Namibia: Koakaland
Namibia: Koakaland
Il mondo è piccolo
L'incontro con le due donne Himba ci aveva lasciato le camicie sporche di rosso proveniente dall'impasto di grasso e sangue animale con la terra, di cui le donne si spalmano il corpo per proteggere la pelle dai parassiti e renderla più morbida,attraente ed odorosa. Da qualche ora la Toyota seguiva una...
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Namibia: Koakaland Il mondo è piccolo L’incontro con le due donne Himba ci aveva lasciato le camicie sporche di rosso proveniente dall’impasto di grasso e sangue animale con la terra, di cui le donne si spalmano il corpo per proteggere la pelle dai parassiti e renderla più morbida,attraente ed odorosa. Da qualche ora la Toyota seguiva una pista bianca che da sabbiosa si era mutata nel deserto ciottoloso del nord della Namibia. Il confine angolano non era molto lontano, quando la notte ci piombò addosso in pochi minuti, silenziosa come un commando, buia e senza stelle, senza avvertire. Cercavamo un campo tendato che ci aspettava, forse, a un centinaio di chilometri a nord di Opuwo, sulle rive di un fiume in secca. Questo per lo meno, è quanto ci aveva fatto capire il nostro autista, un Botswaniano dalla pelle rugosa e cappellaccio da cacciatore bianco, poco loquace e quel giorno ancor più parco di parole. Mentre le due lame di luce fioca dei nostri fari, cercavano la strada, girava la testa qua e là stringendo le fessure degli occhi per interrogare il deserto, cercando indizi, segnali, risposte difficili da interpretare. Non riuscivamo a procedere a più di 20/30 all’ora, sia per la difficoltà della pista, che per l’oscurità che ci avvolgeva. Dopo un paio d’ore di caligine nel nowhere, la preoccupazione inespressa dei terzi trasportati, non usi alle incertezze africane, si faceva spazio con colpi di tosse, spostamenti nervosi e occhiate interrogative scambiate con sguardo dubbioso. Non appariva chiaro se era la pista a zigzagare nel bush o la macchina che tentava di trovare un appiglio conoscitivo tra le rocce tutte uguali, tra i bordi ripetitivi. Ad un ennesimo tentativo di interrogazione muta, l’autista bofonchiò un no problem per nulla rassicurante. La notte sconosciuta genera paure dimenticate, di altri tempi e di altri luoghi, raccontati o soltanto letti, di incubi lontani. Passò altro tempo, silenzioso e denso, quando d’un tratto in lontananza parvero comparire delle fioche luci tremolanti, come di fuoco da campo. Con un largo giro, la macchina si diresse decisa verso la speranza, assopendo il timore di uno sconfinamento in Angola, cercando comunque un punto fermo, per comprendere dove eravamo finiti, se ci eravamo persi o ritrovati. Man mano che ci avvicinavamo, scrutavamo lo sguardo del cacciatore, che rimaneva inespressivo o forse dubbioso, così almeno ce lo faceva apparire la paura. I fuochi erano più vicini e scoprivano masse scure inquietanti. Arrivammo vicini senza capire; era un campo e da un varco uscirono due sagome nere che si avvicinarono alla macchina, guadagnando terreno verso di noi che eravamo scesi titubanti. Guerriglieri, predoni? Uno dei due mi puntò una torcia in faccia e subito sentii una voce strozzata che diceva:-Ma, dottore, cosa ci fa qui?- Appena la luce scoprì anche il suo volto, rimasi interdetto. Lo sguardo sorpreso di un importante fornitore della nostra azienda mi colse nella situazione di “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico disperso in Africa?”. Annaspai alla ricerca di una spiegazione e mi uscì soltanto un:- Ingegnere, avevamo urgente bisogno di una pressa da 200 tonnellate e la stavo cercando dappertutto!- Era il nostro campo e finì a spiedini di kudù e sidro namibiano attorno al fuoco. I leoni avrebbero aspettato almeno fino all’alba per attaccare.
Enrico Bo Se volete maggiori informazioni contattatemi : enricobo2@tin.It