Tibet : il lago Yamdrok
I 4794 metri del passo di Kampa-la ti accolgono con una sgradevole sensazione di difficoltà respiratoria. Cali giù dalla Toyota e fatichi a camminare, a respirare, pensi che sei praticamente all'altezza del Monte Bianco e invece intorno a te le montagne crescono come i funghi. Guardi in alto e capisci perchè in tutte le tangke tibetane appese...
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I 4794 metri del passo di Kampa-la ti accolgono con una sgradevole sensazione di difficoltà respiratoria. Cali giù dalla Toyota e fatichi a camminare, a respirare, pensi che sei praticamente all’altezza del Monte Bianco e invece intorno a te le montagne crescono come i funghi. Guardi in alto e capisci perchè in tutte le tangke tibetane appese alle parete dei templi il cielo sia così indaco, sempre cosparso di sbuffi bianchi di nuvole. Camminando lentamente tra i fasci di bandiere di preghiera colorate che sventolano nel vento teso e gelido, portando in alto le loro richieste di aiuto, arrivi a vedere, poco più sotto la superficie piatta di turchese del lago Yamdrok Tso che si insinua tra le vallette laterali come un polipo dai cento tentacoli, un lago sacro nel deserto dell’alta quota. Sei in Tibet, ma se sei cinese il lago si chiama Yamzho Yumko e non è poi molto sacro, anzi, con il tipico pragmatismo cinese, si trova in una posizione straordinaria per fare una condotta forzata di oltre mille metri di dislivello che generi energia di cui il nostro mondo (sottolineo, il nostro) è perennemente affamato. I tibetani hanno guardato l’operazione con grande disapprovazione e si sono messi, metaforicamente, sulla riva del lago ad aspettare. Non ci sono immissari, quindi è prevedibile che la continua emunzione di acque farà scendere il livello del lago fino a farlo sparire e qui casca l’asino. Perchè i cinesi non lo sospettano o quanto meno se ne fregano, ma tutti sanno che in fondo al lago, da ere immemorabili è tenuta prigioniera e incatenata una orchessa malefica che, una volta liberata dal peso delle acque, spezzerà le sue catene dorate e distruggerà il mondo, quantomeno la Cina. Per questo forse, i tibetani che transitano dal passo con gli yak o le mandrie di capre, dopo aver messo una pietra sui monticelli lasciati dai viaggiatori che li hanno preceduti, guardano il lago e sogghignano a lungo, stringendo gli occhi come fessure scavate nella carne. Quelli a cui raccontano la storia ridono e li prendono un po’ in giro. Ma i pastori non sono come i ragazzi impazienti che tirano pietre a Lhasa o bruciano qualche negozio e magari rischiano la vita. Raccontano a te, che ansimi camminando piano per raggiungere l’auto e che guardi un po’ smagato i monaci col telefonino che si messaggiano durante la preghiera nel gompa di Sera, una frase famosa di Guru Rimpoche scritta in un rotolo di pergamena del XV secolo:- Quando l’uccello di ferro volerà ed i cavalli correranno sulle ruote, il popolo tibetano sarà sparso per il mondo.- e le fessure sorridono ammiccanti. Loro aspettano.
Enrico Bo