Nungwi – Sogno ad occhi aperti
Mercoledì 25 febbraio 2009 Arrivo a Zanzibar alle 9 circa (ora locale: due ore avanti rispetto all’Italia). Rientrare in possesso dei propri bagagli è una vera impresa! Avevamo letto i forum ed eravamo preparati ma stare in mezzo a quella bagarre con 10 ore di volo alle spalle, 30 gradi di temperatura ed un’umidità del 90% atterrerebbe chiunque! Il tutto dopo la fila per il pagamento del visto (50 $ a persona). Luciano si lancia al recupero piazzandosi davanti al bancone che funge da “nastro trasportatore”: via via che arrivano le valigie attraverso un carrello, i zanzibarini gridano i nomi leggendoli dal cartellino e allungano le mani alle mance “obbligate” per lasciare andare i bagagli. Pazzesco e direi per niente pittoresco, nonostante su questo si sia creata ormai una leggenda! Come del resto su molte altre cose di cui parlerò in seguito. I nostri bagagli sono in pratica gli ultimi e persino i locali sono sfiniti dalla procedura e non ci vengono chiesti euro o dollari in cambio delle nostre valigie. Finalmente raggiungiamo il banchetto esterno Francorosso dove ci attende l’assistente Massimiliano e ci indica il pulmino per andare in hotel. Uno dei turisti con noi smarrisce il bagaglio e per il disbrigo delle pratiche restiamo circa un’ora nel pulmino sotto il sole e naturalmente senza aria condizionata! Dopo un’ora di cammino, durante la quale gli occhi sono catturati da tutto ciò che ci circonda, natura ed esseri umani, incredibilmente colpiti come sempre dalle diversità e dalla distanza rispetto alle modalità della nostra esistenza. Eravamo venuti in Kenya nel 2004 e sapevamo più o meno cosa attenderci, ma le nostre aspettative sono rimaste piuttosto deluse da questo punto di vista. 100 km di distanza da Malindi e realtà, e persone così differenti! Anche il tempo meteorologico è bizzarro: dal sole si passa ad un acquazzone torrenziale per poi tornare al sole. Queste prime piogge che preannunciano l’inizio imminente della stagione invernale causano un’umidità molto fastidiosa a fronte di un sole davvero cocente. Al villaggio siamo accolti dall’equipe di animazione Francorosso (Diego, Elisabetta e Giovanni) che ci vengono incontro con un piccolo asciugamano fresco ed umido di canfora, piacevole e rinfrescante! Le camere sono molto belle – il villaggio ha nove mesi di vita e dunque tutto è funzionante – con un bagno veramente esagerato (doccia doppia e vasca matrimoniale!). La pulizia è ok (le camere vengono rassettate più volte al giorno) a parte una quantità impressionante di mosche e zanzare che combattiamo immediatamente con fornelletti e zampironi portati da casa. Devo dire che le zanzare pungono molto poco, ma comunque la loro presenza è fastidiosa. Dalle mosche avremo altre sorprese all’ora di pranzo: dal momento che gli ambienti comuni sono tutti open air – e quindi privi di aria condizionata – sia la colazione che il pranzo sono flagellati dalla presenza di mosche che in questo periodo migrano e quindi sono sciami fittissimi. Tra l’altro già alla fine della settimana abbiamo notato una loro diminuzione rispetto ai primi giorni, quando ci hanno detto che due settimane prima era ancora peggio!! Fin da appena pranzo andiamo alla scoperta del villaggio che è piuttosto esteso, con piscine digradanti fino al mare, bar, centro diving, palestra, centro massaggi. Alle 14 primo bagno nelle acque tiepide dell’oceano indiano, alle 14.30 incontro di benvenuto con Francorosso. La stanchezza è tanta ma come si fa ad andare in camera con una meraviglia del genere che ci circonda? Riposiamo dunque in spiaggia dove ci sono dondoli, divani, lettini con materassi e ombrelloni di makuti. Siamo subito colpiti dalla bellezza della piscina “infinity” che si affaccia direttamente sull’oceano, senza soluzione di continuità con l’orizzonte naturale. Ed è da qui che assistiamo al primo passaggio di un branco di delfini a poca distanza dalla riva: emozionante vedere questi animali che saltano e giocano indisturbati nel loro ambiente naturale! Il ciclo delle maree consente qui di fare il bagno a qualsiasi ora e questo è stato uno dei motivi che ci ha spinto a preferire Nungwi rispetto a Kiwengwa, dove le eccezionali basse maree prosciugano letteralmente la spiaggia, impedendo di fare il bagno nelle splendide acque, se non camminando per centinaia di metri. Verso il tramonto prendiamo i primi contatti con i cosiddetti beach boys per le escursioni che intendiamo fare (per la verità solo Stone Town e Prison Island), prestando un orecchio anche agli altri turisti che si stanno organizzando più o meno come noi. Le tariffe come sempre sono molto convenienti rispetto a quelle del tour operator anche se per arrivare al prezzo finale è necessaria la solita infinita contrattazione. Ma per Luciano è un gioco da ragazzi, e ci si diverte pure!! Io mi affido…La scelta cade su un beach boy che si fa chiamare Obama (guarda caso!!) e con lui ci si accorda per un’uscita di mezza giornata a Stone Town (la capitale) e Prison Island per vedere le tartarughe giganti (costo 50 $ totali). Per l’escursione per lo snorkeling optiamo per il centro diving del villaggio (Adelchi ed Elena) che per 65 euro a persona, ci porterà all’isola di Mnemba, il punto di snorkeling e immersione più bello della zona. Giovedì 26 febbraio 2009 Approfittiamo della bassa marea per fare una passeggiata verso nord, al paese di Nungwi, il centro più grande in questa zona dell’isola. Sul fare del giorno c’è stato un bell’acquazzone ed è ancora un po’ nuvoloso. In effetti, è faticoso camminare sotto il sole e nonostante abbiamo usato sempre la protezione 50 (fino all’ultimo giorno) e non abbiamo mai camminato privi almeno di un pareo sulle spalle né tanto meno ci siamo mai distesi a prendere il sole come si suole fare da noi, siamo riusciti a scottarci. Camminando lungo la spiaggia assistiamo alla pesca delle donne del posto che, immerse nell’acqua fino al ginocchio, tirano una rete per recuperare un po’ di pesce. Altre sono sedute a terra intente ad uccidere polipi e a strofinarli nella sabbia mentre bambini di tutte le età che non vanno a scuola (parecchi direi!!) saltellano in acqua e giocano. Anche Luciano si cimenta in qualche scambio a pallone con due o tre ragazzini e poi proseguiamo perché vorrei comprare una sim dell’operatore telefonico locale Zantel per il cellulare in modo da poter chiamare in Italia senza spendere un capitale. Dopo diversi tentativi in vari microscopici negozi sulla spiaggia, ci dà una mano un giovane locale che nel paese (dove tra l’altro noi in costume non saremmo potuti andare) ci prende una sim e una ricarica da 10 euro. Le sim sono preattivate, lui ci fa la ricarica (il tutto è in swahili) per un totale di 30 dollari: da soli avremmo risparmiato qualche dollaro ma così è stato più semplice. Con questa sim ho potuto chiamare i figli in Italia ogni giorno e alla fine sono rimasti persino 600 scellini (cambio 1 euro = circa 1500 scellini). Dobbiamo sbrigarci a tornare perché quando si alza la marea non è più possibile camminare lungo la spiaggia. Dopo il pranzo trascorriamo un pomeriggio tranquillo in spiaggia e la sera ci cimentiamo con un musichiere internazionale che ci consente di fare conoscenza con altri turisti (un saluto a Danilo e Rosa di Verona e a Costantino e Monica di Treviso!). Alle due e mezzo di notte veniamo svegliati da colpi forsennati alla porta ed urla al di fuori della camera. Mentre tentiamo di capire cosa sta succedendo, sentiamo colpi alla finestra e grida in lingua straniera (è persino incomprensibile la lingua!): usciti nel patio troviamo una turista che grida “Fire! Fire!”. Alziamo lo sguardo e immediatamente al di là del blocco della nostra camera sta bruciando violentemente il tetto in makuti della reception del villaggio accanto al nostro (il Myblu) dal quale siamo divisi soltanto da due muretti alti circa due metri. La paura è immediata. Luciano rientra in camera dalla terrazza e riesce a prendere dalla cassaforte i passaporti e i soldi. Tutto il resto del nostro bagaglio resta lì, anche perché dal cielo piovono i carboni accesi del tetto e bisogna allontanarsi quanto prima verso le piscine. Il villaggio è al buio completo poiché il generatore è stato staccato per sicurezza e noi non abbiamo niente per illuminarci fino a quando non ci imbattiamo in un altro turista munito di una torcia da sub. Accanto alla reception bruciano i magazzini delle cucine e ad un certo punto esplode la bombola del gas che provoca un boato ed una quantità di lapilli incandescenti che vanno a cadere anche sul tetto in makuti del nostro ristorante (praticamente a 30 metri di distanza dall’incendio). Tutti sono attoniti, non si fa altro che restare a guardare il fuoco così vicino e così minaccioso. Cosa si potrebbe fare del resto? I vigili del fuoco devono arrivare da Stone Town: e infatti giungono dopo circa un’ora, quando il tetto è ormai completamente consumato, arrancano nel buio per attaccare le manichette antincendio. Non esistono estintori, tutto è lasciato alla “provvidenza”. Torniamo infine in camera alle 5 di notte (dopo avere richiesto il passpartout dal momento che nella concitazione siamo anche rimasti chiusi fuori) e ci mettiamo a letto ma non si dorme: continuano le esplosioni delle bottiglie e di quanto sta ancora bruciando a due passi da noi. Venerdì 27 febbraio L’argomento del giorno è naturalmente l’incendio della notte precedente e ci rendiamo conto che alcuni ospiti dell’ala del villaggio opposta a quella in cui alloggiamo noi non ne sanno addirittura nulla!! In spiaggia Obama, il beach boy con cui abbiamo concordato l’escursione ci comunica che per il momento viene rimandata dal momento che sarebbero dovuti venire con noi alcuni ospiti del villaggio Myblu che invece, a causa dell’incendio, non sanno dove verranno sistemati per il proseguimento della vacanza. Il motivo è più che ragionevole, restano ancora diversi giorni e dunque ci aggiorniamo per un nuovo appuntamento. La giornata prosegue in spiaggia tra freccette, acquagym, balli di gruppo e relax. Per la sera è previsto il beach party: tutto il giorno i camerieri hanno lavorato per trasportare in spiaggia tavoli, sedie, vettovaglie per realizzare una romantica serata di musica e sapori africani. Purtroppo per me cominciano i primi segnali di un malessere che, in modo più o meno forte, mi accompagnerà fino alla fine della vacanza. Mi assalgono tutte le manifestazioni classiche dei malesseri tropicali (senza stare qui ad elencare ;-)) compresa la febbre. Non riesco neppure a cenare e passo una notte di brividi e dolori addominali senza precedenti. Oltretutto, nonostante i nostri frequenti viaggi, questa volta non ho portato niente, neppure un farmaco per questo disturbo. Ma per fortuna mi vengono in aiuto altri turisti molto più attrezzati di noi e non mancano certo Imodium, Codex e simili. La mattina successiva dovremmo effettuare la gita in barca a Mnemba (barca di legno priva di servizi) e penso proprio che dovrò rinunciare. Mi dispiace tanto di non poter vedere da vicino i delfini, ma sto troppo male anche solo per pensarci.
Sabato 28 febbraio 2009 E invece sto meglio. La febbre è passata ed i crampi addominali pure. Sento che posso andare: alle 8 appuntamento al diving center dove si svolge un briefing sull’escursione. Dopo circa un’ora di navigazione ci avviciniamo a Mnemba: ha l’aspetto di un atollo maldiviano (sebbene non sia di origine vulcanica), una piccola isola circondata da un anello di sabbia bianchissima e da un mare splendido. È di proprietà di un sudafricano che solo per l’attracco si fa pagare 100 $ a persona ed ospita un villaggio per vip a cifre tutt’altro che abbordabili. La costeggiamo e ci dirigiamo verso la barriera corallina, al primo punto di snorkeling. Con noi sono anche 3 sub che faranno immersioni con Adelchi, mentre noi saremo accompagnati da 3 ragazzi del posto che si occupano anche della barca. Temendo una recrudescenza del malessere, rinuncio a questo primo bagno nelle acque cristalline e tiepide e resto in barca con uno dei ragazzi con cui scambio qualche chiacchiera. Dopo circa mezz’ora si riparte per l’attracco in un altro meraviglioso punto della barriera dove l’acqua, per effetto della marea, ha un’altezza di circa due metri o anche meno. La più bella piscina naturale mai vista!! Da pubblicità e da sogno!! Entro in acqua e mi godo il tepore mentre ci si organizza per la seconda immersione. Stavolta vado anch’io, la temperatura dell’acqua è troppo piacevole e all’asciutto sulla barca comincia a fare troppo caldo. Lo snorkeling è suggestivo ma non è certamente ricco come quello nel Mar Rosso. Per non lasciarsi deludere consiglio di ammirare estasiati la vita sommersa che appare fino in profondità grazie alla forte luce e alla trasparenza dell’acqua. I pesci sono belli e piuttosto vari ma non sono molti come a Sharm, i coralli anche sono meno colorati ma è sempre un incanto, davanti al quale inchinarsi per la sconcertante meraviglia del creato. Sono frequenti anche stelle marine di vario tipo (da quella classica a quella panettone che avevamo visto anche in Kenya) e qualche pesce di taglia piuttosto grossa. Risaliti in barca ci accingiamo a tornare costeggiando di nuovo Mnemba: è qui che ci appare un gruppo di delfini che avanzano verso di noi mostrando la pinna ed il corpo sinuoso mentre sembrano giocare nell’acqua. Adelchi batte sulla prua della barca e li attira verso di noi: davvero ora giocano, guizzando a zig zag davanti alla barca, passando sotto di noi e riapparendo dalla parte opposta. Luciano e Luca si buttano ma i delfini sono troppo veloci, sono già lontani. I ragazzi dell’equipaggio lanciano il motore e sorpassano i delfini di un bel tratto: ora davvero ci si può tuffare ed aspettare che arrivino…E infatti Luciano riesce a vederli arrivare sott’acqua e a fotografarli!! I piccoli nuotano sotto il corpo delle madri e tutti avanzano velocissimi. È un’emozione indescrivibile, paragonabile solo a quella provata in alcuni momenti del safari in Kenya!! Si torna al villaggio verso le 15 e ci mangiamo una pizza tutti insieme presso il ristorante della spiaggia che devo dire, mozzarella o simile a parte, sforna pizze veramente all’altezza dei palati italiani! In spiaggia non c’è traccia del nostro beach boy Obama con cui dobbiamo concordare l’escursione a Stone Town. Abbiamo pagato in anticipo e la sensazione non è piacevole, non per la cifra in sé ma perché abbiamo intuito che i zanzibarini, a parte il colore della pelle, non hanno niente in comune con la dolcezza e la disponibilità serena dei kenioti. Relax fino alla sera.
Domenica 1 marzo 2009 Dal punto di vista climatico, abbiamo apprezzato la levataccia del giorno prima e per goderci appieno la natura decidiamo di alzarci presto per i pochi giorni che ci sono rimasti. Con la bassa marea passeggiamo verso sud in direzione del villaggio Francorosso Gemma dell’est (praticamente 10 minuti di strada) appena superato il quale è allestito un mercatino locale che siamo curiosi di vedere. Infatti qui, da Picasso, acquistiamo le tele dipinte a mano, 6 per 20 dollari. C’è sempre la contrattazione da fare ma il caldo sfinisce tutti, compresi i locali. Qui conosciamo anche un altro beach boy, Girasole, che ci confermerà la sensazione negativa di cui ho parlato prima: ci convince ad ordinare la classica tavoletta di legno con su scritti i nostri nomi e Zanzibar 2009 (tipico souvenir, ma è pur vero che l’isola è famosa per la splendida lavorazione del legno). È chiaro che acquistare questi piccoli oggetti è un modo dignitoso di aiutare queste persone, che difficilmente ti mollano finché non acquisti qualcosa ed è anche comprensibile ponendoci nella loro condizione (vale sempre il discorso che per noi 20 euro non sono niente e per loro rappresentano un terzo di uno stipendio, per chi ce l’ha). Al ritorno ci accompagna al villaggio e ci diamo appuntamento per il giorno dopo in cui porterà oltre alla tavoletta, le spezie ed un CD con il solito Jambo buana. Nel pomeriggio ricompare Obama e ci accordiamo per il giorno successivo alle 14 per andare in escursione. La sera al teatro ci sono i Masai, la popolazione guerriera di Kenya e Tanzania: questi di Zanzibar sono emigrati spinti dal turismo ed in effetti la loro mancanza di originalità nella stessa rappresentazione delle danze tipiche è palese. Chi li vede per la prima volta ne rimane forse impressionato, ma a noi sono tornati alla mente i veri Masai visti in Kenya, compreso quello che ci faceva la guardia notturna al campo tendato di Tsavo east durante il safari… Lunedì 2 marzo 2009 La mattina trascorre tranquilla in spiaggia e alle 14 ci troviamo fuori dal villaggio: c’è già l’autista mandato da Obama e Girasole con le spezie ma senza la tavoletta che sostiene verrà portata in spiaggia il giorno dopo dal falegname che la incide. Nonostante stessimo andando a Stone Town dove le spezie costano una sciocchezza, Luciano ha voluto “regalargli” altri 10 euro e 5 dollari (un capitale rispetto alla merce che lui aveva pagato 380 scellini!!). Prendiamo altri quattro ragazzi dal villaggio Going vicino al nostro e dopo un’oretta siamo a Zanzibar Town, la parte nuova, e quindi a Stone Town, la città di pietra, la parte vecchia della capitale. Scendiamo in spiaggia, vicino al famoso bar ristorante Mercury’s (qui molte cose sono in ricordo di Freddy Mercury nativo dell’isola) e in 20 minuti di barca siamo a Prison Island, l’isola in cui era stata costruita una prigione per gli schiavi malati (mai utilizzata) e che ospita un villaggio turistico d’elite ed un parco con le tartarughe da terra giganti, dono del governo delle Seychelles a Zanzibar. Una leggera pioggia ci accompagna e siamo con Edoardo, la guida che sarà con noi tutto il pomeriggio. Durante il breve tragitto di ritorno ci racconta un po’ di curiosità sulla vita locale (case, automobili, usanze, famiglia, scuola, lavoro) e lo “scambio culturale” continua davanti ad una birra al bar Mercury’s. Poi inizia il giro a piedi nei vicoli della cittadina e ci rendiamo conto che sarebbe stato un grave errore venire da soli magari utilizzando un “dalla dalla” il tipico taxi che con 2 $ a tragitto fa la spola tra Nungwi e Stone Town. La città infatti è un dedalo di viuzze, molto simili tra loro, prive di qualunque indicazione di orientamento. Passiamo nella zona indiana e poi al mercato della verdura e delle spezie (passabile), della carne (indescrivibile!) e del pesce (no comment! Solo da vedere e soprattutto da odorare…Ma ricordarsi almeno i fazzoletti umidificati per tapparsi il naso!!). Indubbiamente le condizioni igieniche per noi sono proibitive ma in un paese dove la corrente elettrica e l’acqua corrente costituiscono una rarità, come si può pensare a celle frigorifere?? E quindi tutto in balia delle mosche e del caldo soffocante! Tenuto conto poi che noi siamo arrivati verso le 17 e 30, diciamo che abbiamo avuto la fortuna che molta merce non era più sui banchi, ma quella che c’era era ormai in condizioni estreme…In più, ammucchiato a terra, il pesce rimasto veniva venduto al ribasso: pochi istanti e siamo fuori!! Davvero insostenibile per un tempo più lungo!! Viene con noi un bambinetto che ci ha affiancato fin dall’inizio del giro e dice di chiamarsi Stefano. È silenzioso ed educato, non chiede niente, mi offre un fiore quando arriviamo all’ex mercato degli schiavi dove oggi sorge la chiesa anglicana. Ammiriamo lungo i vicoli i vari portoni in legno splendidamente decorati, ad indicare l’importanza ed il potere della famiglia che abita la casa (ma per lo più in passato). Ultima tappa prima di riprendere il pulmino che riporta al Royal è la casa dove è nato Freddy Mercury, vicino al porto, oggi occupata da un negozio (la Zanzibar Gallery). Solo una targa esterna ne indica l’origine. La cena in villaggio è a bordo piscina e la temperatura è molto molto gradevole, anche se il malessere che mi ha colpito ogni tanto si ripresenta. Pazienza, non posso apprezzare la cucina ricchissima ma posso godere della musica dal vivo suonata da una band locale con una vocalist dai tratti orientali e dalla voce tipicamente soul. Martedì 3 marzo 2009 Ultimo giorno di vacanza, da trascorrere in completo relax prima di tornare nella nostra “civilizzata” quotidianità e alle temperature italiane. All’ora di pranzo ammiriamo ancora il passaggio dei delfini poco oltre la bassa marea. È difficile uscire dalle acque calde del mare, il sole è infuocato, la luce talmente forte che si fatica a tenere gli occhi aperti. Nel pomeriggio facciamo gli ultimi acquisti dai beach boys in spiaggia che, ben sapendo che è la vigilia della partenza, hanno allestito un vero e proprio mercatino sulla sabbia. Tra gli altri, si avvicina un giovane con la nostra tavoletta in mano (quella prenotata a Girasole!!) ma quando sta per darcela sostiene che lui è il falegname che l’ha incisa e che dobbiamo pagare altri 10 dollari perché da Girasole non è stato pagato! A questo punto, stanchi di essere presi in giro – ma solo perché vogliamo permetterlo! – gli diciamo di tenersela pure. Fanno davvero tristezza con la loro poca serietà…Luciano vorrebbe che i miei giudizi qui lo stroncassero ma io penso invece che i fatti parlino da soli e che una sensazione negativa sulla popolazione locale di un posto di vacanza, valga più di tante parole… Devo dire che qui i sorveglianti del villaggio sono molto più tolleranti verso i ragazzi locali rispetto a quanto abbiamo visto a Malindi, dove erano addirittura armati di manganello e non esitavano certo ad usarlo!! Qui, le guardie si limitano ad assistere alla contrattazione sorvegliando che il turista non venga importunato e non abbia problemi e mi sembra più umano, dal momento che ognuno è responsabile delle proprie azioni, al di là di ogni ingenuità consentita. Approfitto per consegnare un pacco di scarpe da bambini che abbiamo portato dall’Italia (grazie alla mia amica Alessandra!) alla mamma Masai che trovo sulla spiaggia (sono quelli della sera prima che praticamente vivono qui, con due piccole bambine). Facciamo le foto con Risiki che è felicissima di un paio di ciabattine da mare con sopra un elefantino. Dopo cena assistiamo al cabaret italiano organizzato dai ragazzi dell’animazione e poi a letto dal momento che la partenza per l’aeroporto sarà alle 5.20, nonostante il volo sia previsto alle 9.30.
Mercoledì 4 marzo 2009 Alle 4.15 sveglia per gli ultimi preparativi per la partenza, bagagli fuori dalle camere alle 4.50, colazione alle 5 e quindi partenza per l’aeroporto. Il tutto slitta di circa mezz’ora e arriviamo in aeroporto verso le 6.40. E qui comincia la vera odissea. Ritroviamo i turisti partiti poche ore prima dal nostro stesso villaggio (il nostro era il terzo volo in partenza), tutti mescolati in fila, con una temperatura già sui 30 gradi e la solita umidità che ci rende sfiniti e sudati già all’alba. Al banco del check-in solo in apparenza ci liberiamo delle valigie (che vengono in realtà solo pesate e poggiate tutte mischiate dietro i tre banconi degli impiegati. Dopo circa due ore riprendiamo le valigie e Luciano fa la fila per il visto mentre io mi incolonno per il controllo bagagli tramite scanner: a questo punto vengono spediti e si provvede alla nuova fila per il controllo personale al metal detector, il tutto in un calore indescrivibile. Superato anche questo ostacolo, siamo agli imbarchi, neppure guardiamo i pochi negozi dell’unica sala d’imbarco, attraversiamo la pista e saliamo in aereo. La partenza reale è alle 10.30. Anzi, dopotutto, solo un’ora di ritardo!! Sorvoliamo il Kilimangiaro con la sua vetta innevata, scalo a Luxor per rifornimento carburante e quindi arrivo a Roma alle 18.20 ora locale (prevista 17.30). In evidenza: – Conviene portare i dollari dall’Italia dal momento che sul posto il cambio non è favorevole – Portare come sempre nei paesi tropicali i medicinali consigliati. Nonostante l’esperienza e le attenzioni nel mangiare e bere il rischio di infezioni è alto – Utilizzare una crema solare con protezione almeno 50. Noi l’abbiamo usata fino all’ultimo giorno eppure non siamo riusciti ad evitare del tutto le scottature. Abbiamo visto ustioni che penso facciano passare la voglia di sole per il resto della vita.