Lisbona – città di conquistadores che non si fa co

Lisbona - città di conquistadores che non si fa conquistare Sulle orme di Fernando Pessoa “E’ disteso su sette colli altrettanti luoghi da cui godere esaltanti panorami, il vasto, irregolare e multicolore insieme di case che costituisce Lisbona” . (Foto del viaggio e descrizione della logistica in: www.scrical.it) Così, ottantaquattro anni...
Scritto da: scrical
lisbona - città di conquistadores che non si fa co
Partenza il: 30/12/2008
Ritorno il: 04/01/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Lisbona – città di conquistadores che non si fa conquistare Sulle orme di Fernando Pessoa “E’ disteso su sette colli altrettanti luoghi da cui godere esaltanti panorami, il vasto, irregolare e multicolore insieme di case che costituisce Lisbona” .

(Foto del viaggio e descrizione della logistica in: www.Scrical.It) Così, ottantaquattro anni fa nel 1925, Fernando Pessoa apriva il suo Lisbon: what the turist should see. E a guardala oggi questa città sembra che nulla sia cambiato. Non le case dell’Alfama strette l’una all’altra, curve, diroccate, con gli azulejos segnati dal tempo in cui a fatica trovano spazio le strette strade, le rua, le beco, le scalinate ripide. Non i palazzi della Baixa, il centro economico e commerciale che alterna palazzi perfettamente restaurati ad altri sull’orlo dello sfascio.

Abbiamo visitato Lisbona seguendo e abbandonato il cammino tracciato da Pessoa, che nel suo libro non poteva prevedere che oltre per mare o con la ferrovia l’accesso alla città potesse avvenire anche con l’aereo. L’aeroporto dista circa sette km dal centro, facilmente raggiungile con ogni mezzo compreso i bus numero 44 e 745 che portano direttamente nella zona del Rossio, la stazione ferroviaria della città.

E’ un’umida, piovosa, per nulla fredda sera quella in cui arriviamo il 30 dicembre, e una volta sistemati i bagagli nella Pensão Roma in Rua da Gloria, laterale di Avenida da Liberdade, non ci resta che avviarci per il nostro primo pasto portoghese. Cerchiamo la Casa do Alentejo che ci è stata consigliata per la particolarità delle sue stanze. Ci dirigiamo così verso Rua Portas Sao Antonio e dribblando tutti coloro che ci pongono il menu sotto il naso per invitarci al loro ristorante, troviamo il piccolo portone al civico 58, così piccolo e anonimo che è un attimo saltarlo via. Varcato l’ingresso ci ritroviamo in un patio ricco di bellissimi azulejos e stucchi che richiamano la forte tradizione araba della città. Al primo piano il ristorante occupa due stanze, vi è poi una sala di lettura e un bar. Qui ScriCal ha avuto il primo approccio con il Bacalhau Dourado iniziando cinque giorni a base di pesce.

Il primo giorno, 31 dicembre Piove, pioggerellina sottile alternata a scrosci intensi. Pensavamo di andare all’Alfama ma visto il tempo preferiamo dirigerci al Mosteiro dos Jerónimos dove almeno possiamo visitare gli interni. ScriCal ha un cuore informatico e un reset del programma non la scompone più di tanto, siamo preparati a tutti gli eventi: flessibili, organizzati, pronti e attrezzati. Acquistiamo due 7colinas card, le carichiamo con 5 viaggi ciascuna e ci avviamo verso la zona del Belém (si legge B’leim). Arriviamo al monastero dopo un inutile giro lungo la strada che fiancheggia il museo delle carrozze (7colinas card, le carichiamo con 5 viaggi ciascuna e ci avviamo verso la zona del Belém (si legge B’leim). Arriviamo al monastero dopo un inutile giro lungo la strada che fiancheggia il museo delle carrozze (Museu Nacional dos Coches). Ci accorgeremo dopo che in realtà il monastero è poco più avanti e che non serviva scarpinare su per la collina, anche se la passeggiata extra ci ha consentito un rapido sguardo sul Jardin Agrícola Tropical. Davanti al monastero un lungo serpentone di persone in fila attende sotto gli ombrelli il proprio turno per entrare. Alcuni pullman sono parcheggiati lì intorno e altri sciami di persone accodate dietro a bandierine rosse, verdi, gialle, blu si stanno dirigendo verso l’entrata. Ci basta uno sguardo per decidere di cambiare nuovamente programma.

La torre di Belém, il Monumento alle scoperte Dalla cartina risulta che la torre di Belém è poco distante e già in lontananza si vede la sommità del Monumento alle scoperte (1960). Impostiamo la nostra nuova rotta nella città principe per le rotte marine e luogo da dove salpavano le navi per le Grandi Scoperte verso le Americhe. Ci avviamo verso il fiume, la pioggia si intensifica e appena arriviamo al monumento sulla riva del fiume Tejo siamo battuti da un forte vento che rende impossibile tenere l’ombrello aperto e fa svolazzare le nostre mantelline antipioggia. Il cielo rimane cupo, nuvole scure e basse coprono il cristo sul monumento del Cristo Rei sull’altra sponda del fiume ed anche la sommità del ponte 25 aprile (che trae ispirazione dal Golden Gate) è coperta dalle nubi.

Questa mattinata si sta facendo faticosa. Scappiamo anche dal monumento dopo una rapida occhiata all’enorme bussola sul pavimento appena un secondo prima che le porte di pullman si aprano per eruttare il suo carico di turisti. E’ evidente che non potremo registrare Lisbona fra le nostre mete capodanno tourists-free come lo sono state Lucerna o Norimberga.

Forse ci salverà la torre di cui Pessoa scriveva: “La Torre di Belém, vista da fuori, è un magnifico gioiello di pietra ed è con stupore e crescente soddisfazione che lo straniero ammira la sua bellezza particolare. E’ come un merletto, barlugina da lontano, catturando immediatamente lo sguardo dei naviganti che entrano nel fiume.” Teniamo saldamente in mente le parole di Pessoa mentre affrontiamo la coda all’ingresso (certo meno lunga di quella del monastero). “All’interno la bellezza non è da meno” ci ripetiamo mentre lentamente la coda avanza. La visita non è meno difficoltosa visto che le strette scale a chiocciola valgono sia per la salita che per la discesa, creando ingorghi fra i turisti che cercano di conquistare la sommità e quelli che impazienti vogliono scendere. Visitata la prima terrazza con la Vergine con il Bambino puntiamo con decisione al piano più alto saltando quelli intermedi, come la loggia rinascimentale, gremiti di persone. Da lassù possiamo goderci con relativa calma il panorama sulla città e sul fiume di cui parla Pessoa e osservare da vicino le funi intrecciate scolpite nella pietra e le torri moresche volute da Manuel I, artefice della costruzione.

La cattedrale Sé e il Castelo de São Jorge Usciti dalla Torre il cielo lisbonese ci regala uno squarcio tra le nubi da dove prorompente s’infila un raggio di sole. Subito l’aria si scalda, i giacconi diventano superflui e ci dobbiamo ingegnare per non sudare troppo. Decidiamo di riprendere il cammino originario verso l’Alfama considerata anche la coda ancora di tutto rispetto all’ingresso del monastero e dicendoci in cuor nostro che domani certo andrà meglio.

Con il tram 15E si arriva dalla zona di Bélem direttamente a Praça do Comércio, da qui seguiamo Rua da Madalena per poi inerpicarci verso l’Alfama. Le attese e i cambi di rotta ci hanno fatto arrivare alle tre del pomeriggio con un certo languorino, vorremmo trovare un posto per uno spuntino leggero ma a quell’ora tutti ci dicono di no. Non sembra facile magiare “fuori orario” in questa città.

Cattedrale Sé, Miradouro Santa Luzia Comunque sia proseguiamo fino alla cattedrale della Sé, abbreviazione di Sedes Episcopalis, costruita nel 1150 sulla vecchia moschea dopo che Lisbona fu riconquistata sconfiggendo i mori. Distrutta da tre terremoti (l’ultimo del 1775 fu quello dal quale sorse l’aspetto attuale della città su disegno del marchese Pombal) fu ogni volta ricostruita mischiando gli stili in un improbabile convivenza di romanico e gotico. Entrati in chiesa sulla destra c’è la fonte battesimale dove fu battezzato Sant’Antonio da Padova (ma non ditelo ai portoghesi, per loro il santo patrono del Portogallo è solo Sant’Antonio. Scri stessa ha celato con cura le proprie origini padovane!) e l’azulejos del santo che parla ai pesci. Pessoa racconta che nel 1383 durante una rivolta popolare il vescovo del tempo fu gettato da una delle due torri. Nella cattedrale ScriCal ha onorato una delle tradizioni dei suoi viaggi: accendere una candela in un luogo di culto indipendente dalla religione professata nel paese (ovviamente se questa lo prevede). Per strano che possa sembrare solo in Polonia non c’è stato verso di rispettare la nostra tradizione. Usciti dalla cattedrale ci siamo inerpicati per le strade e i vicoli dell’Alfama, fiancheggiati dallo sferragliare del famoso tram 28, che avremo poi preso, e siamo giunti al Miradouro Santa Luzia da dove la vista si perde sui tetti affastellati l’uno sugli altri e lo sguardo spazia sulla foce del fiume Tejo. Sotto un cielo plumbeo e la costante minaccia di pioggia l’Alfama ci ha regalato uno sguardo intimo dell’intreccio delle case vecchie, diroccate, in un composizione di mura, finestre, tetti, disordinato e casuale con piccoli anfratti dai quali spunta una palma, una magliolia, un punto verde nella distesa bianca di case restaurate e grigia delle mura scrostate e decadenti. Un intreccio che degrada fino alle sponde del Tejo e si getta sulla Praça do Comércio porta di accesso alla città.

Castelo de São Jorge Da lì abbiamo proseguito fino al Castelo de São Jorge che all’epoca dello scrittore portoghese poteva essere visitato “richiedendo il permesso all’ufficiale di giornata delle caserme” . Oggi non è più necessario, l’ingresso è gratuito e la passeggiata sui bastioni offre un panorama quasi a 360° della città; dal Tejo al Bairro Alto, dalla Praça do Comércio fino alla parte estrema di Avenida da Liberdade e al Parque Edoardo VII sul quale campeggiava l’altissimo albero di Natale della città (44 mt), il più alto d’Europa. Guardiamo la città distesa sotto di noi ma ci sembra di non riuscire veramente a vedere nulla. Un po’ perché non riconosciamo i luoghi un po’ per questa luce grigia che appiattisce tutto sullo sfondo.

Affaticati dalla giornata di pioggia ma ancor di più dalla quantità di persone in giro per la città, a pomeriggio inoltrato torniamo in albergo per riposarci, riordinare le idee e sondare questa strana sensazione che la città ci stia respingendo, che non voglia mostrarsi, che fosse satura e stufa di orde di turisti all’assalto delle sue storiche pietre e dei migliaia di piedi frettolosi che ne calpestano gli acciottolati. Questo Pessoa non l’aveva scritto. Questa capacità della città di chiudersi in sé, di non lasciarsi violare da sguardi disattenti. Così anche noi, come lei, ci siamo accoccolati nel silenzio della nostra stanza nella pensão e ne siamo usciti solo per cena, quando abbattuti e ancora un po’ stanchi ci siamo lasciati trasportare con l’Ascensor da Gloria fino al Bairro Alto dove abbiamo trovato un ristorantino in cui non c’era il menu del capodanno.

Fuochi sul Tejo Dopo aver cenato siamo scesi a piedi fino da Nicola, il cafè aperto dal 1929 al Rossio con un particolare ingresso in stile Liberty. Preparatevi, nove volte su dieci il cameriere nel portarvi il conto vi mostrerà che cancella dello voci inserite per errore. Nonostante sia l’ultimo dell’anno a Lisbona è ancora possibile sedersi all’aperto, così assaporando uno squisito dolce Brigadeiro al cioccolato fondente accompagnato dal porto Ferreira LBV rimaniamo un po’ con lo sguardo appeso al passare veloce della gente in piazza Rossio. Alle undici i nostri cellulari prendono vita, in Italia è già 2009 e noi ci dirigiamo verso Praça do Comércio centro della festa di capodanno della città e trovato un posto sul molo assistiamo allo spettacolo pirotecnico di mezzanotte sul fiume. E lì insieme a tanti altri abbiamo detto addio al nostro positivo 2008 e abbiamo accolto il nuovo anno, con la segreta speranza che domani Lisbona ci sarà più amica.

1° gennaio 2009 Il risveglio non riserva nulla di buono. Ancora nubi grige e pesante minaccia di pioggia. Siamo disposti a rinunciare a gran parte dei 12 gradi quasi costanti per uno spicchio di sole più stabile. Oggi il libro di Pessoa lo lasciamo a casa. La nostra meta era ben al di là da venire quando lui scrisse la sua guida. Lisbona è ancora pigramente addormentata e ci consegna un’immagine di sé pulita e linda nelle strade semi deserte. Qui gli unici fuochi d’artificio sono stati quelli sul fiume. Nessuno per strada ha sparato nemmeno un petardo e quindi le strade sono sgombre a differenza di quelle di Amsterdam e Norimberga lastricate dei resti dei botti esplosi e delle bottiglie frantumate.

Parque da Nações e l’Oceanário de Lisboa La nostra meta oggi è il Parque da Nações sede dell’expo del 1998, dove si trovano il ponte e la Torre Vasco de Gama e la stazione Oriente progettata da Santiago Calatrava, ora noto anche in Italia per il nuovo ponte aperto a Venezia che porta il suo nome. In questa zona si trova anche l’Oceanário de Lisboa la cui attrazione principale è l’enorme vasca centrale di 1000 m2 e 5000 m3. E’ così grande che si ha l’impressione che la struttura sia stata costruita intorno alla vasca. Tutt’intorno ampi finestroni e altri più piccoli disposti al primo piano e al pianterreno consentono di vedere i diversi angoli della vasca in cui convivono pacificamente (ma forse solo perché hanno la pancia piena) quasi 100 diverse specie compresi squali, barracuda e un pesce che ScriCal non aveva mai visto prima: l’ “Ocean Sunfish” o Pesce Luna o Mola Mola. E’ un pesce tozzo, lento, che può raggiungere i tre metri di lunghezza e larghezza e pesare due tonnellate. Impressionante davvero. L’oceanario è diviso in 4 sezioni dedicata ciascuna agli oceani Indiano, Pacifico, Atlantico e Antartico.

Tutto molto interessante ma è indubbio che la grande vasca attira su di sé tutta l’attenzione. Girandole intorno non si finisce mai di guardaci dentro ed ad ogni finestra si scopre una specie diversa, un angolo che non si era ancora visto.

Per giungere la zona dell’expo abbiamo preso il bus 759 da Praça Restauradores che con un viaggio di quaranta minuti ci ha offerto uno spaccato della periferia di Lisbona. Simile, a dire il vero, a tutte le periferie delle grandi città con palazzi di decine di piani e piccoli terrazzini con gli immancabili panni stesi. Essendo la mattina del 1° gennaio pochissima gente in giro, per lo più anziani forse diretti in chiesa o in uno dei pochi bar aperti a quell’ora per una partita a carte. Il giro in bus è piacevole, ce ne restiamo seduti a guardare Lisbona che continua a nascondersi dietro la pioggia, con le nubi che se ne restano sospese sembra a pochi metri da terra. In un giorno diverso dal 1° gennaio il traffico cittadino probabilmente rende impossibile prendere il 759 ed è quindi preferibile scegliere la metropolitana che con la fermata “Oriente” porta proprio alla stazione di Calatrava. Noi l’abbiamo presa al ritorno anche per gustarci la bellezza degli azulejos con i quali sono decorate le stazioni. Ben altra cosa dalla triste, sporca e deprimente metropolitana di Milano che quotidianamente ci succhia 90 e più minuti della nostra vita. Fra quelle utilizzate un po’ di qua e di là dall’oceano quella di Milano si classifica senz’altro agli ultimi posti.

Nel pomeriggio ci siamo trovati ancora un volta nell’espugnabile centro di Lisbona sotto continui scrosci di pioggia intervallati da brevi, brevissime pause. Tessiamo così la nostra vendetta nei confronti della città che tanto ostinatamente ci rifiuta come viaggiatori. Ebbene sì, se da turisti Lisbona ci trattava, da turisti abbiamo preso il tram rosso che fa il giro dell’Alfama, Chaido, Bairro Alto. Abbiamo così impegnato un’oretta e mezza ma è comunque un giro costoso (17 € a persona) che a meno di non essere affranti come eravamo noi non vale la pena di fare.

Foto del viaggio e descrizione della logistica in: www.Scrical.It 2 gennaio Ci restano due giorni di vacanza. E dobbiamo decidere quando andare a Sintra. Guardiamo le previsioni meteo appese alla reception. Oggi c’è il 60% di probabilità di pioggia. Domani il 30%. Decidiamo di rischiare, a Sintra e a Cabo da Roca si va domani.

Mosteiro dos Jerónimos Usciamo abbastanza presto e con decisione puntiamo verso Praça do Comércio per prendere il tram 15 che ci porta proprio nelle vicinanze del Monastero. Gli dobbiamo una visita dopo il primo tentativo fallito di due giorni prima. Il cielo è del solito grigio, la pioggerellina sottile si trasformerà presto in un’acquazzone violento. Lo sappiamo e in cuor nostro confidiamo che il Mosteiro dos Jerónimos ci voglia, questa volta, accogliere fra le sue stanze al riparo da tutta quest’acqua che la città si sta preparando a riversare sugli ancora assonnati turisti.

Sono quasi le 10.30 quando arriviamo al monastero e davanti all’ingresso ci sono non più di venti persone. Rapidamente guadagniamo la cassa e finalmente eccoci all’interno del monastero.

“La visita al Mosteiro dos Jerónimos, per essere una vera visita, deve essere fatta senza fretta.” ci dice Pessoa dalla pagine del suo libro. Gli diamo ascolto. Finché viene giù tutta quest’acqua, fretta certo non ne abbiamo. La struttura del monastero in stile manuelito (lo stesso Manuel I che costruì la torre di Bélem) è affascinante, ci sarebbe da perdersi ad osservare tutti i dettagli delle lavorazioni degli archi e delle balaustre che ci affacciano sul chiostro interno. Dai doccioni in pietra si riversano cascatelle d’acqua che gorgogliano con intensità e l’acqua zampilla in ogni dove provocandoci ad ardite uscite dal riparo del porticato per cogliere con la nostra fidata Berta un gioco d’acqua qua e un altro là. Il monastero conserva nel refettorio azulejos del 1700 e tra le tombe presenti anche quella di Fernando Pessoa, portata qui nel 1985 in occasione del cinquantesimo dalla sua morte. Anche questo il poeta portoghese non l’aveva previsto nel suo libro. Dal porticato del primo piano si accede al coro della chiesa. Un colpo d’occhio imponente sulle complesse lavorazioni delle colonne e sulla quantità di figure che vi sono intarsiate. Impossibile non immaginare lo scalpello dell’artigiano che con pazienza le libera dalla pietra in eccedenza. Se poi avete letto I pilastri della terra di Ken Follet è impossibile non immaginare il fermento dei mastri costruttori e degli operai indaffarati alla costruzione. Davvero, qui si capisce perché Pessoa inviti alla calma nella visita del monastero. E’ la calma che consente di assaporare il dettaglio come espressione della fantasia che inventa sempre nuove volute di elementi floreali, nuove figure grottesche per i doccioni. Ed anche nel coro siamo rimasti a lungo avvantaggiati dalla relativa esiguità delle persone, semplicemente a guardarci intorno per scoprire ad ogni giro di sguardo un dettaglio diverso. La nostra visita si è conclusa oltre mezzogiorno e all’uscita abbiamo incontrato lo stesso serpentone di persone in coda e gli stessi gruppi accodati alle bandiere verdi, gialle, rosse, blu. Rinfrancati e soddisfatti ci siamo infilati nella Pastéis de Bélem, l’antica pasticceria a pochi passi dal monastero che dal 1837 sforna i pastel de Bélem, la cui forma ricorda le pastine di riso ma con un ripieno alla crema, ottime con una spruzzata di cannella. Noi le abbiamo accompagnate con un bicchiere di Mateus.

Non fatevi ingannare dall’ingresso, oltre il bancone del bar si aprono tre sale molto spaziose ricche di azulejos con la pasticceria a vista protetta solo da un vetro che sforna paste in continuazione.

Cena con Fado Nel pomeriggio ci siamo nuovamente diretti verso l’Alfama con l’obiettivo di trovare un ristorante dove poter cenare e ascoltare il Fado, la musica popolare portoghese costituita principalmente da voce e chitarra portoghese. Anche il Bairro Alto è ricco di locali fadisti, ma quelli che avevamo visto ci sembravano troppo da turisti e l’atmosfera dell’Alfama ci è parsa più indicata. Dopo i soliti scrosci di pioggia improvvisi che ci fanno balzare sul tram 28, le nuvole decidono che per il momento ne hanno abbastanza e ci concedono qualche ora di tregua. Così ci perdiamo e ci ritroviamo per le, vien da dire, calli dell’Alfama, senza una meta precisa, su e giù per le scalinate fin dentro nel cuore dell’antico quartiere che può ricordare anche i carruggi genovesi. Nel nostro vagabondare troviamo un ristorantino il Dragon de Alfama in cui la sera avrebbero suonato il Fado. Con una decina di tavoli in tutto e dallo stile un po’ vecchiotto, il locale ci piace e lo scegliamo per la nostra serata fadista accompagnata dall’immancabile Bacalhaou. Di certo non vi abbiamo ascoltato il Fado più puro, ma ci è sembrato quello più verace. A cena oltre a noi una coppia di giovani spagnoli e due tavolate di portoghesi che cantano i ritornelli delle canzoni. Dopo cena dall’Alfama siamo risalti verso il Bairro alto per un porto al cafè Brasileira, famoso per la statua in bronzo di Pessoa. A onor del vero il porto di Nicola è molto più buono.

Sintra e Cabo da Roca (3 gennaio) Forse abbiamo azzeccato la scelta di andare oggi a Sintra. Dallo spicchio di cielo blu che si vede dalla nostra finestra la giornata promette bene. Ci dirigiamo al Rossio, la stazione a pochi passi dalla nostra pensione da dove ogni 15, 20 muniti parte un treno per Sintra. Il viaggio dura 40’ e il biglietto di andata e ritorno è di 7,80 €. A Sintra ci sono diverse cose da vedere, ma il nostro vero obiettivo in realtà è raggiungere Cabo da Roca il punto più occidentale d’Europa. Arrivati alla stazione della città , dove il cielo azzurro fa la spola con nubi basse con il risultato di quel “fine velo di nebbiolina” descritta da Pessoa, l’autobus per Cabo do Roca è appena partito. Ne approfittiamo per prendere l’autobus che porta verso il castello e il Palácio de Pena, una “stranezza” di Sintra che vogliamo visitare, ovvero l’eclettico palazzo voluto nel XIX da Ferdinando di Sassonia marito della regina Maria II. Lo volle per raccogliere stranezze da tutto il mondo e ci è davvero riuscito. Fin dalla sua architettura il palazzo risulta singolare. Dipinto di giallo, rosso e viola ricorda per certi aspetti i castelli disneyani. Peccato che la tinta sia offuscata da anni di umidità e quindi il contrasto fra i colori non risulti così netto. La visita del palazzo costa 7 € a persona e da quassù si ha un’ottima visita del castello di Sintra, che non abbiamo visitato. Scesi dalla collina dove si trova il palazzo con un viaggio in autobus molto più ricco di scossoni del nostro volo per e da Lisbona, siamo tornati alla stazione giusto in tempo per prendere il secondo autobus per Cabo da Roca. Quaranta minuti di viaggio attraversando paesini con le case a calce bianca e i tetti piatti che a volte danno l’impressione di essere in Messico e stradine strette nelle quali l’autobus si infila senza incertezze. E non pensate che siano a senso unico, l’incrocio con un altro autobus significa per entrambi sfruttare ogni pertugio possibile per creare lo spazio per passare. In prossimità della scogliera la vista inizia a perdersi oltre l’ondulato delle colline verso l’oceano. Virtualmente a Cabo da Roca non c’è nulla da vedere se non proprio il nulla. La scogliera si erge per 140 m di strapiombo sul mare. E’ semplicemente il punto più occidentale del continente europeo: “Aqui… onde a terra se acaba e o mar começa (Qui dove la terra finisce e comincia il mare)” ovvero l’oceano oltre il quale c’è l’America. Per ScriCal – che è già stata nel centro geografico del continente europeo vicino a Vilnius in Lituania – era importante mettere la bandiera anche sul punto più a ovest. Sotto uno sprazzo di sole più convinto rimaniamo un po’ sulla scogliera a goderci la schiuma bianca delle onde infrante sugli scogli. Prima di tornare a Sintra non ci facciamo mancare neppure il diploma che per 4.95 € attesta ufficialmente che ScriCal è stata lì! Il libro in portoghese E’ pomeriggio quando facciamo ritorno a Sintra e una volta giunti alla stazione ci avviamo verso il Palácio Nacional contraddistinto dai panciuti camini. Sappiamo già che non lo visiteremo, ma lì di fronte c’è la pasticceria Pastelaria Pariquita in Rua das Padarias dove le loro specialità alle mandorle hanno il marchio di registro. Il nostro pranzo è dunque a base di: Travesseiro (1,10 €), Queijada (0,80 €), Pastel de Sintra e il Pastel da Cruz Alta (1 € ciascuno). Sulla strada incrociamo un piccolissmo libreria, siamo già all’ultimo giorno di permanenza e non abbiamo ancora assolto alla seconda tradizione di Scrical, acquistare un libro nella lingua del paese che visitiamo, meglio se usato e con qualche dedica. All’interno una donna anziana e un uomo dall’aspetto del classico topo da biblioteca che ci soprendono perché, inaspettatamente, parlano un buon inglese. Per 10 € acquistiamo una copia di Mensagem l’unico volume pubblicato mentre Pessoa era ancora in vita. E’ una ristampa della prima edizione con all’interno una dedicata dello scrittore al suo editore.

Tornati a Lisbona concludiamo la giornata con un’ottima cena al Cervejaria Trindade in Rua Nova da Trindade al Chaido, il ristorante ricavato da un antico convento. Arriviamo alle 19.30 ed entriamo senza problemi. Già alle 20 la coda delle persone in attesa di un tavolo si prolunga fuori dal locale. Qui si mangia divinamente, gamberi all’aglio delicatissimi e il nostro piatto tradizionale il bacalhou.

Ultimo colpo d’occhio sulla città (4 gennaio) E’ il giorno della partenza. Il volo ci aspetta verso le sei del pomeriggio, abbiamo dunque tutta la mattinata per passeggiare ancora in città. Lisbona ci serberà ancora il broncio anche in queste ultime ore da trascorrere qui? Appena in strada ci accorgiamo che qualcosa nello spirito della città è cambiato. Nella pigra domenica mattina, deserta di portoghesi e turisti il sole ci appare più deciso a non farsi coprire dalle nubi. Camminiamo verso l’Elevador de Santa Justa (costruito a fine ‘800 dall’architetto che fece il suo apprendistato con Gustave Eiffel) con il passo tranquillo di chi può godere di tutto lo spazio e il tempo del mondo. Arrivati alla terrazza panoramica dell’ascensore finalmente Lisbona si concede al nostro sguardo assetato di luoghi e storie. Il cielo terso e il sole chiaro e limpido si distendono sulla città ed ora anche noi, dopo tre giorni di permanenza, riconosciamo il castello di São Jorge e poco più a destra la cattedrale del Sé, laggiù ancora più a destra – dove la terra tocca il Tejo – Praça do Comércio con la statua equestre di re José I. La piazza finisce con l’arco di trionfo porta di accesso alla città attraverso Rua Augusta e le vie parallele come Rua da Prata o Rua do Ouro, che finiscono in Praça da Figueira, Praça dos Restauradores e al Rossio. Da qui parte la larga Avenida da Liberdade che sale fin su verso il Parque Edoardo VII. Di fronte a noi il bagno di sole che illumina le case affastellate dell’Alfama per poi gettarsi nel riverbero del fiume. Alle nostre spalle il Bairro Alto e la chiesa carmelitana Igreja do Carmo, le cui volte scheletriche sono la testimonianza della violenza del terremoto del 1775.

E la città, che abbiamo dovuto cogliere pezzo per pezzo come a qualcuno che, troppo timido, gli si deve cavare le parole di bocca, finalmente si apre al nostro sguardo come se solo ora avesse compreso che da noi non ha nulla da temere, che i nostri passi non sono affrettati, i nostri sguardi non sono disattenti, che la nostra sete di vedere, scoprire, conoscere è pura come lo è il piacere di scrivere dei nostri viaggi, di condividerli in rete, di farne – nel lavoro che ci aspetta al ritorno – un modo per proseguire il viaggio per tornare là dove siamo stati anche se oramai fisicamente siamo già qua. Attraversando la passerella della terrazza ci inoltriamo ancora nel Bairro Alto e salutiamo la stauta di Pessoa davanti al Brasileira prima di scendere verso Praça do Comércio dove incontriamo un mercatino delle pulci e dove il sole si è fatto caldo e pezzo dopo pezzo ci riduce in maglietta e maniche di camicia. Risaliamo poi verso l’Alfama, liberi finalmente di fotografare per strada gli azulejos delle case risplendenti al sole anche nello disfacimento di molte palazzine. Ci ritroviamo infine alla Casa do Alentejo, nel risotorante dove abbiamo cenato la prima sera per una degna conclusione del viaggio con il il Bacalhau Dourado.

Foto del viaggio e descrizione della logistica in: www.Scrical.It



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