora imballati nel cellofan. Una selva di canne dipinte di un marrone intenso e lucente ricoprono la parte inferiore delle pareti e, da un lato, su una piccola pedana, due musicisti indiani suonano con il violino e con le tablas. I suoni che vibravano nell’aria risultano così intensi e piacevoli da rimanere rapiti.

Non c’è molta gente nel locale e i camerieri sono troppi e troppo ossequiosi. Ordiniamo e aspettiamo fiduciosi lasciandoci trasportare dalla dolce musica indiana. Arrivano le pietanze: agnello, patatine e insalata di verdure miste, tutto molto buono e con sapori squisiti.

Mangiamo di gusto e quando usciamo siamo soddisfatti. Anche i nostri stomaci ringraziano… Domenica 20 aprile Ci svegliamo presto (e questo è positivo visto che la temperatura al mattino è un po’ più gradevole), anche Vito, conosciuto in più continenti per il suo addormentarsi ovunque, è sempre vispo come un grillo… Usciamo e ci incamminiamo verso il Forte Rosso. Abbiamo voglia di farci una bella passeggiata e, pur con il sorriso, diciamo di no ai diversi tuc-tuc e ciclo-risciò che si fermano.

La temperatura è gradevole ma sono solo le otto del mattino, abbiamo ancora un’ora prima di iniziare a sudare… Passiamo per strade un po’ dissestate e già ingombranti di pedoni, ciclo-risciò e bancarelle.

E’ domenica e anche qui è un giorno di festa per cui troviamo molti negozi chiusi ma nonostante questo la folla da queste parti non manca mai.

Un paio di soste per bere gustosi frullati di frutta e acqua e, già grondanti di sudore, arriviamo finalmente al Forte Rosso. Un’altra sosta per bere altra acqua e poi, incuranti del sole e del caldo, ci incamminiamo verso il Taj Mahal.

La lunga strada diritta pare non finire mai e noi sotto un sole terribile avanziamo senza tentennamenti… Arriviamo nei pressi del mausoleo sudati e sfiniti. Una breve sosta all’ombra per riprenderci, facciamo i biglietti, e poi, ancora ansimanti ci immettiamo nella lunga coda per il controllo della polizia.

Ti perquisiscono alla ricerca di tutto ciò che possa essere pericoloso… hanno paura di atti di sabotaggio. Tra le altre cose requisiscono anche accendini e sigarette.

Poi finalmente entriamo.

Il Taj Mahal è il più famoso dei monumenti Moghul. E’ un mausoleo fatto costruire dall’imperatore Shah Jahan in memoria della moglie ed è stato definito il monumento più ricco mai edificato per amore. Per completarlo ci vollero ventidue anni e ci lavorarono più di venti mila operai, reclutati in ogni angolo dell’India e anche in Asia centrale. Il Taj Mahal si erge su una piattaforma rialzata di marmo e da ciascuno dei suoi quattro angoli si stagliano alti minareti bianchi la cui funzione è puramente decorativa, in quanto il posto non è una moschea né un luogo di preghiera. Il palazzo è incorniciato da due costruzioni di arenaria rossa che fanno un splendido contrasto con la struttura centrale in marmo bianco. Dalla struttura centrale si innalzano quattro piccole cupole poste intorno al cupolone centrale a forma di bulbo. E’ veramente uno spettacolo. Solo questa visita basterebbe per un viaggio in India… E’ un giorno di festa e c’è la folla… Le donne indossano i loro sari più belli ma ci sono anche ragazze con i jeans. Il sole è alto in cielo e fa molto caldo, dopo aver guardato, girato e riguardato infine usciamo soddisfatti.

Con un tuc-tuc torniamo al nostro hotel, abbiamo le magliette bagnate di sudore e non vediamo l’ora di farci una doccia.

Ridendo e scherzando abbiamo passeggiato per sei, sette chilometri sotto questo sole… Prima di salire in camera ci accorgiamo di avere un po’ di fame…E così ci dirigiamo verso il ristorante dell’ hotel.

Ci ritroviamo in una stanza lunga e stretta: è in penombra e pare di essere in discoteca più che al ristorante.

L’atmosfera è un po’ malinconica, le pareti sono disadorne e le piccole finestre che dovrebbero dare un po’ di luce sono coperte da stoffe pesanti e molto bruttine. Non capisco come mai non utilizzino i bellissimi tessuti che hanno da queste parti (che tra l’altro si acquistano ovunque) ma solo stoffe mediocri e anonime, o che lascino le pareti disadorne senza ingentilirle con i loro splendidi batik.

Mangiamo toast e insalata con molto piacere. I nostri stomaci finalmente si stanno acclimatando.

Per ora va tutto molto bene, i posti sono belli e la gente molto cordiale. Solo il caldo ci taglia un po’ le gambe… ma non si può avere tutto.

Verso il tardo pomeriggio usciamo per andare alla ricerca di un internet point. Facciamo una passeggiata passando per viali alberati dove la circolazione è ancora abbastanza caotica finché troviamo il posto. Lasciamo il caldo di Agra per rinfrescarci in questo stanzone sotto terra dove allineati ci sono computer un po’ vetusti. Dopo un’ ora di schiacciamento di tasti lasciamo il fresco per ritornare al caldo delle strade polverose e caotiche. Con un tuc-tuc torniamo in hotel.

Aspettando di andare a cena ci rilassiamo un po’ guardando la televisione.

Ci sono molti canali ma poi ti accorgi che sono tutti abbastanza simili. Musica, film e pubblicità, tanta pubblicità.

La musica non è delle migliori e le canzoni sono sempre un po’ melodiche e simili una all’altra. Anche i film non sono un gran che: gli attori recitano tra cazzotti e canzoni . La pubblicità è martellante.

E a noi ci sembra molto più martellante che in Italia… Per cenare torniamo al ristorante dell’ hotel, mangiamo decentemente anche se il pollo tandoori di Vito era molto dolciastro e pareva più arrosto che altro.

Serata in attesa del viaggio: ci dobbiamo svegliare alle quattro per essere in tempo alla stazione.

Prima di addormentarci scopriamo un terribile problema… in quattro giorni ci siamo bevuti due etti e mezzo di caffè… abbiamo un po’ esagerato… dobbiamo ridurre le dosi altrimenti ci finisce in fretta.

Lunedì 21 aprile Giornata di viaggio…E che viaggio! Un viaggio infinito e terribile sotto un sole cocente.

E’ ancora buio quando arriviamo alla stazione dei treni di Agra ma pare l’ora di punta. Ma qui è sempre l’ora di punta! Il treno parte in ritardo e inizia la sua lenta corsa verso est in direzione di Varanasi che ancora deve arrivare l’alba. All’inizio sembra andare tutto bene, l’aria è fresca e si sta abbastanza comodi, ma poi le cose cambiano rapidamente.

Il treno rallenta mille e mille volte, fa continue fermate e sale una marea di gente. In più fa interminabili soste anche in aperta campagna (sotto un sole che sta diventando sempre più bollente) e da la precedenza a tutti gli altri treni.

Si respira a fatica e alle stazioni spesso non si trova acqua in bottiglia. O se la si trova è a temperatura ambiente e quindi bollente.

Gli indiani quando il treno si ferma nelle stazioni corrono alle fontanelle e riempiono le loro bottiglie, noi dobbiamo bere solo quella sigillata e non sempre la troviamo. Il treno passa attraverso un paesaggio surreale, sopra un cielo azzurro senza un’ombra di nuvola e sotto solo polvere, sterpaglia e terreni secchi. I fiumi ridotti a fiumiciattoli sono meta di gruppi di bufali, anche loro sentono il caldo. Verso mezzogiorno la situazione si fa ancora più opprimente, dai finestrini aperti entra aria sempre più calda e i ventilatori del treno non riescono a fare mitigare la temperatura. Un paio di lunghe fermate in piena campagna rendono i vagoni ancor più incandescenti, il treno è pieno e respirare diventa sempre più difficile.

Verso le tre del pomeriggio avviene il dramma.

Vito non si sente molto bene. Da diverse ore abbiamo solo acqua diventata oramai calda e lui anche se un po’ disidratato non vuole berla. Dice che non cela fa… Io insisto perché beva lo stesso ma è più cocciuto di un mulo.

Da li a poco il suo volto si fa sempre più bianco, non ha forze e si lascia andare sul sedile. Sembra perdere i sensi, io sono preoccupato e gli faccio un po’ d’aria, anche gli indiani vicino sono interdetti. Chiedo se qualcuno ha dell’acqua fresca e un ragazzo va da una signora e torna con un bicchiere colmo d’acqua che non sappiamo da dove provenga… Ma non importa il momento è tragico e Vito deve bere.

Vito finalmente beve e dopo poco un po’ di rossore torna sulle sue guance. Tutto lo scompartimento fa un sospiro di sollievo… Ma non sta ancora bene. Respira a fatica, non riesce a parlare ed è ancora molto pallido. Fortunatamente arriviamo in una grossa stazione e, più veloce di un fulmine, scendo a comprare dell’acqua sperando di trovarla fresca. La trovo, non è proprio fresca ma si fa bere. Vito si aggrappa a una di questa e la scola tutta… Dopo poco il litro l’acqua entra in circolo e lui si riprende.

Io sono finalmente sollevato e con me tutti gli indiani intorno che ci sorridono contenti.

Ma il viaggio è ancora lungo e tante ore di sole devono ancora passare.

Abbiamo le ossa rotte e i piedi gonfi e la respirazione nel vagone affollato è sempre difficile.

Verso le sei, con il sole un po’ più mite si comincia a stare meglio. Dovremmo arrivare alle otto di sera ma guardando la cartina ci accorgiamo che siamo ancora molto distanti e faremo un bel po’ di ritardo… Il treno continua ad andare pianissimo e a fermarsi in continuazione. Non passano 15 minuti che fa una sosta, trova sempre il semaforo rosso e continua a fare passare tutti gli altri treni… Tra una sosta e l’altra arriviamo finalmente alla nostra stazione che sono le 23.45. Siamo sfiniti, assetati e affamati, abbiamo le ossa rotte e mali ovunque…

Finalmente mettiamo i piedi per terra, lasciare quel treno ci da un enorme sollievo… anche se il nostro viaggio non è ancora terminato… Siamo arrivati infatti a Mughalserai, una località a 12 chilometri a sud di Varanasi. I treni a lunga percorrenza si fermano qui e per arrivare in città ci sono i soliti tuc-tuc.

Fuori dalla stazione ce ne sono quattro o cinque c’è solo l’imbarazzo della scelta.

La strada che percorriamo è terribile, è piena di buche e la visibilità a causa della polvere è molto ridotta. E’ la Grand Trunk Road dove il traffico, principalmente di camion, è sempre caotico e dove il pericolo di un incidente è sempre in agguato. Nella nebbia di polvere il tuc-tuc va veloce e sfiora camion e saltella su ogni dosso mettendoci un po’ in apprensione.

Non vediamo l’ora di arrivare e far riposare un po’ il nostro corpo.

Poco dopo mezzanotte arriviamo finalmente all’hotel Surya.

Qui siamo stati con Valter sei anni fa, la hall della reception è cambiata ma per il resto pare tutto come allora.

Prendiamo possesso della stanza 802 al terzo piano grondanti ancora di sudore ma contenti della fine di questo terribile viaggio.

Seduti sul balconcino, con acqua finalmente fresca e il silenzio della notte ci riprendiamo un po’. Sotto di noi il giardino con il prato e i camaleonti è sempre li, e li faremo colazione domani mattina.

Martedì 22 aprile Ci svegliamo sereni dopo una bella dormita. La notte ha un po’ rigenerato i nostri corpi e siamo pronti ad una abbondante colazione in giardino. Avevamo proprio bisogno di un po’ di riposo e di un sonno senza risvegli.

Facciamo colazione seduti in giardino, a fianco a noi un camaleonte fa anch’esso colazione agguantando una grossa ape. C’è tranquillità e silenzio e non fa ancora caldo, almeno qui, all’ombra dell’alto hotel. Il cielo è di un’ azzurro molto intenso e non ci sono nuvole, praticamente come gli altri giorni… Con un ciclo-risciò ci facciamo portare verso il centro, verso i ghat e il sacro Gange. Varanasi Varanasi, un tempo più nota come Benares, è anche chiamata Kashi (la splendente). Il nome che porta attualmente è un ritorno all’antico appellativo che evidenzia la sua collocazione di “città tra i due fiumi”: il Varuna e l’Asi.

Lambita dal Gange, il fiume sacro nelle cui acque milioni di indiani compiono riti di purificazione è famosa per essere il centro spirituale della religione induista. La città è stata per più di duemila anni un centro di sapere e di cultura (specie per gli studiosi del sanscrito) e a Sarnath, a soli dieci chilometri di distanza, il Buddha tenne il suo primo sermone. Per i fedeli hindu è sempre stata una città speciale: oltre ad essere un centro di pellegrinaggio è considerata un luogo propizio per morire, in quanto garantisce la via immediata al paradiso. L’antica città è situata lungo la sponda occidentale del Gange e si estende nella parte retrostante i ghat (le banchine a gradini) in un intricato groviglio di strette stradine. Sulle sue cento scalinate che scendono al fiume si scoprono un mondo di pellegrini, yogi, contorsionisti, sadhu (i saggi itineranti che hanno rinunciato ai beni materiali), bramini, massaggiatori, mercanti di erbe (di tutti i tipi), fachiri, musici, ciarlatani, barcaioli e venditori di the. Ma non solo. Varanasi è anche la città delle mucche. Migliaia e migliaia di mucche e bufali che vagano cibandosi e riposandosi dove capita e lasciando ricordini del loro passaggio ovunque. Una volta arrivati sulle scalinate che danno sul fiume cominciamo a passeggiare incuranti del sole che è già alto. Fa molto caldo e cominciamo a bere per compensare la sudorazione che già si fa sentire.

Dopo poco lasciamo le gradinate dove il caldo è diventato insopportabile per inoltrarci tra i vicoli a ridosso del fiume.

Varanasi infatti può essere divisa in tre luoghi distinti: i ghat che danno sul Gange, il dedalo di vicoli a ridosso dei ghat e il grosso della città composto da strade e viali polverosi con un traffico caotico di ciclo-risciò, tuc-tuc, carretti, biciclette, motociclette, tanti pedoni, mucche, automobili, carretti e camion che portano di tutto.

I vicoli, molto stretti, di questa città sono bellissimi anche se gli odori alle volte non sono molto gradevoli. Ci sono tanti negozi con tessuti coloratissimi, altri che vendono artigianato, altri che fungono da piccoli bar. E’ un bazar, con gente che va e viene e con mucche e tori che vanno e vengono… E’ un dedalo dove è facile perdere l’orientamento, ma forse è proprio questo il bello, girare senza meta, tanto prima o poi da qualche parte si esce.

Continuiamo a gironzolare tra questi vicoli che offrono scorci molto suggestivi. I colori bellissimi e intensi dei sari e dei foulard appesi ingentiliscono mura desolanti, in terra la sporcizia è ovunque e le mucche alle volte aiutano a ripulire mucchietti di spazzatura.

Ci fermiamo più volte a bere, fa caldo e si suda moltissimo.

A metà pomeriggio stanchi e un po’ affamati torniamo in hotel.

Per cena abbiamo deciso di rimanere in hotel e mangiare in giardino. Il posto è suggestivo, la serata è piacevole e le candele sui tavoli danno un tocco di classe anche se attirano le zanzare… Non mangiamo molto bene.

Io ordino un “butter chicken” (letteralmente significa pollo al burro) sperando di aver dribblato salsine e spezie ma mi illudevo.

Mi portano un piatto fondo dove in un sugo in parte marrone e in parte giallognolo si intravedono pezzi di carne… io assaggio e brucio in un sol attimo migliaia di papille gustative… Non è piccante è super piccante! Di un piccante senza senso perché è così forte che mi brucia tutta la bocca.

Mi sono chiesto che senso ha chiamarlo pollo al burro quando invece i sapori sono tutta un’altra cosa? Mentre cerco di salvare l’ustione in bocca bevendo a più non posso arriva il pollo tandoori di Vito. E’ secco, molto secco e il sapore non è eccezionale… Non mangiamo molto ma in compenso le zanzare si nutrono di noi… Per finire abbiamo preso due lassì (bevanda a base di yogurt). Nell’ultimo viaggio in Rajasthan Vito si era sentito male e più volte aveva avuto dolori allo stomaco, avevamo pensato che forse avrebbe potuto essere colpa dei lassì ma ora non siamo più sicuri e pare pronto a correre il rischio. Ha ordinato anche lui il lassì con il mio attivo sostegno… Mercoledì 23 aprile Al mattino l’aria se non fresca è almeno passabile e si può stare sul balconcino a goderci il panorama sorseggiando il nostro ottimo caffè.

Poi, con calma, scendiamo in giardino per il breakfast.

Quando usciamo dall’ hotel sono quasi le dieci e il sole è già alto e si fa sentire. Naturalmente non c’è una nuvola neanche a pagarla oro… Prendiamo un ciclo-risciò per andare fino al tempio delle scimmie che si trova dall’altra parte della città. L’idea è quella di farci lasciare la e poi ritornare a piedi verso i ghat e il Gange. Il nostro giovane guidatore va piuttosto veloce e schiva paraurti e biciclette lasciandoci un po’ interdetti. Gli diciamo di andare con più calma e lui ci sorride, non sappiamo ancora che da li a poco saremmo stati testimoni di un incidente… Zigzagando nel traffico caotico arriva all’altezza di un sottoponte dove la strada si strozza un poco, è in leggera discesa e c’è coda ma lui va troppo forte e non riesce a frenare. Per non urtare l’automobile davanti si getta contro il muro e finisce con lo schiacciare un pedone che camminava rasente.

Il manubrio si è piegato nello scontro con il petto dello sventurato.

E’ un uomo sui cinquanta anni vestito all’occidentale e con l’immancabile borsa di cuoio.

Dapprima si piega e rimane senza parole, poi una volta ripresosi comincia ad urlare verso il nostro giovane driver.

Il ragazzo cerca di scusarsi ma l’uomo continua ad urlare sempre più forte alzando il braccio con il pugno chiuso come a volerlo colpire.

Ma pare più scena che altro.

Più volte l’uomo alza il pugno e più volte lo riabbassa. Intorno a noi il traffico è fermo a causa del semaforo e tutti gli sguardi delle persone attorno sono rivolti verso il litigio…E quindi anche verso di noi… Dai bus e dalle macchine attorno guardano i due che bisticciano e guardano noi seduti dietro sul ciclo-risciò che aspettiamo che la scenetta finisca.

Qualche volta cerchiamo di intervenire per tranquillizzare la situazione ma i due litiganti non ci danno molta attenzione.

All’ennesima alzata di pugno il nostro driver si toglie gli occhiali da sole, abbiamo timore che la situazione precipiti e finisca a cazzotti, ma anche stavolta non vanno oltre le parole. Dopo pochi minuti il litigio finalmente finisce, l’uomo se ne va ancora molto arrabbiato e il nostro driver riparte per fermarsi dopo un centinaio di metri dal meccanico delle biciclette. Ci dice che si è rotto il filo del freno… Prima di arrivare a destinazione il nostro guidatore ne combina delle altre, non riesce mai a bilanciare la distanza con la frenata e un paio di volte finisce sui paraurti delle macchine che lo precedono. E’ un pericolo della strada e quando finalmente arriviamo nei pressi del tempio ci facciamo lasciare ben felici di scendere dal suo mezzo.

Passeggiamo tra vie assolate fino a raggiungere il tempio di Durga (forma terribile di Parvati consorte di Shiva) riconoscibile dal caratteristico colore rosso. Lasciamo la strada principale per andare sul ghat più vicino e da li risalire il Gange fino a quello principale ma non abbiamo fatto i conti con il sole… Fa troppo caldo e farsi una lunga camminata sotto questo caldo è da folli… decidiamo di inoltrarci per i tortuosi vicoli a ridosso del fiume.

Cominciamo a curiosare tra un vicolo e l’altro senza dare importanza all’orientamento. Perdersi tra queste viuzze infatti è forse il modo migliore per gustare appieno il posto. Del resto queste stradine non sono sempre diritte, alle volte curvano e gli incroci non sempre hanno angoli retti: dopo un paio di svolte pensi di andare in una direzione ed invece vai in quella opposta e chiedere indicazioni è sempre un’impresa ardua dato che molti non parlano l’inglese. Cerchiamo di farci capire ma spesso non è così facile.

Fa molto caldo, un caldo veramente opprimente, tutti e due siamo bagnati fradici dal sudore e continuiamo a comprare bottiglie d’acqua e a berle con voracità. Ci sono più di quarantasei gradi e un umidità che sfiora il cento per cento, l’unica cosa che si deve fare in queste situazioni è bere, bere il più possibile, e noi scoliamo litri e litri d’acqua. Ci fidiamo anche di un venditore di arance che ci fa una spremuta veramente squisita. I negozietti con i loro ventilatori sono come piccole oasi nel deserto, ne approfittiamo per fare brevi pause dalla calura e per cominciare a fare i primi acquisti.

Facciamo un giro per i ghat che non abbiamo visto ieri, quelli dove c’è meno gente e dove incontriamo angoli molto suggestivi. Ci sono in cielo falchi e nibbi che volano in circolo, più in basso grossi pappagalli verdi, appollaiati sui rami di grossi alberi, che lanciano acuti richiami mentre gruppi di scimmie saltano sugli stessi rami facendoli ondeggiare nell’aria. Altri gruppetti sparpagliati di scimmie se ne stanno tranquille all’ombra a poche decine di metri, hanno dei visi simpatici ma è sconsigliabile avvicinarsi troppo perché sono irrequiete e aggressive. Gli odori, ovunque, sono sempre intensi.

E l’aria a causa del caldo è molto pesante. Curiosiamo zigzagando mucche, tori e i loro ricordini per poi arrivare dove ci sono i tanti negozi e qui iniziamo un po’ di shopping… Seduti tra montagne di stoffe con colori stupendi non sappiamo cosa comprare, sono uno più bello dell’altro e non sai mai cosa scegliere. Alla fine compriamo stoffe, scialli e sari ma la scelta è stata molto difficile.

Con gli ingombranti acquisti decidiamo di tornare in hotel. E’ pomeriggio e siamo anche un po’ stanchi.

Prendiamo un tuc-tuc ma dopo poche centinaia di metri si ferma e il guidatore scende. Ha bucato.

Oggi con i mezzi siamo molto fortunati… Dopo una manciata di minuti veniamo dirottati su un altro tuc-tuc che poco dopo le quattro del pomeriggio ci scarica finalmente a destinazione.

Ci concediamo un po’ di riposo prima di scegliere dove andare a cenare la sera.

In camera il ventilatore al soffitto non riesce a mitigare il caldo e anche fuori sul balcone, seppur all’ombra, si suda parecchio.

Scende lentamente la sera e con il buio si riesce a respirare un po’ meglio.

Dobbiamo pensare a dove cenare. Tra i posti più chic della città scegliamo il “ Palm Springs” ristorante dell’ India Hotel. Un posto molto lussuoso.

Usciamo dal Surya e ci incamminiamo per il lungo viale per una passeggiatina prima di andare a cena.

Mentre camminiamo ci viene incontro uno sposalizio. C’è tanta gente che balla, che canta e luci e colori. E’ un corteo con davanti lo sposo che balla attorniato dagli uomini e più in dietro la sposa che balla attorniata dalle donne. Decine di donne che ballano con i loro sari più belli. I loro colori lasciano senza fiato. E’ un’orgia di colori! Il ritmo della musica è tambureggiante e le movenze sono molto sensuali. E’ il primo sposalizio che vediamo, ma nei prossimi giorni ne vedremo ancora molti altri. Sapremo più tardi infatti che per antiche tradizioni queste due settimane di aprile sono molto propizie per i matrimoni. Arriviamo al ristorante, non senza qualche problema di comunicazione con il nostro driver e ci accorgiamo che nella grande sala da pranzo ci siamo solo noi… la guida diceva che di sera c’è sempre tanta gente ed è preferibile prenotare… Pensiamo che sia vuoto perché è ancora presto.

Il posto è veramente molto lussuoso e il cibo abbastanza decente anche se a me arrivano cose diverse da quello che avevo ordinato.

Scelgo infatti carne e al cameriere indico sul menù “Mixed grilled” che tradotto significa grigliata mista. Mi aspetto diversi pezzi di carne ma arriva invece un grosso hamburger con intorno verdure un po’ crude e un po’ grigliate.

In India, quasi ovunque, le verdure grigliate o bollite sono sempre a metà cottura, se non crude.

Serata sul balconcino a bere caffè e grappa. E’ quasi notte ma si boccheggia ancora.

Giovedì 24 aprile Ci svegliamo presto.

Seduti sul balconcino si sta molto bene, solo dopo le otto il sole comincia a farsi sentire ma per ora la temperatura è ideale.

Ci beviamo il nostro caffè mattutino gustandolo il più possibile. Ci siamo accorti che ne abbiamo abusato e siamo arrivati alla conclusione che se non vogliamo finirlo a metà viaggio dobbiamo diminuire la quantità giornaliera.

Abbiamo deciso di gustarci il caffè solo al mattino e alla sera.

Dopo la solita colazione in giardino usciamo per farci una passeggiata nella parte della città a ridosso dell’ hotel.

Il sole è già in agguato ma noi incuranti dei suoi terribili raggi andiamo avanti. Percorriamo dapprima strade trafficate dove il suono dei campanelli delle biciclette e dei ciclo-risciò è un sottofondo continuo.

Poi lasciamo il rumore del traffico e lo smog dei camion per inoltrarci tra strette stradine che portano a piazzette e ad altre stradine. Ci ritroviamo in un quartiere molto povero dove gruppetti di bambini ci corrono incontro mentre mucche e caprette gironzolano davanti agli usci aperti.

Sbirciando all’interno si intravedono stanze un po’ buie con pochi mobili e mura disadorne e malandate dal tempo.

Le donne stanno cucinando e gli odori delle spezie escono dagli usci e dalle finestre e invadono la strada.

La gente che incontriamo ci sorride e ci saluta anche se a noi pare che sembrano un po’ stupiti di vederci li. Forse si chiederanno che ci fanno due turisti in questo quartiere dove non ci sono palazzi da visitare o negozi dove comprare artigianato locale. Poco dopo mezzogiorno decidiamo di porre termine alla nostra passeggiata. Siamo esausti, il sole ci ha distrutti e siamo bagnati dal sudore. Fermiamo un ciclo-risciò e ci facciamo riportare al Surya.

Il ragazzo che guida ci ha detto di aver capito dove andare ma dopo un po’ si ferma e chiede indicazioni ad un gruppetto di ragazzi. Abbiamo capito che non sa dov’è il nostro l’ hotel. Eppure lavora in questa città e porta la gente in giro tutto il giorno… e l’ hotel dove siamo noi non è nuovo ma c’è da diversi anni.

Capiamo che non sa l’inglese e probabilmente è anche analfabeta e forse porta le persone sempre negli stessi posti… probabilmente conosce solo una parte della città e molti hotel frequentati da turisti per lui è come se non esistessero.

Comunque si ferma ancora un paio di volte a chiedere informazioni e poi, con nostro sollievo, arriviamo finalmente a destinazione.

Vito si ferma al ristorante a mangiare un piatto di noodles mentre io salgo in camera per un agognata doccia.

Nel primo pomeriggio decidiamo di rilassarci in camera e aspettare le ore meno calde per uscire.

Siamo sempre andati di giorno verso il centro e i ghat, oggi ci andiamo invece sul tardi e ci godremo il tramonto sul Gange.

Dormicchiamo e guardiamo un po’ di televisione fino verso le quattro del pomeriggio, poi usciamo e prendiamo un ciclo-risciò per andare verso il ghat principale.

C’è tanta e tanta gente per la strada e più ci avviciniamo al fiume e più la folla riempie ogni strada.

Ci inoltriamo nel dedalo di vicoli e qui, dopo aver cambiato altri euro, andiamo verso il Dashashwamedha Ghat dove ogni sera si può assistere alla Puja.

Puja significa offerta e in questo caso è l’offerta della luce che gli uomini fanno al fiume sacro.

La cerimonia si svolge al suono dei canti sacri intonati da tutta la gente seduta sulle gradinate attorno ai bramini rivolti verso il Gange. Vicino a noi donne e uomini cantano sorridendo e paiono allegri. La musica ritmata e l’incenso nell’aria rendono ancora più pittoresco il momento.

Ci sono sette postazioni dove sette bramini, rivolti verso il fiume, alzano bracieri di incenso e poi bracieri di fuoco.

Il tutto avviene appena il tramonto lascia spazio al buio della sera. Il fuoco alzato dai bramini, la gente che canta, la musica e l’odore dell’incenso rendono magico il momento.

Vale proprio la pena essere qui! Sul fiume alcuni barconi sono pieni di turisti e sull’acqua cominciano a scivolare le offerte dei fedeli. Sopra foglie di banano o ciotole di terracotta gli induisti pongono dei fiori e un lumino e lo adagiano sull’ acqua . Nel buio della notte centinaia di lumini viaggiano sulla lenta corrente del Gange rendendo ancor di più particolare l’atmosfera. Alla fine della cerimonia ce ne torniamo in hotel.

Tornando indietro ci accorgiamo di come le strade attorno ai ghat siano intasate da pedoni, biciclette, ciclo-risciò e tuc-tuc. E poi ci sono i carretti, le mucche e le macchine e tutti suonano il loro campanello o il loro clacson.

Anche i coloratissimi negozi sono invasi da una folla che guarda, che tocca e che compra. Varanasi è una città unica dove colori, odori e musica si mescolano creando una miscela unica. Non ti può lasciare indifferente: o scappi o non vedi l’ora di tornarci.

Per me è la quarta volta che ci torno. E la prima volta, nel ’79, ero scappato, ma allora non stavo molto bene, non mangiavo nulla ed ero pelle e ossa… Appena tornati in hotel ci attende una novità.

Dal nostro balconcino ci accorgiamo che in giardino hanno predisposto il banchetto per una festa nuziale. C’è la banda che suona e tanta gente sulla strada a fianco all’hotel. Hanno fatto un servizio a buffet, messo le sedie in fila e le luminarie sul palazzo di fronte e nel giardino. C’è tanta gente che ride, che parla, che mangia. Ci sono gli immancabili bambini che giocano a rincorrersi e gruppi di mamme fasciate con i loro sari bellissimi che fanno cerchio e ridono.

Dello sposo e della sposa però non c’è neanche l’ombra… forse la festa sta finendo e loro sono già andati via… In effetti un’ora dopo finisce tutto. In pochi minuti i parenti e gli amici se ne vanno e sul prato restano le sedie e i resti della festa lasciati un po’ dappertutto.

Dall’alto del nostro balconcino vediamo i solerti camerieri che in un battibaleno puliscono il prato e tolgono le sedie e le luminarie. Sono velocissimi e professionali.

Noi scendiamo e andiamo a mangiare al ristorante. A causa della festa si mangia solo all’interno ma va bene lo stesso.

Non mangiamo molto bene, i sapori non sono gran che ma almeno mettiamo qualcosa nello stomaco. Per tutto ciò che facciamo durante il giorno mangiamo molto meno di quello che dovremmo. Le nostre pance si stanno un po’ asciugando.

Ultima serata sul balconcino dell’hotel, domani sera infatti partiremo per Khajuraho.

Venerdì 25 aprile

Alle sette del mattino siamo già a contemplare l’alba sul balconcino sorseggiando caffè e godendoci la temperatura non ancora calda.

E’ l’ultima mattina a Varanasi e un po’ ci dispiace partire e lasciare questa splendida città ma altri luoghi ci attendono in questo lungo viaggio che ci porterà fino nel profondo sud.

Dobbiamo lasciare la stanza per mezzogiorno. Facciamo colazione e poi risaliamo in camera per preparare gli zaini.

Una volta lasciata la stanza e posato gli zaini inizia la lunga attesa prima di partire.

Dietro il ristorante c’è una piscina e dei gazebo dove ci si può rilassare e fare il bagno. Io ne approfitto mentre Vito che non ha voglia di bagnarsi preferisce andare a mangiare qualcosa e poi a fare un salto su internet.

Fa molto caldo e l’acqua della piscina è un brodo… Le ore passano lentamente e il sole pare sempre più spietato. Con l’arrivo della sera andiamo a cenare al ristorante ma anche questa volta il cibo si presenta in modo molto deludente.

Digeriamo sdraiati su comode sedie sotto il patio di fronte al giardino, siamo stravolti dalla giornata di sole e ci addormentiamo dalla stanchezza.

Abbiamo lo stomaco un po’ chiuso, in questi ultimi giorni abbiamo mangiato poche cose e non troppo gustose, ma siamo ottimisti, ci rifaremo senza dubbio nelle prossime tappe.

Verso le dieci di sera riprendiamo i nostri zaini (che ci hanno tenuto in una stanza adibita a deposito) prendiamo un tuc-tuc e ci facciamo portare alla stazione dei treni. Passiamo per strade un po’ buie e molto dissestate. Le fioche luci dei lampioni non illuminano gran che e molti tuc-tuc e molte macchine viaggiano a luci spente… La stazione di Varanasi è come me la ricordavo. Qui ho vissuto un’attesa lunghissima in un caldo agosto del ’96, qui ho visto la folla assalire i treni non ancora fermi per andare alla ricerca di un posto.

Ricordavo tanta e tanta gente e nulla è cambiato.

C’è tanta e tanta gente, qualche mucca che gironzola nella grande hall e rumore, tanto e tanto rumore. Tanti vanno e vengono, altri sono seduti in terra a mangiare o a chiacchierare, altri sdraiati dormono. E’ tutto come sempre con la differenza che il tempo ha lasciato altri ricordi sulle strutture e sui muri.

E’ la stessa stazione solo un po’ più invecchiata… Ma guardando più attentamente qualche novità c’è: ogni venti metri ci sono dei piccoli display, in alto, che indicano il treno in arrivo e il numero della carrozza che si fermerà li davanti.

Come sempre andiamo alla ricerca di qualcuno che ci dia l’indicazione giusta. Sapere il binario giusto a volte non è semplice. Anche questa volta alla nostra domanda ci indicano binari diversi. Un venditore di giornali che è sempre li, in quella stazione, giura che il nostro treno arriverà su un altro binario. Un dipendente delle ferrovie invece ci aveva detto che arriverà li… il treno arriva ed aveva ragione il ferroviere.

Guardo il venditore di giornali e gli indico il treno in arrivo, lui mi sorride e mi dice a gesti che è il nostro… ma come, poco fa mi diceva che assolutamente non sarebbe mai arrivato li… non capisco se mi prende in giro… Sono da poco passate le undici di sera quando il treno riparte lentamente.

Lasciamo la stazione, le sue luci e le migliaia di persone che continuano ad andare avanti e indietro per inoltrarci nel buio della notte indiana. Si comincia ad andare verso sud.

Con noi, vicini di posto c’è una coppia di ragazzi sloveni molto simpatici.

E’ la prima volta che vengono in India e hanno solo un paio di settimane e vogliono vedere il più possibile. Si sono resi conto ben presto però che spostarsi oltre che faticoso è anche lento e che devono diminuire i posti da vedere…

Sabato 26 aprile Con l’alba il paesaggio che ci appare ci lascia un po’ interdetti. E’ tutto secco e arido, pensavamo di vedere i boschi ma ci sono solo gli alberi e di foglie se ne vedono poche. Ci sono molti alberi che hanno i loro lunghi rami che vanno verso il cielo senza neanche una foglia ma con bellissimi fiori rossi sulle loro punte. Non avevo mai visto prima d’ ora piante d’alto fusto con i fiori e, nello stesso tempo, completamente spoglie di foglie.

Davanti a noi scorre solo terra rossa, sassi e qualche volta fiumiciattoli in parte in secca.

Sono diversi mesi che non piove e manca ancora molto prima dell’arrivo delle prime piogge monsoniche.

Poco dopo le sei del mattino il treno giunge finalmente alla stazione di Satna. Qui il nostro viaggio in treno finisce e inizia quello con i bus locali.

Con un tuc-tuc in un baleno siamo alla stazione dei bus in tempo per prendere al volo il bus per Khajuarho.

Il bus locale, molto spartano, parte subito e prende immediatamente una velocità di crociera… In realtà non pare andare piano ma deve sempre rallentare a causa delle mille e mille fermate…In pratica ci mettiamo quattro ore per percorrere poco più di cento chilometri.

Ad un certo punto arriviamo ad un bivio dove ci sono poche case un po’ malridotte. Il bus si ferma e ci dicono di scendere, dobbiamo prendere un altro mezzo per arrivare alla nostra meta.

Insieme a noi scende anche un altro gruppetto di turisti che come noi cerca di capire come arrivare a Khajuraho.

Fa molto caldo, il sole è cocente e siamo un po’ stanchi.

C’è un cartello che indica la nostra meta a undici chilometri e più in la un mini bus pronto per partire.

E’ il nostro.

Dopo una manciata di minuti siamo alla stazione dei bus di Khajuraho e con un tuc-tuc ci facciamo portare all’ Harmony Hotel (scelto a caso tra quelli scritti sulla guida).

Khajuraho La strada polverosa e un po’ tortuosa passa tra boschi senza foglie che danno un senso sinistro all’ambiente. La terra è quasi di un rosso mattone e l’erba è ovunque secca. Alle 11.40 prendiamo finalmente possesso di una piccola camera con balconcino al primo piano dell’ Harmony Hotel.

Siamo sulla via principale di questo paesetto di poche decine di migliaia di abitanti. Abbiamo la sensazione che qui regni il silenzio per noi abituati al rumore delle grandi città.

Almeno questo è quello che pensavamo prima di cominciare a sentire il rumore di martellate e colpi di scalpello.

Eravamo tranquilli a goderci un momento di tranquillità e a riposarci dal viaggio bevendo il nostro caffè quotidiano che è cominciato il casino…

La prima paura è stata quella di essere finiti a fianco alla bottega di uno scalpellino poi, indagando, scopriamo che stanno ristrutturando proprio la stanza dietro alla reception quasi sotto la nostra… stanno cambiando i pavimenti e non avendo mezzi adatti rompono come possono.

Visto che riposare è diventato impossibile andiamo a farci uno spuntino al ristorante dell’hotel prima di uscire a gironzolare per il paese.

Khajuraho è un sito archeologico molto importante e unico nel suo genere. In questo sperduto angolo di poche anime ci sono tra i templi più belli e meglio conservati di tutta l’India.

Questa piccola cittadina un tempo era la capitale di un importante dinastia Rajput e tra il X e il XIII secolo vennero costruiti decine di templi.

In passato su questa pianura arida si innalzavano 85 templi, oggi ne restano 22 ripartiti in tre distinti gruppi.

Il paese si snoda su un paio di strade in parte sterrate dove si concentrano molti alberghi, ristoranti, negozi e bancarelle. Ci dicono che questo è il paese nuovo e che quello vecchio dista un chilometro.

Passare dal ritmo caotico di Varanasi alla tranquillità di questo posto lascia senza parole. Ci sono poche macchine e poco traffico e così mucche e asinelli se ne vanno a zonzo tranquilli schivando i pochi tuc-tuc.

Sui lati di questa strada principale stretti viottoli portano a deliziose piazzette dove si affacciano semplici case basse per lo più in argilla.. Tra i bimbi che giocano davanti agli usci aperti ci sono anche maiali, agnelli e qualche pollo: tutti girovagano alla ricerca di cibo.

I venditori ambulanti ci chiamano e cercano di venderci qualcosa, ci accorgiamo che non ci sono molti turisti e che le vendite non sono molte… I negozi e le bancarelle per turisti si susseguono, ci sono stoffe, argenti, e vario artigianato locale ma non c’è molta gente in giro e passeggiare tranquillamente diventa difficile.

C’è sempre qualcuno che ti ferma per venderti qualcosa. Andiamo verso il gruppo di templi più numeroso ma non entriamo nel perimetro perché vogliamo fare un bel po’ di foto e la luce del mattino è senz’altro migliore. Li visiteremo domani.

Per ora decidiamo di farci una passeggiata circumnavigando la zona archeologica (che è recintata).

Un piccolo lago disegnato sulla cartina non c’è, è in secca, e la strada che percorriamo prosegue su una pianura arida… Passiamo tra piccole casette d’argilla, superiamo lontani resti di templi lasciati alla distruzione dell’ azione del tempo e poi ritorniamo verso il paese. Anche il secondo lago, sempre disegnato sulla cartina, è senza acqua, c’è solo una piccola pozzanghera con alghe e bottiglie di plastica… Torniamo sulla via principale e poi deviamo per le stradine laterali.

Si aprono a noi squarci di vita quotidiana, davanti ai bassi usci le donne lavorano sedute in circolo mentre gruppetti di bimbi seminudi entrano ed escono urlando rincorrendosi. Tori, asinelli, mucche, caprette e maiali un po’ dappertutto.

C’è solo il rumore della gente e degli animali, qualche volta si sente in lontananza quello di una motocicletta o di un tuc-tuc.

A Khajuraho si sta veramente bene… ed ancora non abbiamo apprezzato la cucina del luogo.

La scelta va al ristorante “Mediterraneo”, un posto tra l’altro molto vicino al nostro hotel.

La guida ne parla bene e poi la padrona è di origine italiana… Siamo un po’ scettici anche se una parte di noi è sempre ottimista.

Vediamo se veramente si mangia bene come dice la guida… Ceniamo sulla terrazza al primo piano, sotto di noi la strada principale con i negozi e il passeggio. E’ sera, fa caldo e guardare la gente sotto e i colori dei negozi da quasi l’idea di essere in un posto di mare… Il luogo è perfetto e si sta benissimo. Dalla strada l’odore dell’incenso arriva fino a noi e sopra le nostre teste possiamo ammirare un cielo meravigliosamente stellato.

Per completare ci vorrebbe solo dell’ottimo cibo… Vito ordina montone grigliato e io pollo all’aglio.

Mangiamo benissimo: spezie nella giusta quantità per esaltare sapori gustosissimi.

Un posto eccellente dove ritornare.

Siamo satolli e contenti.

Scendiamo in strada per una breve passeggiatina tra i negozi che stanno chiudendo prima di tornare in camera a farci un buon caffè per completare un’ottima cena.

In stanza fa caldo, il ventilatore sposta l’aria ma non riesce a mitigare la temperatura. Si boccheggia nell’attesa del sonno. Domenica 27 aprile La notte è stata un po’ tormentata dal caldo… come sempre ci svegliamo molto presto.

E’ l’alba e sul balcone si respira un po’… ci facciamo un ricco caffè e poi usciamo per andare a visitare i templi.

I templi più famosi sono quelli del gruppo occidentale e si trovano all’interno di una zona recintata in mezzo ad un grande parco molto ben curato. Molti templi sono ricoperti di statue e di bassorilievi che raccontano la vita dei re, delle divinità, dei guerrieri, della lussuria, delle cerimonie ecc…Ma anche scene di vita quotidiana. Decori, fregi e scene erotiche si alternano ad animali o a forme mostruose.

E sulle sculture erotiche bisogna fare una precisazione visto che ci sono varie teorie che cercano di spiegare le scene di sesso esplicito che ricoprono i templi.

Leggiamo e scopriamo diverse teorie… La prima dice che le raffigurazioni di sesso sarebbero servite ad istruire in materia i giovani bramini che vivevano segregati dal mondo, un’altra sostiene che le immagini avevano la funzione di placare re Indra, dio della pioggia, per salvare i templi dai fulmini.

Più plausibile pare la visione tantrica dove le scene d’amore rappresentano l’oblio di sé, l’annullamento del tempo e dunque il migliore mezzo per meditare: l’individuo entra nella fase di negazione dell’ego ed è in grado di percepire la forza divina. Una spiegazione cosmica.

La teoria più probabile è però quella che associa le sculture erotiche alla gioia sessuale, ad una visione serena e lieta della vita, completamente libera dai precetti morali presenti invece nell’Antico Testamento.

C’è da aggiungere che le scene di sesso non sono fini a se stesse ma rappresentano, insieme alle scene di vita quotidiana, una gioiosa celebrazione della vita in tutti i suoi aspetti. Giriamo per un paio d’ore tra un tempio e l’altro e nonostante sia presto comincia a fare già molto caldo.

Usciamo dal sito archeologico poco prima delle dieci del mattino e il sole è già diventato bollente…In cielo anche oggi non si vede una nuvola… I negozi di artigianato sono già in attesa dei turisti ma solo una parte ha aperto, i più sono rimasti chiusi, oggi è domenica ed è anche qui un giorno di festa.

Dopo una piccola sosta in camera prendiamo un tuc-tuc e ci facciamo portare a Rajnagar, un piccolo paesino a pochi chilometri di distanza. La guida dice che qui lavorano molto bene l’argento e ci sono molte botteghe interessanti.

Prendiamo un tuc-tuc.

Il piccolo tre ruote parte sgommando alzando una nuvola di polvere: il sole è alto e l’aria è calda.

Il paese di Rajnagar è arroccato su una collina con la strada principale tortuosa e piena di negozi. Peccato che la maggior parte sia chiusa e che i pochi aperti vendono vestitini per bimbi e suppellettili per la casa.

Camminiamo sotto un sole cocente, il paese è carino e ci sono angoli veramente suggestivi.

Troviamo solo due o tre botteghe aperte che vendono monili d’argento ma non troviamo qualcosa di interessante e non compriamo nulla.

Con un altro tuc-tuc torniamo al nostro hotel, siamo sudati e un po’ stanchi.

Sono le ore più calde ed è meglio starsene all’ombra. Ne approfittiamo per riposarci un po’ in camera.

Le passeggiate mattutine ci hanno smosso lo stomaco e ci è venuta un po’ di fame… attraversiamo la strada e andiamo a farci uno spuntino in un ristorante proprio di fronte al nostro hotel.

Una piacevole sorpresa. In questo paese si mangia molto bene! Torniamo in camera stolli e contenti. Il ventilatore che abbiamo non è il massimo ma almeno non ci fa sudare. Visto che è domenica, decidiamo di fare uno strappo alle regole e ci facciamo un altro caffè… Pomeriggio di relax, si sta bene mentre discutiamo di questo viaggio che ci regala momenti e scenari veramente unici.

Prima di sera scendiamo al pian terreno per utilizzare i computer per avere un po’ di notizie dal mondo e mandare messaggi sul nostro viaggio.

Con l’arrivo del buio usciamo per andare a cena. Visto che ieri sera abbiamo mangiato veramente bene decidiamo di ritornare al Mediterraneo Restaurant sperando di ritrovare sapori gustosi.

Il posto è veramente bello, adesso che ci ritorniamo apprezziamo ancor di più il piacere di cenare su questo terrazzo.

Se uno non avesse limiti di tempo questo sarebbe un posto dove stare diversi giorni perché ne vale proprio la pena.

Mangiamo abbastanza bene, Vito divora tutto mentre io ho un po’ di difficoltà a finire il mio piatto. Il problema è che hanno esagerato con il piccante, il sapore è buono ma le mie papille gustative non hanno gradito… Un piccante devastante. Peccato perché il sugo era delizioso.

Scendiamo in strada per una passeggiata post cena. Sono le dieci di sera e fa caldo… Mentre camminiamo ci imbattiamo in un corteo nuziale. Ma è diverso dagli altri che abbiamo visto.

Qui c’era solo lo sposo che una volta uscito dal tempio è stato circondato da amici e parenti e tutti insieme sono partiti in corteo.

Davanti al corteo un carro con le luminarie con dietro i suonatori, e poi lo sposo su un cavallo bardato e gli amici e i parenti maschi. Tutti ballavano freneticamente attorno allo sposo mentre lui, sul cavallo, rimaneva impassibile.

Più indietro venivano le donne che ridevano e parlottavano tra loro. Parevano in disparte e seguivano il corteo senza partecipare al ballo.

Lunedì 28 aprile Ci svegliamo, come al solito, molto presto.

Sono le sei, abbiamo gli occhi spalancati e non abbiamo sonno.

Ne approfittiamo per utilizzare al meglio queste poche ore di tregua dal caldo.

Dopo l’ottimo caffè preparato da Vito ci incamminiamo verso i templi Jainisti e la vecchia cittadina di Khajuraho che distano pochi chilometri.

La strada che percorriamo è tortuosa e passa tra boschi con alberi per lo più senza foglie, l’erba è secca e davanti alle basse case che incontriamo ci sono sempre polli, maiali o asinelli.

In alto in cielo si odono i richiami dei falchi e più in basso quello delle cocorite, delle tortore, dei corvi. Si passeggia con piacere, il sole non è ancora alto e il traffico è quasi inesistente.

Arriviamo ai templi Jainisti e li visitiamo, non sono molti e sono tutti in uno spazio molto ristretto. Nonostante questo sono molto interessanti e meritano una visita.

Dai templi ci dirigiamo verso la vecchia cittadina di Khajuraho. Arriviamo in un piccolo borgo con una manciata di stradine molto tortuose. Le case basse e colorate rendono un po’ più gradevole la strada polverosa e i cattivi odori delle fogne a cielo aperto.

Tanti bimbi giocano per la strada, del resto questa è la loro estate, sono i mesi più caldi e le scuole sono chiuse.

Zigzaghiamo mucche, bufali e bambini e poi ce ne ritorniamo verso il nostro hotel. Vorremmo tornare in tuc-tuc, fa già caldo e la strada è lunga ma non ci sono tuc-tuc vuoti che passano… E così torniamo a piedi.

Giungiamo stanchi e sudati in hotel che sono quasi le undici, al ragazzo della reception chiediamo dove andare per poter fare i biglietti del treno per Jalgaon (la nostra prossima meta).

Lui si da disponibile per andare a farli per noi. E’ un tipo simpatico e pare abbastanza sveglio. Ci fidiamo. Non avremmo dovuto.

Dopo circa un’ora, mentre ce ne stiamo tranquillamente a riposare in camera il ragazzo torna e ci dice che il treno è tutto occupato e ci chiede se per caso vogliamo partire anche un altro giorno… non abbiamo molte scelte e lui riparte alla ricerca dell’agognato biglietto.

Dopo poco torna e ci dice che ha trovato solo due posti a sedere per le 23.25 di questa sera da Satna fino a Jalgaon. Fino a Satna (ma questo era già previsto) a un centinaio di chilometri più a sud dovremo andare con il bus. I treni, come abbiamo finalmente capito, sono sempre presi d’assalto e in questo periodo tutti viaggiano… Il problema è che per andare ad Jalgaon a 800 chilometri più a sud di Satna, oltre al treno ci sono solo bus locali … Decidiamo di partire. Facciamo i bagagli e andiamo a mangiare qualcosa, abbiamo tutto il tempo per fare le cose comodamente anche se avremmo preferito rimanere un paio di giorni in più.

Dovremmo lasciare la stanza per mezzogiorno ma con una piccola spesa in più la teniamo fino alle due e mezza, ora in cui dobbiamo partire per andare alla stazione dei bus di Khajuraho..

Andiamo di nuovo al Mediterraneo e mangiamo decisamente bene. Vito sceglie montone ed io pollo, tutto veramente squisito. Mentre divoriamo carne e verdura di contorno ci chiediamo quando troveremo un altro posto dove si mangia così bene… Alle 14.30 precise saliamo sul solito tuc-tuc che sotto un sole cocente ci porta alla stazione dei bus.

Ci aspettano quattro ore di bus prima di arrivare a Satna da dove, alle 23.25, prenderemo il treno per Jalgaon.

Il bus arriva ed è già quasi pieno, con un po’ di fatica troviamo due posti a sedere, fa caldo e dentro il bus l’aria viziata e calda ci fa respirare con difficoltà.

La strada che porta a sud verso Satna passa tra paesaggi collinosi e pianure assolate. Il mezzo rallenta spesso e fa continue fermate riempiendosi sempre più. La gente sale e scende e il tempo corre lento.

Quando arriva la sera giungiamo finalmente a Satna. In pochi minuti con un tuc-tuc arriviamo alla stazione dei treni e qui inizia una lunga attesa.

In stazione c’è molta gente, c’è un via vai continuo e tante persone dormono sdraiate in terra. E’ una vera bolgia perché il frastuono è assordante. Fortunatamente ci sono dei display sia nell’atrio principale che sui binari dove vengono trascritti i numeri dei treni e la loro destinazione.

Andiamo sul primo binario e ci troviamo un posto dove posare gli zaini e aspettare. Passiamo il tempo tra brevi sonnellini sdraiati sugli zaini e nervose fumate di sigarette.

Non si potrebbe perché nelle stazioni, anche sulle banchine, è proibito fumare, ma siamo all’aperto e facciamo finta di non sapere… L’attesa si rivela un po’ stressante… ma il peggio doveva ancora venire… Il treno sarebbe dovuto arrivare per le 23.25 ma una voce un po’ stridula dall’ altoparlante sopra di noi parla di un ritardo di un’ora… In più scopriamo che i nostri biglietti non hanno neanche diritto al posto a sedere e dovremmo andare nei vagoni di terza classe… e sederci dove troviamo posto… Siamo senza parole. Abbiamo visto i vagoni di terza classe degli altri treni ed erano affollati… non c’era spazio neanche nei corridoi e davanti alle porte c’era un vero groviglio umano. In molti vagoni non si poteva neppure entrare… Decidiamo che quando arriverà il nostro treno saliremo su una carrozza con le cuccette e li resteremo. E quando arriverà il controllore chiederemo lumi a lui, del resto abbiamo i biglietti e sicuramente non ci faranno scendere… Intanto aspettiamo questo benedetto treno.

Da un’ora il ritardo passa a due ore. Alle due e trenta di notte finalmente arriva. Mentre rallenta ci rendiamo conto che anche nei vagoni con le cuccette c’è molta più gente del normale. Cerchiamo di entrare in un vagone ma ci è impossibile, per terra non si vede il pavimento ma solo corpi. Bimbi, donne, ragazzi, adulti e anziani, c’è tutto il mondo sdraiato su quel pavimento.

Passiamo ad un altro vagone, siamo sudati e gli zaini sembrano sempre più pesanti. Anche qui la scena è la stessa e non si riesce ad entrare. Al terzo vagone intravediamo un po’ meno ressa e ci buttiamo dentro con forza.

Ci troviamo un piccolo spazio sul pavimento vicino alla porta e i primi scompartimenti. C’è aria molto viziata e fa caldo.

Sulle cuccette per lo più dormono in due e per terra vicino a noi altri continuano a dormire incuranti del nostro arrivo. Siamo stanchi e sudati e un po’ di sollievo lo proviamo solo quando sentiamo il treno ripartire.

Il pavimento dei vagoni di seconda classe non sono molto puliti e spesso si vedono scarafaggi giganteschi girovagare ma nonostante questo siamo così stravolti che non ce ne importa niente e ci addormentiamo quasi subito.

Martedì 29 aprile Ci svegliamo con la luce dell’alba e il rumore del treno… dal trambusto che fa dovrebbe volare su quei binari ed invece va lentamente… Ci vorrà gran parte del giorno prima di arrivare a destinazione… Siamo un po’ sudati e sporchi e con le ossa rotte. Vito si è addormentato sdraiato sullo zaino e la postura non deve essere stata delle migliori perché accusa un dolore alla schiena. Ma io non sto meglio perché il pavimento e il rollio del treno è stato devastante anche per le mie ossa.

Il tempo passa tra brevi dormitine e sigarette fumate di nascosto (anche sui treni non si potrebbe fumare).

Quando la gente si alza dalle cuccette cerchiamo di ricavarci un posto a sedere perché le ore sono ancora lunghe e fare tutto il viaggio in terra o in piedi non è molto salutare.

Tra chi scende e chi sale troviamo finalmente due posti a sedere. E’ ancora mattina e la nostra meta è ancora lontana.

Il treno adesso pare correre più speditamente, non fa molte fermate e le soste sono brevi. Tutto pare andare per il meglio.

Si va a sud, tagliando in due l’India, ma il paesaggio è sempre arido. Intravediamo piccoli villaggi con case d’argilla che cercano di resistere sotto un sole spietato. Gli alberi attorno sono senza foglie e non regalano ombra… Si intravedono bimbi mezzi nudi che giocano davanti alle case, altri che giocano tra i bufali in una pozza d’acqua, in lontananza donne in fila che tornano con le brocche sulla testa. E’ l’ India delle migliaia di piccoli villaggi dove per avere l’ acqua devi fare chilometri e dove spesso non arriva neanche l’elettricità. E’ l’ India che non compare in televisione e che forse non sa cos’è la pubblicità, quella dove la mortalità infantile è altissima e dove gli uomini arano a mano.

I bimbi più vicini al treno ci salutano ridendo anche noi li salutiamo e un attimo dopo siamo già lontani.

Il viaggio continua tra dormitine e fumate, tra bevute d’ acqua e the bollente.

Alle 15.30 il treno arriva sbuffando alla stazione di Jalgaon.

Jalgaon e le grotte di Ajanta Fa caldo e speriamo ardentemente di trovare in breve tempo una stanza d’albergo dove rilassarci e toglierci la puzza e lo sporco del treno.

Fuori dalla stazione c’è un vero mercato. Lo spiazzo antistante la stazione è invaso da bancarelle dove c’è di tutto, da quelli che vendono polpettine a quelli che fanno frullati di frutta a quelli che vendono indumenti o prodotti per la casa. C’è tanta gente che va e viene, ciclo-risciò, tuc-tuc e biciclette, e poi tanti che bighellonano e stanno li a chiacchierare. Ad un guidatore di tuc-tuc chiediamo di farci portare all’hotel Plaza (uno tra quelli indicati dalla guida) ma lui scuote la testa e fa cenno di no.

Non capiamo ma dopo un attimo ci indica un’insegna e scopriamo che l’hotel è a una cinquantina di metri… Ringraziamo l’indiano e sotto il sole cocente, con i nostri pesanti zaini, ci incamminiamo verso l’agognato albergo.

La guida dice che la gente del luogo è simpatica e socievole e che in questo hotel l’esuberante proprietario è cordiale e pieno di attenzioni.

Siamo fiduciosi mentre ci presentiamo alla reception.

Il tipo dietro il bancone all’inizio è molto affabile, ci fa vedere una camera ma non ci piace: è al buio, c’è solo una piccola finestra in alto e poi è proprio a fianco alla reception, un po’ troppo in vista per i nostri gusti: Con un po’ di insistenza ci fa vedere un’altra camera, ma questa ha solo due piccole finestre che danno sulle stretto corridoio. Praticamente anche qui devi tenere la luce accesa tutto il giorno…Infine ci fa vedere una terza sempre a fianco alla reception con poca luce anche questa… E’ quasi vuoto l’hotel ma lui ci dice che per noi ci sono solo queste camere… non capiamo perché si ostini a non farci vedere le camere al primo piano. Prima prende le chiavi poi ci dice che sono piene… ma si vede lontano un miglio che dice bugie.

In più diventa sgarbato… lo mandiamo a quel paese e ce ne usciamo.

Siamo stanchi e un po’ incazzati…Altro che paese cordiale… Meno male che la maggior parte di hotel di questa città si trova su questa strada e così non dobbiamo camminare molto per arrivare davanti al Padma Inn Hotel.

L’uomo alla reception è rapito da un film alla televisione, il posto è semibuio e il nostro arrivo non lo smuove più di tanto.

Sta guardando un film lacrimoso con canzoni vagamente alla napoletana e pare un po’ scocciato dal nostro arrivo… Fa un po’ di storie ma poi ci fa vedere un paio di camere, una è buia e piccola mentre la seconda, in piccionaia, è ancora più piccola perché c’è lo spazio solo per due lettini… Siamo sfiduciati, stanchi e un po’ contrariati e vediamo allontanare il momento di una doccia… Spieghiamo che vorremmo una stanza normale e che sia luminosa. Gli ricordiamo che non abbiamo problemi di rupie… Ci porta al secondo piano, davanti a noi compare un corridoio curato e gradevole con porte distanti vari metri l’una dall’altra. Ci apre una porta e finalmente vediamo una bella stanza pulita e con un piccolo balconcino.

Siamo soddisfatti e la prendiamo.

Ma l’indiano ci dice di aspettare… Torniamo alla reception dove compare il boss… l’indiano che ci ha fatto vedere la camera spiega la nostra scelta, discutono un po’ e poi l’uomo che pare il boss prende il telefono e parla con qualcuno.

Una volta posato il telefono fa cenno che possiamo prendere la stanza… Non mi era mai successo di trovare tanta difficoltà a prendere una stanza… specialmente se vedi gli alberghi mezzi vuoti… Sono le quatto passate del pomeriggio quando finalmente prendiamo possesso della nostra camera.

Una doccia e un caffè bollente ci fanno dimenticare il viaggio e le sue sofferenze… La camera è spaziosa e pulita, c’è un bel bagno e abbiamo anche un piccolo balconcino.

Ci riposiamo un po’ e poi usciamo per andare alla stazione dei bus per conoscere quelli per raggiungere le grotte di Ajanta e per Aurangabad (la nostra prossima meta).

Ne approfittiamo per dare un’occhiata a questa città.

Anche se è una cittadina di mezzo milione di abitanti Jalgaon assomiglia di più ad una piccola località di campagna.

Facciamo un paio di chilometri in tuc-tuc e la cittadina non ci pare un gran che… case squadrate e anonime ed un traffico all’occidentale anche se qui non è troppo caotico. Le macchine e i camion hanno preso il posto dei tuc-tuc e dei carri e di ciclo-risciò ne abbiamo visti proprio pochi.

Alla stazione dei bus (un largo spiazzo diviso da una lunga tettoia di lamiera) troviamo il caos… Tanta e tanta gente e i bus pieni di gente… Quando ne arriva uno la folla ondeggia e lo circonda per poi assalirlo come le vecchie diligenze dei film western… In più ci sono una miriade di bancarelle. C’è tanta gente ma i cartelli sono solo in hindu ed è sempre difficile trovare qualcuno che sappia l’inglese e ti dia le indicazioni giuste… Con un po’ di difficoltà riusciamo a avere le informazioni… Per le nostre due località ci sono molti bus al giorno, non ci sono orari perché partono appena sono pieni…E quindi quasi subito il loro arrivo alla stazione… Lasciamo la stazione con i suoi rumori, i suoi colori (i sari delle donne sono sempre stupendi), i suoi odori e le sue bancarelle per ritornare sui nostri passi.

Decidiamo di farci una passeggiata e di ritornare verso il nostro hotel a piedi per gustarci di più la città.

La sensazione che questo posto sia solo utile per una sosta e per andare ad Ajanta diventa certezza. Non è molto interessante come città, distante anni luce da quelle della valle del Gange che abbiamo visitato giorni fa.

Torniamo fino alla nostra strada e andiamo nei pressi della stazione a berci un frullato di mango.

In questa passeggiata e per la prima volta in questo viaggio vediamo delle nuvole! In realtà sono piccoline e bianche e sono poco sopra l’orizzonte…Ma sono sempre le prime che vediamo…

Seduti su una panca davanti ad un piccolo chiosco beviamo uno tra i più buoni mango juice di tutti i miei viaggi… E’ delizioso, è fresco e con la giusta dolcezza. Una meraviglia.

Ce ne stiamo seduti a gustarci questo nettare osservando il trambusto attorno a noi: il via vai della gente , le donne con i loro sari variopinti che fanno la spesa, i colori della frutta delle bancarelle e i richiami dei venditori.

Scende lentamente la sera e i colori cambiano ma la quantità della gente non diminuisce.

Salutiamo il simpatico venditore di frullati e ce ne torniamo in camera.

Non siamo molto ottimisti circa la cena, questa città non brilla in culinaria e i nostri stomaci si sono “ristretti” perché ci basta poco per saziarci. In pochi posti abbiamo mangiato bene, nella maggioranza abbiamo mangiucchiato o lasciato… Per cena abbiamo scelto il Silver Palace un locale proprio a due passi da noi.

Il posto che vorrebbe essere lussuoso pare più una tavola calda… le tovaglie sono orrende e appiccicose e l’aria è pesante a causa della mancanza di finestre… Ci sono molti ventilatori che però, essendo un locale chiuso, non fanno altro che spostare l’aria… Un posto terribile dove non arriva mai la luce del sole. La cena costa poco ma vale anche poco.

Le zuppe erano immangiabili a causa del peperoncino e i noodles erano immersi in una gelatina che non aveva un ottimo sapore.

Mercoledì 30 aprile Ci svegliamo prima del suono della sveglia. Vorremmo farci il caffè ma non c’è corrente.

Vorrà dire che berremo del the caldo alla stazione… Una volta arrivati ci dicono che il bus per Ajanta è già in partenza. Molti hanno già preso posto, saliamo subito e con un po’ di fortuna troviamo due posti liberi.

Il vecchio bus rosso si riempie in fretta e parte subito.

Sono le otto del mattino e il sole è già alto. Le piccole nuvole di ieri si sono dissolte nell’aria, come sempre il cielo è tutto azzurro.

Dopo un’ora e mezza di scossoni arriviamo al bivio per Ajanta. Scendiamo dal bus sotto un sole cocente.

Ci incamminiamo verso un gruppo di baracche adibite alla vendita di souvenir e da dove parte il bus per le grotte che distano pochi chilometri.

Beviamo finalmente un the caldo, compriamo l’ennesima bottiglia d’acqua e saliamo sul bus.

In pochi minuti arriviamo all’entrata del sito archeologico.

Facciamo i biglietti ed entriamo.

All’inizio la stradina che percorriamo è molto ripida e si suda, una volta terminata la salita ci ritroviamo davanti ad un canyon che lascia a bocca aperta.

Le grotte buddhiste di Ajanta risalgono ad un periodo che va dal 200 a.C. E il 650 d.C.

Quando il buddhismo si avviò al declino furono abbandonate e dimenticate, solo nel 1819 furono scoperte da un gruppo di inglesi intenti ad una battuta di caccia.

Le trenta grotte sono scavate nel ripido versante di un dirupo a forma di ferro di cavallo che precipita sul fiume Waghore. Ma il fiume adesso non c’è, il suo letto è secco.

Tutto attorno le colline sono arse, gli alberi senza foglie hanno braccia che salgono al cielo e danno un senso un po’ spettrale al paesaggio. Avevamo visto questo luogo su internet ma le foto erano fatte dopo i monsoni ed era tutto verde, adesso i colori predominanti vanno dal giallo al marrone.

Sembra tutto morto e invece guardando bene si scopre che i rami hanno già le gemme pronte per le foglie e i fiori. Basta solo un po’ d’acqua e tutto il paesaggio cambierebbe. Ma è ancora presto, le nuvole con la pioggia sono ancora distanti e gli alberi devono aspettare ancora molto tempo prima dell’arrivo dei monsoni. Adesso c’è solo sole, sole e sole.

Percorriamo la strada costruita per andare da una grotta all’altra. Le grotte sono in parte in penombra e a volte con il pavimento ancora da levigare e finire.

I dipinti all’interno delle grotte sono per lo più tempere applicate sui muri asciutti e la manutenzione e il restauro lasciano spesso a desiderare. Alcune hanno larghi porticati e in tutte si devono togliere le scarpe per entrare.

Siccome le grotte non sono tutte alla stessa altezza la stradina che le congiunge e segue il dirupo del canyon ha continue scale che salgono e che scendono.

E noi saliamo e scendiamo, scendiamo e saliamo, per un paio d’ore ci guardiamo tutte le grotte e poi, distrutti dal caldo e dalla fatica ci incamminiamo verso l’entrata.

Siamo stanchi ma soddisfatti di essere venuti a visitare questo sito. Merita veramente una visita, è un luogo affascinante e suggestivo.

Ci fermiamo al ristorante adiacente la biglietteria, abbiamo sete e un po’ di fame. E poi riprendiamo la via del ritorno..

Mentre il vecchio bus saltellante ci riporta a Jalgaon la stanchezza comincia a farsi sentire…Ci addormentiamo più volte finché a Vito non cade in testa un grosso pezzo di legno posto sul porta bagagli sopra di lui. Probabilmente perché piazzato male.

I proprietari sono un gruppo di giovani seduti dietro a noi, alcuni se la ridono per il rumore che il pezzo di legno ha fatto sul cranio di Vito, altri sembrano indifferenti.

Vito è un po’ contrariato e mi fa notare che già in treno gli hanno pestato più volte i piedi e mai che avessero chiesto scusa… Sono i giovani d’oggi… e i giovani sono simili ad ogni latitudine… Torniamo in hotel che sono quasi le quattro del pomeriggio sfiniti ma soddisfatti e con una gran voglia di caffè.

Un po’ di riposo mentre il sole scende lentamente all’orizzonte.

Consultiamo la guida per scegliere un ristorante per la cena. Non siamo molto ottimisti anche se vengono segnalati alcuni posti dove ci si dovrebbe leccare i baffi… In particolare il ristorante “Arya”, la guida dice che qui si preparano “saporiti piatti indiani” ed è così frequentato che bisogna fare sempre la coda.

Decidiamo di andare li.

Con un tuc-tuc arriviamo a destinazione, il ristorante si affaccia su una stretta strada alberata molto pittoresca.

Tutti i tavoli sono occupati ma dopo poco se ne libera uno proprio vicino all’entrata dove c’è la cassa. Vista la fila che in un attimo si è fatta dietro di noi lo prendiamo e ci sediamo.

Siamo fiduciosi, se c’è tanta gente che ci viene si deve mangiare per forza bene… Ma saremo presto delusi…

Le tomato soup non erano molto saporite, ho provato ad aggiungerci il riso ma il sapore non è migliorato. Una delle peggiori zuppe.

I noodles di Vito erano ad un livello sotto la decenza, un saporaccio… ma sempre migliori di quelli gelatinosi di ieri sera… Un’altra cena da dimenticare.

In questa città non si viene certo per la cucina… I nostri stomaci sono un po’ arrabbiati con noi, non vedono scendere pizza, pane, bistecche, formaggio… Ma solo carne speziata con erbette e verdure molto piccanti… Ma fosse solo per il piccante, il più delle volte sono i sapori che sono devastanti.

Domani mattina faremo gli zaini e partiremo per Aurangabad e per andare a vedere le grotte di Ellora che sono nelle vicinanze. I bus deluxe sono tutti pieni e dovremmo andare con un bus di linea… meno male che sono solo 170 chilometri.

Giovedì 1 maggio Ci svegliamo molto presto, e non è una novità… ieri sera siamo crollati, e non è una novità neanche questa.

Facciamo un buon caffè e prepariamo gli zaini.

Alle 8 del mattino siamo già alla stazione in mezzo ad un via vai già frenetico. L’agitazione, le grida e il rumore dei bus che arrivano e partono sono al livello dell’ora di punta… ma qui è sempre l’ora di punta… Troviamo il nostro bus, è appena arrivato ed è ancora mezzo vuoto, ci sistemiamo con i nostri voluminosi bagagli e dopo poco il mezzo parte. Avevamo paura di fare un viaggio affollato come sempre ed invece il bus rimane sempre con dei posti vuoti. E va pure forte.

Peccato che debba fare innumerevoli fermate.

I campi attorno sono stati quasi tutti arati e ci sono covoni un po’ dappertutto. Anche se il terreno è arido a causa della mancanza di pioggia molti alberi sono pieni di foglie, mi viene da pensare che il sottosuolo debba essere umido per far germogliare così queste bellissime foglie.

In cielo sono comparse le prime nuvole, ma sono piccine e si sciolgono in fretta. Fa caldo ma non come nei giorni scorsi.

Per fare 170 chilometri ci mettiamo quattro ore e mezza, alle 12.30 scendiamo finalmente dall’autobus contenti di essere arrivati.

Siamo ad Aurangabad, più o meno a metà dell’India.

Aurangabad e le grotte di Ellora Con un tuc-tuc ci facciamo portare all’ MTDC Holiday Resort, dovrebbe essere immerso in un bel giardino ed avere camere linde.

Il giardino non esiste, ci sono bellissime piante che fanno tanta ombra ma in terra è molto sporco. Entriamo nel caseggiato dove c’è la reception e un inserviente ci accompagna nel caseggiato a fianco per farci vere una camera. La casa è brutta e malconcia, passiamo per corridoi semibui dove alcuni indiani stanno pulendo sul pavimento macchie alquanto difficili. Davanti alle porte ci sono bicchieri e grossi piatti di metallo con gli avanzi della cena. L’odore è un po’ nauseante e lo sporco lo si sente anche nell’aria.

Sembra un carcere… La stanza che ci fanno vedere è deprimente, ha una finestra minuscola e pareti luride.

Facciamo segno all’indiano che questo posto non fa per noi, siamo in vacanza e ci adattiamo ma c’è un limite a tutto… Con lo stesso tuc-tuc andiamo al secondo indirizzo, quello di riserva: lo Shree Maya Hotel.

Il posto è carino e accogliente. Le camere sono decenti ed è abbastanza pulito.

Prendiamo una stanza al primo piano, la numero 13.

Ci riposiamo un po’ dal viaggio turbolento in bus. Andiamo a mangiare qualche toast al ristorante dell’hotel e poi ancora riposo aspettando che il sole sia un po’ più clemente.

Fuori infatti fa molto caldo, è un giorno di festa e molti negozi rimarranno chiusi, quelli che apriranno lo faranno sul tardi. Fa caldo anche per gli indiani! Usciamo nel tardo pomeriggio. Per prima cosa dobbiamo fare i biglietti per Goa, la nostra prossima tappa, dove finalmente vedremo l’oceano: e bisogna prenotare in tempo se si vuole trovare posto.

Ci sono 700 chilometri tra Aurangabad e le coste sabbiose di Goa e dobbiamo cercare di trovare un buon bus deluxe per fare un viaggio decente.

Torniamo a piedi all’ MTDC Hotel perché nello stesso caseggiato c’è un’ agenzia di viaggio ma ci dicono che non fanno i biglietti per Goa. Comunque ci danno l’indirizzo dove andare a farli.

Ci andiamo.

Il posto è molto professionale.

Dietro al lungo bancone di metallo solerti impiegati rispondono alle domande e schiacciano pulsanti davanti ai loro computer.

E’ tutto lindo e asettico.

L’unico problema è che non abbiamo rupie a sufficienza per comprare i biglietti e gli euro non li accettano.

E’ il primo maggio, è festa, ma dobbiamo cambiare per forza le rupie se vogliamo fare i biglietti.

Che fare? Ho imparato che in India non è quasi mai un grosso problema cambiare, qualcuno che ti cambi gli euro lo trovi sempre. Infatti chiediamo aiuto al guidatore di tuc-tuc che ci ha portato all’agenzia e ci ha aspettato sperando in un’altra corsa e lui ci dice di salire che sa lui dove andare.

Il piccolo trabiccolo parte rombando e si intrufola nel traffico un po’ caotico di questa grande città fatta di stradine quasi sterrate e di lunghi viali che paiono non finire mai.

La città conserva numerosi reperti storici, tra cui un interessante imitazione in piccolo del Taj Mahal, ma ciò che la rende importante è la vicinanza con le famose grotte di Ellora.

Grotte che andremo a vedere domani.

Il tuc-tuc intanto è arrivato a destinazione, si è fermato davanti ad un negozio laboratorio di sete e di tappeti.

Il proprietario del laboratorio si rivela molto cordiale e ci cambia i soldi senza problema. Nell’attesa dei soldi ci fa vedere dei sari di seta bellissimi (e costosissimi) e ci spiega il funzionamento dei torni.

Un tipo simpatico.

E simpatico è anche il nostro guidatore di tuc-tuc che ci riporta all’agenzia di viaggio.

Mentre lo salutiamo ci mettiamo d’accordo per l’indomani mattina per andare ad Ellora e vedere anche dei siti importanti sulla strada. In pratica lo affittiamo per la giornata.

Appuntamento è per l’indomani mattina alle 7.30 davanti al nostro hotel.

Facciamo gli agognati biglietti per l’oceano… (partenza per dopo domani alle 16.00 e arrivo a Goa per l’indomani mattina alle 8.00).

Facciamo una breve passeggiatina zigzagando bancarelle e pedoni mentre il buio comincia a scendere prima di fare un salto in camera. Per cena questa sera abbiamo scelto il Tandoor Restaurant & Bar.

Un posto chic.

E’ vicino al nostro hotel e quindi decidiamo di andarci a piedi. Passiamo per stradine tranquille e silenziose, le case a un piano sono tutte diverse una dall’altra e ognuna con il suo giardino attorno.

Particolare della camera n° 13 al primo piano dello Shree Maya Hotel.

A cena mangiamo abbastanza bene, il cibo non è troppo piccante e i sapori si distinguono e sono accettabili anche se certi sughetti hanno dei retrogusti un po’ dolciastri… comunque mangiamo tutto… o era la fame o il cibo era buono… Serata tra caffè e grappa… Un po’ di televisione, due chiacchiere e crolliamo. Venerdì 2 maggio Abbiamo l’appuntamento con il nostro guidatore di tuc-tuc per le 7.30 davanti all’hotel.

Ci presentiamo puntuali.

Il programma di oggi prevede l’escursione alle grotte, ad un forte e ad una moschea che sono sulla strada e infine ad un mausoleo in città. Il nostro driver ci porterà in tutti questi posti e poi ci riporterà all’hotel.

Il tuc-tuc arriva in orario.

A quest’ora del mattino l’aria è quasi fresca e si sta bene.

E’ il momento migliore di tutta la giornata perchè tra poco il sole comincerà a fare sudare e lo farà per tutto il giorno e quando scenderà la sera una cappa di calore avvolgerà l’aria… adesso invece si sta un po’ freschi… Il piccolo mezzo comincia il suo viaggio, pare andare forte ma spesso è solo un’illusione. Per arrivare alle “Ellora caves” , che distano una trentina di chilometri, ci mette un’oretta… Una volta entrati nel sito il tuc-tuc si ferma in uno spiazzo dove sono posteggiati altri veicoli tra venditori di bibite e di gelati ed altri guidatori in attesa.

Lasciamo il nostro driver e cominciamo a visitare il posto.

Per cinque secoli monaci buddhisti, hindu e giainisti hanno scavato cappelle, monasteri e templi sul fianco di una scarpata lunga due chilometri. Ma non è ripida come quella di Ajanta e molti templi e grotte sono scolpiti in modo da avere davanti bellissimi cortili o porticati.

Il sito comprende in totale 34 grotte: 12 buddhiste (600-800 d.C.), 17 hindu (600-900 d.C.) e cinque giainiste (800-1000 d.C.).

Ma il capolavoro assoluto è il bellissimo Kailasa Temple, dedicato a Shiva, è la più grande scultura monolitica del mondo, scolpita nella roccia da più di settemila operai nell’arco di 150 anni.

Il Kailasa Temple non è né una grotta né un semplice tempio religioso, risalente al 760 d.C. Fu scolpito interamente nella roccia per rappresentare la dimora sull’ Himalaya del dio Shiva.

Nella parete rocciosa gli operai con i loro scalpelli hanno rimosso 200.000 tonnellate di roccia e hanno decorato il monumento con immagini di rara bellezza. I bassorilievi narrano molte storie ma la più importante sembra essere quella dove Ravana (re dei demoni) scuote il monte Kailasa (dimora di Shiva) per mostrare la sua forza. Shiva punisce la sua arroganza schiacciandolo con l’alluce… E’ un luogo che lascia senza fiato: un tempio rupestre grande due volte il Partendone di Atene completamente decorato, con porticati e obelischi.

E’ qualcosa di unico…Bisogna esserci dentro per capirne appieno le dimensioni e il lavoro immane di generazioni di indiani che anno dopo anno hanno scavato la roccia della collina.

Dopo aver visitato le grotte buddhiste, per lo più “vihara” (luoghi di riposo) e quelle hindu, più maestose e a volte a più piani, ci dirigiamo verso la strada per andare a vedere le più lontane, quelle giainiste.

Distano poco più di un chilometro e il sole non da tregua.

Iniziamo a incamminarci ma il caldo e la stanchezza ci fanno desistere. Abbiamo salito e sceso una montagna di scalini e siamo sudati e provati. Torniamo verso il piazzale dove c’è acqua fresca e il nostro driver.

Dopo una sosta rigeneratrice ci facciamo portare alle ultime grotte dal nostro driver. Seduti sul tuc-tuc è tutta un’altra cosa… Anche queste ultime grotte sono molto interessanti e scolpite in modo ancor più ricco delle precedenti. In ordine di tempo sono le ultime scavate nella roccia e i bassorilievi e le statue paiono meglio conservati.

Con il solito mezzo torniamo in dietro e lasciamo le grotte di Ellora per riprendere la strada per Aurangabad.

La prima sosta è alla città fortificata di Khuldabad, meta di pellegrinaggio per i musulmani. Qui si dice ci sia una veste di Maometto che una volta l’anno viene esposta ai fedeli e qui sono sepolti molti personaggi illustri tra cui Aurangzeb, l’ultimo grande imperatore moghul.

Dentro il cortile della moschea Alamgir Dargah c’è la sua umile tomba (per la moglie invece fece costruire un mausoleo che ricorda un po’ il Taj Mahal di Agra).

Il posto è tranquillo, nel piazzale interno un gruppo di giovani sta tentando di tirare su un tendone per una festa ma il vento un po’ dispettoso li fa sudare più del previsto.

Anche noi seduti all’ombra sudiamo lo stesso…Fa caldo, molto caldo.

Torniamo dal nostro tuc-tuc e continuiamo la strada a ritroso per poi fermarci alla fortezza di Daulatabad. La fortezza sorge su un’altura ed è circondata da 5 chilometri di solide mura. Nel XIV secolo la località fu ribattezzata Daulatabad (Città della Fortuna) dal sultano Mohammed Tughlaq. Questi concepì il folle progetto di farla diventare capitale e di trasferirvi l’intera popolazione di Delhi… Fece percorrere 1100 chilometri a centinaia di migliaia di abitanti e poi, due anni dopo, li fece tornare a Delhi perché il posto fu considerato indifendibile. La salita fino alla vetta richiede almeno 45 minuti… E’ l’una e il sole è a picco… ci fermiamo a riposarci sotto la tettoia di una baracca-bar dove ci rifocilliamo di liquidi… poi, una volta riprese le forze, ci incamminiamo verso la fortezza.

Passiamo le prime mura e poi davanti a noi compare un viale che non finisce più, senza ombra e con un caldo impressionante… Facciamo poche centinaia di metri e poi, nei pressi di una fonte all’ombra di alberi giganteschi, ci fermiamo esausti e distrutti.

Il sole è devastante, siamo sfiniti e decidiamo di tornare in dietro, al nostro tuc-tuc che ci aspetta sulla strada.

Il mezzo parte rombando e il fresco dell’aria che entra nel trabiccolo ci risolleva un po’.

Dopo una mezzora siamo di nuovo in città, al mausoleo di Bibi-qa-Maqbara. Costruito nel 1679 come mausoleo per la moglie dell’imperatore Aurangzeb è soprannominato il “ Taj Mahal dei poveri “.

Ha la forma e la struttura simili anche se è più piccolo e molto meno bello. Se lo si vede senza andare ad Agra può sembrare unico… ma se lo si vede dopo aver visto il Taj Mahal è un po’ modesto. Anche se gli agenti atmosferici hanno lasciato le loro tracce è sempre un monumento di un certo valore.

Verso le tre e mezza del pomeriggio torniamo finalmente al nostro piccolo ma confortevole hotel.

Siamo stanchi, sudati,e con la sabbia su tutto il corpo ma soddisfatti del lungo giro culturale. Oggi il vento si è fatto sentire, non ha portato nuvole o fresco ma alzato soltanto sabbia e reso l’aria irrespirabile.

Paghiamo e salutiamo il nostro simpatico driver.

In camera ci riposiamo dai chilometri e dalle centinaia di gradini che abbiamo fatto… dormiamo un po’ ma al risveglio ci sentiamo più stanchi di prima… Per cena cerchiamo un nuovo indirizzo sulla nostra guida e la scelta cade sul Prashanth Restaurant.

Il ristorante si presenta nel peggiore dei modi: i tavoli in finto marmo sono molto sudici e delle sedie in plastica è meglio non parlare. Mangiamo dei buoni noodless anche se il resto della cena è poco convincente.

Serata in camera, la temperatura è calda e noi beviamo caffè e ammazzacaffè … Il caldo oramai non ci fa un baffo… Siamo soddisfatti del viaggio che stiamo facendo, i posti sono molto belli e la gente è molto accogliente e sorridente. Domani pomeriggio partiremo per l’oceano, per le spiagge di Goa, faremo il bagno e ci sarà pesce per cena…(almeno per me perché Vito non mangia pesce).

Naturalmente chiacchieriamo e beviamo, chiacchieriamo e fumiamo e dopo poco crolliamo… come al solito del resto.

Sabato 3 maggio Ultimo giorno a Aurangabad, oggi partiremo con un super bus delux con aria condizionata e ci faremo la notte in viaggio per arrivare domani mattina a Goa.

Dopo un corroborante caffè cerchiamo un mezzo e ci facciamo portare nelle città vecchia dove dovrebbero esserci dei mercati molto pittoreschi.

Le strade che percorriamo sono abbastanza larghe, assolate e già ingorde di traffico. Molti negozi sono ancora chiusi e il via vai dei passanti si fa sempre più intenso.

Passeggiamo per stradine abbastanza dissestate dove bassi palazzi in cemento mostrano implacabilmente lo scorrere del tempo… non c’è una casa uguale all’altra, ognuna ha colori e stili diversi. Qui gli architetti hanno avuto mano libera e si sono sbizzarriti… Giriamo per un po’ tra stradine ingolfate di pedoni e di venditori di fiori per il dono ai templi. Cerchiamo il mercato, quello fatto di bancarelle e negozi ma non c’è… le bancarelle sono poche e vendono per lo più frutta e i negozi sono per la maggior parte ancora chiusi…E sono le dieci e mezza del mattino… Troviamo finalmente un posto che fa frullati di frutta, ci dissetiamo e poi torniamo in hotel. Facciamo i bagagli e, dopo uno spuntino, ci facciamo portare al terminus da dove partirà il nostro bolide.

Alle 15.00 siamo già al termimus, ci sono diversi indiani in attesa con borse e borsoni che aspettano nel grande spiazzo coperto.

Notiamo come gli indiani si spostino con molti bagagli… e tutti voluminosi… Con un quarto d’ora di ritardo parte il nostro confortevole bus deluxe con aria condizionata e televisore.

All’inizio il viaggio procede speditamente ed è molto confortevole. Fuori fa caldo, e lo si vede, ma dentro il fresco dell’aria condizionata rende gradevole la temperatura. Tutto procede bene, almeno fino alla prima sosta… poi le cose cambiano e il viaggio confortevole diventa un piccolo incubo… Il piacevole fresco del pomeriggio lascia il posto a un freddo che col passare del tempo diventa sempre più intenso. Noi siamo in maglietta e dai bocchettoni sopra le nostre teste entra aria fredda che ci fa rabbrividire… Facciamo presente al guidatore che fa freddo e che l’aria condizionata dovrebbe solamente alleviare il viaggio dalla calura. Il biglietto è più caro proprio perché c’è l’aria condizionata e non ha senso pagare di più per soffrire… si paga di più per stare meglio… Il tipo dell’agenzia che è vicino al guidatore mi dice che se vogliamo possiamo affittare delle coperte che lui, casualmente, ha a portata di mano… Ci sembra un furto e lo diciamo. Attorno a noi gli altri indiani non dicono nulla, qualcuno ha affittato la coperta altri sono venuti già con la coperta da casa…Vito si arrabbia di più e non ne vuole sapere di pagare per avere la coperta: è una questione di principio. Io tentenno e ne affitto una. Dopo un attimo l’indiano torna indietro e mi dice di dargli un altro pezzo da 50 rupie perché quelle che gli ho dato hanno un pezzo di nastro adesivo… quelle per lui non valevano, potevano essere strappate o con i buchi e andavano bene ma con il nastro adesivo no… Se prima ero incazzato adesso lo sono ancora di più, mi prendo le rupie egli do la sua schifosa coperta. Alzo la voce anche con il guidatore e poi li mando tutti e due a quel paese. Urlare pare aver raggiunto un po’ lo scopo perché il freddo pare un po’ attenuarsi… ma solo per poco perché poi ricomincia ad arrivare il freddo di prima.

Domenica 4 maggio Alle 8.10 arriva puntuale il nostro bus sulla piazza di Mapusa, siamo a pochi chilometri dall’oceano, c’è un bellissimo sole e non vediamo l’ora di scendere da questo bus deluxe per pinguini. Una volta messo piede per terra il nostro morale si risolleva. Vorremmo andare ad Anjuna ma il tipo del tuc-tuc ci propone un posto pulito, carino e ad un prezzo molto conveniente a sud di Calangute. Ci dice di vederlo e se non ci piace ci porterà dove vogliamo.

Accettiamo, siamo stanchi e non abbiamo molta voglia di discutere… Il tuc-tuc passa per strette stradine con casette e giardini molto carini e si ferma davanti ad una casa verde molto pittoresca. Siamo alla Seby Guest House.

Il posto ci piace, la stanza è spaziosa, il bagno è decente e c’è un balconcino veramente incantevole. In più c’è un frigorifero… e questo non è secondario… potremo comprare acqua e succhi e averli freschi sempre…Cosa non secondaria in India. Calangute Una volta rilassati dal lungo viaggio notturno usciamo per andare sulla spiaggia.

Per raggiungere l’oceano percorriamo una stretta strada tortuosa e attorniata da basse case e da piccoli hotel. Gli alti alberi creano lunghi tratti in ombra, qui la vegetazione è veramente lussureggiante… Dopo pochi minuti raggiungiamo la lunga e incantevole spiaggia.

Calangute è una tra le località balneari più popolari del paese tra i turisti indiani.

Mentre la stagione dei turisti stranieri volge oramai al termine e sulla spiaggia sono semivuoti i ristorantini e i caffè costruiti apposta per loro, i turisti indiani invece sono ancora tanti. Del resto molti sono in ferie… E’ un turismo per lo più familiare, rumoroso e affollato… Ma noi siamo a circa un chilometro a sud di Calangute, e qui è tutto molto tranquillo.

Davanti a noi le onde meravigliose dell’oceano… a destra e a sinistra una spiaggia che non finisce mai, del resto le lunghe distese di sabbia sono il principale richiamo turistico dello stato di Goa.

Fa caldo e il sole è inclemente.

Ci dirigiamo verso i larghi capanni adibiti a ristoranti e bar. Le sedie e i tavoli affossano i loro piedi nella sabbia e sopra di noi un tendone ci copre dai raggi del sole. Si sta bene, e poi c’è birra fresca e il cibo è ottimo. E qui si mangia molto bene il pesce… per Vito che non ne mangia è un una caratteristica non significativa… Non c’è molta gente, la stagione è quasi agli sgoccioli e alcuni capanni sono già in fase di smontaggio.

Ci riposiamo, beviamo e mangiamo.

Dopo aver sollazzato i nostri stomaci ci incamminiamo verso il paese di Calangute camminando sulla spiaggia.

Dopo giorni e giorni in pianure assolate e desertiche fa un po’ impressione essere davanti a quest’oceano con il contorno di lussureggianti palmeti e maestosi alberi con foglie gigantesche.

Dopo una mezzora arriviamo nella piazza principale di Calangute e alla scalinata che si affaccia sulla lunga spiaggia. In quel tratto di spiaggia ci sono migliaia di indiani che se ne stanno in piedi e parlano l’uno con l’altro. C’è chi fa il bagno, ma i più parlano, ridono, scherzano. Le donne hanno sari coloratissimi mentre gli uomini sono per lo più in pantaloni e canottiera. Pochissimi hanno il costume. Alcune famiglie si sono sedute sulla sabbia in cerchio, mangiano e ridono.

Sono tutti ammassati in uno spazio largo un centinaio di metri mentre a destra e a sinistra il vuoto… Se si fosse in Italia la gente si sarebbe sparpagliata sulla lunga spiaggia, ognuno avrebbe cercato un posto distante dagli altri, avrebbe posato il suo asciugamano e avrebbe preso il sole, ma gli indiani invece se ne stanno tutti vicini, vestiti, a fare conversazione in una stretta zona lasciando quasi deserto il resto.

Lasciamo la spiaggia e il parlottare degli indiani e passeggiamo per la strada principale di Calangute, dove i negozi di artigianato e di stoffe si alternano a quelli di alcolici.

Dopo aver cambiato un po’ di soldi ne approfitto per fare altri acquisti, stoffe per lo più, e poi, un po’ stanchi ce ne torniamo in camera.

Il ragazzo che gestisce la guest house ci dice che dobbiamo cambiare camera perché nella nostra c’è l’aria condizionata che noi non vogliamo… ci darà una camera al primo piano… A noi dispiace un po’ perché la camera è veramente confortevole e, con poco entusiasmo, andiamo a vedere quella che ci darà… Con nostra sorpresa la camera al primo piano risulta ancora più gradevole di quella che abbiamo. E’ messa meglio ed è più spaziosa. Anche qui c’è il balconcino (che da sulla stradina principale), la televisione, un bagno pulito e il frigorifero… Traslochiamo e poi usciamo di nuovo.

Torniamo quando sta scendendo la sera con uno dei pochi tuc-tuc rimasti… oramai qui ci sono solo mini pulmini che intasano le strette stradine.

Non abbiamo visto i piccoli maialini di Goa che una volta erano dappertutto… e che attraversavano la strada rincorrendosi quando meno te lo aspettavi. Forse li avranno mangiati tutti… Anche le biciclette sono quasi scomparse a favore delle moto e le mucche sono state definitivamente sloggiate.

Il progresso ha i suoi prezzi! Per cena siamo molto fiduciosi, qui si mangia bene un po’ dappertutto e non dovremmo avere problemi di sorta… Decidiamo di incamminarci sulla strada interna che un po’ tortuosamente viaggia parallela alla spiaggia e che conduce al centro di Calangute. Quando troveremo un ristorante che ci ispira ci entreremo.

Finiamo per entrare al Tree Restaurant.

Da fuori il posto pare interessante: è una casa carina a un piano e le insegne pubblicitarie invogliano ad entrare.

Il ristorante è al primo piano e c’è l’aria condizionata.

Ci sediamo vicino alla vetrata senza accorgerci che proprio sopra di noi c’è un condizionatore che sbuffa aria gelida a non finire.

Chiediamo di limitare il freddo e ci accontentano.

Mangiamo bene. Io pesce e Vito pollo.

Lo stomaco comincia ad essere soddisfatto! E’ la prima serata a Goa e va tutto decisamente bene. Seduti comodamente sul nostro bel balconcino ci godiamo un cielo stellato e una temperatura dolcissima.

Abbiamo acqua e succhi in fresco in frigo…Tutto perfetto se non fosse che siamo a corto di caffè… Pur dosandolo abbiamo finito il terzo pacchetto, in 19 giorni abbiamo fatto fuori 750 grammi di caffè.

Non ci basterà per tutto il viaggio.

Pazienza, faremo due caffè al giorno, mattino e sera, finchè non finirà.

Lunedì 5 maggio Ci svegliamo nella nostra bella stanza con il sole che passando dalle fessure degli infissi raggiunge il nostro letto.

Anche oggi, come ogni giorno del resto, c’è un bel sole e uno stupendo cielo azzurro.

Dalla strada arrivano lontani rumori, una moto che passa, persone che parlano, il gracchiare dei corvi… Ci svegliamo riposati e pronti per una giornata di mare… Andiamo sulla spiaggia: è quasi deserta e il sole non è ancora troppo caldo. In compenso l’acqua è calda e farsi sbattere dalle onde che ti ributtano sulla spiaggia è meraviglioso.

Lottiamo con le onde per un po’, poi ci riposiamo per asciugarci ed infine corriamo a farci una selvaggia colazione in uno dei ristoranti sulla spiaggia.

Sfiniti dalle onde ci godiamo un pantagruelico breakfast seduti all’ombra e con i piedi nella sabbia… Se i primi giorni lo stomaco si è chiuso adesso si sta riaprendo… Per digerire toast, uova e frutta ci facciamo una lunga passeggiata tra stradine molto pittoresche. La temperatura è accettabile (almeno per noi che veniamo dall’arsura del centro dell’India) e i lunghi tratti in ombra rendono più piacevole camminare.

Dall’una alle quattro ci rifugiamo in camera, fuori il sole è molto potente e conviene starsene al coperto se non si vuole rischiare un’insolazione… Guardiamo po’ di televisione ma ci sono sempre i soliti film, le solite canzoni e la solita pubblicità. A volte ci sono scene interessanti e belle canzoni ma per lo più il livello è piuttosto mediocre. Vito in realtà si addormenta quasi subito, del resto le camminate dei giorni scorsi cominciano a farsi sentire…Abbiamo gambe dure come il legno… Nel tardo pomeriggio siamo di nuovo a Calangute, dobbiamo prenotare il bus per Mangalore (la nostra prossima meta) e pensiamo di partire mercoledì pomeriggio. Facciamo i biglietti senza problemi.

Giriamo un poco e poi con un tuc-tuc torniamo in hotel.

Per cena decidiamo di andare a Baga (zona a nord di Calangute), dove ci sono altri ristoranti sulla spiaggia.

Ci fermiamo a mangiare in uno di questi.

I tavoli bassi e le sedie in giunco sprofondano sulla sabbia, sopra di noi un manto di stelle e davanti l’oceano, al buio, che sbuffa… Un posto e un momento magico… Vito mangia ottima carne ed io un’ aragosta.

Dire tutto ottimo è poco.

Serata sul nostro magnifico balconcino tra caffè e grappa… e con stasera è finita anche la grappa… abbiamo fatto fuori due bottiglie di grappa…Ma una era da mezzo litro… Martedì 6 maggio Anche questa mattina è il sole che ci da il buon giorno.

Seduti sul balcone ci beviamo un buon caffè e ci godiamo il quasi fresco della mattina… dopo le lunghe giornate tra templi e camminate olimpioniche sono giunti infatti i giorni del riposo…Delle giornate di mare tra spuntini, ozio e lotte con le onde.

Come ieri andiamo sulla spiaggia, facciamo un rilassante bagno lottando con onde imprevedibili e poi ci sediamo distrutti a fare colazione… Si sta magnificamente.

Non c’è molta gente sotto i tendoni dei bar, ma nonostante questo si aspetta sempre molto tempo prima che arrivi ciò che si ha ordinato.

Ma noi non abbiamo fretta, siamo in completo relax e un po’ di riposo non ci può che fare bene.

Una volta fatta colazione, un po’ spartana a dire il vero (oggi non abbiamo tantissima fame, anche se qui si mangia bene i nostri stomaci faticano a mandare giù troppa roba… non si sono ancora riabituati) ci incamminiamo per una passeggiata, finiamo per cercare, e alfine trovare, un internet point per sapere un po’ di notizie.

Poi il caldo comincia a farsi sentire sempre di più e ci costringe a rintanarci in camera.

Non si può stare all’aperto con questo sole… è micidiale.

Quando il sole ha mitigato un po’ il suo calore torniamo sulla spiaggia, c’è un po’ di vento che attutisce i raggi e il cielo è di un azzurro intenso.

Non c’è molta gente, qualcuno cammina sulla riva, altri in lontananza fanno il bagno: in generale la spiaggia appare abbastanza deserta… Bella, lunghissima e deserta… almeno qui.

In cielo i falchi urlano e si rincorrono… sulla spiaggia i corvi gracchiano e scrutano i tavolini incostuditi con i mozziconi di pane… I più facinorosi e intraprendenti svolazzano sui tavoli pronti ad alzarsi in volo appena un umano si avvicina.

Con il loro grosso e duro becco nero non hanno paura di nulla e anche se allontanati ritornano. Seduti comodamente su grandi sedie di giunco stile coloniale ci godiamo il sole che lentamente scende all’orizzonte bevendo ottima birra fresca. Si sta d’incanto anche se i nostri stomaci cominciano a brontolare, oggi abbiamo mangiato solo un paio i panini e un po’ di appetito comincia a farsi sentire.

E’ sera quando ci incamminiamo per l’ennesima volta sulla lunga e tortuosa strada che porta a Calangute. C’è sempre un traffico continuo di moto, di camion, di biciclette e di qualche tuc-tuc, ma nonostante questo si passeggia tranquillamente anche se bisogna fare sempre molta attenzione perché non ci sono marciapiedi e qualche volta c’è chi taglia un po’ troppo le curve… E’ d’obbligo in queste strade camminare dalla parte della carreggiata dove le macchine vengono di fronte, averle alle spalle è infatti molto pericoloso.

Arriviamo un po’ stanchi dove si ammassano luci e negozi, hotel e ristoranti.

Ne scegliamo uno a caso dove vediamo molti clienti: ha tavoli all’aperto e da sulla strada principale.

Proviamo, tanto siamo certi di mangiare bene… La scelta risulterà infatti positiva, molto positiva.

Vito mangia un pollo al tandoori veramente squisito e io un trancio di barracuda che definirei delizioso. Una leccornia.

Siamo molto soddisfatti.

Ultima sera sul balconcino della Seby Guest house.

E’ finito lo zucchero… il sacchetto con le bustine non c’è più… è andato perso nel cambio di stanza e non l’ho più ritrovato… ma per Vito non è un problema, lui beve il caffè amaro… Proverò anche io a berlo amaro, tanto non è che ce ne rimanga molto…



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